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Autore: madnesslight    22/03/2013    7 recensioni
Aspetto che continui. Che mi dica che sto bene, che il bambino sta bene.
E poi tu verrai qui e piangeremo e rideremo e saremo felici.
"Sei fuori pericolo, ma..."
Ma cosa? Non c'è un ma.
Non deve esserci un ma.
Il sorriso mi muore sulle labbra. Inizio a piangere. Ho freddo, ho paura. Dove sei Edward?
"Mi dispiace, hai perso il bambino."
Chiudo gli occhi.
Tutto il mondo si fa buio.
Non riderò ma più.
Non sarò felice mai più.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Mh... Salve a tutti. Mi vergogno un po' a postare dopo tutto questo tempo, ho iniziato a Natale e ora siamo quasi a Pasqua... Ma sono stata spesso senza pc e se devo dirla tutta ultimamente di scrivere non mi andava proprio ç_ç scusate davvero, non so che mi prende questo periodo. Comunque per ora sono qui, è questo l'importante.

Per chi non si ricorda di me o della storia... Faccio un breve riassuntino del precedente capitolo lol: Edward torna a Forks per festeggiare il Natale, a casa sua incontra Bella, la quale lo evita. I due si incontrano per caso, parlano e chiariscono che sono stati impegnati, ma, in maniera un po' implicita, che non lo sono più perchè non trovano nessuno che possa sostituire il loro amore. Avete visto dal POV Edward che lui nonostante tutto non è riuscito a dimenticare del tutto Bella, nonostante sia passato tanto tempo. Ora invece ci sarà il POV Bella, dove vedrete il suo punto di vista e nuovi sviluppi, anche se può sembrare il contrario :D

Buona lettura <3

 

Dare to believe

 

Mistakes

 

Edward, Edward, Edward.

Quel pensiero annullava ogni cosa, mentre correvo in camera di Alice, scappando da lui ancora una volta.

Lasciai che gli occhi mi si inumidissero mentre mi sdraiavo accanto a lei, nel suo letto. Troppo insonnolita per rendersi davvero conto di quanto stesse accadendo, mi strinse a sé come aveva fatto già tante altre volte e tornò semplicemente a dormire.

Come la invidiavo. Sarebbe stata capace di dormire in qualunque circostanza, mentre sapevo che quel tarlo che mi logorava da dentro non mi avrebbe fatto chiudere occhio.

Nel silenzio più assoluto ascoltavo i nostri respiri, l'unica cosa che spezzava la quiete di quella notte. E dei passi. Una porta che si chiudeva piano, la zip di un borsone che si apriva. Il fatto che fosse Edward a fare quei lievi rumori proprio nella stanza accanto alla mia rendeva il tutto più assordante di quel che era in realtà.

Avevo paura e non sapevo neanche di cosa. Non sarebbe entrato in camera di sua sorella a quell'ora della notte solo per parlare con me, giusto? E poi, perché avrebbe dovuto voler parlare con me? Era finita, non avevamo nulla di così importante da dirci da non poter aspettare l'indomani. E in ogni caso non c'era nulla.

Eppure... Eppure una parte di me avrebbe voluto parlargli. E soprattutto, voleva che fosse lui a volermi parlare. Ma sapevo che non era così. Lui aveva Annie.

Pensare a quel nome era ogni volta una pugnalata. Quando Alice me ne aveva parlato aveva fatto male da morire. Ormai stanno insieme da... Quanto? Due, tre anni? Erano tanti anni, comunque. Da quel momento non le avevo più chiesto niente di lui.

"Non voglio più saperne niente", le avevo detto un paio di giorni dopo quella rivelazione.

Non credevo questo implicava anche il fatto che non mi avrebbe detto nulla, se fosse tornato a Forks.

Ero così arrabbiata con lei. Era tutto organizzato? Per questo aveva insistito così tanto perché tornassi a casa con lei? Qualcosa mi diceva che sì, era tutto organizzato.

