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Autore: Laylath    22/03/2013    1 recensioni
Che cosa sarebbe successo a tutti loro? Potevano continuare a proteggersi a vicenda?
In poche ore gli uomini di Mustang ricevono l'ordine di trasferirsi negli angoli più pericolosi del paese: gli scacchi vengono allontanati dal loro re.
E' il pedone che, in poche ore, deve fare i conti con le paure e i dolori della separazione e alcuni tremendi sospetti; perché ogni pezzo è indispensabile alla vittoria finale.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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“No, Black Hayate! Non camminare in mezzo, rischi di farmi cadere!” esclamò Fury mentre il cane gli faceva le feste correndogli tra le gambe.
“Hayate a cuccia! - il tenente Hawkeye chiuse la porta e richiamò all’ordine l’esuberanza del suo animale. – Poggia pure tutto in quell’angolo, Fury. Ci sono tutte le scatole?”
“Sì, queste erano le ultime due” confermò il sergente posando sul pavimento le ultime delle sei scatole che contenevano le sue preziose radio.
“Farò in modo che questo piccolo monello non ci giochi; – promise la donna – so quanto ci tieni”
“Sono sicuro che si comporterà benissimo, vero bello?” sorrise Fury prendendo in braccio il suo amico peloso e ricevendo entusiastiche leccate sulla guancia.
“Hai tempo per una tazza di cioccolata? – chiese il tenente – Credo che manchino ancora alcune ore alla tua partenza”
“Mi piacerebbe – annuì Fury guardando l’orologio – Ma non vorrei disturbarla troppo. E’ appena tornata a casa da lavoro, prendendosi anche il disturbo di aiutarmi con le radio… sarà di certo stanca”
“Stai tranquillo, non mi disturbi affatto, sergente. Siediti mentre preparo tutto quanto”
 
Mentre l’odore di cioccolata iniziava a penetrargli nelle narici, il giovane soldato osservò la stanza che fungeva da soggiorno e che era collegata alla stretta cucina dove  si trovava il tenente. Era piccola ed essenziale, con un tavolo e alcune sedie al centro e un altro mobile con il telefono e altri pochi arredi. Spartana, come la padrona di casa, ma non mancava di infondere una sensazione d’accoglienza.
Black Hayate si era arrampicato sulle sue ginocchia e si era beatamente acciambellato nel suo grembo, nonostante fosse ormai così grande che ci stava appena.
“Ah, che indisciplinato – disse il tenente rientrando col vassio che posò nel tavolo – Quando vede te qualsiasi buona maniera sparisce.”
“Ma no, signora. – sorrise Fury grattando il cane dietro l’orecchio e provocando uggiolati di soddisfazione – a me non dispiace affatto!”
“Gli hai di nuovo dato da mangiare qualcosa fuori dai pasti, vero?”
“Io? Ehr… forse” arrossì colpevolmente
“Ecco perché era così felice di vederti… più del solito, s’intende”
“Non si arrabbi, tenente. Lo prenda come… un piccolo regalo di commiato” disse lui cercando di aggirare il rimprovero.
“Già, di commiato…”
La donna non aggiunse altro, ma si limitò a passargli la tazza di cioccolata calda.
Sorseggiandola in silenzio Fury osservò il suo superiore: nonostante indossasse l’uniforme, vederla in un ambiente casalingo le conferiva un aspetto più rilassato. Come se tutta la tensione e la preoccupazione sparissero in quella tazza di cioccolata e in quel cane bianco e nero che scondinzolava tranquillo.
Non sembrava la persona che quella mattina l’aveva ammutolito con quello sguardo urgente.
“Come è andato il suo primo giorno, signora?” chiese per rompere quel silenzio
“Non c’è male – ammise lei – di certo è più impegnativo di essere l’assistente del colonnello, ma mi ci abituerò.”
“E’ stato… insomma, è stata trattata bene?”
“Sì, sergente. Non ti preoccupare.” sorrise
Non sembrava spaventata da quanto succedeva: come se quel nuovo incarico fosse la cosa più normale del mondo. Come faceva a restare insensibile alla sensazione che quell’uomo doveva provocare per forza anche in lei?
“Fury – lo riscosse la donna che ora la fissava con attenzione – stamattina che cosa hai visto che ti ha turbato tanto?”
