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Autore: Cassandra Morgana    08/10/2007    3 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 9

Gli ultimi ribelli

 

 

Auguste respirò profondamente l’atmosfera intorno a sé. Era diversa, per quanto egli tentasse d’inabissarsi con la mente nei suoi ricordi e di rievocare l’effluvio salino che aleggiava sulla città portuale nella quale lui e Lucien, costretti all’esilio, avevano trovato rifugio.

La delicata brezza marina spirava giorno e notte dall’ampio braccio di mare che separava quei luoghi dalla sua terra natia.

Le limpide acque, severe custodi, parevano proteggere quel luogo dalla corruzione dei secoli con il loro incantesimo. La vita scorreva attraverso le vie tortuose come se il tempo si fosse fermato, preservato dal mormorio ipnotico delle onde.

- Passerà – era stata la ferma promessa di Lucien – L’esilio è una fase obbligata e necessaria, se vogliamo tornare vivi a Noir Trésor ed attuare quel che abbiamo in mente. Attenderemo che le acque si siano calmate. Non lasceremo la nostra città in pasto al tiranno. Non senza lottare, perlomeno – l’aveva frequentemente rassicurato.

Glielo aveva ripetuto fino alla nausea, a dire il vero. Eppure, Auguste non stava bene. La mancanza della sua patria e la consapevolezza di essere scampato da vile convergevano nella sua mente in una perenne, febbrile attesa ed un’amarezza che si concretizzava nella più cocente disillusione. Sempre più spesso si era ritrovato, suo malgrado, a riflettere su quanto vano e remoto, in quel momento, gli apparisse ogni tentativo di riscatto; ed il suo animo ruggente, prigioniero nel lento progredire di giornate vuote e prive del suo slancio ideale, si risolveva in un disperato ripiegamento su se stesso che gli lacerava il cuore.

Il pallido trascorrere dei giorni si cristallizzava nelle pareti scrostate della modesta locanda nella quale risiedeva senza una meta, sospeso tra una forza che veniva meno e la volontà disperata d’impugnare ancora le armi e scacciare l’usurpatore.

Ma il giovane Auguste aveva smesso da tempo di cullarsi nel limbo delle illusioni: quando il duca du Lac, appoggiato dalla nobiltà reazionaria, si era insediato al potere a Noir Trésor con la forza delle armi, la città, scossa dai sanguinosi avvenimenti, era insorta, tentando una confusa e folle difesa

Auguste aveva visto con i suoi occhi l’impeto patriottico di giovani intellettuali e dei loro seguaci soffocato in una carneficina in piena regola.

Non aveva dimenticato come il duca, privati i cittadini della loro libertà, avesse indiscriminatamente marchiato con l’accusa di tradimento chiunque avesse osato opporsi e posti così a tacere gli ultimi focolai di resistenza alla sua ascesa al potere.

Non si era smarrito nel limbo dei suoi ricordi il sangue che ancora era stato versato nelle sommarie esecuzioni dei giovani patrioti. Lo sapeva, Auguste: alcuni avrebbero terminato i loro giorni nei carceri; altri avevano scelto volontariamente la via dell’esilio, lasciando che a Noir Trésor l’incendio divampasse fino a scemare e che il duca cessasse di dare la caccia agli ultimi ribelli o presunti tali.

 

Non era vigliaccheria, da parte loro. Non era codardia, si ostinava a ripetersi, fino a stordirsi nel turbinio dell’ossessione, mentre fissava il soffitto biancastro.

Non riusciva a dissipare la fitta di angoscioso smarrimento che gli si agitava nel petto. Ripensava all’amaro destino dei loro compagni, periti sopra un patibolo o durante i sanguinosi scontri in città tra le bande armate dei ribelli e l’esercito mercenario del duca.

Auguste aveva sofferto la sua decisione fino all’ultimo istante.

Nei medesimi istanti in cui i suoi amici pagavano sulla forca il proprio orgoglio e l’amore di patria, lui stava al sicuro in una località sconosciuta, intento a leccarsi le ferite e ad ubriacarsi in tranquillità. Sospirò dolorosamente: non era stato d’aiuto a nessuno.

Non era necessario che qualcuno lo marchiasse come vigliacco: il suo tacito senso di colpa bastava da solo a trafiggerlo come uno spillo nelle carni che non gli offriva tregua.

Era scivolato in uno stato di prostrazione e d’apatia in un limbo assurdo ed asfissiante. Trascorreva ormai il suo tempo chiuso in quella scalcinata locanda, annegando nell’alcool e nella solitudine la frustrazione e la rabbia impotente. Viveva alla giornata. Le scorte di denaro che, nella furia di abbandonare Noir Trésor, era riuscito a portare con sé, stavano progressivamente esaurendosi.

Avrebbe dovuto in qualche modo prendere in pugno la situazione, raccogliere le sue forze e ristabilire una parvenza d’ordine nella sua vita. Rimediare un impiego come sguattero o come gazzettiere per procurarsi da vivere d’ora in avanti era stata la prospettiva più valida e sensata che gli si fosse aperta dinnanzi. Se solo ne avesse avuto la volontà e la forza. In verità, riflettendoci con emotivo, altezzoso distacco, considerò che ficcare il naso nel buco della serratura di qualche chiacchierato aristocratico dei dintorni per conto di un libellista senza scrupoli era davvero l’ultima delle sue velleità.

Espirò, contrariato: l’oste reclamava già i soldi dell’alloggio, e lui tergiversava. In quelle poche settimane in cui era approdato in città, aveva già avuto modo di farsi conoscere presso gli avventori della locanda: l’avevano sarcasticamente apostrofato il filosofo, l’intellettuale annoiato, a causa dell’alone di mistero che promanava il suo sguardo perennemente assorto.

Noir Trésor appariva ora ai suoi occhi una realtà che distava mille miglia; l’ipotesi di farvi ritorno era divenuta utopia.

 

Non fossero mai tornati…

 

Il fatto che Lucien, ripescato per i capelli, fosse uscito indenne da una morte pressoché sicura per annegamento, era forse stato un segnale propizio.

Già, poi vi era lui: Lucien.

