Capitolo 5 – 18 years… and
then?
Sei
mesi dopo.
«Sasuke,
manca una settimana al tuo diciottesimo compleanno», fece
notare Itachi mentre
preparava il pranzo.
«Mh, e con ciò?»
«Cosa vuoi fare?»
«Mmm… vediamo un po’», finse
di riflettere Sasuke, alzandosi e avvicinandosi al
fratello; gli cinse con le braccia i fianchi e posò la
fronte dietro la sua
nuca dopo averla baciata e accarezzata, «magari stare con
te… E fare l’amore
ancora, ancora e ancora…», così
dicendo, gli morse il lobo e mimò un ansito
sulla pelle del ventitrenne.
«Carina come idea…»
«Mh… Hai fame, Itachi?»
«Mica così tanta…»,
sussurrò, «Potrei volentieri farne a
meno…»
Sasuke lo spostò dai fornelli e, poggiando le proprie spalle
al muro, lo
avvicinò a sé per baciarlo.
«Peccato che tu abbia bisogno di mangiare e di diventare
bello, grande e grosso…
Rawr!», il fratello mimò il verso di un dinosauro
e, dopo averlo baciato per
farsi perdonare, tornò ai fornelli.
«Stronzo», sibilò il minore, una voglia
matta di strozzarlo che si impossessava
di lui… o forse di fare qualche strano giochino e sentirlo
supplicare di
smetterla…
«Ah, ma che diavolo vado a pensare!», si
schiaffeggiò mentalmente, poi tornò a
sedersi e guardare la televisione.
«Otouto», lo chiamò Itachi, posando sul
tavolo le pietanze ed accomodandosi di
fronte a lui, «sono certo che me lo diresti se accadesse,
ma… Hai più rivisto
Madara dopo quella volta sei mesi fa?»
«No, Itachi, non l’ho più
rivisto», affermò il più piccolo,
boccheggiando, «ma
meglio così».
«Infatti».
**
«Sasuke!»
«Che cosa ti manca, dobe?»
«Domani compi diciotto anni! Stai invecchiando,
neh?!»
«Mh», sbuffò l’Uchiha,
«ma perché siete tutti così felici?
Solo perché compio
diciotto anni?»
«Non si fanno tutti i giorni i diciotto!»
«Se è per questo compi una sola volta tutte le
età, usuratonkachi», gli fece
notare il neo-diciottenne.
«Ma i diciotto sono i più importanti! Da domani
sei maggiorenne!»
«Non vedo ragioni per essere così iperattivo,
dobe».
«Festeggiamo!»
«Scherzi, vero?»
«No, domani si festeggia», disse convinto il biondo.
«Mi spiace, ho già da fare domani».
«Ah… Ho trovato!»,
s’illuminò Naruto, «Disdici,
è semplice!»
«Dici cose strane».
«E dai!»
«No. E concludiamo questo discorso».
«Ma…»
«Niente ma», ordinò perentorio Sasuke,
facendo tacere dispiaciuto il compagno.
**
«Sicuro di non voler organizzare nulla, otouto?»,
si rassicurò Itachi, mentre
spegneva la luce della propria stanza e si apprestava a distendersi
accanto al
corpo seminudo del fratello.
«Sì», rispose l’ormai
diciottenne Sasuke, «voglio stare con te».
«Naruto ci è rimasto male, sai?»
«Prego?»
«È venuto qui perché voleva che ti
convincessi ad organizzare qualcosa con
tutti i tuoi compagni; vuole davvero che tu sia felice,
Sasuke».
«Lo so, Itachi, lo so bene. Ma voglio stare solo con
te», ribadì il concetto
facendo stendere il fratello e sedendosi a cavalcioni su di lui.
Il ventitreenne si voltò verso la sveglia poggiata sul
proprio comodino:
segnava le 00.00.
«Buon diciottesimo compleanno, otouto».
**
«Buongiorno,
Sasuke», cantilenò Itachi, in piedi a fianco al
letto dove suo fratello era
stravaccato e dormiva con la bocca dischiusa. Era già la
seconda volta che
tentava di svegliarlo e il fratellino non ne voleva sapere di alzarsi.
