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Autore: Alex_97    21/03/2013    1 recensioni
Dal Capitolo 1
-No, non mi lasciare! Ti prego, non proprio adesso! Io ho bisogno di te. Io … io ti amo- le lacrime scendono copiose sul suo viso, gli occhi arrossati, le mani tremano mentre accarezza il viso del suo angelo, si perché lui non è un semplice ragazzo, è qualcosa di più speciale, lui è coraggioso, forte, solare, dolce, intelligente, premuroso, il suo amore non conosce limiti, è buono con tutti e non ha pregiudizi verso nessuno, lui l’ha salvata da una vita orribile, fatta di dolore , sofferenza, maltrattamenti e prostituzione … è per questo che…
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 1
 
-No, non mi lasciare! Ti prego, non proprio adesso! Io ho bisogno di te. Io … io ti amo- le lacrime scendono copiose sul suo viso, gli occhi arrossati, le mani tremano mentre accarezza il viso del suo angelo, si perché lui non è un semplice ragazzo, è qualcosa di più speciale, lui è coraggioso, forte, solare, dolce, intelligente, premuroso, il suo amore non conosce limiti, è buono con tutti e non ha pregiudizi verso nessuno, lui l’ha salvata da una vita orribile, fatta di dolore , sofferenza, maltrattamenti e prostituzione … è per questo che…
Flashback.
Lei si chiama Serena, ha quasi 18 anni, è la più piccola di tre sorelle, Lola è la più grande, ha 20 anni, poi c’è Susy, che ne ha 19. Serena ha lunghi capelli neri, pieni di boccoli, la pelle chiara, morbide labbra rosee  e grandi occhi verdi. Era magra, forse un po’ troppo rispetto al normale, non molto alta e con le curve al posto giusto.
Aveva da poco cambiato città, la polizia era sulle tracce del suo patrigno, che costringeva le ragazze a prostituirsi, tra queste anche Serena e le sue sorelle, e ovviamente lui, per l’ennesima volta, aveva deciso di cambiare città per far perdere le sue tracce.
Si erano trasferite in una cittadina tranquilla nel centro dell’Inghilterra, Wolverhampton.
Il suo patrigno le permetteva di vivere una vita normale, o quasi, perché le ragazze normali non sono costrette a prostituirsi perché un uomo ha bisogno di soldi che poi spende per giocare a poker.
Perciò la mattina andava a scuola, tornava a casa, pranzava e faceva i compiti per il giorno dopo, e fino alle nove la sua vita era quella di una normale ragazza di 17 anni, poi tutto si trasformava, era costretta a indossare calze a rete, minigonne, magliette attillate con profonde scollature, senza intimo e con trucco pesante.
Saliva in macchina con Lola e Susy, il patrigno alla guida, e venivano portate in una stradina poco trafficata, frequentata, di notte,solo ed esclusivamente da uomini senza scrupoli, conosciuta per la presenza di ragazze al bordo dei marciapiedi, come loro costrette a vendere il proprio corpo per far arricchire gli altri.
Passava così le sue notti, saliva sulle macchine di uomini sconosciuti che la trattavano come se fosse un oggetto, pagavano, la usavano e quando avevano finito di divertirsi la gettavano via.
Purtroppo non poteva fare niente e così anche le sue sorelle, quando erano a casa dovevano comportarsi come se la loro vita fosse tutta rose e fiori, non potevano essere tristi, né potevano piangere, per questo a volte a scuola, mentre tutti gli altri ragazzi si incontravano con il loro amici a ridere e a scherzare, Serena si chiudeva in bagno a piangere e a sfogarsi.
Il giorno seguente doveva andare nella nuova scuola, un modesto edificio rosso, con un cortile interno e uno esterno, una palestra, aula di biologia, quella di chimica, una scuola normale.
Così la mattina si svegliò presto, come faceva sempre, fece colazione, si lavò e si vestì, la cartella era già pronta  vicino alla porta di casa, così si avvicinò, la prese e uscì di casa, salutando le sue sorelle e il patrigno.