Lucien era un maestro nel non lasciar trapelare la sua aspra frustrazione ed il suo sconforto. La lastra di ghiaccio che costituiva la sua pelle nivea sembrava aver congelato al suo interno le sue pulsioni più negative. Lucien aveva dissimulato il proprio dispiacere sin dal momento in cui il suo obbiettivo principale, dacché avevano lasciato Noir Trésor, era divenuto infondere nuovamente coraggio nel suo amico. A volte, a dire il vero, i suoi stessi cedimenti facevano sì che i ruoli si capovolgessero e che divenisse dovere preciso di Auguste offrirgli tutto il supporto di cui aveva bisogno.

Lucien doveva essere per lui un sostegno, non un deterrente; per questo motivo, raramente si lasciava sorprendere in momenti di sconforto: doveva riscuotere il leone, non gravarlo delle proprie insicurezze.

Auguste taceva e si fidava della sua buonafede; di tanto in tanto lo stringeva tra le braccia e lo confortava a sua volta.

Nulla era stato più accennato da parte loro riguardo al bacio sulla nave.

 

Giaceva indolente sul suo piccolo letto cigolante, il tricorno calato sulla fronte per proteggersi dalla luce fulva del crepuscolo che penetrava nella camera, proiettandovi particolari bagliori. Il suo sguardo scorreva distratto scrutando ora il soffitto, ora la punta dei propri stivali, ora i particolari della stanza intorno a lui.

Fu l’ingresso di Lucien ad interrompere il suo momentaneo isolamento.

I capelli che gli accarezzavano la schiena erano umidi e lasciavano dedurre che Lucien si era da poco immerso in una tinozza d’acqua calda a sciacquare via dalle sue membra stanchezza e nervosismo e schiarire la mente mentre il corpo si rilassava: uno dei pochi “lussi” al quale si abbandonavano con voluttà.

Auguste non comprendeva quale nesso coesistesse tra i suoi grigi e tetri pensieri e lo strano disagio che gli provocava la presenza dell’amico. Gli eventi erano precipitati sulle sue spalle con impeto tale da rendergli difficile sciogliere la confusione che avvertiva dentro di sé e fugare gli incoerenti ed insensati pensieri che albergavano in lui.

Nella mente, si raffigurava mille gocce percorrere rapide come minuscole cascate il corpo tornito di Lucien, colare dai capelli intrisi d’acqua e scorrere lungo le gambe.

La tensione sprigionatasi nell’esiguo spazio che li separava era tangibile. Rapito da quell’insolito fervore, Auguste scorse con lo sguardo sul torace dell’amico, scoperto dalla camicia, e nella sua mente se lo figurò indugiare pigramente con un morbido panno sul corpo bagnato, lambendo gentilmente ogni stilla d’acqua dalla sua pelle.

Auguste si riscosse dai suoi insensati deliri mordendosi il labbro, ed ebbe la grazia di arrossire, quando lo sguardo ceruleo dell’amico si posò su di lui.

La completa apatia in cui si era confinato tradiva il bisogno di agire concretamente e avere la mente impegnata, al punto che il suo pensiero, non potendo vagare giorno e notte su affanni e sensi di colpa, traeva spunto da qualunque pretesto capace di accendergli il cuore.

Avrebbe voluto guardare Lucien negli occhi nutrendo la sola, disinteressata amicizia che sempre aveva avvertito nei suoi confronti, ma, più passavano i giorni, più si rendeva conto che le morbide labbra del suo amico bruciavano sulle sue con maggior intensità.

Lo osservò, di spalle, mentre si spazzolava distrattamente i capelli.

Se non avesse afferrato il lenzuolo sotto di sé e, facendo appello a tutte le sue forze, non avesse ordinato al proprio corpo di restare ancorato a quel letto, avrebbe raggiunto Lucien di fronte alla specchiera ed avrebbe insinuato le dita tra i suoi capelli, impossessandosi gelosamente delle sue labbra. Mentalmente, udì il tonfo della piccola spazzola che cadeva sul pavimento, mentre Lucien cedeva ai suoi baci o, nella peggiore delle ipotesi, lo scostava bruscamente con il gelo negli occhi. Una raffinata forma di tradimento alla loro amicizia? In quel momento, il suo amico era uno scrigno prezioso da proteggere e tenere stretto ad ogni costo, e il suo corpo assurgeva a inedito ricettacolo d’incontenibile sensualità. Perché la loro amicizia era stata minata dall’attrazione fisica, morbo insidioso che poteva portarli alla felicità o alla depravazione e all’agonia?

Non era così: lo amava. Il terrore di perderlo su quella maledetta nave ed una serie di sensazioni contrastanti avevano innescato in lui reazioni emotive troppo rapide e violente per essere sintetizzate con chiarezza.

- Seta?

Le dita di Auguste scorsero tentennanti sul nastro che riteneva la chioma corvina di Lucien.

- Che bel damerino da salotto…

Nelle sue brevi parole vi era una doppia sfumatura di sensualità e di pungente ironia.

- Spero tu non voglia rassomigliare a quei polli incipriati – soggiunse.

- Vorresti paragonarmi ad uno dei nostri infingardi nobili che si sono venduti al duca du Lac? Potrei offendermi – replicò Lucien con il medesimo atteggiamento sarcastico – Cos’altro potrei fare? – riprese, il volto serio – Lasciarmi andare all’indolenza e alla delusione, come… qualcuno di mia conoscenza?

Tornò a scrutare con freddezza la propria immagine riflessa.

Auguste scosse stancamente il capo.

Potrei essere il ritratto della decadenza di ogni ideale, dedusse Auguste, esaminando a sua volta nello specchio il proprio volto segnato da due leggere occhiaie ed i capelli arruffati. Non si era neppure preso il disturbo di ravviarseli, dopo essersi immerso nel solito bacile fumante a compiacersi del proprio gelido disincanto, fissando il vuoto dinnanzi a sé fino ad uscire rabbrividendo dall’acqua ormai fredda, i palmi coperti di grinze.

- Se tu ti biasimi – riprese Lucien – Cosa dovrebbero fare i polli incipriati che durante gli scontri si sono rintanati nei loro lussuosi palazzi, per poi “sfilare dietro il carro del vincitore”?