Il ragazzo fissò la sua cioccolata, cercando le parole adatte per non far trasparire le sue ansie. Ma poi si ricordò del commento del colonnello a proposito della sua incapacità di mentire e quindi si sentì obbligato ad essere schietto.
“Mi ha turbato il fatto di vederla dietro un uomo che non sia il colonnello. – iniziò – Vederla al servizio di una persona che è probabilmente il nostro nemico più pericoloso. Tenente, io… perché nel guardare quell’uomo ho avuto la stessa sensazione che ho provato davanti a quel mostro che voleva ucciderci?”
“Certo, mi aspettavo che avresti intuito. – sospirò la donna – Hai visto da vicino quell’homunculus che ci ha aggredito ed è una sensazione che non puoi dimenticare. Però vorrei che tenessi il silenzio in proposito.”
“Allora il Comandante Supremo…” iniziò a voce più alta del solito
“Fury, basta. Ti ho chiesto di tenere il silenzio.” gli disse con pacatezza ma con un tono che non ammetteva repliche
“Basta?! – esclamò sconvolto sbattendo la tazza sul tavolo – Tenente! Lei non può stare al servizio di un hom…”
“Ho detto basta, sergente maggiore!” lo ammonì
In oltre tre anni che la conosceva non era mai stata così brusca nei suoi confronti. E lui stesso non aveva mai osato rivolgersi in quel modo a un suo superiore.
Black Hayate intuì l’improvvisa tensione e scese dalle sue ginocchia, emettendo un guaito perplesso.
“M… mi perdoni signora, – arrossì – non mi sarei mai dovuto permettere di usare questi toni”
“Fury, scusa. – disse lei dopo una decina di interminabili secondi – Non volevo sgridarti in questo modo, davvero. Ma devi capire che la situazione è davvero delicata. Quello che hai scoperto potrebbe metterti in pericolo più di quanto non lo sia già e questa è l’ultima cosa che voglio.”
“Perché per loro io non sono che una pedina…”
“Esatto: a me e al colonnello tengono sotto stretta sorveglianza e se ci lasciano vivi vuol dire che abbiamo una qualche importanza nei loro giochi. Sono perfettamente consapevole di essere un ostaggio nelle loro mani per tenere buono il colonnello… ma se per me è così, non posso dimenticare che Havoc è vivo per miracolo e non per la loro misericordia. C’è il concreto rischio che per te non si farebbero scrupoli. Meglio che credano che tu non sappia.”
“E cosa possiamo fare?”
“Per ora assecondarli. Io continuerò ad essere l’assistente del Comandante Supremo e approfitterò della situazione per controllarlo. Tu vai a sud e cerca di resistere e di vivere, tenendo per te quello che hai capito.”
“Tenente, non ha paura di stare così vicino a quell’uomo?” chiese, sorpreso da quelle parole così pratiche
La donna lo guardò e dopo qualche secondo sorrise
“Certo che ne ho, soldato. A dire il vero, non credo di essere mai stata così spaventata.” ammise tristemente lasciando trasparire dagli occhi castani la profonda angoscia che realmente provava.
Fury non seppe che dire. Si sentiva un idiota per la domanda che aveva fatto e ora cercava in tutti i modi parole per poterla consolare, sollevare da quella paura che doveva attanagliarle il cuore. Lei sapeva che sarebbe stata più sola rispetto a tutti loro.
Poi capì cosa poteva fare e si alzò.
“Si ricorda la notte precedente la mia prima missione? Quando ero terrorizzato all’idea di poter sparare a una persona?” chiese, portandosi accanto a lei
“Certo – annuì – eri così confuso. All’epoca eri appena diciottenne. Sei troppo grande perché io ti tenga ancora la mano, non credi?” sorrise
“Non era proprio questo che intendevo” ribattè Fury prendendole le mani e stringendole, come aveva fatto lei anni prima per tranquillizzare un ragazzo spaventato. Si era ricordato di come quel gesto gli aveva dato conforto e ora voleva cercare di trasmettere le medesime sensazioni alla donna che stava davanti a lui, consapevole prigioniera di nemici così potenti.
Per i primi istanti le mani del tenente restarono rigide nella sua stretta, ma poi si abbandonarono a quel contatto, così umano e così necessario. Come due bambini che al buio si stringono le mani per farsi coraggio e allontanare gli incubi della notte. Perché la consapevolezza di non essere soli nell’affrontare l’oscurità era forse il più grande conforto che potevano provare.
