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Autore: Paradorn    08/10/2007    1 recensioni
Tra le mura di Hogwarts, la situazione si fa sempre più insostenibile per gli studenti, che sono costretti a subire le prepotenze di un gruppo di Serpeverde. Tra vecchi insegnanti e nuovi ragazzi, un giovane Grifondoro si troverà, suo malgrado, al centro di tutto questo e dovrà fare affidamento sulla sua fortuna, sul suo sarcasmo e sugli interventi del suo misterioso protettore, per superare incolume (più o meno) il suo anno scolastico.
Genere: Commedia, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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5. You Say You Want A Revolution*

E ci rifletto. Ci rifletto metodicamente, scrupolosamente, come un ragioniere, quale è mio padre, babbano di nascita e di vocazione, molto più legato al suo mondo di numeri e cifre, piuttosto che a quello di magie e incantesimi, al quale è legato solo per via di mia madre.
Conto, quindi.
Sommo, sottraggo, moltiplico, mi guardo bene dal dividere, e alla fine il totale è preciso al centesimo.
Key mi ha scaricato.
Non ho sbagliato il calcolo e non ho tralasciato nessun fattore.
Key mi ha scaricato.
Certo ha usato un metodo carino, velato, originale forse (non ho tante esperienze alle spalle per dirlo con certezza), ma evidente, dopo un’attenta riflessione.
E’ bastato analizzare due cose.
La prima sono i giorni passati da quella notte senza che lei mi rivolgesse la parola, nonostante la mia persistente, ma discreta, presenza. Sono 6 (i giorni dico) e il conto non si ferma.
La seconda è la sua ultima frase, quella mattina, e per studiarla correttamente ho bisogno di spogliarmi dei panni di mio padre (grazie ragionier Trey…), per mettere invece quelli di un esimio professore, un linguista per così dire.

“No, Jeremy, è una cosa sulla quale devo riflettere da sola.”



Le parole chiave di questa proposizione sono semplici da trovare e da comprendere, e sono tre: ‘no’, ‘sola’ e ‘riflettere’.
Penso sia superfluo esaminare la prima, la più risoluta delle negazioni; ma ben più interessanti da approfondire sono le altre due.
‘Sola’ esprime alla perfezione la condizione di ‘single’ alla quale è destinata a tornare lei, una volta uscito di scena io. E’ chiara nella sua semplicità.
E poi c’è ‘Riflettere’.
Ecco a voi il cliché, lo stereotipo nel quale anche la mia Key è caduta!
Donne di carta, di celluloide e di carne hanno usato l’espressione ‘pausa di riflessione’ fino alla nausea! Lei non poteva di certo spezzare quella che agli occhi delle donne deve sembrare una tradizione, o forse un rituale d’iniziazione!
Dev’essere così. Le donne si tramandano, di madre in figlia, quest’antica usanza, sin dall’alba dei tempi. E’ un po’ come le mestruazioni: non sei una vera donna finchè non scarichi qualcuno utilizzando la fregnaccia della riflessione!
Be’, grazie tante genere femminile! Voi diventate donne e noi perdiamo quel poco di autostima che tenevamo stretta tra i denti!
Rimugino tutto questo, mentre mi dirigo a passo svelto verso la mia Sala Comune.
Anche se non sono dell’umore giusto, non posso mancare a quella che si annuncia come una rivoluzione Grifondoro in grande stile.
E’ giunta, infatti, la sera dell’importante riunione indetta dal vecchio White, tre giorni fa, e non sarà di certo la mia prima fregatura in amore a farmela perdere.
A questa misteriosa assemblea devono partecipare tutti, nessuno escluso, come ha precisato più volte lo zio dando inizio al passaparola. Questioni urgenti devono essere discusse e per farlo c’è bisogno della presenza di ogni singolo Grifondoro. Inutile dire che la segretezza è della massima importanza. Non una parola di quello che verrà detto deve essere pronunciata oltre il ritratto della Signora Grassa.