- Dovrebbero andare tutti all’inferno, ecco che cosa! I nostri amici sono morti. Ho visto un ragazzo piangere, mentre suo padre era trainato verso il patibolo sul carro dei condannati a morte. Ed io non ho potuto fare nulla per loro.

- Auguste, non sei un ragazzino. Ogni rivoluzione vede i suoi vincitori… e i suoi vinti – ribatté tristemente.

- Non sono neppure un ingenuo. A cosa ci porterà, ora, l’aver combattuto in prima fila per poi retrocedere dinnanzi al pericolo della morte e scegliere la via più semplice?

- La via più semplice? La tua faccia, in questo momento, non dice esattamente che tu abbia scelto la strada più facile. Che cosa avresti creduto di ottenere sventolando la bandiera dell’oppositore sulla faccia del duca e finendo dritto sulla forca?

- Un ribelle in meno – proseguì Auguste con petulanza – E un uomo in più.

- I morti non sono più d’aiuto a nessuno.

- Anch’io, a molte miglia di distanza, non sono d’aiuto a nessuno. Il duca ha messo a ferro e fuoco la città, sulle tracce dei sovversivi. Se io ed altri ci fossimo consegnati nelle sue mani, forse quel cane avrebbe evitato di impiccare metà della popolazione.

Lucien scosse nuovamente il capo.

- Ascoltami, Auguste. Voglio che stavolta rifletta seriamente. Secondo te, è più facile accettare di morire per una causa, oppure sacrificare la personale autoaffermazione e, nelle nostre possibilità, continuare ad operare in silenzio, guardando alla realtà e confidando che, se non nell’immediato, il nostro progetto potrà essere attuato in un prossimo futuro, con le basi che noi stiamo costruendo?

- Dovrei affidare ai cari posteri le mie responsabilità?

- Auguste, è più semplice presentarsi come oppositore e lavarsi la coscienza nel sangue, oppure chinare il capo, ingoiare bocconi amari, ma con la consapevolezza che saremo noi, in seguito, ad alimentare una speranza?

- Parlami di azioni concrete, Lucien, non di voli della mente. Non posso vivere da illuso, sognando un Deus ex machina che arrivi e si faccia carico delle mie responsabilità?

- Non mi sono spiegato – riprese Lucien, alterato – Tu sai che torneremo a Noir Trésor. E sai che senza una guerra civile di mezzo, il duca non potrà trovare un pretesto qualsiasi per condannarci deliberatamente. Terremo gli occhi aperti. Se davvero vogliamo rovesciare la tirannia, dobbiamo aspettare che la situazione si assesti. Prima di tentare qualsiasi azione, abbiamo bisogno di tempo per capire i punti deboli del duca du Lac. Una rivolta non si organizza in pochi giorni e con un cappio parzialmente legato attorno al collo. Noi dobbiamo creare le premesse, perché sarà il popolo a far cadere il tiranno, non Lucien, o Auguste il martire.

Auguste sorrise sarcasticamente.

- Dopo che il duca avrà ben accomodato il suo blasonato fondoschiena sul suo trono da usurpatore, dubito che vi sarà ancora qualcuno disposto ad assestargli una spinta.

- In un clima rovente come quello che attualmente dilaga a Noir Trésor, con il duca fresco di vittoria, opporsi significa soccombere. Ma presto il duca s’illuderà di aver vinto ed abbasserà la guardia. Un popolo sottomesso, per lui, è un popolo innocuo. Auguste, credi ancora nella nostra causa?

- Vorrei che non fosse tutto inutile.

- Non è mai inutile vivere per uno scopo preciso. E tu ti stai battendo come un leone.

Auguste rise amaramente.

- Fuggire significa lottare?

- Nessuno di noi ha mai ceduto. Io non mi sono mai arreso, e nemmeno tu. Fra tutte le strade che potevamo intraprendere, noi abbiamo scelto quella più irta di sofferenze. Marchiati come vigliacchi, come traditori. Abbiamo visto il sangue dei nostri amici schizzare su di noi e trafiggerci come spilli arroventati. La loro morte bruciava su di noi, eppure non potevamo fare nulla. Lasciavamo Noir Trésor con l’orgoglio che ci gelava il sangue e la dignità a pezzi, ma non è così. Se fossimo morti, ora chi porterebbe avanti il nostro progetto? Chi si macererebbe l’esistenza per un frammento di giustizia?

- Non lo so, Lucien, non lo so!

- Cosa faremmo da morti?

- Staremmo sotto una lapide? – Auguste sollevò le sopracciglia, spazientito – Anzi, no, in una fossa comune con uno strato di calce viva.

- A chi potremmo apportare il nostro aiuto? A nessuno. Il nostro progetto potrebbe essere attuato in futuro? Non lo puoi sapere, se non esisti più.

- Non so cosa significa esistere o non esistere. So cosa vuol dire vivere.

- Moriresti per un ideale?

Auguste distolse lo sguardo per un momento, a disagio.

- Mi sentirei un ipocrita se ti rispondessi immediatamente di sì. No. A bruciapelo, non posso saperlo.

- Tu hai fatto di più. Hai stretto i denti e hai scelto di resistere.

Auguste ammutolì, sconcertato.

- Personalmente – riprese Lucien – Non so che farmene del concetto di “eroe”. Ti reputo una persona generosa, Auguste. La gloria personale non ha mai arrecato benefici duraturi ad un popolo, e poco ha a che vedere con la felicità. Le morti intrepide non sempre apportano aiuto a qualcuno, e raramente sono i singoli a cambiare le cose.

- A parte qualche mostro sanguinario che con la forza piega la realtà a proprio arbitrio, direi di sì.

Tacque. Non seppe sostenere con precisione se fosse la forza delle argomentazioni di Lucien a farlo momentaneamente desistere su quel terreno, o il calore che gli bruciava il petto.

- Cos’hai in progetto, stasera? – gli domandò Lucien, cambiando bruscamente argomento.

Auguste scosse le spalle.

- Nulla. Sono stanco e non mi va di passare la notte nelle osterie.

- L’alcool non servirà a farti sentire meglio.

- Ho parlato di “alcool”, nel particolare?

Auguste sollevò un sopracciglio con fare sagace, nell’istante in cui prese una piccola bottiglia di vetro e si servì di un’abbondante sorsata, sin quando il liquido paglierino non gli riscaldò piacevolmente la gola.

