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Autore: Xereff    22/03/2013    0 recensioni
Dal capitolo Volter (quarta parte)
Il Grande Saggio fece un profondo sospiro, poi aggiunse: "Certo che è proprio come dicono le leggende, i Guardiani del Tempo sono esseri assolutamente fuori dalla concezione umana. Le loro azioni, anche quelle più piccole, possono veramente influenzare gli eventi. Loro sono assolutamente entità onniscienti. Sembrano conoscere in anticipo il risultato di tutte le loro singole azioni.
Non oso assolutamente immaginare cosa succederebbe se uno di loro decidesse di interferire nel corso della storia. Chi sarebbe mai in grado di fermarlo? Siamo fortunati che questi esseri leggendari compaiano solo per equilibrare i mondi e gli universi, ricacciando i demoni del piano della non-forma nella loro dimensione, e non per essere dominatori."
Ma questa non è una leggenda!
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con
Capitoli:
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Il sole cominciava a fare capolino oltre i tetti delle eleganti palazzine che si affacciavano sullapiazza del mercato. C'era molto fermento perché quel giorno sarebbe iniziata una sagra di un certo legume tipico della zona.
Volter era in procinto di partire, e comunque queste feste o fiere non gli erano mai interessate, perciò non dedicò alcuna attenzione alla piazza che velocemente stava prendendo vita.
Forse, se avesse saputo che il viaggio di ritorno a Vanter non sarebbe stato così scontato come immaginava, avrebbe speso qualche minuto a fissare nella mente quei momenti di vita della città che lo aveva visto diventare mago.


Il carro adibito a carrozza era fermo al margine della piazza e faceva parte di un gruppo di cinque. Erano tutti diretti a Deislar, la città libera, oasi di criminali e mercenari. Tutti i traffici leciti e illeciti tra le regioni del nord e quelle del sud passavano per due città-snodo principali, una ad ovest e l'altra ad est del grande Lago Dormossar. Deislar era la città dell'ovest.
Non era di per sé una città pericolosa, ma era noto a tutti coloro che cercavano un socio per un "lavoretto" ai danni di qualche povero sventurato, che a Deislar avrebbero trovato la persona giusta.


I cinque carri erano più o meno traboccanti di persone, oggetti e animali. Tutti insieme formavano la più assurda collezione di accostamenti casuali che Volter avesse mai visto.
Il suo carro, però, sembrava essere diverso da quei grovigli di "merci" eterogenee. Il suo era tranquillo, silenzioso e sobrio. Almeno all'esterno.
Volter scansò un lembo dello squarcio irregolare che fungeva da ingresso a quel tendone di canapa, e fece capolino in quello che per le prossime quattordici ore sarebbe stato il suo mondo.
Il carro era pressappoco vuoto, ma le poche cose che vi erano state introdotte lasciarono comunque di stucco il giovane mezzelfo.
All'intero di quel carrozzone, che avrebbe potuto trasportare comodamente dodici persone sedute una di fronte all'altra in due file dai sei, era stato caricato un elegante scrittoio. Lo scrittoio era munito di cassetti e di una mensola. A quel bello scrittoio così fuori luogo, era abbinato un comodo sgabello, sul quale stava seduto goffamente un uomo magro, ricurvo e allampanato.
Volter lo vedeva solo di spalle e se non fosse stato per i movimenti spasmodici delle sue braccia, lo avrebbe potuto scambiare facilmente per uno spaventapasseri vestito a festa.
"Buongiorno" disse Volter, per educazione. Come tutta risposta ottenne un categorico: "Shh."
L'uomo non si voltò nemmeno e rimase a scrivere freneticamente al suoscrittoio.
Volter salì sul carro e si accomodò ad un lato dell'ingresso, per restare il più lontano possibile dal suo compagno di viaggio.
Dopo meno di un ora la carovana partì alla volta di Deislar, tra gli scossoni e i dondolii di quel carro malandato. Quello strano individuo, però, sembrava non esserne affatto disturbato. Continuò a scrivere sul suo libro, come se fosse stato ancora nel salotto di casa sua.
Volter, che comunque non aveva mai amato intrattenersiin conversazioni banali e casuali con persone sconosciute, nonostante un primo imbarazzo dovuto da quella strana compagnia, era abbastanza soddisfatto del modo in cui stava procedendo quel viaggio.
