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Autore: Just a dreamer_    21/03/2013    3 recensioni
ATTENZIONE: NON ADATTA ALLE PERSONE TROPPO SENTIMENTALI
Ho paura. Per la prima volta, sono davvero spaventato. Paura di lasciare quella sedia grigia, paura di uscire di lì e di ritornare trovando il letto vuoto, con le coperte lasciate al bordo di esso, senza più un corpo a cui tener caldo, paura di addormentarmi e di risvegliarmi senza nessuno davanti. Paura di perderla.
[...]
“Zayn, devo dirti una cosa”.
“Dimmi amore”.
“Ma prima portami fuori di qua”.
“Non posso, anche se vorrei non…”.
“Ti prego”.
Vado a chiedere ai medici, che però, come previsto me lo vietano. Torno da lei.
“I dottori dicono che è meglio se…”.
“Zayn, ho un cancro al seno”.
Può una semplice frase farti cadere il mondo addosso? Chiudo gli occhi, ripetendo a me stesso che è solo un sogno. Li riapro. No, lei è ancora lì, nel letto, che sta aspettando una mia risposta.
Deglutisco cercando di trovare le parole adatte: “Si… si può guarire?”.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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ATTENZIONE: CONTENUTI FORTI, NON ADATTO A PERSONE TROPPO SENTIMENTALI.


ALL I NEED IS ONE MORE DAY WITH YOU

 
Sono seduto davanti a lei, su una sedia fin troppo scomoda, ma non ci faccio caso. La guardo. Dorme. Le lunghe ciglia posate delicatamente sulle guance, meno rosse del solito; la bocca sottile chiusa; i capelli castano chiaro le ricadono sulle spalle e arrivano al seno; il braccio sinistro sul ventre, quello destro disteso vicino al fianco. È bellissima anche così, come sempre. Fisso il pavimento di piastrelle bianco immacolato e qualche volta alzo lo sguardo per cacciare indietro le lacrime mentre mi chiedo dov’è Dio in questo momento. Perché lei non merita questo. È da sei giorni che sono in quella maledetta stanza, insonne, ad aspettare un suo cenno.
Ho paura. Per la prima volta, sono davvero spaventato. Paura di lasciare quella sedia grigia, paura di uscire di lì e di ritornare trovando il letto vuoto, con le coperte lasciate al bordo di esso, senza più un corpo a cui tener caldo, paura di addormentarmi e di risvegliarmi senza nessuno davanti. Paura di perderla.
I medici mi hanno assicurato di non preoccuparmi, che fra pochi giorni starà meglio e nel giro di poco tempo potrà tornare a casa, ma non li ascolto. I ragazzi vengono tutti i giorni per farmi compagnia, per farle compagnia, cercando di farmi tornare a casa per riposare, ma non li ascolto. I miei genitori mi chiamano almeno tre volte al giorno per dirmi che andrà tutto bene, ma non li ascolto. Non ascolto più nessuno. L’unica voce che voglio sentire è la sua.
Un fruscìo di trapunta. Un impercettibile movimento di una mano. Punto gli occhi sul dito con il saturimetro attaccato. Mi hanno spiegato che serve per controllare il respiro.
Tutto immobile. Mi ero sbagliato. Quel piccolo barlume di speranza di pochi istanti prima, è stato offuscato da nuova tristezza e solitudine.
Ripenso all’incidente.
Guidavo sull’asfalto bagnato, con lei seduta vicino a me. Stavamo ridendo e scherzando sulla serata passata con Harry, Niall, Louis e Liam. La stavo riportando a casa verso le undici perché il giorno dopo saremmo dovuti partire in vacanza, io e lei. Ma il giorno dopo l’aereo è partito con due posti in meno. Ho tolto lo sguardo dalla strada solo per baciarla, solo per un secondo, un fottutissimo secondo, che è bastato per far si che un idiota ci venisse addosso, per far si che il parabrezza dell’auto si frantumasse e mille e più schegge vetrate ci tagliassero. Poi, buio. Ricordo di essermi risvegliato con un dolore atroce alla schiena e al collo. Ho tentato di muovermi, ma una fitta mi ha bloccato. L’ho cercata con lo sguardo e mi si è presentata una scena che non avrei mai voluto vedere: sangue le usciva dalla tempia, dal braccio e da una gamba. Ho urlato il suo nome, l’ho scossa, le ho supplicato di parlarmi. Ma niente. Tutto vano. Ricordo anche di averle sussurrato delle parole, come se in qualche modo potessero riportarla da me. Come se ciò che era appena successo fosse solamente un brutto incubo.
Chiudo le mani a pugno, dando una gomitata al muro dietro di me. Ignoro il dolore. È l’unico sfogo che posso permettermi.
“Zayn”. Il mio nome. Non ho sentito male, ne sono sicuro. Ha pronunciato il mio nome. Un sussurro a mala pena udibile, ma l’ho sentito.
