Anime & Manga > Full Metal Alchemist
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Autore: boll11    09/10/2007    3 recensioni
Raccolta di sette brevi one shot.
1) La notte prima del trasferimento a Central, sotto la luce impietosa del neon, in un locale anonimo dell'Est...
2) Quando qualcuno nasce sfortunato, è inutile cercare di cambiare le cose. Bisogna solo saper stringere tra i denti una sigaretta...
3) Quella sera avevo cominciato a costruire questo muro tra me e l’amore che provo per lui.
4) Fissando lo sguardo a un brutto soffitto si possono prendere decisioni che segnano una svolta. O almeno tentano.
5) Ho sperato che le parole che ha detto una volta che m’ha issato in macchina sarebbero state le ultime.“Puoi dormire mentre guido.”
6) L’aspro del fumo mi invade le narici e mi penetra nella pelle come un cancro.
7) Forse è questo che mi impedisce di dormire, il mio nome sussurrato come una maledizione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Havoc, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note: Ho cambiato font e ne vado fiera! XD (so che non è una nota fondamentale ma sono così innamorata di questo font!)
Allora, torniamo seri. Questa one shot fa parte di una raccolta ispiarata dai prompt scelti su Syllables of time.
La coppia è la mia, la Roy/Jean.
Le storie saranno collegate tra loro ma indipendenti e gli eventi spazieranno in un arco di tempo che ancora non ho definito.
Non ho altro di particolare da dire se non "buona lettura".
Ah! Due cose dimenticavo: un grazie alla mia beta Mary (sempre preziosa ma questa volta anche eroica!) e il link alla tabella (ci fosse qualcuno a cui interessa, magari. XD)

 

TIME HAS TOLD ME *

 

Not to ask for more
(Prompt 1 - Luce artificiale)