In più la giornata era davvero incantevole e dallo squarcio nel telone poteva osservare tutto il paesaggio che lentamente scorreva accanto lui.
Le terre del nord, le terre in cui Volter era nato, erano umide nelle stagioni calde e asciutte nelle stagioni fredde. L’acqua non mancava mai e le colture erano sempre rigogliose nei pressi delle modeste cittadine che, come dei piccoli gioielli, arricchivano e coloravano quelle terre sempre verdi. I cicli delle due lune influenzavano positivamente la crescita delle piante ed i raccolti erano sempreabbondanti... almeno in tempi di pace. 


Le prime tre ore passarono, così, nella monotonia e nel silenzio finché, all'improvviso, il compagno di viaggio decise di fare una pausa.
Si alzò di scatto e si girò verso Volter.
L'uomo, in piedi, era alto almeno venti centimetri più di lui. La testa sfiorava il tendone. Aveva uno sguardo allucinato. I capelli in disordine, le sopracciglia molto folte e nere. La barba di un centimetro gli incorniciava la mascella triangolare.
- Se non fosse per l'occhialetto all'occhio sinistro, che gli da una parvenza di umanità, lo si potrebbe scambiare facilmente per un cane randagio vestito con degli abiti umani, così, solo per gioco. - pensò Volter.
"Da quanto siamo in viaggio?" chiese l'uomo, con un accento che Volter non aveva mai sentito. Il mezzelfo rimase a guardarlo senza dire una parola, sconvolto da quell'aspetto e da quella voce nasale irritante che completavano disgustosamente quella persona.
- Ma che cosa sei? - pensò dentro di sé Volter - Con quella faccia, quei vestiti e quella voce, irriteresti perfino il Grande Saggio. -
"Non-ca-pi-sci-la-mia-lin-gu-a?" chiese, questa volta scandendo lentamente, sillaba per sillaba, facendo sentire Volter un idiota.
"Sì, capisco perfettamente la vostra lingua. Mi stavo domandando se, invece, foste voi quello non in grado di discernere una mia qualsiasi risposta." rispose Volter seccato, senza distogliere lo sguardo da quell'individuo.
- Mi sta parlando senza alcun appellativo onorifico. Pensa forse di essermi superiore? - pensò fra sé e sé il mezzelfo.
L'uomo, in tutta risposta, scoppiò in una fastidiosa risata nasale.
- Mi sbagliavo! - pensò Volter - Non è un cane. È una iena! -
"Vi capisco benissimo, vostra grazia." disse l'uomo, accennando un inchino e cingendosi la pancia con la mano fulva, non prima di aver ricamato un goffo volteggio nell'aria. Dal tono di Volter, aveva inteso che il mezzelfo non aveva gradito quella domanda così improvvisa, priva di convenevoli.
"Sareste così cortese da indicarmi da quanto tempo siamo in viaggio?"
- Aveva ragione il vecchio obeso. Questo personaggio è strano, per non dire assurdo. - pensò Volter, limitandosi a rispondere un semplice: "Tre ore"
"Tre ore!" stridettel'uomo. "Devo mangiare subito!" sfregandosi le mani come una mosca.
"Tra un'ora dovremmo fare una sosta." disse Volter, facendo intendere, così, che se avesse aspettato avrebbe potuto mangiare all'aperto, senza sobbalzi e sbandamenti.
"Ah sì? Buon motivo per mangiare subito." disse l'uomo, cominciando a frugare in una grande borsa ai piedi del tavolo. Ne estrasse due libri e li mise accanto a quello già aperto sullo scrittoio. Poi tirò fuori un oggettoinsolito. Una grande ampolla di vetro di forma sferica, ma schiacciata sui poli. Sormontata da un largo coperchio di legno, incastonato nel vetro. Quell'assurdo recipiente conteneva una strana sostanza liquida rossastra.