Lucien alzò gli occhi al cielo e si risparmiò ogni commento.

- Io voglio aiutarti – proruppe in un sussurro.

Auguste gli fece cenno di fermarsi.

- Tu stai facendo l’impossibile. Ho compreso qual è la mia situazione, ma, nonostante tutto, non riesco ancora ad accettarlo. Non riesco a stare tranquillo.

- È normale. Come tutti noi, nutrivi delle speranze e sei stato orribilmente deluso. Cerca soltanto di non farne un’ossessione e non lasciarti trascinare dallo sconforto.

- Come potrei non pensarci? Sai meglio di me che certe immagini non mi abbandoneranno mai.

- La ferita è troppo fresca. Non puoi pretendere di estinguere in un battito di ciglia il senso di colpa che avverti. Un senso di colpa che non ha ragion d’essere – le sue parole sfumarono.

- Non sono un codardo – ripeté Auguste, più per auto convincersene che per altro – E non sono neppure un eroe. Sono soltanto… confuso, e non riesco a togliermi dalla mente certi folli pensieri. Che cosa sono, allora?

- Vuoi che sia io a darti una risposta? – lo provocò Lucien.

Auguste annuì stancamente, mettendo giù la penna d’oca che fino ad un momento prima si era ingegnato ad affilare. Voleva tentare di buttare giù qualche riga ed offrirsi di collaborare alla gazzetta. Cercava una motivazione.

Nel tumulto dei suoi pensieri, si rese conto che la soluzione, e forse la sua gioia, era lì a portata di mano, malgrado non riuscisse ad afferrarla.

Il cielo iniziava ad imbrunire, dissolvendo il riverbero sempre più fievole del tramonto.

D’un tratto, gli occhi di Auguste, abituati al seppur debole lume, piombarono nell’oscurità, nell’istante in cui qualcuno soffiò sulla candela.

Prima che potesse esalare un respiro, due mani gli si posarono sulle spalle, leggere e scure come le ali di un corvo.

Auguste respirò affannosamente e cercò di svincolarsi da quella presa che, benché lieve, lo tratteneva con una forza d’origine oscura; ma i suoi piedi sembravano ancorati al pavimento.

In un anelito di lucidità, il ragazzo si accorse di non poter stabilire in quale punto particolare del suo corpo indugiassero quelle mani sottili: le sentì nello stesso momento accarezzare i suoi fianchi, risalire sul petto e scivolare lungo la schiena poco protetta dal tessuto sottile della camicia.

Quante erano le carezze che scorrevano su di lui? Non riusciva a riordinare nel tempo ogni singolo evento, ogni singolo, erotico tocco.

Lucien gli scostò i capelli dal collo con un gesto fluido.

Solo quando avvertì sulla pelle il suo respiro, Auguste dedusse che non era stato un ingannevole parto della sua immaginazione.

- Non sarei di grande aiuto se rispondessi alla tua domanda, Auguste. Nessuno è totalmente obiettivo, quando si tratta della persona che si ama.

Auguste rabbrividì, quando Lucien gli soffiò sul collo quelle parole brucianti e repentine.

Tremante, si volse verso di lui svincolandosi dall’abbraccio etereo che gli circondava il busto. Scuotendo le palpebre per snebbiare la vista, riuscì a distinguere gli occhi di Lucien aperti e lucidi nell’oscurità, i tratti regolari del suo volto composti in un’espressione serena. Due dita pallide scivolarono su di lui, seguendo il perimetro della sua guancia.

- Mi dispiace, Auguste.

Il giovane scosse nervosamente la testa: Lucien aveva interpretato la sua iniziale perplessità come un tacito cenno di rifiuto?

- Di cosa?

Sorridendo, Auguste lo cinse timidamente con le braccia ed unì le labbra alle sue. Ora posso.

Lucien sfiorò la sua bocca in punta di lingua, ed un estatico formicolio agitò il corpo di Auguste, percorrendogli la spina dorsale ed avviando la sua graduale ascesa verso vette che non conosceva.

- Non resisto, Lou. Non ti resisto… – ansimò.

- Non dire sul serio – gli ingiunse Lucien, prendendosi benevolmente gioco di lui – Io ho resistito. Dalla notte sulla nave, per la precisione.

- Non ricordarmi quella notte – gli sussurrò Auguste – Sarei morto, se ti fosse accaduto qualcosa.

- Invece, se sono qui, lo devo a te. Indipendentemente da ciò, concedimelo, in questi anni non mi sono mancate le occasioni per capire che ti amavo.

Per un istante, entrambi tacquero, l’uno tra le braccia dell’altro, scossi e turbati al ricordo dell’incidente durante il viaggio.

 

Era stato un comodo movente? Una provvidenziale scintilla? Non era importante; contava soltanto la reciproca consapevolezza.

 

Insinuandosi con le labbra nell’incavo del collo, Auguste risalì lentamente sino a mordicchiare il lobo dell’orecchio del suo amico.

Sussultando in seguito al suo attacco, Lucien lo attirò a sé stringendogli la vita tra le mani e portando i fianchi di Auguste a contatto con i propri. Se avesse potuto guardarlo in viso in piena luce, gli occhi scintillanti ed il volto accaldato sarebbero stati indizi sufficienti di quanto Auguste fosse eccitato, senza ricercare morbosamente inequivocabili conferme.

Auguste trasalì ad un contatto così intimo e, come riflesso dell’intenso stimolo ricevuto, accostò le labbra sulla spalla di Lucien, baciandolo avidamente e contendendosi con la lingua e con i denti la conquista di ogni palmo della sua pelle. Stringendo Lucien a sé, indietreggiò quel poco che bastava per raggiungere il letto alle sue spalle. Ricadde sul materasso, e Lucien con lui.

- Ti ho fatto male? – gli domandò Lucien, crollato disteso lungo sul suo corpo, mentre, d’istinto, gli posava un bacio sulla fronte.

- Non è nulla… – fece Auguste di rimando, troppo impegnato a slacciare l’ampio colletto della camicia del compagno.

Lo amava: quella miscela caotica di acute sensazioni, connessa al suo stato d’animo, gli procurava un languore ed un’eccitazione senza uguali.