Improvvisamente mi comparvero di fronte tutti i suoi tentativi di aprire il discorso "Edward" degli ultimi mesi. Ognuno era stato un fallimento, perché io mi ero sempre rifiutata di parlarne e di fronte il mio pianto isterico non sapeva davvero cosa fare. Che credeva, che sarebbe venuto qui, avremmo parlato e tutto sarebbe stato risolto? Non avremmo risolto un bel niente. Alice non poteva farmi questo. Di certo io non potevo fare questo a Edward, non dopo tutto quel tempo.

L'ultima volta che l'avevo avuto così vicino... Non ricordavo nemmeno quand'era stata. Però qualche mese fa l'avevo rivisto da lontano. Era stato allora che avevo capito che mi ero presa in giro tutto quel tempo, eppure avevo continuato a farlo, dicendomi che per me era ormai acqua passata. Era stato allora che non avevo più potuto tenere per me il segreto che mi mangiava lo stomaco e che mi aveva reso l'ombra di me stessa.

 

**********

"Vuoi dirmi per favore cosa è successo?", chiese Alice per l'ennesima volta.

Io affondai nuovamente il cucchiaio nella vaschetta del gelato, senza degnarla di una risposta.

"Bella, ti prego. Come posso aiutarti se nemmeno mi parli?"

Ma non poteva aiutarmi. Nessuno poteva.

Credevo che fosse tutto finito, che il capitolo "attacchi di panico barra crisi isteriche" fosse ormai concluso da un pezzo. E invece mi sbagliavo.

Mi trovavo in giro per il centro di Seattle per fare degli acquisti, quando lo vidi.

Era di spalle, a una decina di metri da me, e non poteva vedermi. Ma io vedevo benissimo lui.

Il suo profilo era inconfondibile, e avrei riconosciuto ovunque il colore ramato dei suoi capelli. Non li portava più sparati come un tempo, erano più corti e ordinati, ma non potevo sbagliarmi. Il mio cuore non poteva sbagliarsi. E fu proprio il mio cuore a perdere diversi battiti per poi ricominciare la sua corsa ad un ritmo sfrenato. In un attimo lo sentii su per la gola, impedendomi di respirare regolarmente.

Quasi attratto da quel rumore frenetico, che alle mie orecchie era totalmente assordante, si voltò lentamente.

I nostri occhi si incrociarono per un istante, il tempo che mi servì per risvegliarmi da quella specie d trance in cui mi trovavo e cambiare direzione il più velocemente possibile, lontana da lui e da tutto quello che la sua vista aveva riportato a galla. Tutti quegli anni passati a cercare di andare avanti, in modo evidentemente vano, visto che mi era bastato guardarlo negli occhi per ritrovarmi inghiottita nell'incubo che credevo essermi lasciata alle spalle.

Tornai in fretta al mio appartamento, dove sfogai tutto il mio dolore tra le braccia di Alice.

Ora che i singhiozzi erano terminati, mi rimanevano solo lacrime silenziose e solitarie che non riuscivo a fermare e che non facevano che far preoccupare la mia amica.

"Bella..."

"L'ho rivisto", dissi a un certo punto.

"Come?"

"Ho rivisto... L'ho visto, Alice. A Seattle. Sapevi che era qui?"

"Io... Sì. Ma non ti ho detto nulla perché... Non credevo ti avrebbe fatto piacere e così... Avete parlato?"

"No", scossi la testa. "Non sono sicura che mi abbia riconosciuta... Me ne sono andata subito."

"Stai così male solo per averlo rivisto?"

Le lanciai uno sguardo eloquente.

"Pensavo fosse passata."

"Sì... Lo pensavo anche io."

"Sei ancora..."

"Non è solo questo, Alice", dissi ricominciando a singhiozzare. "Non è mai stato solo questo."

"Ehi, ehi", sussurrò avvolgendomi in un abbraccio. "Tesoro, non piangere ti prego. Puoi dirmi tutto, lo sai. Parlami, ti prego. Che cosa c'è?"