Quando giungo a destinazione, la Sala Comune è piena come non l’avevo mai vista e rumorosa come non l’avevo mai sentita.
Non un unico centimetro di pavimento è visibile tra la moltitudine di gambe incrociate che mi si dispiega davanti e non una sola parola è comprensibile nella confusione generale.
Mi ci vogliono due minuti buoni per fare i dieci metri che mi separano dallo zio.
Il vecchio White è in piedi sulla scala di pietra del suo dormitorio, e appena sotto di lui, sono seduti Hèk Thai-hè, con il solito ghigno stampato sul volto, e Rachel Joint, tutta presa dallo sgridare l’altro per chissà quale ragazzata.
I due in realtà si amano, ne sono convinto io e forse anche loro, ma comunque, sotto un implicito e tacito accordo, tutti fingiamo ostinatamente di non saperlo.
Ames riesce a vedermi in mezzo alla folla e mi fa un gesto per farmi avvicinare.
Non appena mi siedo qualche gradino sotto di lui, Ombra si alza in piedi, riesce miracolosamente a zittire la brulicante massa informe della sala, e con un foglio in mano comincia a fare l’appello.
La soddisfazione del vecchio White è ben visibile sul volto segnato, quando gli viene comunicato che nessuno è assente.
Il viso di quercia si distende in un sorriso.
“Bene” dice e la sua voce risuona forte in tutta la stanza, riportando immediatamente il silenzio.
Se non è la forza di un leader questa, non so quali altri leader siano esistiti, perché mi riesce difficile immaginare qualcuno che più di lui abbia ‘presa’ sugli altri.
Sembra un politico pronto per il suo discorso, o forse un prete per il suo sermone.
Ma tra i due, in fondo, c’è qualche differenza di solito?
“Che cosa succede, Ames?” chiede William Goblet del settimo anno.
“Perché siamo qui?” gli fa eco una voce qualche metro più indietro, alla quale, però, non riesco ad associare una faccia.
Dal suo pulpito di pietra la voce dello zio risuona più forte che mai.
“Perché siamo qui, mi chiedete?”
Pausa. La pausa dei grandi uomini.
“Jerome, per favore, potresti alzarti?” chiede gentilmente rivolgendo lo sguardo verso la sua destra.
Un istante dopo, un pezzo di massa informe sembra staccarsi dal resto, un ragazzino si alza in piedi e sul viso ben illuminato appaiono bruciature da bacchetta e piccole abrasioni. Non sembra per nulla imbarazzato o stupito, nonostante tutti gli occhi siano puntati su di lui. Ames deve averglielo detto che avrebbe fatto una cosa del genere.
“Ora, Vince, per favore”.
Stessa scena di prima, stesso movimento tra gli studenti ammassati, stessa faccia scottata e graffiata.
E il rito si ripete altre cinque volte, senza la minima variazione.
Dopo aver dato a tutti noi Grifondoro, il tempo necessario per imprimere quei visi nella nostra testa, il vecchio White fa cenno ai ragazzi di sedersi e riprende a parlare.
“Ecco perché siamo qui” dice solennemente. “Siamo qui per fermare tutto questo. Questi pestaggi, queste minacce, queste prepotenze che durano da troppo tempo. E’ ora di cambiare le cose.”
Sulla folla cala il silenzio dell’interesse, e Ames, da bravo oratore quale è, gli lascia fare il suo compito prima di continuare con una domanda a bruciapelo.
“Che cos’è che dà tutto questo potere ai serpeverde, secondo te Jeremy?”
Si rivolge direttamente a me, e questo mi mette per un istante in difficoltà.
Poi la mia mente inizia a formulare decine di risposte.
Dopo qualche secondo, quella corretta caccia via tutte le altre e si fa strada verso la mia bocca.
“La paura, credo.”
Lo zio sembra soddisfatto.
“Esatto. E per quale motivo, secondo te, noi abbiamo paura?”
Mi scappa una smorfia al sentire quella prima persona plurale.