Spudorato come un assassino, Lucien liberò la camicia di Auguste dalla cintola ed introdusse indiscretamente una mano all’interno dell’indumento, lambendogli il torace bollente.

Auguste inarcò la schiena, sciogliendo ogni reticenza in un lungo sospiro e meditando che, per quella notte, Lucien non gli avrebbe dato respiro: non si sarebbe accontentato di estendere i suoi baci lungo la gola e sulla porzione scoperta del petto.

Armeggiando convulsamente con i lacci, tentoni, Lucien tentava di spogliarlo della camicia. Le sue labbra si schiusero impietosamente su di lui e corsero a lambire generosamente quella linea immaginaria che, dallo sterno, s’inabissava a separare gli ampi pettorali.

 

Non vi è da stupirsi se basta lambirmi appena per farmi tremare: è sufficiente sfiorarmi con lo sguardo per evocare in me un piacere senza uguali.

 

L’amore che Auguste sentiva verso di lui – che sempre aveva provato – gli divampò nel petto come una scossa; il suo cuore, immettendo indecifrabili sensazioni a ciascuna fibra del suo corpo, rendeva ogni brano della sua pelle recettivo ed estremamente sensibile al più debole sfioramento che Lucien gli rivolgeva. Era come se fosse avvolto da una cortina invisibile che, anziché ripararlo da assalti esterni, lo esponeva quanto mai al godimento che le carezze di Lucien gli procuravano.

Amarlo potenziava l’effetto di ogni bacio e di ogni carezza. Ogni singolo gesto di Lucien infondeva in lui un oscuro piacere la cui causa fondamentale era l’amore che gli ardeva nelle vene e rendeva il suo corpo e la sua volontà plasmabili come creta.

Avvertì le mani di Lucien scendere sui suoi fianchi ed indugiarvi, mentre le labbra si avventuravano ad esplorare insaziabili la pelle vellutata ed i muscoli modellati con grazia sull’addome asciutto che digradavano sinuosamente fino alle anche in rilievo.

Risvegliatosi dal suo erotico torpore, Auguste si sfilò spasmodicamente la camicia, che oramai giaceva inutilmente arrotolata intorno al torace, e si sollevò a sedere.

- Ti amo. È tutto – gli ripeté ancora Lucien, prima di accostarsi al suo volto ed impossessarsi delle sue labbra morbide e dischiuse – Potrei dire che ti amo perché mi hai salvato la vita; o perché sei così bello. Le mie parole sono riduttive: capisci? È come volersi spiegare perché il sole sta nel cielo. Perdonami – rise imbarazzato – Dico una marea di stupidaggini.

Sul volto di Auguste comparve un sorriso enigmatico. L’ombra sempre più densa che calava nella stanza rendeva ovattati i contorni delle cose, così come i loro volti. Ancora una volta, Auguste si sentiva sospeso in una soffusa, intangibile sensazione d’estasi profonda. Il corpo era il veicolo attraverso il quale stavano ponendo fisicamente in atto un amore di tipo sensuale, che tuttavia non racchiudeva l’unico aspetto della situazione; le loro menti vagavano in una dimensione cristallina, trasmettendo al corpo impalpabili sensazioni tradotte in piacere carnale.

Inaspettatamente, Auguste sospinse Lucien con dolcezza, portandolo a giacere supino sotto di sé, e riprese a baciarlo avidamente, ricambiando generosamente le convulse carezze con cui il suo compagno indugiava a piene mani sulla sua schiena.

Strusciare la propria erezione contro quella altrettanto pulsante di Lucien ad ogni loro flessuoso movimento si stava trasformando in un’estenuante e lenta tortura, una morsa dalla quale temette di non uscire più.

Abbandonò momentaneamente quella bocca che aveva ferocemente bramato e scivolò al fianco di Lucien, trafelato.

Un istante di respiro, implorò silenziosamente, vinto dalle raffiche di piacere che si abbattevano su di lui. Uno soltanto

Veloce, Lucien si gettò impietoso sulla preda, sfiorando implacabile la striscia di pelle sopra la cintola dei calzoni e soffermandosi con la lingua a disegnare voluttuosi circoli di concentrica ostinazione intorno all’ombelico.

Il gemito che emise Auguste fu una manifesta ambivalenza fra la dichiarata soglia di sopportazione dell’esasperante piacere ed il desiderio bruciante di un contatto più intimo. Smanioso, intrecciò le dita tra i capelli setosi del suo amico.

- Ti fidi? – gli domandò Lucien a bruciapelo, dopo aver posato un tenero bacio sulla sua pelle accaldata e percorsa da minuscole gocce di sudore.

Auguste annuì, riprendendo fiato.

- Vuoi che continui? – incalzò Lucien.

Auguste rispose un flebile “sì”, il cuore in subbuglio e la voce arrochita dal desiderio.

Lucien gli abbracciò la vita, in un misto di tenerezza e desiderio di possesso. Il suo sguardo, esitando giù in basso, lo percorse come un tocco leggero.

Auguste trattenne un mugolio strozzato, quando la mano di Lucien discese lungo il ventre ed affondò con irruenza oltre i pantaloni, sfiorandogli l’inguine nudo in un’estenuante carezza.

La tensione gli s’incuneò fin nelle ossa, mentre cinque dita ardenti si facevano strada alla cieca là dove era più sensibile, fino a tastare con impazienza la sua erezione prepotente.

Si morse il labbro e, con la mano malferma, raggiunse quella di Lucien. La prima idea che lo sfiorò fu quella di bloccare il suo amico, prima che il suo folle desiderio spezzasse ogni ultimo, flebile baluardo di resistenza, erompendo con ferocia e gettandoli in un subisso di sensazioni sconosciute. Strinse le palpebre, scosso da uno spasmo di piacere, e le sue dita tremanti sfiorarono il braccio di Lucien in un debole tocco che sancì il suo completo assenso.