Mi aggrappai a lei e alle sue parole e sentii che non potevo più farcela da sola. Non potevo più tenermi dentro quel peso senza che mi schiacciasse con la sua forza immane e così lo sputai semplicemente fuori.

"Aspettavo un bambino."

Alice rimase paralizzata.

"Co... Come?

"Io... Aspettavo un bambino."

"Bella... Cosa...? Che stai dicendo?"

"Mi dispiace, Alice. Io non ero abbastanza forte... Gli volevo così bene... Così tanto bene... Ma un giorno era dentro di me e il giorno dopo non c'era più... Mi dispiace così tanto. Scusa, scusami."

Continuai a scusarmi per un tempo infinito. Chiesi scusa a lei, a Edward, a quel bambino che non aveva respirato nemmeno una volta e si era portato con sé anche la mia vita.

"Bella", disse Alice dopo che mi fui calmata un po'.

"Bella... È per questo che vi siete lasciati?", chiese inorridita. "Edward... Lui ti ha lasciata perché..."

"No!", mi affrettai a dire. Non volevo che pensasse male di suo fratello. Ero io ad aver sbagliato, ero l'unica da biasimare. "Edward... Lui non sa niente del bambino. Non gli ho mai detto niente."

"Cosa?!"

"Avrei tanto voluto... Avevo così bisogno di lui ma non ce l'ho fatta... Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi senza... Senza vedere quello che gli avevo fatto e che avevo fatto al nostro... Al nostro bambino."

"Bella, lui... Tu devi dirglielo... Come hai potuto non farlo?"

"Mi dispiace."

"Lui deve sapere..."

"No!", esclamai ancora. "Non... Non gli dirò niente. Non deve sapere niente", dissi senza riuscire a frenare le lacrime. "E nemmeno tu. Ti prego, Alice, per favore... Promettimi che non gli dirai niente. Per favore."

"Bella...", tentò di farmi ragionare.

"Prometti!", insistetti.

"Te lo prometto", disse in fine con un sospiro.

Di fronte alle mie suppliche disperate non poté fare altro che arrendersi.

 

**********

Quando l'orologio segnò le otto passate fu un sollievo. Forse era ancora presto per essere un giorno di festa, ma non potevo sopportare di logorarmi oltre la mente con certi pensieri.

Mi misi seduta e il movimento svegliò Alice. Mi fissò per un momento con gli occhi assonnati ma dopo un'occhiata più approfondita parve d'un tratto sveglissima.

"Hai pianto."

La sua non era una domanda, e la tristezza nel suo sguardo mi confermò che la sua non era solo una supposizione, che sapeva non solo che avevo pianto in silenzio tutta la notte, ma che sapeva anche il motivo.

"Non ho pianto."

"Bella, per piacere. Che è successo?"

"Nulla", continuai a negare.

"Piantala!", disse a bassa voce ma in tono autoritario. "Smettila di negare ogni volta quando stai male, sai che non serve a niente."

"Che altro dovrei fare?"

"Non lo so, dirmi magari il motivo per cui hai pianto?"

"Sai perfettamente qual è il motivo, Alice. O vorresti dirmi che non sapevi nulla del fatto che tuo fratello è tornato a Forks, stanotte?"

Cercai di modulare il tono della voce, ricordando che da Edward ci separava solo una parete, ma avevo voglia di gridare e di sfogare contro Alice la rabbia che provavo per me stessa e per la mia incapacità di andare avanti e di sopportare un po' di dolore.

Lei sospirò, mettendosi seduta accanto a me e sfiorandomi il braccio per calmarmi.

"Non ero sicura che sarebbe venuto. Ma tu come fai a saperlo? Ci ha parlato?"

"Non riuscivo a dormire e sono scesa di sotto, e dopo un po' lui è entrato e l'ho visto e... No, non ci ho parlato. Sono tornata di sopra."