Mi catapulto verso il letto. La bocca è aperta e sta provando a dire qualcosa, ma la blocco: “Sono qua amore”.
Non apre gli occhi, ma continua a parlare: “Zayn…”.
“Non sforzarti. Tranquilla, non ti lascio”. Le prendo la mano e sento che la stringe con quel poco di forza che ha. È molto debole, ma già il fatto che sia viva mi è più che sufficiente.
Vorrei gridare dalla gioia, saltare come un cretino, prenderla in braccio e portarla fuori da quel maledetto ospedale per lasciarci tutto alle spalle, baciarla fino alla nausea, abbracciarla fino a non farla più respirare.
Ma mi limito a sorridere, anche se non mi può ancora vedere.
Prendo il cellulare e chiamo i ragazzi. Accorrono immediatamente. Entrano uno alla volta, dandomi una pacca sulla spalla e le parlano. Lei sorride stancamente e i loro volti si illuminano. Niall nasconde una lacrima, Harry tira su col naso e Liam si strofina gli occhi. Persino Louis non riesce a fare battute e le accarezza il braccio.
Lasciamo che la visiti il dottore, così posso andare a casa a recuperare il sonno perso.
I ragazzi mi svegliano buttandomi giù dal letto euforici. Mi sono mancati in questo poco tempo. Li ringrazio di tutto. Liam alla fine dice la frase che tanto ho sperato di sentire: “Oggi mentre dormivi siamo andati a trovarla, e ci ha detto che fra pochi giorni la dimettono”. Non rispondo. Non riesco ad esprimere tutto quello che provo. Li guardo intensamente uno ad uno. Ci scambiamo dialoghi silenziosi e carichi di significato. “Grazie ragazzi” riesco a dire. Ma loro sanno che è più di un semplice grazie. Annuiscono e, tra parole di conforto, escono dalla stanza.
Mi vesto e mi precipito da lei. Ha ancora gli occhi chiusi, ma avverte la mia presenza.
“Zayn”. Non mi sarei mai stancato di sentirmelo dire. È come più ossigeno che mi entra nei polmoni, più voglia di vivere. E quanto mi è mancata questa voglia di vivere.
Con la mano fa segno di avvicinarmi. Con mia sorpresa scopro che si sta riprendendo in fretta. Le accarezzo i capelli lisci. Trattengo l’impulso di buttarmi addosso a lei come facevo quando giocavamo e la prendevo per farle il solletico, mentre si dimenava e mi implorava di smettere. Il solo pensiero mi fa aumentare il buonumore.
“Portami via”. Capisco la sua voglia di andarsene da quel posto. Non ha mai amato stare ferma per troppo tempo e muore dalla voglia di camminare.
“Non puoi ancora amore, ma presto tornerai a casa, te lo prometto”. Serra le labbra come per negare ciò che ho appena detto. “Manca poco, fidati” le dico.
“Zayn, devo dirti una cosa”.
“Dimmi amore”.
“Ma prima portami fuori di qua”.
“Non posso, anche se vorrei non…”.
“Ti prego”.
Vado a chiedere ai medici, che però, come previsto me lo vietano. Torno da lei.
“I dottori dicono che è meglio se…”.
“Zayn, ho un cancro al seno”.
Può una semplice frase farti cadere il mondo addosso? Chiudo gli occhi, ripetendo a me stesso che è solo un sogno. Li riapro. No, lei è ancora lì, nel letto, che sta aspettando una mia risposta.
Deglutisco cercando di trovare le parole adatte: “Si… si può guarire?”.
“Si”. Mi prende il viso, passando una mano fra i capelli scompigliati senza gel, arruffandomeli ancora di più.
Il respiro torna regolare, il cuore smette di battere alla velocità della luce e torno tranquillo: “Dio mio, per un attimo ho pensato… Ma tu sei tu, non puoi andartene” dico più a me che a lei. “I ragazzi lo sanno?” chiedo poi.
“No, non volevo farli preoccupare”.
“Capisco. Beh, prima o poi lo scopriranno”.
“Quando sarà il momento”.
“Come vuoi amore. Allora, quando cominci la cura?” sembra pensarci per parecchio tempo, poi si decide a rispondere: “Fra due settimane più o meno. Ascoltami, non voglio passarci un minuto di più qua, fammi uscire”. La sua voce è distrutta e capisco che sta per esplodere.
Senza aggiungere altro, prendo la sedia a rotelle nell’angolo e la sistemo vicino al letto. Lei si alza barcollando: “Aiutami per favore”.
“Non riesci ad aprire gli occhi?”.
“Si, ma non voglio vedere niente finché non siamo fuori”.
La porto a casa in dieci minuti. Le grida dei ragazzi si sentono in tutto il quartiere, ma li lascio fare. Sarebbe stata la mia stessa reazione. E poi, ho bisogno di ritrovare i vecchi tempi. Sono passati solo pochi giorni certo, ma sembrano quasi mesi. Ora che è tornata, non voglio andare in tour, non adesso, non riuscirei a stare lontano da lei per così tanto tempo, quando ho creduto di non rivederla mai più.