Avrebbe voluto salutare anche sua madre, come faceva fino a quando aveva 15 anni, era grazie a lei se riusciva a sopportare il fatto che ogni sera le sue sorelle, essendo più grandi di lei, andavano a prostituirsi, era grazie a lei che non pensava ai maltrattamenti ricevuti dal patrigno, era grazie a lei se la sua vita andava avanti, era grazie a lei se sopportava l’idea di aver perso l’uomo migliore della sua vita … suo padre.
Credeva che non avrebbe mai trovato un ragazzo che avrebbe avuto la sua stessa bontà, la sua stessa dolcezza, la sua stessa premura. Lui era così speciale che Dio aveva deciso di prenderselo e unirlo agli altri angeli, abbandonandola a soli 5 anni.
Dopo le sue sorelle arrivò anche il suo momento, era diventata abbastanza grande per essere sfruttata , le era cresciuto il seno, aveva delle belle forme, così una sera il nuovo marito di sua madre la portò con le sue sorelle in una di quelle stradine.
Ma sua madre non riusciva a sopportare che un’altra figlia venisse usata da quella gente, Serena ricorda di aver ascoltato di nascosto una loro discussione, sua madre ricordava all’uomo di fronte a lei che le aveva promesso che almeno alla figlia più piccola le avrebbe fatto vivere una vita normale, ma quell’uomo crudele con tono freddo le aveva risposto che i soldi non gli bastavano più e che avrebbe dovuto lavorare anche lei come le sue sorelle, per contribuire al sostentamento della famiglia. Allora lei cercò di implorarlo, s’inginocchiò, iniziò a piangere disperatamente, ma lui non volle ascoltarla; ricorda di aver sentito il rumore sordo di una mano che si posa violentemente su una guancia e poi i singhiozzi di una donna offesa, maltrattata, addolorata, indifesa.
Un giorno la donna arrivò a minacciare il nuovo marito di denunciare tutto alla polizia, perché non ne poteva più di vedere le sue figlie ridotte in quello stato come schiave.
Sua madre non meritava ciò che le successe in seguito; uno scagnozzo del marito la soffocò, simulando un infarto.
E il suo patrigno non ebbe nessun problema a spiegare le ragioni di quello che era accaduto, senza nascondere niente, e capirono che avrebbero fatto la stessa fine se avessero parlato con qualcuno di queste cose, perciò riusciva a farle fare tutto quello che voleva.
E come messa in scena, per la morte della donna, venne celebrato anche il suo funerale, e una lapide fu posizionata in un prato verde nel cimitero della cittadina in qui vivevano.
Da allora, dopo la scuola, Serena  andava tutti i giorni davanti alla lapide di sua madre, si inginocchiava lì, di fronte alla sua immagine, almeno in quella foto sorrideva, era stata scattata al suo primo matrimonio, quando ancora regnava l’amore, quando ancora tutto era dipinto dei colori dell’arcobaleno, quando ancora il sorriso era il segno distintivo di quella famiglia, quando ancora Dio non aveva scagliato su di loro una disgrazia dopo l’altra, quando ancora di quella vita non faceva parte quel mostro che promise a sua madre di volerle stare accanto e di continuare il compito di colui che se n’era andato; così cercava di immaginarla felice, in un mondo migliore, senza dolore né alcuna sofferenza, accanto all’uomo che amava e che l’amava.
Da quel momento anche sua madre non era più con lei, ma in qualche modo doveva pur andare avanti, così immaginava che dal cielo i suoi genitori vegliassero ogni giorno, ogni ora, ogni minuto e ogni secondo, su di lei, che stessero lì a proteggerla, e che magari un giorno l’avrebbero salvata da quell’inferno che era la sua vita.
Così chiuse la porta di casa e si diresse verso la nuova scuola.