In circostanze normali e in presenza di persone “normali”, Volter non avrebbe avuto nessuna reazione. Si sarebbe limitato ad osservare in silenzio. Ma la situazione era già abbastanza assurda di per sé: con quel tizio così inquietante, dai modi rozzi ma allo stesso tempo aristocratici, quello scrittoio nel carro e ora l'ampolla piena di liquido rosso; nella testa di Volter si materializzò solo una parola: - sangue? -
L'uomo notò l'espressione allibita del suo giovane compagno di viaggio e gli disse recitando in tono ossequioso: "Volete gradire?"
Volter balbettò un : "Che cos'è"?
"Marmellata di fragole e frutti selvatici del Bosco Perduto." rispose l'uomo con una vena d'orgoglio. Poi prese una piccola ciotola di ceramica con cui prelevò unapiccola dose di quella mistura rossa.
Con un solo lungo passo fu davanti al mezzelfo. "Volter" disse, tendendogli la mano sinistra. La mano che di solito solo i musicisti usano per salutare.
Volter restò a bocca aperta: - Come fa a sapere il mio nome? - pensò.
Volter allungò lentamente la sua mano sempre più sconvolto da quella situazione. Chi era quell'individuo che viaggiava portandosi in giro uno scrittoio per compagno e marmellata come cibo? Come faceva a sapere il suo nome?
L'uomo afferrò la mano di Volter e la strinse con entusiasmo.
"Sono Volter Dernahn di Dosmer e voi?” chiese l'inquietante signore,  scrutando il giovane mezzelfo come si farebbe in un circo con una bestia rara.
- Ma certo. - pensò Volter sarcastico, - Non può che essere così. Per completare questo quadretto dell'assurdo non poteva non avere che il mio stesso nome! -
Contraccambiò la stretta e rispose: "Anche il mio nome è Volter. Io vengo da Vanter."
"Davvero? Eh! Eh! Eh!" Il signor Volter rise nuovamente, mostrando i denti sporchi di marmellata rossa. “Che coincidenza!”
Volter accettò la scodella contenente quella sconosciuta mistura. L’odore era dolcissimo. Ne assaggiò un mezzo cucchiaio, sotto lo sguardo vigile del suo omonimo. Era dolce. Ma non semplicemente dolce come un frutto o un dolce di zucchero. Era disgustosamente dolce. La cosa più dolce che avesse mai assaggiato in vita sua.
“E’ dolce.” disse Volter nauseato.
“E’ la cosa più buona che esiste a questo mondo! E’ una ricetta degli elfi.” disse il signor Volter, divorandone un cucchiaio dopo l’altro.
Poi tornò al suo zaino, dando le spalle a Volter, che ne approfittò per lanciare quella poltiglia fuori dal carro.
L’uomo riprese a parlare continuando a dare le spalle a Volter. “La cosa bella di questa leccornia è che, essendo mezza densa e mezza liquida, non si sente il bisogno di bere. E’ davvero dissetante!”
Poi si voltò nuovamente verso il mezzelfo. Volter gli tese la ciotola vuota ed il cucchiaio.
“Ne volete ancora”? chiese l’uomo.
“No, grazie.” rispose Volter.
L’uomo afferrò ciotola e cucchiaio e li ripose nella grande borsa, non prima di averli puliti con un panno.
“Bene. Adesso torniamo al lavoro.” disse, facendo scrocchiare le nocche rumorosamente.
Volter, che fin da quando aveva adocchiato lo scrittoio e qui libri, stava morendo dalla curiosità di sapere che assurdità stesse scrivendo il suo compagno di viaggio, approfittò subito di quel momento di socialità per porre la tanto fatidica domanda: “Chiedo scusa, ma potrei sapere che cosa state scrivendo?”
L’uomo, di nuovo seduto al suo posto, rispose senza voltarsi: “Tutto.”
“Che cosa intendete dire con tutto?” chiese Volter, sempre più incuriosito.
L’uomo si voltò. Con un’espressione irritata, ripeté lentamente: “Tu-tto.”
Poi, notando l’espressione perplessa del giovane mezzelfo, girò lo sgabello verso di questi e congiungendo le punta delle dita una dopo l’altra cominciò a spiegare.
“Che cosa avete mangiato ieri a pranzo?”chiese con l’aria furba di chi sembra saperne una più del diavolo. In quel momento a Volter venne improvvisamente in mente il Grande Saggio alle prese con uno dei suoi trabocchetti intellettuali.