Ne parlo con i ragazzi e capiscono al volo. Mi lanciano occhiate comprensive e Niall chiarisce: “Ehi, non c’è problema, anche noi vogliamo stare con lei, cosa credi?” dice ridendo. Persino la sua risata suona più viva.
“E poi senza di te ho uno in meno a cui fare gli scherzi” è Louis che se ne esce con una delle sue solite battute per rallegrare il morale. Mi diventano gli occhi lucidi e Liam mi abbraccia, seguito dagli altri. Sì, sono i miei fratelli loro. Non mi avrebbero mai abbandonato e gli sono davvero grato per questo.
Torniamo in sala, dove c’è lei che ci guarda sorridente. Mi avvicino, la faccio alzare e sedere su di me. Mette i piedi sul divano, chiudendo le gambe sul petto, con il braccio destro mi circonda il collo e appoggia il sinistro sul mio cuore. Adoro quando fa così, mi verrebbe voglia di stringerla sempre di più. Le sussurro, in modo che solo lei lo possa sentire: “Ti amo”.
“Anch’io”.
“No, dimmelo davvero”.
Alza il viso e mi guarda negli occhi. Quanto mi è mancato quel contatto con il suo azzurro cielo. “Ti amo Zayn, ora e per sempre”.
“Ora e per sempre” ripeto. La nostra frase, che avrei potuto dire fino a perdere la voce.
Le bacio la fronte, poi il naso e infine la parte che mi è mancata di più. Premo dolcemente le mie labbra contro le sue, cercando la lingua, il suo sapore, il piacere che provo ogni volta che la faccio mia veramente. Mi abbandono a quello scambio d’amore silenzioso, incurante di tutto il resto. Esistiamo solo io e lei in quel momento. Poso le mani sulla sua schiena, avvicinandola ancora di più a me. Tutta la solitudine provata in quei giorni è sparita non appena l’ho sentita pronunciare il mio nome. Lei è una parte di me. Sento che ora non c’è più nulla che ci possa dividere. Non m’importa della malattia, lei non se ne andrà via, non ora, non adesso che la mia vita è finalmente completa.
Mi stacco a malincuore e lei mi sorride. Ricambio. Accenna una piccola risata: “Mi è mancato il tuo sorriso sghembo”.
“Tu, mi sei mancata” rispondo marcando la prima parola. Intreccio la mano posata sul cuore nella mia e la stringo forte, per poi baciarla.
Lei abbassa lo sguardo e noto un velo di tristezza nei suoi occhi: “Anche tu…”. Poi nota gli altri che ci osservano silenziosi e continua: “Ovviamente anche voi ragazzi. Come farei senza i miei quattro amori?” scherza.
Ridiamo tutti. Una risata vera. Una di quelle che ti scalda il cuore, o forse è solo una mia sensazione, visto che in quel momento sento solo la sua. È uno di quegli attimi che vuoi ricordare per sempre, che ti restano impressi nella mente meglio di una foto.
Salutiamo i ragazzi e la porto di sopra prendendola in braccio perché è ancora debole. La stendo attentamente sul letto. La spoglio, mettendole qualcosa di fresco e pulito. Quand’è rivestita mi stendo vicino a lei e la guardo, accarezzandole una guancia. La bacio. Mi prende la testa e la avvicina, mordicchiandomi l’orecchio e facendomi sorridere. Mi fa impazzire e devo stare attento a non cedere alle tentazioni.
Fortunatamente mi distrae: “Cantami qualcosa, Zayn”.
“Tutto quello che vuoi”.
“When I look at you, I can’t ever be brave cause you make my heart race. Shout me outta the sky, you’re my kryptonite… Cause you’ve got that one thing…”.
“Cos’ho io Zayn?” mi interrompe.
“Come?”.
“Perché mi ami? No aspetta, non dirmelo adesso! Te lo richiederò io”.
“Va bene amore”.
Passiamo qualche minuto in silenzio. È stanca, lo vedo: “Dormi amore”.
Lei annuisce: “Notte Zayn, ti amo”.
“Ti amo piccola, ora e per sempre”.


THAT'S ME: Eh si, sono l'autrice di questo racconto deprimente... In realtà ce l'avevo pronto da mesi, ma non ero sicura di volerlo postare qua su efp per due motivi: 
1. Avevo paura di 'scandalizzare' qualcuno, tirando fuori la questione della malattia (sia chiaro, il cancro è una malattia gravissima, non voglio scherzare sull'argomento, ma avevo bisogno del colpo di scena, che poi segnerà la fine del racconto). 
2. Non mi sembra gran che come storia, lascio a voi i pareri che spero vivamente andranno in una recensione :)
  
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