«Ti ho
portato la colazione…»
«Mh».
Sospirando intenerito, il maggiore posò il vassoio sul
comò lì vicino e si
sedette accanto al fratello, prendendogli la mano diafana tra le sue
eburnee e
poi, dolcemente, la baciò.
«Sono già arrivati questi
maledetti…», mormorò, «Mi
dispiace, otouto…»
Trascorse una manciata di minuti, prima che Itachi si ridestasse da
quello
strano stato in cui era caduto, perso nei propri pensieri e nei ricordi
di ogni
attimo trascorso con Sasuke; improvvisamente pareva che il tempo fosse
propenso
a passare in maniera rapida e che diciotto anni fossero passati in un
batter
d’occhio. Aveva trascorso gli ultimi dieci anni della sua
vita godendosi ogni
istante, tenendo sempre impresse nel cuore e nella mente le parole dei
suoi
genitori, la loro premura nei suoi confronti e in quelli del suo
otouto,
l’amore e la paura, il timore di lasciarlo solo a
fronteggiare qualcosa di gran
lunga più enorme di lui.
Deglutendo a fatica e scuotendo la testa, nel tentativo di riaversi
prima che
il neo-diciottenne aprisse gli occhi, Itachi si alzò e
stiracchiò, riprese il
vassoio tra le mani e ritentò: «Sasuke, svegliati,
c’è la colazione».
Un mugolio contrariato: «Lasciami dormire, Itachi!»
«È l’ultimo avvertimento, Sasuke:
svegliati».
«No! Voglio dormire! È il mio compleanno e decido io
cosa fare d’ora in
poi!»
«Io ti avevo avvisato», sentenziò
l’Uchiha più grande, posando nuovamente il
vassoio e alzando di peso il fratello, che era tornato amabilmente a
ronfare.
Aperta la porta del bagno, Itachi la richiuse a chiave, così
che Sasuke non
avesse opportunità di scappare; e per essere sicuro al
massimo che l’avrebbe
tenuto lì finché fosse stato necessario, tolse la
chiave della serratura e la
mise nella propria tasca. Aprì l’anta della
cabina-doccia e appoggiò Sasuke al
muro. Girò la manopola dell’acqua da fredda a
tiepida, proprio per non
ammazzarlo, poi aprì l’acqua che
schizzò sul corpo del fratello.
«ARGH! Itachi, ma sei impazzito!»,
ringhiò il minore scrollandosi il nii-san di
dosso, guardandosi attorno e scoprendosi nudo, nella doccia, il
fratello a
torso nudo e un inspiegabilmente fastidioso durello mattutino a
tenergli
cortesemente compagnia. Non aveva mai odiato tanto quanto quella
mattina il suo
corpo.
«Era proprio necessario?!», strigliò
stizzito, parendo isterico a causa
dell’imbarazzo e tentò di coprirsi i gioielli di
famiglia, arrossendo di
vergogna ancor di più quando constatò che
voltandosi, il maggiore aveva una
libera vista del suo posteriore.
«Sì, Sasuke, lo era. Non volevi svegliarti ed
è necessario che tu stia sveglio,
oggi».
«Certo, vuoi ribadire ancora che è il mio fottutissimo
diciottesimo compleanno e che è un giorno importante e
speciale che non posso
assolutamente perdermi, per nessuna ragione al mondo?»,
recitò inviperito,
scuotendo il capo e approfittando di essere già nella doccia
per lavarsi.
Ripensando alla sera precedente, d’altronde,
appurò che ci fosse proprio
bisogno di sciacquarsi; le gote gli s’imporporarono al
pensiero e si trovò a sorridere
con tenerezza, mordicchiarsi il labbro inferiore e una voglia matta di
perdonare il fratello si spaziò dentro sé.
«Non è per quello», disse
frettolosamente il ventitreenne, voltandosi di spalle
e pentendosi quasi di aver preso quella maledetta decisione; ma andava
fatto e
lui ne era consapevole.
«E per cosa, allora?»