"Dovresti farlo, Bella. Parlargli, intendo."

"Per dirgli che cosa?"

"Bella," disse incredula, "hai da dirgli così tante cose che non basterebbe una settimana e mi chiedi di cosa dovresti parlargli?"

Feci spallucce.

"Guarda che tra noi è finita quattro anni fa, Alice. Non è che ora lui torna, gli dico chissà che cosa e alla fine ci rimettiamo insieme. Non funziona così."

"Nemmeno mi riferivo a quello."

Oh, lo so che non ti riferivi a quello. Ma per quanto doloroso possa essere, non sarà mai paragonabile al pensiero di dover affrontare nuovamente quel discorso, ammetterlo ancora ad alta voce, renderlo più reale di quanto già non fosse.

Sapevo dove voleva andare a parare ma feci finta di nulla.

"Comunque", continuò per coprire il mio silenzio, "dirgli chissà che cosa potrebbe essere un buon inizio."

"Piantala, dico sul serio."

"Tu piantala. Continui a dire che per te è finita e appena te lo ritrovi davanti scappi come al solito. Se fosse davvero finita non avresti avuto problemi a dirgli almeno un ciao."

"Per te non si tratta di un semplice ciao, però, vero? Tu vorresti che gli dicessi tutto", la accuso.

"Non farmi quella faccia. Tu devi dirgli tutto."

"Mi dispiace ma non penso che lo farò. Che cambia ormai? Sono passati quattro anni."

"Cambia che lui ha il diritto di saperlo!"

"E io non ho il diritto di dirlo a chi mi pare?"

"Cioè a nessuno, in pratica?"

"Sono cazzi miei, Alice. Perché diavolo dovrei farlo soffrire per qualcosa che è successa una vita fa?"

"Tu non sai nemmeno di quello che stai parlando. Non puoi..."

Non la lasciai continuare. Mi alzai dal letto e mi cambiai con i vestiti che avevo ieri.

"Che fai adesso?"

"Me ne vado a casa mia prima che si svegli Edward. Non mi va di vederlo, non avrebbe senso."

"Scappi ancora? Ma certo, sai fare solo questo. Soltanto scappare. Beh, sappi che mi sono scocciata di correre dietro alle tue stronzate."

"Non te l'ho chiesto."

Con le lacrime agli occhi andai via da Alice, da Edward, senza guardarmi alle spalle.

Avevamo avuto quella discussione un milione di volte, ed era finita sempre allo stesso modo.

Sapevo che Alice aveva ragione. Sapevo che Edward aveva il diritto di sapere. Ma non ce la facevo, davvero non ce la facevo a guardarlo negli occhi e a parlargli, dopo tutto questo tempo, a riaffrontare ancora tutto, a dirlo ad alta voce e a renderlo più vero di quanto già non fosse nel mio cuore, nella mia testa, nei miei ricordi.

**********

La prima mattina che mi svegliai a casa, nel mio letto, dopo che ero tornata dall'ospedale, sapeva quasi di normalità.

Quasi, però.

La sveglia suonò alla solita ora, come al solito la spensi e torna sotto le coperte per godere di qualche istante di sonno in più. Sentivo mio padre che si destreggiava in cucina per tentare di cucinare una colazione commestibile.

Una mattina normale, insomma.

Come fossi un automa la mia mano si spostò ad accarezzare il mio ventre. Da lì, dove fino a poco prima batteva il cuore del mio bambino, ora sentivo invece solo un grande vuoto. E allora lo sapevo, che non avrei più vissuto una mattina normale.

Il telefono vibrò per l'ennesima volta. Sapevo fosse Edward, e sapevo anche che avrei dovuto rispondere prima di mandarlo al manicomio.

"Bella!"

"Ehi... Ciao"

"Perché rispondi solo ora? Ero preoccupato. Come stai?"

"Io... Sto bene. Stavo dormendo, qui è appena mattina. Scusa."

"Bella..."

"Cosa?