Né io, né tu abbiamo mai avuto paura di loro, penso, ma decido di non correggerlo, e mi dedico invece a riflettere su una risposta.
“Credo sia perché loro girano sempre in gruppo” dico alla fine e il mormorio della platea sembra darmi ragione.
Lo fa anche il vecchio White.
“Esatto” dice tornando a rivolgere la sua completa attenzione sulla folla.
“I serpeverde sono come lupi. Girano sempre in branco e attaccano prede isolate.”
Altro mormorio d’approvazione. Il paragone deve essere piaciuto.
“Contemporaneamente a me, anche Alicia Norton di Corvonero e Sebastian Coen di Tassorosso ne stanno discutendo con le loro Case” riprende Ames, riportando il silenzio nella sala.
Mi ero sbagliato allora… non è solo dei Grifondoro la rivoluzione! Stiamo facendo proprio una cosa in grande!
“Sono settimane che ne parliamo, noi tre, e finalmente crediamo di aver trovato una soluzione, o meglio la sua attuazione. Perché in verità, la soluzione è sempre stata semplice, ma era una possibile messa in pratica che ci frenava.”
A questo punto arriva la solita pausa d’effetto e se quelli di prima li avevo definiti silenzi, adesso mi devo ricredere.
Perché questo che si presenta ora alle mie orecchie è un vero silenzio.
Penso che tutti abbiano smesso di respirare, io compreso.
La soluzione… anzi, la sua attuazione come dice lo zio, è a un passo dall’essere rivelata.
Il vecchio White ci tiene ancora un po’ col fiato sospeso, poi ricomincia a parlare e davvero sembra non esistere altro che la sua voce oceanica.
“I serpeverde girano sempre in gruppo, come ha detto giustamente Jeremy… basterebbe che lo facessimo anche noi.”
Non sono l’unico ad aver aggrottato le sopracciglia. Se questa è la tua ‘attuazione’, zio, allora stiamo freschi.
Lui ignora le facce scettiche della folla e continua tranquillamente.
“So che questo non è sempre fattibile e non può essere una soluzione al problema.”
Adesso siamo tornati alla soluzione, eh?
“Quindi, io Alicia e Sebastian abbiamo pensato a un modo per informarci quando siamo nei guai. Abbiamo già testato il metodo e con grande soddisfazione posso dirvi che funziona alla grande. Ero andato dalla professoressa Granger con in mente la telepatia, ma lei mi ha dato un’idea migliore. La telepatia sarebbe perfetta, ma ci vuole grande concentrazione e preparazione, e dubito fortemente che un qualsiasi studente del primo anno o anche del quarto o del quinto, possa riuscirci… e sicuramente non in tempi brevi.”
Pausa.
“Così lei ha pensato ai telescambi.”
Dalle facce dei Grifondoro, noto con una punta di sollievo che non sono l’unico a non avere idea di cosa siano questi cosi.
“Un telescambio” spiega Ames, “è uno strumento magico molto potente. Può essere qualsiasi cosa, un orecchino, una sciarpa, un libro, proprio come delle passaporte, e serve a metterti in contatto con le 5 persone più vicine dotate di un telescambio.”
Ora l’idea del vecchio White comincia a prendere forma nelle teste della platea che come un sol uomo cominciano a registrare ogni parola come se da questo dipendesse la loro sopravvivenza… e in parte è vero…
Riesco limpidamente a vedere tutti quei cervelli lavorare a pieno regime.
“Basta toccarlo appena e pensare intensamente a una parola prestabilita per attivarlo, e immediatamente, la vostra esatta posizione viene inviata ai 5 telescambi più vicini, che informano telepaticamente il loro possessore.”
Tutta la sala è sbalordita. Lo zio sceglie una bocca aperta a caso e gli lancia piano un pacchetto di cioccorane, che viene preso al volo a mezz’aria.
“Tienilo un attimo in mano, Mark” dice con la sua voce profonda. Poi tocca un istante qualcosa che tiene al collo e aggiunge: “che cosa hai sentito?”