«Finisci di docciarti e poi ne parliamo», Itachi
tentò di temporeggiare, nella
speranza che almeno quella volta il fratellino semplicemente lo
ascoltasse e
tacesse; desiderio esaudito, visto che il più piccolo
scrollò le spalle e
sibilò: «Come vuoi».
«Bene».
«Mi daresti una mano a lavarmi la schiena, Itachi?»,
chiese in sussurro malizioso il più piccolo; il
più grande sorrise
malinconicamente e, tentando per la prima volta invano di nascondere
quella
maledetta paura e la tremenda tristezza, si avvicinò al
fratello, proferendo:
«Passami il bagnoschiuma».
Detto, fatto.
Itachi spremette la boccetta e poi insaponò la schiena del
fratello, beandosi
di ogni tocco e della sua pelle d’avorio; gli sarebbe
mancata. Da morire.
Sorrise a quell’ultimo pensiero e quasi in automatico si
chinò a leccare la
nuca del fratello, succhiarla, baciarla, poi avvicinarsi ai lembi di
collo e
mordicchiarli e succhiarli ancora, imprimendo per l’ultima
volta segni che gli
sarebbero rimasti per poco tempo; troppo poco, specialmente per i gusti
del
fratello.
«Itachi…», bisbigliò Sasuke,
portando una mano dietro al collo del fratello e
inumidendogli in parte i capelli; poi si voltò e fece per
trascinare nella
cabina anche il maggiore, ma quest’ultimo scosse il capo e si
limitò a
baciarlo.
«Vieni qui…», lo pregò, ma di
nuovo il più grande rifiutò il suo invito e fece
per indietreggiare, ma la mano nivea del diciottenne trattenne la sua e
l’accarezzò, la strinse e gli trasmise tutto il
desiderio che provava nel
sentire la sua pelle a
contatto con la
propria.
«Ti prego…»
«Dannazione…», mormorò
Itachi, prima di accontentarlo.
«Dobbiamo
farlo più spesso nella doccia, nii-san»,
ridacchiò il più piccolo tra i due,
attirando a sé le labbra del più grande e
baciandolo con passione.
«A tal proposito, Sasuke, dobbiamo parlare».
«Wowo, incuti timore se lo dici così»,
sghignazzò Sasuke, stendendosi sul letto
e annusando il profumo delle lenzuola; lavanda, pulito, amore, lui ed
Itachi.
Avrebbe volentieri voluto trovare un modo per non far sparire mai quel
profumo
inebriante da lì.
«Non voglio spaventarti, ma è ora che tu sappia
determinate cose».
«Cazzo», pensò il minore,
«perché fa così, adesso?»
«Mh», soffiò, «ti
ascolto».
«Non lasciar mai andare Naruto per nessuna ragione al mondo;
tienilo stretto a
te, anche se sono certo che lui stesso insisterà sempre per
starti accanto»,
iniziò. «Adesso, Sasuke, cosa ricordi della notte
in cui i nostri genitori sono
morti?»
«Ricordo che li salutammo prima di andare al parco, dove
trascorremmo l’intera
giornata… Non ricordo proprio tutto alla perfezione,
ma… Quello che ricordo con
nitidezza, sono i loro corpi martoriati e madidi di sangue, i tagli sul
viso
che sfiguravano il volto di nostra madre e la gola sgozzata di nostro
padre…»
«Capisco».
«Itachi, chi ha ucciso i nostri genitori?»
«Io… o tu?», una risata malvagia
risuonò nella stanza da letto di Itachi,
facendo voltare di scattò il maggiore e spalancare gli occhi
al minore. «Tu,
Itachi? O Sasuke? Io, Madara Uchiha? Chi lo sa?»
«Itachi, è qui!»
«Lo vedo, otouto».
«Ma Naruto non lo vedeva!», protestò,
incredulo.
«È quello che avevo intenzione di spiegarti,
Sasuke, ma credo non ci sia più
tempo».
«Nii-san, ma che cosa vai farneticando?»
«Quindi tu sai…»
Itachi annuì.
«Sai cosa, nii-san?!»
«Di’ addio al tuo fratellone, Uchiha
Sasuke»
«Ti amo, otouto».