In tutte quelle che aveva frequentato non aveva mai avuto amici, non solo perché non era abbastanza aperta da trovarne qualcuno, ma anche perché il suo patrigno non glielo permetteva, diceva che avrebbero potuto fare domande, capire qualcosa sulla sua vita notturna, e poi avrebbero iniziato ad invitarla a dormire da loro, andare in discoteca, ma lei la sera aveva “doveri” più importanti da svolgere, perciò non poteva permettersi amici.
Arrivò davanti all’edificio rosso di quella che sarebbe stata la sua scuola finchè la polizia non sarebbe ritornata a cercare l’uomo.
C’erano tantissimi ragazzi, chi parlava con gli amici, chi era abbracciata con il suo fidanzato, chi si metteva in mostra con alcune ragazze, chi passava il tempo a sbaciucchiarsi e chi ripeteva la lezione perché a breve avrebbe avuto un compito in classe, in poche parole era tutto normale, era sempre tutto normale, tranne lei.
Erano nel pieno del mese di novembre, e lì a Wolverhampton faceva molto freddo, indossava un giubbotto bianco, una felpa rossa, un paio di jeans e sneakers rosse.
Oltrepassò l’ingresso della sua nuova scuola, si diresse a testa bassa verso la segreteria dove una donna bassa e grassottella, con le guance paffute e i capelli rossi molto ricci, le consegnò gli orari delle lezioni e le indicazioni per trovare la sua classe.
Si ritrovò davanti a una porta di legno con un cartellino dorato accanto, c’era scritto: “V B”.
Prima di entrare fece un profondo respiro, posò una mano sulla maniglia, la abbassò e si ritrovò davanti all’intera classe e il professore seduto alla cattedra.
-Buongiorno, lei deve essere la signorina Dawson, la nuova arrivata, entri pure, si vada a sedere in seconda fila, così potrà seguire meglio la lezione e integrarsi più facilmente nella classe- disse il professore con un gentile sorriso in volto, indicandole un banco libero.
Distolse lo sguardo dal professore e seguì la linea che formava il suo dito, si avvicinò al banco, cercando di non pensare a tutti gli occhi che la scrutavano dalla testa ai piedi, arrivò a destinazione, alzò lo sguardo per vedere chi fosse il suo compagno di banco e incontrò … due occhi.
Due incantevoli occhi color nocciola, rimase incantata, e quando si accorse di essersi soffermata un po’ troppo a guardarlo, arrossì violentemente.
Allora poggiò lo zaino sulla spalliera della sedia, si tolse il giubbotto che andò ad appendere all’attaccapanni in fondo all’aula e tornò al suo posto, sedendosi delicatamente sulla sedia.
-Signorina Dawson, guardavo il suo curriculum scolastico , vedo che ha degli ottimi voti, soprattutto in letteratura, nonché la mia materia, sono contento di averla in classe con noi- le disse il professore, era un tipo simpatico e intelligente.
-Comunque io sono il professor Smith, e questa sarà la tua classe, spero che ti troverai bene con noi- e concluse con- bene ora iniziamo la lezione- e incominciò a parlare dell’Ottocento in Inghilterra.
Cercava di ascoltare attentamente la lezione, ma non riusciva a non pensare ai bellissimi occhi del ragazzo che sedeva affianco a lei, ma si era così tanto soffermata a guardare i suoi occhi che non era riuscita a vedere il resto del suo viso.
Dopo qualche minuto una mano calda si posò sulla sua spalla, si voltò di scatto, facendo sobbalzare il ragazzo che tolse subito la mano pensando che si fosse arrabbiata e disse:
-Scusami, non voglio darti fastidio, voglio solo presentarmi- le porse la mano- io sono Liam Payne e tu?
-Io sono Serena, Serena Dawson- rispose balbettando e prendendo delicatamente la mano del ragazzo, il suo tocco era gentile e leggero, totalmente diverso da quelli che riceveva la notte da quei uomini.