“Ieri ho mangiato una zuppa di legumi con del pane secco e della frutta.”
“Che cosa hai mangiato sette giorni fa per cena?” chiese il signor Volter.
“Non saprei...”
“Aha! Eccone un altro! Come fate a non ricordare le cose più importanti della vostra vita. Mangiare. Non è una delle cose più indispensabili che facciamo? Senza il cibo moriamo!! E se ti chiedessi a che ora hai espletato i tuoi bisogni corporali tre giorni fa.”
Volter rimase a bocca aperta. “Quindi voi scrivete tutte queste cose sui vostri libri?”
All'uomo brillavano gli occhi per la felicità. Quel mezzelfo lo stava seguendo nel ragionamento.
"Ma pensate un po', mio giovane Volter. Abbiamo tutti a disposizione una sola vita. Una sola, unica, affascinante vita. Ma il tempo ci è nemico. Non si ferma e non ci lascia spazio per vedere questo mondo abbastanza.
E poi bastano poche ore che... puff... non ricordiamo più nulla di questa preziosa cosa che è la vita! Che cosa abbiamo fatto ieri? E due mesi fa? Dove eravamo tre mesi fa? Io posso dirvelo. Ho scritto tutto!” Poi si alzò preso dal fervore delle sue argomentazioni.
"No! No! No! Io non posso permettere alla memoria di giocarmi degli scherzi. Io voglio ricordare tutto. Niente deve passare inosservato. Ci sarete anche voi sapete? Appena avrò sistemano le due scorse settimane... ci sarete anche voi."
Volter rimase in silenzio. In quell'accozzaglia di ragionamenti c'era qualcosa di vero. Lui era ancora relativamente giovane per avere problemi di memoria, ma aveva osservato i suoi vecchi maestri all'accademia e loro sì, che avevano problemi di memoria.
Anche lui sarebbe diventato così? Saggio ma smemorato? Fare esperienze ma non ricordarle... a cosa serviva?
Forse tutti avrebbero dovuto scriverela propria vita su dei libri, come il vecchio e allucinato signor Volter?
"Mio giovane compagno di viaggio. Tra dieci o quindici anni non ricorderai nemmeno questo momento. Io invece sì. Anzi, è meglio che mi rimetta a scrivere. Sono successe molte cose nelle ultime due settimane e devo tornare a documentarle subito. Tra un po' ci fermeremo, hai detto?"
Volter annuì.
“Bene. Le soste sono il momento migliore per scrivere. Non avete altre domande vero?”
Volter scosse la testa. Adesso capiva perché avesse voluto mangiare sul carro prima della sosta. C'era un barlume di saggezza nei suoi ragionamenti. Se non fosse stato per quell'aspetto e quei modi rozzi...
"Perfetto". Disse rigirando lo sgabello e cominciando a ripetere ad alta voce. Seconda luna: la Signora Sirvell ha avuto la diarrea..."
A quelle parole Volter sollevò un sopracciglio: "No, no. La prima impressione è quella che conta. È pazzo!"


Trascorsero le successive ore in silenzio. Volter, perso nelle sue recenti vicende, sentiva Vanter e la scuola di magia sempre più lontane. Ogni tanto delle spasmodiche fitte al cuore gli ricordavano il motivo di quella separazione improvvisa.
E in quei momenti si sentiva solo. Come mai lo era stato prima.
La carovana arrivò a destinazione senza molti problemi. Le strade in quel punto erano abbastanza sicure e per questo due mercenari di scorta erano più che sufficienti a far sentire protetti tutti i viaggiatori.
Arrivarono a Deislar prima di mezzanotte. Volter prese in affitto una stanza nella prima locanda che trovò. Era stanco morto. Mangiò qualcosa di leggero, e poi salì nella sua stanza per riposare.
La sua camera dava su una strada laterale. Era piccola e maleodorante, ma la stanchezza era troppa per far caso a certe cose. Aprì la finestra per far cambiare l'aria e la sua attenzione fu subito catturata da alcune voci in strada.