«Ma che caz…»
Il buio.
Il freddo.
La solitudine.
Il cuore infranto.
Un tremolio.
Sangue.
Quando
Sasuke riaprì gli occhi, ebbe bisogno di guardarsi
attorno più volte
prima di capire dove si trovasse.
«Che diavolo ci faccio qui?», la sabbia dorata
adornava il suo pantaloncino
corto e nero, una maglietta blu scuro gli fasciava il busto, i capelli
erano
scombinati e pieni di granelli dorati. Una fitta al petto ed una allo
stomaco,
si sentì quasi affogare e la sensazione di vomito
aumentò di secondo in
secondo, un capogiro; il diciottenne vomitò persino
l’anima, sputacchiando
sangue e macchiandosi le mani.
«Che schifo», si spogliò della maglietta
e cercò di coprire quella schifezza
con altra sabbia, allontanandosi disgustato e lo stomaco ancora
traballante.
«Che cavolo sarà successo?», si chiese,
mentre attraversava dei boschi,
prendendo una scorciatoia per giungere al quartiere degli Uchiha.
Quando arrivò,
notò un accalcarsi di gente nei pressi della sua casa, il
che lo sorprese non
poco e la preoccupazione ben presto s’impossessò
di lui.
«Itachi… Oh, porca puttana, fatemi
passare!», corse a perdifiato facendosi a
stento spazio tra la folla, che si divagò per lasciarlo
entrare in casa
propria.
Un silenzio assordante gli pervase i timpani, assestandogli il colpo di
grazia;
il corpo sembrò raggelarsi, tanto che gli assiderati muscoli
non volevano in
alcuna maniera lasciarlo camminare, salire quelle maledette scale e
cercare suo
fratello.
«Itachi?», tentò con voce tremolante, un
mormorio silente che si udì comunque
attraverso le pareti di ogni stanza sia del piano inferiore, sia di
quello
superiore.
«Nii-san?», riprovò, mentre forzava le
proprie gambe a muoversi; decise di
poggiare anche le mani a terra e farsi forza in questo modo e i dolori
aumentarono. Doveva farcela. Aveva una paura tremenda che fosse
accaduto
qualcosa a suo fratello e non avrebbe potuto sopportare una cosa simile.
«Itachi, ti prego, rispondimi…»
La voce iniziava a mancare. Il fiato smorzato lasciava aloni sul
parquet
lucido, le mani sudaticce esercitavano una grande pressione sugli
scalini e
l’attrito diminuiva, quasi scivolava, ma sapeva che doveva
farcela e non poteva
rimanerci secco; magari stava solo riposando, oppure era venuta Sakura
e
avevano litigato, per cui udendo le grida della ragazza tutti quanti si
erano
preoccupati, perché era una cosa insolita.
Sì, doveva essere andata così.
Non c’era altra spiegazione.
A Itachi non poteva esser successo nulla di male; era il suo nii-san,
forte,
coraggioso, dolce, deciso… suo fratello. Eppure quei
pensieri non riuscivano
proprio a consolarlo, ogni scalino che saliva gli donava la
consapevolezza che
la visione di cui avrebbe goduto di lì a poco sarebbe stata
la peggiore della
sua esistenza; peggiore persino di quella dei suoi genitori assassinati
brutalmente.
Strusciò ancora, ancora ed ancora, lasciando aloni di sudore
e graffi lievi a
causa delle unghie, lo stomaco prese di nuovo a vorticare
selvaggiamente, le
tempie si agitavano convulsamente e l’emicrania non fu restia
ad arrivare.
«Nii-san…», sussurrò,
«Questo è solo un brutto sogno… Ma
sembra così reale…
Cazzo se fa male, dove sei, Itachi?»
Dove
sei?
«Nii-san»,
voleva piangere, Sasuke, eppure le lacrime non volevano proprio uscire
dai suoi
occhi d’ossidiana sbarrati, il fiatone e la pressione troppo
alta, la paura e
una sconfinata rabbia dentro sé.
Abbracciami ancora.
Baciami ancora.
La porta della camera di Itachi spalancata e folate di vento facevano ondeggiare le tende sottili, così che ombreggiassero il pavimento.