-Se hai bisogno di qualcosa io sono qui, non esitare a chiedere-  e fece un grande sorriso, non lo aveva mai visto in nessun altro ragazzo, era un sorriso buono che infondeva sicurezza e tranquillità, i denti bianchissimi erano circondati da labbra rosse e carnose.
Stavolta riuscì a vedere anche la sua pelle leggermente abbronzata, una piccola voglia sul collo, i capelli riccioluti gli ricadevano ribelli sulla fronte, erano biondi, una tonalità molto scura.
Aveva una maglia grigia con delle immagini disegnate sopra, una felpa nera lasciata aperta, un paio di pantaloni neri attillati e scarpe da ginnastica bianche. Era magro ma atletico, pensò che forse andava in palestra per mantenersi in forma o faceva qualche sport, ed era abbastanza alto.
In poche parole, le sembrò bellissimo.
-Grazie- gli rispose lei alla fine, e ritornò a seguire la lezione.
Ogni volta che suonava la campanella arrivava un nuovo professore ed era costretta a presentarsi, Liam l’avvisò che sarebbe durato per altri tre o quattro giorni, finchè non avrebbe conosciuto tutti i professori.
Poi finalmente suonò la campanella, lentamente Serena uscì dalla classe e si diresse verso il suo armadietto, era il numero 134, lo aprì e ci infilò dentro alcuni libri.
Lo richiuse, si voltò e si ritrovò davanti di nuovo quei due meravigliosi occhi.
-Ehi, scusami non volevo spaventarti- disse imbarazzato- mi chiedevo se ti va di fare un giro nella scuola, così ti mostro com’è- chiese molto educatamente.
-Grazie sei molto gentile ma … -doveva trovare una scusa per non andare con lui, anche se le sarebbe piaciuto tanto- … non posso, mi fa male la caviglia.
-Ti prego non dirmi di no, ogni volta che c’è un nuovo arrivato uno di noi deve fargli da guida, vedrai sarà divertente- lo facevano sempre in  quella scuola, ma lei non era per sua volontà che non accettava di andare con lui.
-Mi dispiace non posso- cercò di scusarsi lei.
-Va bene, sarà per la prossima volta- Liam si arrese e lasciò che la ragazza si allontanasse lasciandolo in mezzo a tutta quella gente che andava avanti e indietro.
Serena si diresse in bagno, chiuse la porta in modo che nessuno potesse entrare, si accasciò per terra e delle lacrime scesero sul suo viso.
-Perché sono costretta a non avere amici? Perché proprio a me doveva capitare una vita così brutta? Cosa ho fatto di male per meritare tutto questo? Anche io voglio essere libera di fare quello che voglio … - iniziò a ripetersi le stesse domande, come faceva sempre- papà … mamma, aiutatemi- e poggiò la testa sulle ginocchia. Poi sentì il forte suono della campanella, si alzò si asciugò le lacrime, e uscì fuori, come se non fosse successo niente, con il sorriso sulle labbra per non far capire che stava male, lei odiava la compassione degli altri.
La classe si ripopolò, vide Liam sedersi affianco a lei con occhi un po’ delusi.
-Scusami se sono stato insistente prima, non volevo … - fu lui a parlare per primo.
-No, non ti preoccupare, sei stato gentile- disse lei cercando di rassicurarlo.
Si sorrisero e tornarono a seguire la lezione.
Passarono altre due ore, la campanella suonò segnando la fine delle lezioni.
“Finalmente si torna a casa” avrebbe pensato un ragazzo normale, con una vita normale, ma non lei, non Serena, lei odiava dover tornare a casa, avrebbe preferito mille volte di più sparire, andarsene via di lì, cambiare città, paese, continente, farsi una nuova vita.
Una volta fuori Liam la raggiunse.
-Serena-
-Liam, dimmi- gli chiese perplessa.
-Niente, volevo solo salutarti- rispose imbarazzato, non si era mai comportato in quel modo con una ragazza, aveva perso le parole, non sapeva cosa dire, e gli sembrò strano, lui non era così; ma la timida bellezza della ragazza di fronte a lui, lo aveva sconvolto sin dal momento in cui è entrata in quella classe.