C'erano sette uomini. Due di loro erano molto grandi. Energumeni dalla testa pelata. Tre erano smilzi e, dal modo con cui gesticolavano con le mani e dalle risatine, sembravano sovra eccitati e fuori controllo. Un altro, che sembrava essere il capo, era un omone alto, muscoloso e con i capelli rasati solo ai lati, in modo da lasciare che una irta striscia di capelli gli attraversasse la testa da davanti a dietro come la cresta di un gallo.  A Volter ricordarono subito certi mercenari poco raccomandabili che aveva visto passare alla locanda del Falco Pellegrino quando era bambino. Uomini rozzi ed illetterati, che decidevano tutto con la forza.
"Per favore!" piagnucolò un ragazzo al centro di quel gruppo di energumeni.
"Per favore!" E a questa seconda supplica seguì uno scappellotto. A mano aperta. Sonoro. Volter, d'istinto, si nascose all'interno della camera. Dove era sicuro di non essere visto.
"I patti sono patti. Se avessi rispettato gli accordi adesso non saresti in questa situazione."
disse l'uomo crestato.
"Ma io... io... Non posso darveli adesso! Un altro paio di giorni per favore!" piagnucolò il ragazzo.
L'uomo crestato si fece largo nel cerchio e si chinò sul ragazzo.
"Non vorrai mica che torniamo dal Signor Lugs a mani vuote, non è vero?"
"Ma io non so a chi... Come..."
L'uomo si mise dritto nuovamente. Voltò le spalle e rivolgendosi con un cenno del capo a i suoi uomini, ordinò loro: "Spogliatelo."
"Che co... co... cosa?" balbettò il ragazzo terrorizzato.
"Quegli stracci che hai ti serviranno da acconto." disse il crestato con la sua voce profonda. Poi aggiunse: "Te l'ho detto, no? Non posso mica tornare a mani vuote? E ringrazia la buona sorte che insieme ai vestiti non portiamo via con noi anche qualcos'altro. E voi, cosa state aspettando? Spogliatelo, ho detto!"
In un secondo i cinque uomini furono sul povero ragazzo, che si dimenava inutilmente tra le braccia di quegli uomini. E tra le risate e i ghigni, gli portarono via tutto: casacca, pantaloni, stivali. Lasciandolo lì in strada, nudo con un verme.
Volter, che fino a quel momento aveva assistito passivamente alla scena, fece un passo indietro, poi un altro. Rimase in silenzio e in ascolto. Dopo alcuni istanti in cui percepì chiaramente le risate e le voci di quegli uomini che si allontanavano, fece un sospiro di sollievo: - Finalmente silenzio. - pensò.
Si tolse il mantello da viaggio e lo mise sul letto. Poi si sedette e si stava per sfilare il primo stivale quando sentì che c'era qualcosa che si muoveva fuori dalla sua finestra. Guardò meglio e vide che c'era qualcuno che si muoveva davanti la sua finestra, lì al primo piano.
"Chi c'è?" chiese irritato.
"Signore, per favore, non avreste un sacco o qualcosa di simile da darmi?" bisbigliò quella figura.
Volter capì subito che si trattava del ragazzo della strada. Evidentemente aveva visto la finestra aperta al primo piano e si era arrampicato in cerca di riparo.
"No." rispose secco il mezzelfo.
Volter era notoriamente schivo e asociale, e questi suoi lati diventavano dieci volte più accentuati quando era stanco.
"Per favore" continuò il ragazzo scavalcando la finestra e intrufolandosi nella camera "Sono nudo. Non so come tornare a casa. Per favore, non avreste un mantello da prestarmi?" Il mantello di Volter era proprio lì sul letto.
Volter si alzò in piedi e senza dire una parola andò dall'altra parte del letto. Sollevò il mantello. Tolse da sotto di questo una piccola borsa da cintura. La aprì e frugò al suo interno per qualche secondo, sotto lo sguardo speranzoso del suo ospite indesiderato. Ne estrasse alcune minutaglie.
Il ragazzo in cuor suo già immaginava alcune monete di bronzo.
Volter lanciò verso quel ragazzo quelli che in realtà altro non erano che petali.
Sotto voce e con calma Volter cominciò a recitare una formula magica. Dreamus. Incantesimo del sonno. I petali si polverizzarono creando una nuvola densa.
Il ragazzo cadde a terra in un secondo.
Volter alzò il sopracciglio con disprezzo.