 

Spalancò gli occhi, sforzando la sua vista nell’oscurità della stanza. Intravide confusamente i loro abiti sparsi sul letto e sul pavimento. Nudi, si apprestavano ad amarsi. Scorse la sagoma flessuosa di Lucien. Chino sul suo corpo, si prendeva cura di lui e del suo piacere come di un cucciolo bisognoso d’attenzioni. Rapito dall’estasi erotica, Auguste gli regalò istintivamente una lenta carezza, ricambiando in parte il piacere che Lucien gli regalava. In silenzio, sfiorò in punta di dita le sue labbra, umide dei baci roventi che si erano scambiati. Le stesse labbra che erano calate implacabili sul suo sesso, derubandolo di ogni stilla di lucidità.

Lo cinse tra le braccia, sfiorandogli il petto con le labbra e perdendosi nel suo profumo. Lucien gli rivolse un sorriso rassicurante, benché, nella penombra, i suoi contorni fossero appena distinguibili, e lo lasciò andare dolcemente disteso tra le lenzuola.

- Auguste – mormorò roco Lucien – Posso fare l’amore con te?

- Ti voglio, Lou… – riuscì a rispondergli – Ti voglio che potrei morirne.

Auguste vide il proprio inguine scomparire nuovamente dietro la massa scura dei capelli di Lucien. Sussultò, quando, come una scossa, avvertì le sue dita sfiorarlo tra i glutei e, pochi istanti dopo, qualcosa di umido lo lambì nello stesso punto, reso ancor più sensibile da quelle brevi, studiate carezze. Da principio, fu colto da un singolare senso d’intrusione, non appena avvertì la prima falange affondare prudentemente in lui, e si contrasse d’istinto.

- Sta’ tranquillo, Auguste, non temere. Sei con me – gli ingiunse dolcemente Lucien, per poi riprendere a toccarlo con circospezione.

Auguste sospirò: avrebbe voluto riprendere le redini della situazione, com’era sempre stata sua abitudine, lanciandosi su Lucien ed uccidendolo di piacere; ma, ora come ora, la sua volontà pareva essersi annullata al servizio dell’urgenza incalzante di unirsi alla persona che amava.

Il piacere che Lucien gli procurava era qualcosa di vago ed indecifrabile che non poteva riassumere a parole; mai come in quel momento si era reso conto di non riuscire a stabilire se fossero più intensi gli impulsi che le sue facoltà sensibili irradiavano al suo sesso, o il liquido piacere che gli allagava il petto al pensiero che stava per fare l’amore con Lucien. Era certo che il suo piacere, fisico ed emotivo, nel percorso dalla mente ad ogni estremità del suo corpo, passava necessariamente attraverso il cuore.

I ricordi di quei momenti erano quanto mai annebbiati: la sua logica e la percezione temporale erano venute meno.

Al buio, udì soltanto il loro respiro grondante d’impazienza, lo strusciare dei loro corpi sulle seriche lenzuola ed il lieve schioccare delle labbra di Lucien che si dischiudevano ritmicamente sulla sua pelle sensibile in una miriade di baci.

Ricordava di aver artigliato affannosamente il lenzuolo sotto di sé, quando Lucien era penetrato in lui.

Si morse il labbro, trattenendo un gemito d’ambigua natura, ogni muscolo del corpo teso fino allo spasmo. La fronte contratta era imperlata di sudore ed i capelli gli ricadevano scomposti sul viso, complici dell’oscurità nell’occultare la sua espressione.

Riuscì in parte a rilassarsi gonfiando d’ossigeno i polmoni ed espirando profondamente.

- Vuoi che smetta?

Dal tremito della voce di Lucien, Auguste dedusse quanto l’aveva intimorito l’idea di causargli in qualche modo dolore.

Si sollevò faticosamente sui gomiti, scuotendo energicamente il capo.

- No. Resta un attimo così. Non muoverti…

Ubbidiente, Lucien arrestò la sua corsa. Lo abbracciò timidamente congiungendo le mani all’altezza del torace, per poi discendere a ghermirgli il sesso fremente, ammansendo con instancabili carezze la tensione che attanagliava il corpo di Auguste e dirottando sapientemente le sue sensazioni.

Auguste non aveva mai immaginato di poter trarre tale piacere dall’agognata unione con la persona che amava. A ben pensarci, niente di tutto ciò che stava provando era lontanamente quantificabile. Era difficile razionalizzare che lui e Lucien in quell’istante fossero un’unica cosa e che, per mezzo dei loro corpi, si erano congiunti inscindibilmente.

Abbandonato. Era così che si sentiva: abbandonato dalle proprie forze, dalla ragione e dalla facoltà di riflettere e formulare pensieri coerenti a proposito di quel che stava accadendo dentro di lui. La sua mente l’aveva abbandonato a sé nello stesso modo in cui il suo corpo si era accasciato piacevolmente sconfitto sotto le audaci carezze di Lucien; prigioniero, per propria volontà, dell’impeto della sua passione.

A dire il vero, riflettendoci, Auguste si rese conto che, paradossalmente, era piuttosto Lucien ad aver quasi disatteso se stesso per dedicarsi solamente a lui, artefice incontrastato del suo piacere.

Rimase in bilico tra vaghe sensazioni, nel momento in cui un affondo delicato ed intenso gli tolse il respiro, incendiandogli i lombi.

Tremante, Auguste ricadde su un fianco. Il suo respiro accelerò vertiginosamente e si risolse in un lungo sospiro, finché le labbra di Lucien non premettero provvidenzialmente sulle sue. Le loro lingue s’intrecciarono e si strinsero in una lotta sensuale in sintonia con i loro corpi vibranti.

Il singolo fatto di avvertire le iridi cristalline di Lucien su di sé, di giacere fra le sue braccia e di assaporare i suoi baci era sufficiente ad infiammarlo e a scalfire sino ad un punto di non ritorno la sua ferrea volontà. La verità era che, sin dal primo istante in cui aveva messo piede in quella stanza – e, forse, nella sua vita –, Lucien non aveva fatto altro che porre mano alla sua corazza di freddezza e disincanto per poi scinderla pezzo dopo pezzo.

Ora, quel che la consapevolezza di trattenere Lucien nelle sue carni gli provocava non era esprimibile con la sola forza delle parole. Lucien l’aveva smontato e ricreato, sciogliendo il suo cuore e la sua razionalità, plasmandolo come bronzo fuso sotto di sé. Lucien aveva sgretolato la sua maschera e gli aveva offerto senza riserve la consapevolezza di amare.