-Ah ok, allora … ciao- rispose lei timidamente.
-Ciao … - lasciò uscire questa parola dalla sua bocca come un soffio, mentre la ragazza andava per la sua strada e lui aveva la tremenda voglia di seguirla.
Serena tornò a casa, Susy era impegnata in cucina e canticchiava, aveva lasciato la scuola a 17 anni, la odiava.
Un giorno un ragazzo abusò di lei, poi la chiamò “puttana” davanti a tutta la scuola, e lei si sentì derisa, umiliata, ma la cosa che faceva più male è che quello era vero.
La raggiunse, aveva l’MP3 nelle orecchie ed era girata di spalle rispetto alla porta, l’abbracciò da dietro, facendola sobbalzare, si girò di scatto.
-Ciao sorellina! Com’è andata a scuola?-  le chiese sorridendo, è così bella quando sorride, sprigiona tanta energia.
Ha lunghi capelli castani, molto scuri, i suoi occhi sono verdi, dolci, la pelle leggermente chiara, come Serena, non è molto alta, ma è magra, sicuramente la più  magra di tutte e tre le sorelle, Serena cerca sempre di farla mangiare un po’ di più, ma ogni volta risponde che non ha fame, è iniziata a dimagrire molto velocemente da quando c’è stato quel “piccolo” incidente a scuola.
Ama la musica, la ascolta sempre, una volta le raccontò che quando è in macchina con quei uomini nella sua testa canta, canta per non sentire la voce sporca di quelle persone orrende, canta per non sentire le loro mani sul suo corpo, canta per dimenticare.
-Tutto normale! Niente di nuovo, i professori sono tutti gentili , credo che mi troverò bene- rispose pensando a Liam, e come se l’avesse letta nel pensiero le chiese:
-Hai conosciuto qualcuno, fatto qualche amicizia?-
-Lo sai che non possiamo avere amici … - cercò di dire la ragazza, ma venne bloccata.
-Però qualcuno lo hai conosciuto- disse mentre girava il mestolo nella minestra.
-Si, ho conosciuto qualcuno, è un a ragazzo, si chiama Liam, è il mio compagno di banco- disse con voce lieve.
-Serena, ricordati, devi stare attenta ai ragazzi-  l’avvertì lei, con tono duro.
-Lo so, però lui sembra diverso, è gentile, educato … -diceva con sguardo sognante- ma non ti preoccupare, non succederà niente, non sono fatta per … - ma venne bloccata da una voce grossa e ruvida.
-Per chi? Non sei fatta per chi?- era il suo patrigno, Bill.
Era fermo sulla porta, appoggiato ad uno stipite, in quegli anni era ingrossato molto, aveva una folta barba, i capelli marroni diventavano bianchi, i 55 anni iniziavano a farsi sentire.
-No … ehm … le raccontavo che oggi ho conosciuto la professoressa di matematica, e le spiegavo che non sono fatta proprio per la matematica- le sue mani erano diventate fredde in un secondo.
-Bene, credevo stessi parlando di un ragazzo- disse andandosi a sedere a tavola, che era stata già apparecchiata.
-Non ti preoccupare, so che non devo avere amici né tanto meno un ragazzo- cercò di rassicurarlo, aiutando Susy a preparare le porzioni.
A rompere la tensione fu l’arrivo di Lola, sentiva la porta aprirsi e richiudersi quando fu entrata, il rumore delle sue chiavi che venivano posate sul mobile all’ingresso, la giacca che viene sfilata e appesa all’attaccapanni, il rumore dei suoi passi che si dirigevano in cucina.
-Buongiorno- disse lei con tono neutrale.