“E’ vero, ormai sono grande – disse timidamente – ed è giusto che sia il mio turno di dare conforto a lei, signora. Credo che, in determinate situazioni, non si sia mai troppo adulti per certi gesti.”
“Mio piccolo soldato…” sorrise il tenente
“Adesso devo proprio andare” dichiarò, ricambiando il sorriso e lasciando la presa con gentilezza.
“Buon viaggio – disse lei alzandosi dalla sedia e accompagnandolo verso la porta, seguita da Black Hayate – e promettimi di fare attenzione.”
“Lo farò, signora.”
La donna posò una mano sulla maniglia, ma poi la ritrasse e lo guardò
“Fury, tu non sei mai stato in un campo di battaglia…” iniziò
Il soldato ebbe un sospiro tremante mentre il pensiero di quello a cui andava incontro tornava a presentarsi. Involontariamente cercò lo sguardo del suo superiore, invocando un soccorso che tutti gli altri suoi compagni e il colonnello non gli avrebbero mai potuto dare.
Ci fu un attimo di esitazione. Poi la mano destra della donna salì ad accarezzare i capelli neri, non con il rude affetto di Breda o Havoc, ma con una delicatezza estrema, quasi avesse paura di fargli male.
“So che gli altri ti avranno sicuramente riempito di consigli e forse te ne dovrei dare anche io. – mormorò – Ma… proprio come tre anni fa, non posso preparati né proteggerti da quello che sarai costretto a vivere, e non puoi nemmeno immaginare quanto la cosa mi faccia sentire impotente”
Il soldato chiuse gli occhi, aggrappandosi a quelle carezze che cercavano di confortarlo per quanto lo aspettava
“E’ così orribile… come quando ho ucciso la prima volta?” si trovò a chiedere in un sussurrò
Lei non rispose, ma smise di accarezzargli i capelli, inducendolo ad aprire gli occhi
“Ti posso chiedere un enorme favore, mio piccolo soldato?” gli chiese alla fine
“Ma certo…” mormorò il ragazzo arrossendo
“Non lasciare che quello che sarai costretto a vivere ti distrugga, ti prego. – chiese, fissandolo con profonda, dolce, tristezza - Non permettere che l’orrore abbia la meglio su di te, Fury. Dimmi che lo farai.”
Il giovane resse quello sguardo, capendo che il tenente gli chiedeva qualcosa di più, rispetto agli altri suoi compagni: gli chiedeva di restare integro in una maniera molto più profonda. E forse era molto più difficile da fare, rispetto al sopravvivere fisicamente.
“Lo farò, signora – annuì solennemente dopo qualche secondo. E poi sorrise - E quando il colonnello avrà bisogno di noi… torneremo, tutti quanti. E la nostra squadra vincerà, come ha sempre fatto: tutti insieme.” dichiarò
“La nostra squadra insieme… sì, hai ragione” disse la donna
Gli occhi castani erano limpidi e non c’erano più la paura e l’angoscia che per qualche minuto li aveva oscurati. Con un tenero sorriso gli prese la testa tra le mani e depose un lieve bacio sulla fronte.
“Arrivederci, piccolo soldato. Tieni fede a quanto mi hai promesso” lo salutò lasciandolo andare
“Arrivederci, tenente” salutò Fury.

Uscendo dal palazzo e dirigendosi verso la stazione si sentì fiero di se stesso per essere riuscito a confortare la donna. Era sinceramente convinto che tutto quello che era stato detto in quella giornata di saluti avesse unito la squadra come non mai. Anche se erano lontani il loro legame non poteva spezzarsi: era questa la loro forza.
Poi pensò all’ultima richiesta del tenente: non permettere che l’orrore abbia la meglio su di te.
Sentì l’ansia percorrergli le vene: sapeva che la guerra era una cosa tremenda e che lui era sicuramente una delle persone meno indicate per stare in un campo di battaglia.
Ma era davvero capace di distruggere una persona?
Gli tornò in mente la prima volta che aveva ucciso: solo dopo quel gesto aveva saputo riconoscere negli occhi dei suoi compagni la ferita dell’anima che si sarebbero portati dietro per sempre. Adesso aveva paura di averne intravisto una ancora più profonda negli occhi del tenente… e l’idea di subirla lo spaventò come mai era successo in vita sua.
 
  
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