Sentì le labbra di Lucien farsi strada tra i capelli umidi che gli aderivano al collo. I suoi baci ricaddero spietati sul muscolo teso della spalla, per poi morire sulla schiena. Il suo respiro profondo, come un soffio fresco sulla pelle, concesse per un attimo una sorta di pallido refrigerio alla sua schiena accaldata.

I movimenti di Lucien erano diventati convulsi, il respiro ansante; le sue mani si strinsero possessivamente su di lui sussultando. Le dita avvolsero come una morsa il suo membro in una presa che suonò quasi violenta.

Auguste non si avvide subito che entrambi erano giunti al limite.

Quasi non si accorse che Lucien si era abbandonato con la testa sulla sua spalla, in una muta resa.

Non si rese conto del flebile mugolio che fece vibrare l’aria intorno a sé, né del calore che gli invase il basso ventre, sospinto da un’ondata di piacere particolarmente acuta che scosse ogni sua fibra nervosa. Si sentì nudo – era forse simile a quel che aveva provato Adamo, scacciato dal Paradiso Terrestre? –, fluttuante in un mare di tiepido etere e sfiorato da fiamme che, lambendolo, non gli causavano dolore. Cadde in deliquio.

Avvertì su di sé fu la morbida carezza del lenzuolo che Lucien fece scorrere gentilmente su di lui. Poi, il sonno lo vinse.

 

Le tende ingiallite e di modesta fattura che schermavano la finestra ondeggiarono come fantasmi evanescenti, mosse dalla brezza del mattino. Una stanza disadorna di una modesta locanda di una sperduta cittadina portuale, crocevia di mercanti e, non di rado, di fuggiaschi, era divenuta il teatro del loro amore, manifestatosi a chiare lettere come inciso sul metallo fuso. Le pareti avrebbero protetto e custodito il loro segreto: un segreto che li avrebbe aiutati a sopportare le avversità di un esilio che giorno dopo giorno era sempre più ingrato ed incerto.

Si erano amati. Per Auguste si era aperta una dimensione sconosciuta che lui, giovane di ventiquattro anni, bramava di scoprire e di godere nelle sue migliori accezioni.

Le irregolari pareti dall’intonaco screpolato per via dell’umidità erano state mute testimoni della loro unione fisica ed emotiva. Sempre in quella stanza, Auguste aveva accolto Lucien tra le braccia e l’aveva fatto suo, ricambiando in parte il piacere che quella notte gli aveva donato la consapevolezza di non essere solo. Si erano amati ed appartenuti.

 

* * *

 

Cos’era cambiato, ora? Quale pazzia, quale luccichio aveva deteriorato un sentimento che, di suo, sembrava nato per progredire incontaminato da qualsiasi agente esterno?

 

Il campanile di Noir Trésor batteva il mattino, ed Auguste, accecato dalle lacrime, stringeva nel pugno il nastro blu che la prima notte in cui aveva fatto l’amore con lui, rimembrava, si era confuso sulla nuca di Lucien con il nero dei suoi capelli.

Il suo carattere si era presto indurito. Il ritorno a Noir Trésor aveva fatto sì che giorno dopo giorno il suo animo s’irrorasse di stille di veleno che avevano esacerbato in lui il germe della vendetta. Da passione politica, la sua era divenuta ossessione unita alla brama di vendetta e di potere.

Era mai stato, il suo, un amore di patria disinteressato, come per lungo tempo aveva desiderato lasciar credere a se stesso e agli altri, o la sua amarezza, al contatto con il suo animo inquieto, aveva inesorabilmente finito per corrompere ogni puro sentimento?

 

Cos’è cambiato?

Me lo chiedo invano ogni giorno. Sento che prima o poi impazzirò senza giungere ad alcuna risposta. Noir Trésor ha inquinato la mia anima. Dovevo tenermene alla larga; e questo avrei potuto comprenderlo quando ancora ero in tempo. Invece, come il canto di una perfida sirena, la promessa del riscatto mi ha ricondotto qui ad avvelenare la mia vita con una vendetta che, a distanza di anni, apparentemente non ha più un senso, se non quello di dannarmi l’anima e agitarmi da una parte all’altra come una scheggia impazzita, senza lasciarmi approdare ad alcuna conclusione. E questo sarà il medesimo destino di chi ancora è abbastanza folle da starmi accanto.

 

Quale riscatto? Io non volevo questo. Non lo volevo. Ricordo, come se fosse ieri, la morte dei miei amici. Esiste forse una giusta lotta che non esiga l’esoso tributo di sangue?

Probabilmente, è soltanto una mia utopia: un’utopia che mi sta trascinando all’inferno. La mia rivoluzione non doveva essere improntata ad un nuovo bagno di sangue e al proliferare dell’odio fra bande rivali. Doveva piuttosto spazzare via quest’inferno. E invece, quando noi riprenderemo in pugno le armi, non faremo che prolungare all’infinito quest’infernale, eterna catena di rancori e vendette che non trova soluzione, nel momento in cui ho imparato a mie spese che il sangue non può che richiamare altro sangue. Può apparire scomodo, ma è così.

Sono stato capace di tutto pur di seguire ciecamente una causa che, senza che me ne accorgessi in tempo, ha divorato lentamente il mio cuore come un morbo. Mi sono lasciato trasportare dall’insano desiderio di ripulire il nostro dolore con il sangue del tiranno: fu questo il mio terribile errore di valutazione. Ho disatteso tutto, e poco importava del tesoro che possedevo nell’amore di Lucien senza che ne fossi consapevole appieno.

Da quando sono tornato a Noir Trésor, tutto si è inquinato, sporcato, avvelenato, corrotto; ogni slancio di speranza acquistava per me un volto cupo e al tempo stesso tremendamente allettante, strettamente correlato alla smania di rivalsa che mi ha contaminato. Il desiderio di autoaffermazione si è fatto strada in me, e così ho tradito ogni mio principio.

Il mio rapporto con Lucien è degenerato; non vi era giorno che non stesse ad ascoltare, inorridito, scuotendo tristemente il capo, le mie bacate teorie. Non mi riconosceva più, e non mi riconoscevo nemmeno io.