Si rimise il mantello, prese le borse e fece per uscire dalla stanza. Poi mosso a “compassione” tornò indietro sollevò la coperta polverosa e la lanciò sul povero ragazzo che ronfava sul pavimento.
Lasciò la stanza, scese al piano inferiore e chiese al taverniere di cambiare stanza. Pagò una piccola differenza e ottenne una stanza al terzo piano. La più silenziosa.

Durante la notte, Volter, si svegliò molte volte e molte volte ricadde in un sonno profondo e tormentato.
Si destò definitivamente verso l'ora di pranzo in condizioni pietose. Era di nuovo lì, su quel baratro di debolezze e ansie in cui si era ritrovato giorni prima quando aveva “letto” la pergamena con il Reaser. Era privo di forze, debole e febbricitante. E questa volta era solo. Veramente solo.
Fu colto dalla disperazione. Si alzò  a fatica dal letto e si portò tremolante allo scrittoio. Si sedette di peso e dopo aver raccolto nuovamente le forze, aprì la borsa.
Tra un ansimo e l'altro ne tirò fuori il proprio libro di magia, poi il tomo che il Grande Saggio gli aveva dato come regalo per il Sommo Gilean, e poi una scatola di legno. Lunga e raffinata. La aprì e vide che tutte e sei le ampolle di vetro che conteneva, erano integre.
Ne prese una. Quella più scarlatta. La stappò e ne bevve un sorso. In pochi secondi cominciò a sentirsi decisamente meglio. L'esperimento era riuscito. Una pozione di guarigione, nata allo scopo di rimarginare le ferite in battaglia, lo aveva curato da quella febbre improvvisa.
- Non sapevo avessero un campo di effetto esteso anche alle influenze.  Il maestro Mehan è davvero incomparabile quando prepara queste misture. - pensò.
Adesso che la ragione stava tornando, piano piano, decise che la cosa migliore da fare fosse mangiare qualcosa di sostanzioso.
Decise di scendere nella taverna e si alzò dalla sedia. Ma una vertigine improvvisa lo rimise a sedere con forza. Piombò di peso sulla sedia, scaraventando a terra libri e ampolle. Queste ultime andarono inesorabilmente in frantumi sotto il peso dei due tomi. Il loro prezioso contenutosi spruzzòqua e là sul pavimento.
Volter, conscio di essere la causa del suo stesso male, decise di sfogare la sua rabbia per quello stupido errore, su un qualche capro espiatorio. Riconobbe come vero artefice di quello scempio il suo libro di magia. Stupido tomo nero che con il suo peso aveva distrutto le piccole pozioni magiche. Lo prese a calci, scaraventandolo di qualche passo lontano da sé.
Poi, preso dal rimorso, si alzò e lo raccolse da terra. La pergamena magica del Guardiano del Tempo faceva capolino tra le pagine del libro. Volter respirando a fatica per gli sforzi appena affrontati, appoggiò il tutto, libro e pergamena sullo scrittoio.
Non aveva voglia di mettere in ordine ora, e lasciò tutto così.
Tornò a letto. Si mise sotto le coperte consumate e rimase così. Sconfitto. La voglia di mangiare gli era completamente passata.
Voleva solo riaddormentarsi ma, anche sforzandosi, non ci riusciva. Nella sua testa ronzava qualcosa.
C'era un suono, un sibilo dentro di lui. O forse era fuori? Non riusciva capirlo con chiarezza. Era lì, nella sua stanza. Qualcosa sussurrava. Bisbigliava. Qualcosa o qualcuno parlava. Velocemente e senza sosta.
Un brivido di paura lo scosse, risvegliandolo completamente.
Sì, non sbagliava. La sentiva più chiaramente ora. Una voce in sottofondo. Si coprì con la coperta fin sopra la testa. Ma la sentiva ancora. Era inquietante ed estenuante. Non calava di intensità nemmeno per un breve istante.
- Sto impazzendo! – pensò, mentre quella voce, quei sospiri incalzavano. Più cercava di non sentirli e più gli entravano dentro. Era... Era una donna. Sì, quei sospiri, quei sussurri. Erano di una donna.