Quando apro la porta della locanda un getto di fumo e calore mi fa sobbalzare.
La luce violenta si disegna in terra in un riquadro bianco sulla strada scura.
Pochi avventori a quest’ora.
Gente silenziosa, noi bevitori.
Solo un borbottio dimesso e un tintinnare di bicchieri.
Le lampade al neon sfrigolano contro le pareti: sbatto velocemente gli occhi, infastidito dalla luce brutale.
Havoc è seduto ad un tavolo sulla sinistra.
Di fronte a lui c’è una serie spropositata di boccali vuoti con tracce di schiuma ad imbiancare il vetro.
Mi avvicino a lui: senza dire una parola, scosto una sedia e mi ci lascio cadere.
Sono sfinito.
Havoc non alza il viso.
Gli vedo solo le ciocche chiare della frangia.
Non si muove. Stringe i polpastrelli sul boccale tanto da sbiancare le nocche.
“Cosa vuole, Colonnello?”, mi chiede con la voce impastata.
“Bere”, rispondo e gli slaccio le dita dal bicchiere. “Tu l’hai fatto abbastanza”.
Non risponde. Mi cede il boccale facilmente e mentre lo porto alle labbra rimane inerte, il capo chino.
“Ti distrugge così tanto lasciarla?”, gli chiedo leggero.
Lo scatto della testa a fissarmi mi permette di vedergli il viso.
Nella luce troppo bianca il volto sudato sembra come fatto di cera.
“Non è così semplice”, mi dice e non c’è nulla di piacevole nel suo viso chiuso e innaturalmente chiaro.
“No, non lo è”, gli rispondo continuando a bere.
La birra è ormai calda, e non c’è niente di peggio di una birra calda.
Con un cenno ne chiedo un’altra.
“Mi servi”, gli dico duro.
Non ho voglia di psicanalizzarlo né di sondare quello che ho sepolto io.
La via è segnata, finalmente.
“Lo so”, borbotta lui ripiegando il viso con gesto stanco.
Bevo in silenzio per alcuni minuti.
Si sente solo il ronzio ipnotico del neon che spande la luce rendendo ogni cosa la brutta copia di se stessa.
“Quello che mi fa infuriare”, biascica debolmente “è che ero sulla buona strada per dimenticarti”.
Lo guardo, ma continua a tenere il viso basso.
“Davvero?”, dico ironico.
Stavolta mi fissa e il colorito della pelle non sembra più bianco, ma di un verdognolo malsano.
“Non lo credi possibile?”, sussurra furente. “Certo… Come si può dimenticare il magnifico Colonnello Mustang?”
Rido di cuore.
So che la sua collera è solo un fuoco di paglia.
Non è capace di tenere il broncio a lungo. Troppa fatica.
Infatti smette di blaterare. Mi guarda un secondo con un’espressione che non so decifrare.
Potrebbe essere odio, ma so che Jean non mi odia.
Trattengo a stento le risate che sembrano finte, alla fine, come questa luce.
“Te ne troverai un’altra a Central”, affermo serio.
Non mi aspetto una sua replica.
Sto cominciando a rilassarmi.
Un altro cenno, un altro boccale.
“Arriverà il momento che non ti servirò più…”, bisbiglia lui assorto e dopo aver drizzato le spalle con uno scatto fa cenno all’oste.
“No”, gli rispondo, anche se non chiedeva replica. “Non arriverà”.
Mi sorride freddo poi manda giù la birra.
Quando poggia il boccale non ne rimane che un dito.
Rutta e ride senza un motivo apparente, poi cerca di alzarsi facendo forza con le mani sul tavolo.
Ricasca più volte a sedere prima di rimanere traballante in piedi a fare il saluto militare più merdoso che io ricordi.
“Agli ordini, Colonnello”, dice. “Sempre.”
Si volta con una piroetta che ha una sua eleganza e si dirige in un folle zig zag verso la porta.
Quasi riesce a varcarla, ma alla fine crolla miseramente con la mano aggrappata al pomello.
Non mi affretto a raggiungerlo.
Finisco con calma il mio boccale e solo ad un’occhiata seccata del taverniere mi alzo.
Dalla porta semiaperta entra uno spiffero gelato che dà noia.
Mi accuccio accanto ad Havoc con un sospiro.
Lo afferro malamente per la vita e lo sollevo di peso.
“Sono solo inciampato”, borbotta lui.
“Certo”, gli dico e manca poco che sbotti in una risata isterica. “Non pensavo avessi l’animo così melodrammatico, Jean”, gli bisbiglio poi all’orecchio.
Lui si aggrappa a me passandomi un braccio sulla spalla e sorride.
“Già… neanch’io.”
Sospira ed estrae dalla tasca un vecchio portafogli da dove pesca qualche banconota che tende dietro di se a nessuno in particolare.
Solo che l’oste è svelto a prenderle.
Poi mi guarda e qualcosa sul mio viso deve farlo infuriare perché si stacca da me spintonandomi e rimane accasciato contro lo stipite della porta qualche secondo prima di raddrizzarsi.
“Sa che c’è? Non è ancora così tardi, in fondo. Penso che rimarrò ancora un po’.”
Scuoto la testa con sopportazione.
“Fa’ come vuoi. A me basta che domani tu salga sul treno per Central.”
“Ci sarò.”
Parla lentamente, scandendo le parole che comunque gli escono fuori affastellate e monche.
“Solo il bicchiere della staffa. Possibilmente solo, Colonnello.”
Il neon gli imbianca i capelli e il viso rendendolo grottesco.
Come il sorriso che gli si allarga in una smorfia.
“Dio solo sa perché mi sono innamorato di lei”, mi bisbiglia dopo aver fatto un cenno all’oste che indifferente spilla birra in un boccale da un litro.
Deve esserci un gesto particolare per richiederlo. Io ho sempre ricevuto quello da mezzo litro.
“Ma è così.”, continua. “Non mi faccio mai troppe domande, io. Neppure quando lei ha deciso che la nostra storia non meritava neanche un secondo di più. Io seguo gli ordini come un bravo soldatino. Questo sono”.
Il taverniere gli porge il boccale stracolmo e lui lo arraffa senza degnarlo di uno sguardo.
“Ma ci sono momenti in cui mi chiedo il perché. Non che mi aspetti una risposta, ma non posso fare a meno di pensarci, a certe cose…”.
Alza gli occhi a fissarmi al di sopra della schiuma bianca e tende ancora le labbra in quel sorriso strano.
“Ecco, in questi momenti non sento particolare bisogno di averla tra i piedi a ricordarmi che lei è un mio superiore e che le sue parole sono legge. Sono momenti in cui mi viene l’irrefrenabile desiderio di strapparle la lingua e di cancellarle quell’espressione superba a suon di pugni.”
Si sorregge alla parete e mi volta le spalle, il boccale inclinato quasi a versare il contenuto in terra.
“Ci vediamo domani, Colonnello”, mi dice mentre torna a sedersi al tavolo.

Ancora sorrido mentre affronto la strada di casa, bene avvolto nel bozzolo confortante dell’oscurità.

 

* Il titolo della raccolta e di ogni prompt è ripreso dalla bellissima canzone di Nick Drake “Time has told me”

  
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