Mark Upton del sesto anno, ha gli occhi sgranati e la bocca aperta. Deglutisce rumorosamente e poi esclama a voce alta per l’eccitazione: “Ames White, Sala Comune di Grifondoro, Torre Nord!”
A quel punto scoppia il putiferio. Tutti sembrano avere qualcosa da dire al proprio vicino e Mark, che è appena diventato l’attrazione principale di Hogwarts, conferma che, sì, una voce nella sua testa gli ha proprio detto così, ‘Ames White, Sala Comune di Grifondoro, Torre Nord!’, con una voce un po’ metallica forse, ma no, no, non è stato spiacevole… ecc. ecc.
Il pacchetto di cioccorane fa il giro completo della sala e la mano dello zio adesso è fissa su quello che mi sembra un ciondolo appeso a una collanina. Molte facce scettiche si illuminano dopo aver preso il pacchetto e poi lo fanno passare ancora.
Mai vista una confezione di cioccorane passare per più di tre paia di mani e rimanere ancora piena, e addirittura intatta!
Dopo qualche minuto, arriva nelle mie di mani. Le lancio un’occhiata indifferente e prima di poter sentire alcunché la restituisco a Ames che mi dedica un sorriso di rimprovero.
Scusa zio, ma non m’ispirano proprio le cioccorane parlanti.
Questa volta è più dura riuscire a riportare il silenzio, ma alla fine il discorso del capo dei Grifondoro può riprendere.
“Come avete potuto capire, questo” dice sollevando i dolcetti sopra la sua testa, quindi a ben più di due metri d’altezza, “è un telescambio, così come questo ciondolo, dal quale ho lanciato il segnale. L’ho fatto semplicemente toccandolo e pensando con decisione alla parola ‘Aiuto’. Ed è a questa parola che si attiveranno tutti i telescambi, nessuno escluso.”
Riappoggia a terra il pacchetto e poi prosegue calmo, la voce abissale che scandaglia tutta la Sala Comune.
“Io, Alicia e Sebastian li abbiamo provati per tutta la scuola e abbiamo costatato che sono veramente molto precisi. Ti informano della stanza, del corridoio e del piano; funzionano fino al limitare della foresta proibita, e i telescambi ‘riceventi’ si attivano anche tenuti in tasca, non per forza a diretto contatto con il corpo. Potete capire quindi, quanto utili ci possano essere.”
La sala annuisce in un unico gesto d’assenso, eccitata dalla prospettiva di finire l’anno scolastico con quell’oggetto in tasca.
“Deve esservi chiara una cosa, però” dice lo zio, strappando i Grifondoro dai loro sogni di pace e tranquillità.
“Se prendete un telescambio avete il diritto di ricevere aiuto, ma allo stesso tempo avete anche il dovere di darlo. Io, Alicia e Sebastian abbiamo un…” esita “uno strumento, che registra costantemente tutte le volte che i telescambi entrano in azione. In pratica possiamo sapere sempre chi ha chiesto aiuto e a chi. Basta poco per sapere se l’aiuto è stato ricevuto o no.”
Si interrompe un attimo per far risaltare meglio le parole seguenti.
“E chi non aiuta senza una scusa valida, sarà punito” e nella sua voce è ben udibile la minacciosità di quell’avvertimento.
“Mi sembra comunque uno scambio equo” aggiunge poi sorridendo e allargando le braccia in un gesto del tutto amichevole.
Per la prima volta dall’appello iniziale, interviene Hèk alzandosi in piedi e attirando gli sguardi di tutti.
“E’ fondamentale che i serpeverde non lo scoprano” dice con il suo solito ghigno sul viso. “Sarebbe un disastro. Quindi anche se siete presi dal panico, non cominciate a toccare continuamente il vostro telescambio mormorando ‘Aiuto! Aiuto! Aiuto!’ ininterrottamente”, e qui la sua imitazione perfetta della povera studentessa aggredita fa scoppiare a ridere non poche persone, “perché sono praticamente infallibili, quindi una volta sola basterà.”