Volter riemerse da sottola sua barriera vulnerabile, fatta di lana infeltrita. Adesso lo sentiva nitidamente. La voce proveniva dalla pergamena che, come una lama rilucente, trafiggeva il suo libro di magia di traverso.

"...questa non è una leggenda. Non è una leggenda! Non è... Non è...

Scriverne è assolutamente proibito... proibito... assolutamente... perché le parole... fonte di magia.

Non è una leggenda... Le parole... Le parole...
Sono ormai passati quindici anni... quindici anni...  E ormai anch'io sto dimenticando... Quindici anni... Sto dimenticando...scrivere la verità...
... La verità..."

"Basta! Sta zitta!" gridò Volter, “Esci dalla mia testa!" Si alzò, prese il libro di magia con dentro la pergamena. "Sei tu! Sei tu che mi hai ridotto così!" Lo aprì e la voce cominciò a martellargli nella testa. Le stesse inquietanti parole. Atone, confusionali e pressanti.
La pergamena era lì davanti a lui. Rilucente. E le parole erano nell'aria. Nella sua stanza. Nella sua testa.
Volter prese in mano la pergamena e cominciò a leggerla ad alta voce, sovrastando, con la forza della disperazione, le parole che venivano dalla pergamena stessa. Poi ad un tratto le sue parole e quelle di quella donna si sincronizzarono, creando un effetto assolutamente sinistro. Volter cominciò a sudare freddo. La fronte bagnata. Il cuore batteva così forte e veloce da sembrare un orologio meccanico impazzito.
Quando fu arrivato a metà, si accorse che adesso nell'aria era rimasta solo la sua voce. Nessuna voce esterna ed eterea lo accompagnava più in quella folle lettura.
La pergamena non riluceva più.
Volter smise di leggere. Ansimava per lo sforzo, per la foga con cui aveva letto quella maledetta pagina.
"Devo risolvere questa situazione il piùin fretta possibile o... diventerò pazzo veramente." si disse. E in quel preciso istante sentì le braccia, che fino ad allora erano state solo pesanti protuberanza da portare in giro con sé, prendere forza. La sua postura cambiò. Le gambe non erano più pesanti. Le forze piano piano gli stavano tornando. Anche il respiro si normalizzò.
E allora comprese e quando comprese si sentì ancora più forte. C'era un legame tra lui, i suoi pensieri e quel foglio di carta. "Ogni volta che distolgo per troppo tempo la mia attenzione da questa pergamena il mio corpo ne risente fisicamente. “Chi sei? Chi c'è dietro questa pagina?" disse ad alta voce, e proprio in quel momento uno spasmo al cuore lo costrinse a rimettersi seduto sul letto. La stanza girava e sentiva un groppo alla gola. "E' questo dunque. Se mi distraggo dalla pergamena è il mio corpo a stare male, ma se mi concentro troppo su di essa è il mio spirito a risentirne. La pergamena... è lei. E' la sua maledizione!" Si alzò e fece ciò che aveva fatto sempre negli ultimi giorni per lenire l'ansia. Aprì la finestra e guardò il cielo pomeridiano. Quell'immensità lo calmava sempre.
"Non posso non pensarci, ma non posso pensarci troppo. Come posso fare?" chiese a quella tranquillità azzurra. Poi un ricordo, un nome, un viso sinistro e un sapore dolce gli attraversarono la mente. "Ma certo! È l'unica possibilità."
"Adesso tutto torna. Le parole della pergamena. Il loro contenuto. Sono per me! Devo fare come c'è scritto senza cercare di capire quello che c'è scritto." Volter si vestì in fretta. Prese solo la piccola borsa da cintura. Lasciò tutto il resto com'era. Uscì e chiuse la porta a chiave, ma poi lentamente, con dolcezza, appoggiò la fronte ad essa. L'ultima porta sui cui aveva appoggiato la testa era stata quella del Grande Saggio, prima di svenire. Un sorriso gli illuminò il volto. "Sì. Lo sento chiaramente. Questa è la strada giusta. Grande Saggio, se voi foste qui, sareste fiero di me."