"Come stai? Sinceramente."

"Sto bene, sinceramente."

Riusciva a sentire dal mio tono che stavo mentendo? Percepiva la vita che mi era scivolata via lasciandomi morta dentro? In poche settimane mi ero abituata al pensiero di vivere per due. Quanto tempo ci avrei messo ad abituarmi a non vivere più nemmeno per me?

Provai ad essere più convincente, quando gli spiegavo che ormai stavo bene, che mi ero ripresa, che non c'era bisogno che anticipasse la partenza per venire qui, ma lui non ne voleva sapere.

Evidentemente come attrice dovevo fare davvero schifo, perché poche ore dopo bussò alla porta di casa. A giudicare dal suo sorriso Charlie non gli aveva ancora detto nulla, come mi aveva promesso.

"Devo dirglielo io", l'avevo implorato, senza essere del tutto convinta che ne sarei mai stata capace. Come avrei potuto spegnere il suo sorriso in quel modo?

Non appena mi vide si precipitò ad abbracciarmi.

"Bella... Amore mio, scusami."

"Non... Ora sei qui. Va tutto bene."

Nonostante ciò che gli avevo detto per telefono quella stessa mattina, stringerlo tra le mie braccia era stato come tornare a respirare di nuovo, anche solo per un momento.

"Io... Vado a lavorare", disse Charlie. "Vi lascio soli. Mi raccomando."

Mi lanciò un'occhiata significativa e se ne andò.

L'attenzione di Edward era tutta su di me.

"Sicura di stare bene? Sei stata ricoverata in ospedale due giorni per... Non ho ancora capito cosa. Hai sbattuto la testa quando sei caduta?"

Io non riuscivo a dire niente. Non riuscivo nemmeno a guardarlo negli occhi. Mi lasciavo stringere e basta, finché non iniziai a singhiozzare silenziosamente e allora iniziò a preoccuparsi davvero. Ma continuavo a non dire niente.

Cosa avrei potuto dirgli?

Le parole del mio medico mi tornarono alla mente e le scacciai subito. Era una cosa così... Fredda, da dire.

Perdere un bambino.

Un telefono si perde. Le chiavi di casa si perdono. Un bracciale, una penna, un portafortuna. Quelle erano le cose che si perdevano. Un bambino non era una cosa. Era mio figlio. Era nostro figlio. E non c'era più.

Guardai gli occhi di Edward, e vidi i suoi. Non li avrebbe mai aperti, perché io lo avevo ucciso.

Distolsi subito lo sguardo. Come potevo guardarlo negli occhi dopo ciò che avevo fatto? E lui come avrebbe potuto continuare a guardare nei miei? Mi avrebbe odiata, e non potevo, non potevo permettere che mi odiasse.

Così tacqui. La parte più nobile di me - una piccola, piccolissima parte di me -, promise che domani glielo avrei detto.

Domani non arrivò mai.

**********

 

"Ehi."

Sobbalzai, per poco non lasciai cadere il pacco di pasta che avevo in mano.

Conoscevo bene quella voce, e nonostante l'avessi sentita appena la sera prima, mi fece sentire una specie di palla di gelatina.

"Che... Che ci fai qui?", dissi voltandomi verso di lui.

"La stessa cosa che ci fai tu, immagino."

"Sì... Cioè, intendevo..."

"Che ci faccio a Forks?"

Annuii, incapace di parlare.

"Sono tornato per le vacanze di Natale. Era da un po' che non festeggio a casa."

"Sì... Anche io."

Aveva sentito anche lui il tono malinconico nella mia voce?

Ci fissammo in silenzio per qualche secondo imbarazzante, e poi parlò ancora.

"Alice mi ha detto di tuo padre. Mi dispiace. Come sta ora?"

Sospirai di sollievo: mio padre era un argomento neutro da affrontare, e nonostante non mi facesse piacere parlarne visto il suo malanno, lo preferivo cento volte all'altro.