Incassa senza fare una piega l’occhiataccia di Rachel e dà nuovamente la parola all’attore protagonista.
“La discrezione è molto importante” interviene quindi Ames, annuendo per confermare le parole della sua ombra personale.
“Ora, se qualcuno ha qualche domanda da fare…” continua lui parlando un po’ a tutti, ma rivolgendo a me una lunga occhiata.
Mi conosce molto bene lo zio, e questo mi fa piacere. Sa che non mi accontenterei mai solo di queste informazioni.
A quanto pare, però, mi conosce meglio di Hèk che invece mi guarda sorpreso e aggrotta le sopracciglia quando alzo la mano, in un innaturale attacco di ‘educazione’.
Scusa Ombra, ma qualcosa in tutta questa storia dei telescambi non mi convince.
“Sì Jeremy?” mi chiede il vecchio White per niente stupito.
“Hai appena detto, zio, che la discrezione è importante, ma io non vedo come possano non capire niente i serpeverde, quando ogni volta che proveranno a infinocchiare qualcuno, vedranno piombarsi addosso cinque studenti. Sono stupidi, è vero, ma non così tanto!”
Lui non ci riflette neanche un istante. Deve aver già pensato alle obiezioni che avrei potuto fargli.
Sono così prevedibile zio?
“La particolarità dei telescambi è che quelli che si attivano dopo una richiesta d’aiuto sono i 5 più vicini. Questo può voler dire molte cose. Prima di tutto, ci sono buone probabilità che quegli studenti appartengano a case diverse, per non parlare di anni diversi. E poi ci sarebbe l’incognita del tempo. Non è detto che gli studenti arrivino tutti contemporaneamente, perché le distanze tra loro e il telescambio ad aver lanciato il segnale potrebbero essere diverse. Per questo sarebbe molto difficile per i serpeverde scoprire che c’è qualcosa sotto, e ancora più difficile scoprire che cosa sia questo qualcosa.”
La risposta di Ames non fa una grinza. Sembrerebbe impossibile per i verde-argento capirci niente.
Eppure ci sarebbe un’altra cosa da valutare, anche se non ritengo opportuno farlo ora, davanti a tutti.
Ne parlerò allo zio più tardi.  
Mentre sono perso nei miei pensieri, altri studenti alzano la mano e pongono le loro domande.
Io ritorno su questa terra appena in tempo per sentire l’ultima.
“Cosa facciamo se il telescambio ci avverte di qualcosa mentre siamo in classe e il professore di turno non ci dà il permesso per uscire?”
E’ stato ancora William Goblet a parlare, e la domanda non è da sottovalutare.
Prendiamo Piton per esempio… lui non sa neanche cosa voglia dire la parola ‘permesso’!
Ma ancora una volta, la risposta del vecchio White è immediata.
“In tal caso non possiamo fare proprio niente. Avevamo pensato di avvertire i professori in modo da poterci concedere qualche libertà in più, ma alla fine abbiamo scartato l’idea. Qualcuno potrebbe approfittarne.”
A questo punto interviene nuovamente Hèk, con di nuovo la sua perfetta imitazione della studentessa media, la cui voce somiglia pericolosamente a quella di Rachel, che in risposta mette su una faccia disgustata.
“‘Professoressa devo uscire un attimo… capisce vero?’, e poi invece è solo una scusa per filarsela dalla lezione.”
Alcuni volti sono delusi, forse perché avevano già immaginato questo possibile scenario, ma alla fine quando a piccoli gruppi si avvicinano allo zio per ricevere il loro personale telescambio, tutti sembrano soddisfatti.

Io non lo sembro, come mi ha fatto giustamente notare un Hèk piuttosto irritato.
“Cazzo, Jeremy, ma che ti prende? Perché diavolo sei così contrario a questa idea?” mi ha detto ieri sera, poco dopo che io avessi terminato di esporre al Vecchio White la mia interminabile serie di obiezioni.