È ancora presto per andare via.
Uno sforzo immane per alzarsi e poggiarsi al muro.
Abbiamo una vita intera davanti a noi.
Deglutì a fatica. E poi entrò.
Siamo in estate oppure in inverno?
«No… Non ci credo».
Ti amo, Itachi. Resta qui con me.
«Non è possibile».
Nii-san…
«Sasuke…»
Si è risvegliato?
«Vieni via di qui…», una voce femminile ovattata lo incoraggiò a privarsi di quella visione sconvolgente; rosso, rosso ovunque, il verde degli occhi di Sakura e il rosa dei suoi capelli, il profumo pungente di mele misto allo Chanel n°5 applicato sul collo e sui polsi. Le vene pulsavano. Sasuke non seppe dire se il suo cuore si fosse fermato o stesse battendo troppo forte.
Urlò.
Diede libero sfogo a tutto il suo dolore, gridando e graffiandosi le braccia, ferendo in parte anche Sakura.
E poi una presa salda, pelle bronzea, mani curate, capelli biondi ed occhi cerulei.
«Sono qui, Sasuke».
Sì, non te ne andare.
«Non sei solo».
«Noi siamo qui».
«Ci saremo sempre».
Menzogne! Ve ne andrete come ha fatto lui!
Le braccia di Naruto si attorcigliarono alle spalle scarne e incredibilmente pallide del diciottenne; «bel compleanno del cazzo», pensò l’Uzumaki, trattenendo a stento una crisi di nervi.
Questo dolore non lo posso sopportare.
_______________________________________________________________________________________________________________________________________
NB:
Questo è stato il capitolo più brutto da scrivere D: Far morire il mio personaggio preferito è uno strazio, però… No, non posso parlare, altrimenti spoilero e rovino tutto come mio solito!
Qui mi apro una piccola parentesi sull’IC di Sasuke: come si è potuto notare anche nel manga, per quanto Sasuke affermasse di odiare a morte suo fratello e volerlo veder crepare per mano sua, alla fine il dolore è più grande… e ha fatto tutto per amore. Certo, se Itachi fosse stato meno stupido e Sasuke avesse saputo tutto dall’inizio, sarebbe stato diverso… però…
Spero che condividerete la mia scelta. Anche perché, per quanto il piccoletto voglia sembrare un orgoglioso, un uomo forte di prima categoria, è pur sempre un ragazzino di appena diciotto anni, che ha perso il fratello nel giorno che, anche non volendolo ammettere, è uno dei più importanti.
A questo proposito: in Giappone si diventa maggiorenni all’età di 20 anni, ma è in corso un dibattito per abbassare la soglia ai 18. Spero mi perdonerete per questo ç_ç Ma non potevo tirare troppo a lungo, come ho già accennato!
Note dell'autrice:
*si guarda attorno e cammina silenziosamente* Okay, non dovrebbe esserci nessuno... *scansa giusto in tempo una sedia volante* Eh, no, però! Non iniziate a lanciare oggetti... per favore! ç_ç Suvvia, mi sono già autolesionata scrivendo, pensando questo capitolo... Comunque sapevate che sarebbe arrivato il momento del dolore e questo è uno dei tre capitoli finali. Dolore a tutto spiano ç_ç anzi, minimo, perché mi sono limitata a causa del rating. Le descrizioni dovevano essere più ampie, volevo suscitare davvero molte più cose, ma... a quel punto il rating sarebbe scattato a rosso!
Lo so che mi adorate, non mi odierete mai... Cavolo, so che cosa provate, anch'io desidero ancora fare tanto male fisico e mentale al sensei, però io sono tanto buona ç_ç *cerca di arruffianarle, ma vede tutti lanciare oggetti appuntiti, infuocati e urlare "Questa è Sparta"* Okay, è la mia fine...
Beh, ne approfitto per ringraziare tutti coloro che mi hanno lasciato delle bellissime recensioni, ricche di bellissime parole, e a tutti coloro che hanno seguito, ricordato e preferito.
*abbraccia coccolosamente tutti* Bacioni, Giacos.