L'immagine del suo vecchio maestro gli riportò alla memoria, per qualche secondo, la scuola di Vanter e il suo mentore che gli diceva "Devi avere pazienza"
"Sì, Grande Saggio. Questa volta avrò pazienza"
Scese al piano terra, cercando di restare più calmo possibile. Divorò un grande tozzo di pane duro con un terribile brodo di pollo, che però a lui sembrò una leccornia degna della mensa di un re.
Uscì dalla taverna e una volta fuori realizzò che non era più a Vanter. Era a Deislar adesso. Quindi per muoversi in quella cittadina aveva bisogno di aiuto.
A Deislar, città libera, si poteva trovare veramente di tutto. Mercanti e viandanti portavano con loro di tutto e compravano di tutto. Era un mercato ottimo per ogni sorta di oggetto: dai frutti più disparati alle diavolerie meccaniche degli gnomi. Ma a Volter tutto ciò non interessava. Lui aveva un solo obbiettivo.
Si fece indicare da una signora che vendeva cianfrusaglie, il libraio più vicino.
Lo trovò subito. L'unico nella cittadina. Comprò un breviario da viaggio semplice. Pagò quell'ometto silenzioso, che probabilmente aveva più di settant'anni ma ne dimostrava almeno il doppio, e ritornò in camera sua.


Si mise allo scrittoio. Si sentiva ridicolo. Si immaginava tra dieci anni anche lui curvo, con l'occhialetto, a divorare sbobbe disgustose.
"Se non posso parlarne, l'unico modo che ho per focalizzare i miei pensieri è scriverli."
Cominciò a solcare quei fogli immacolati, scrivendo di sé, dell'Accademia di Magia e dei suoi insegnanti. Mise in ordine con calma e passione la sua vita, dall'arrivo all'accademia fino al momento in cui ricevette la pagina magica.
La descrisse tralasciandone il contenuto: "Troppo noioso da riscrivere", e alla fine scrisse del suo viaggio per Tarsia.
Appena la sua penna tracciò il nome della città, un altro prodigio accadde.
La pergamena magica, la fonte dei suoi problemi, emanò un piccolo leggero luccichio. Appena percettibile. E poi divenne sempre più trasparente, fino a che fu impossibile vederla.
"E' scomparsa!" Volter rimase sconvolto. La pergamena era scomparsa. Dissolta. Toccò il libro su cui era poggiata alcuni istanti prima, ma niente. Come se non fosse mai esistita. La pergamena affidata al suo mastro da un Guardiano del Tempo delle leggende, la pergamena che solo lui poteva leggere senza ausilio di magie, la pergamena che lo aveva tormentato e costretto al letto più di una volta, che lo aveva portato a cominciare quel viaggio improvviso, quella pergamena era sparita.
Ma non era solo questo.
Dentro di sé qualcosa aveva cominciato a muoversi. Come il sangue che ritorna nei suoi vasi e capillari dopo un'interruzione del suo flusso, così qualcosa dentro si lui si era sbloccato. Risvegliato. E lui conosceva bene quella sensazione. Era magia. La linfa vitale della magia. Era di nuovo in lui, con nuovo vigore e nuova forza. La magia lo stava percorrendo come mai prima d'ora.  E Volter era felice, estasiato da quella sensazione di potere.
"Sì. È questo. È proprio questo, ciò che stavo cercando! Questa è la vera forza, Grande Saggio." La morsa che attanagliava il suo cuore si dissolse. Quella sensazione di ansia scomparve.
"Le parole possono essere fonte di magia. Il tempo può intaccare i ricordi ma le parole scritte restano. È questo che volevi insegnarmi? Va bene! Ho capito la lezione. Scriverò. Scriverò per te." disse ad alta voce. "E adesso? La pergamena non c'è più. Cosa devo fa...?" In quell'istante la sua mente volò alla busta. Prese il suo libro. Lo sfogliò velocemente fino all'ultima pagina.
La busta era lì. Tirò un sospiro di sollievo. Se fosse sparita anche quella, che cosa avrebbe fatto?
- Ha detto che potevo aprirla solo dopo aver compreso il vero significato della pergamena. - pensò, e un sorriso di piena soddisfazione gli si incise sul viso.
Aprì la busta con il coltello da viaggio e ne estrasse un foglio di carta bianco. Al centro di questo, una sola parola "Aislynn".

(continua altrove...)

  
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