Non l’ho ascoltato, e sono andato per la mia strada senza rendere conto a nessuno. La mia passione patriottica, nata con i più altruistici presupposti, ha avvelenato la mia esistenza come una maledizione.

L’immondo circolo di vendette è ricominciato, e stavolta io ho pagato il prezzo più alto.

 

È davvero così, Auguste? Sei sicuro che sia troppo tardi per cambiare?

 

Ora non ha più senso. Ho già scontato la pena più terribile. Persino la mia vita sarebbe stata un prezzo irrisorio, paragonata al veder morire per causa mia l’unica persona che ho amato. Non ha senso combattere, non ha senso restare, non ha senso fuggire via da vigliacco, non ha senso morire, non ha più senso nulla!

 

Oggi, una donna dorme nel mio letto. Ho preso con me la prima donna nei cui occhi abbia scorto qualcosa che somigliasse anche vagamente all’amicizia o all’amore.

 

Perché hai mentito a te stesso sin dal primo istante, Auguste? Perché il tuo ritorno a Noir Trésor è stato sin da subito minato dal compromesso e dall’ipocrisia? Perché tutto ha preso avvio da una bieca farsa di te stesso?

 

Perché dovevo darmi un’apparenza rispettabile, che domande! Monsieur Auguste de la Garde tornava a Noir Trésor ed era cambiato, capisci? Non più il ragazzo scapestrato dal passato sedizioso. Auguste sarebbe passato inosservato all’elite reazionaria e conservatrice e, quando sarebbe giunto il momento, sotto le mentite spoglie di un cittadino qualsiasi, si sarebbe trasformato nella peggiore spina nel fianco del tiranno.

 

Pensavi che convivere con una donna dall’indubbia reputazione, senza alcun vincolo riconosciuto, avrebbe giovato alla tua fama?

 

Emilie non è una poco di buono. Se giungesse a vergognarsi di me, ne avrebbe ogni sacrosanto diritto. Soltanto lei può sapere cos’ha passato accollandosi la responsabilità non solo di reggere il mio gioco, ma addirittura di offrirmi il suo amore.

Non potevo sposarla. Almeno questo, glielo dovevo. Lucien mi avrebbe capito, se, per contrastare ogni sospetto riguardo al mio inatteso ritorno, avessi cercato di costruirmi un’effimera parvenza di vita. Lucien ha visto il peggio di me, e mi ha perdonato, benché il nostro rapporto fosse ormai incrinato.

Non potevo fargli anche questo. Non potevo.

 

Auguste buttò le gambe fuori del letto e si strinse le tempie pulsanti. Non aveva preso sonno nemmeno per un istante.

Ora come ora, non sapeva cosa avrebbe fatto quel giorno. Né quello che avrebbe fatto in capo ad un’ora o ad un minuto.

C’era ancora spazio, per lui, a Noir Trésor? All’inferno, solitamente ognuno trova il girone che più gli si addice.

Lo scricchiolio del legno risuonò nella stanza, mentre faceva scorrere lentamente il cassetto. Estrasse la sua rivoltella.

Restò a rimirare in estatico silenzio l’arma che si adattava agevolmente alla sua salda presa, abbagliato dall’ambiguo splendore dell’impugnatura scolpita nel ferro e della forma così armoniosa della canna.

Non aveva mai amato l’uso delle armi, nonostante il suo animo reclamasse vendetta, sì da aver alienato in lui ogni impulso propriamente umano. Retaggio delle tremende lotte alle quali aveva preso parte in gioventù prima di veder perire i suoi amici, la sola vista del sangue era sufficiente a stringergli lo stomaco in una morsa d’angoscia.

 

Resterò a Noir Trésor? Godrò ancora per un po’ del personale soggiorno che mi fa pregustare la dannazione? Ancora non lo so. Non so cosa farò domani. Non so cosa farò di me stesso. Ma prima che si compia il mio destino, qualunque esso sia, ben due conti aspettano di essere saldati.

Vorrei che un proiettile d’argento trovasse presto la sua nobile dimora nel bel mezzo della fronte del duca, di colui che è più colpevole di chiunque altro. Eppure, stavolta Auguste saprà accontentarsi…

 

Un triste sogghigno tagliò in due il suo volto, mentre uno sfuggente luccichio risplendette per un istante nei suoi occhi.

Si affrettò a mettere via la sua pistola, quando udì lo scricchiolare del letto ed un breve mugolio che annunciarono il risveglio di Emilie.

I due si vestirono senza parlare.

Vide Emilie, riposto nella toeletta il morbido piumino impregnato di cipria, dirigersi all’ingresso. Non vi badò. Il mondo che stava là fuori non era in cima alla lista dei suoi pensieri.

Si riscosse solo quando la donna fece la sua ricomparsa nella stanza, rossa in volto e palesemente agitata. Auguste avvertì il proprio cuore accelerare, benché, dopo la scoperta della notte precedente, ormai avvertisse tutto distante da sé.

- Cos’altro succede, Emilie?

 

Potrebbe succedere qualcos’altro?

 

- Non ti piacerà, Auguste – rispose asciutta la donna.

Gli porse una manciata di fogli che, a prima vista, gli parvero la bozza non opportunamente rifinita di una gazzetta.

Auguste vi posò distrattamente lo sguardo e, non appena qualche insolito particolare attrasse la sua attenzione, il suo volto sbiancò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

 

Salute a tutti voi, lettori di Noir Trésor!

Ringrazio innanzitutto Monella per il suo immancabile commento. Lieta che NT continui ad appassionarti e che sia stata... come dire, "comprensiva" per quanto riguarda i miei sbalzi narrativi! Eh sì, come vedi, amo alternare spesso l'azione alle lunghe introspezioni, nella speranza che tutto ciò, a lungo andare, non diventi troppo pesante. Comunque, presto si passerà all'azione concreta. Ti rivelo un'altra cosa: inizialmente ero abbastanza combattuta sul genere in cui collocare NT: ora come ora, chi legge, penserà "Hai visto forse un vampiro?". Diciamo che anche quella parte arriverà, sempre per lo stesso motivo per il quale amo dilungarmi.

Inutile dire che ringrazio tantissimo i miei lettori... Potreste lasciare un commentino ogni tanto, no?

 

Alla prossima!^^

 

 

 

   
 
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