Lola, era una ragazza bellissima, ha i capelli castani, anche lei molto scuri, è alta, magra, la pelle un po’ abbronzata, labbra carnose, naso alla francese, zigomi perfetti, aveva un viso molto elegante, gli occhi verdi, molto intensi, possedeva un grande senso dello stile, tra loro tre lei è sicuramente la più bella, è dolce, romantica, una vera sognatrice, come loro avrebbe voluto un futuro diverso, avrebbe voluto fare la pediatra, ama i bambini, una volta avevano come vicini una coppia di sposini che avevano da poco avuto un bambino, che impazziva di gioia ogni volta che Lola lo prendeva in braccio, purtroppo la loro situazione non le permetteva di realizzare i suoi sogni, e poiché spesso cambiavano città, doveva sempre trovare lavori poco impegnativi, in quel momento lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento; era obbligata a lavorare perché con questi soldi doveva pagare tutte le bollette di casa, il resto poteva spenderlo come voleva, di solito faceva regali alle sue sorelle o li spendeva per togliersi qualche capriccio, era buona proprio come il loro papà, è la sua fotocopia, tanto che a volte Serena rimane ore e ore a guardarla mentre alcuni ricordi della sua infanzia le tornavano alla mente, e ora che non c’era più anche la madre sua sorella si prendeva cura di loro.
-Buongiorno- risposero in coro lei e Susy.
Si sedette a tavola e iniziò a mangiare anche lei.
-Serena, come è andata a scuola?- chiese il patrigno- ti hanno fatto domande su di me per caso?- l’unica cosa che gli importava.
-No, non mi hanno chiesto niente, però erano contenti di avermi in classe con loro, e mi hanno fatto i complimenti per i buoni voti- rispose atona.
-Ok- concluse subito lui.
Non aveva mai usato parole dolci nei loro confronti, mai un “brava” o un “sono fiero di te”, per lui era tutto scontato, loro dovevamo fare quelle cose perché era loro dovere, e sapeva che non le avrebbe mai ricevute da uno come lui; spesso però avrebbe voluto sentirsi dire qualche parolina di conforto, di sostegno morale, lei voleva un padre come quello delle altre ragazze, un padre che ti porta al parco giochi e ti spinge sull’altalena, un padre che quando sei piccola ti fa i filmini per rivederseli quando ormai sei grande, un padre che si siede accanto a te e ti aiuta a fare i compiti, un padre che ti racconta le favole per farti addormentare, un padre che ti da il bacio della buonanotte, un padre che è restio a comprarti il primo paio di scarpe col tacco perché capisce che stai crescendo, un padre che ti accompagna al tuo primo ballo scolastico, un padre che quando sei grande e inizi a volere la tua libertà ti dice che per lui rimarrai sempre la sua piccolina, un padre simpatico, dolce, geloso … voleva “suo” padre.
Finirono di mangiare in silenzio, quando erano finite tutte le portate il parigno si alzò e andò a stendersi sul divano nel soggiorno, come tutti i pomeriggi, e presto si addormentò.
La mattina dopo tornò a scuola.
-Ciao- la salutò Liam con un tono di voce molto basso per non farsi sentire dal professore che aveva appena iniziato la lezione.
E lei fece lo stesso.
La ricreazione arrivò senza che se ne accorgesse, andò verso il suo armadietto, dopo qualche secondo sentì una mano posarsi sulla sua spalla, di solito si sarebbe allontanata di scatto, il contatto fisico le ricorda tutto ciò che è costretta a sopportare la notte, ma … stavolta non fu così, dentro si sé avanzava un senso di libertà.
Si voltò, era Liam, il suo inconscio lo sapeva già, le propose nuovamente di fare il giro della scuola con lui, la sua razionalità sapeva che non doveva accettare, le era proibito, ma l’inconscio le disse di accettare e così fece. Non sapeva che da quel momento, grazie a lui, la sua vita sarebbe cambiata.

 
 
Ciaooooooo!!!
Come va?
Spero che la storia vi piaccia...
mi farebbe piacere avere un vostro parere!
Alla prossima :)
  
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