E Ombra ha ragione. Non so neanch’io perché, ma sto cercando qualunque scusa (anche la più stupida) per ostacolare ‘l’immissione sul mercato’ di questi maledetti cosi.
Lo zio, da parte sua, non ne è per niente stupito. Lui sapeva quale sarebbe stata la mia reazione ancor prima di me! E i suoi occhi mi dicono che ne sa anche il motivo!
Ho parlato della loro presunta fragilità in quanto oggetti normali, dei rischi che correremmo se ne finisse uno in mano ai serpeverde, e della possibilità che gli studenti li usino per stupidaggini, futilità, o peggio ancora scherzi.
Ma in realtà nessuna di quelle critiche si reggeva in piedi, ed era stato facile per Ames dargli la spintarella decisiva per farle crollare.
Anche il mio ultimo baluardo, nonostante fosse un po’ più credibile degli altri, alla fine aveva ceduto.
“Allora, zio, dimmi solo una cosa. Perché mai gli stessi studenti che in tutti questi anni si sono sempre disinteressati di tutto, gli stessi che hanno abbassato la testa, gli stessi che non hanno voluto essere immischiati, perché mai adesso dovrebbero scegliere di combattere i serpeverde con noi? Rispondi solo a questo, zio, e io non dirò più una sola parola, e prenderò uno di quei maledetti aggeggi!”
E lui aveva risposto, tranquillamente e senza neanche rifletterci tanto.
“Sceglieranno di combattere per due motivi, Jeremy.”
‘Addirittura due, zio?’ avrei voluto dire io, ma invece sono stato zitto.
“Combatteranno perché adesso in cambio di aiutare qualcuno riceveranno protezione invece di botte, e perché il sapere che non saranno da soli ad opporsi a qualcosa cui fa loro paura, darà loro coraggio.”
Eccola lì, la risposta che ti sega le gambe, che ti butta a terra e non ti dà la possibilità di rialzarti.
La risposta del saggio del villaggio allo scemo del villaggio!
Una spiegazione perfetta per una conclusione perfetta delle mie obiezioni imperfette.
Ho guardato un attimo Ames in cerca di qualcosa da ridire, poi mi sono arreso e mi sono avvicinato con riluttanza al mucchio di telescambi rimasti, dando un’occhiata distaccata alla ricerca di qualcosa che potesse andarmi bene. I miei occhi sono caduti su un semplicissimo braccialetto a elastico nero che poi ho preso e infilato al polso sinistro, lanciando un’occhiataccia allo zio, a Hèk e a Rachel.
Ed è qui che mi aveva raggiunto la domanda di Ombra.
“Cazzo, Jeremy, ma che ti prende? Perché diavolo sei così contrario a questa idea?”
Non lo so Ombra, non lo so…
Bisogna che lo chieda al Vecchio White. Lui sembra conoscermi meglio di me!
“Perché diavolo sei così contrario a questa idea?”
Non ne ho proprio idea Hek…
Sarà perché non ho grande fiducia nel coraggio degli altri studenti?
Sarà perchè ho grossa fiducia, invece, nella bastardaggine dei serpeverde?
O sarà forse per tutta la preoccupazione che ho accumulato a causa di Key, la stessa Key che ora mi sta di fronte, in questo corridoio deserto, ferma con le mani incrociate dietro la schiena e un’espressione imbarazzata sul volto?


Fine quinto capitolo

*Il titolo viene dall'inizio di una canzone dei Beatles, 'Revolution'.



Note dell'autore:
Ringrazio infinitamente lo zio Stojilkovicz e lo zio Thian, dalle cui costole è nato Ames White, uno zio ben meno saggio dei suoi padri.
Ringrazio anche Clara, il cui velluto si presta agli usi della mia Hermione Granger… ahimè con ben meno fascino di quanto facesse con la sua originaria padrona.
E un immenso “Merci” va a Benjamin, il cui puzzo di capro si è trasmesso in parte al protagonista di questa storia (fortunatamente per lui!).
Chi ha letto l’irraggiungibile eroe della letteratura francese, sa…
  
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