"Ora meglio. Deve solo stare a riposo... Più tardi vado a portargli vestiti, qualche rivista da leggere... Cose così."

"Sì... Uhm, salutamelo. Magari faccio un salto a trovarlo... Se non è un problema."

"Non sei tu il problema. Gli farebbe piacere."

Fece per rispondere la proprio in quel momento il cellulare iniziò a squillare. Ringraziai mentalmente chiunque avesse deciso di togliermi da quell'imbarazzo, e mi misi in fila per la cassa per lasciargli la sua privacy.

"Annie... Ciao."

Mi fermai di colpo al suono di quel nome. Privacy un corno. Non avrei dovuto allungare il collo per sentire la conversazione, non mi ero fatta già abbastanza male? Ma il tono era così freddo che non potei non pentirmi della mia piccola furbata, né di gioirne. Forse ero masochista.

Pagai la mia roba e mi voltai verso di lui, sorridendogli imbarazzata. Infondo non avevo alcun diritto di essere felice, specie se questo implicava la sua infelicità

"Allora... Uhm... Ci vediamo", dissi scuotendo la testa per allontanarmi da lui e dai miei pensieri, ma lui sembrava non volermi lasciar andare.

"Aspetta! Pago questo e arrivo."

Mi bloccai ancora.

Lui sembrava speranzoso del mio tentennamento, che non riuscii a giustificare. Credevo di agognare l'uscita, la mia auto, il mio rifugio lontana da lui. Ne ero davvero convinta. Ma la verità era chiara, perché se non me n'ero ancora andata era perché non volevo farlo. Volevo restare, ascoltare ancora la sua voce, respirare il suo odore, sorridere al suo sorriso. Mi nascosi dietro le parole di Alice, che non avevano fatto altro che rimbombarmi nella mente fino a quel momento: non volevo scappare, non più. Volevo crescere, affrontare le mie responsabilità, dimostrarle che si sbagliava. Per questo annuii, per poter dire ad Alice e a me stessa che non sono la codarda che tutti ricordavano.

E per drogarmi ancora solo per qualche minuto della presenza di Edward, certo. Sì, ero decisamente masochista.

Quando uscimmo dal piccolo supermercato l'uno di fianco all'altra, eravamo in imbarazzo. O meglio, sentivo che l'aria era nuovamente tesa fra noi. Stavolta fui io a rompere il ghiaccio, e fui fiera di me per questo. Stavolta non sarei scappata.

"Così... Passerai le feste qui."

"Sì. Tu?"

"Beh, dipende. Probabilmente dimetteranno mio padre prima di Natale... Non è che ho gran voglia di festeggiare, comunque."

Sembrò dispiaciuto della sua piccola gaffe, ma sorrisi per tranquillizzarlo.

Mi guardai intorno. Non ero venuta in auto, mentre lui aveva ovviamente la sua Volvo a pochi metri da noi.

"Io devo andare."

"Dov'è la tua auto?"

"E' a casa di mio padre. Sono venuta a piedi... Avevo bisogno di camminare un po', di stare per conto mio."

"Tornerai a piedi?"

Alzò un sopracciglio scettico, al che non potei fare a meno di sorridere: ne aveva tute le ragioni.

"Lo so, non sono una grande amante delle attività che contemplino un qualunque sforzo fisico..."

"Magari ti do un passaggio fino a casa?"

Mi morsi un labbro, perché era proprio quello che speravo.

"Magari", sussurrai.

Entrai nella sua macchina e la prima cosa che mi colpì fu il suo odore intenso. Mi stordì come non succedeva da tanto, ne ero piena.

Cercai di non farmi accorgere mentre mi riempivo i polmoni, come se fosse una cosa normale. Se ci aveva fatto caso, non lo lasciava comunque a vedere.

Partimmo con quello che doveva essere un argomento neutro, la sua laurea, per poi ritrovarci a parlare dei suoi sogni che si realizzavano e dei miei che si infrangevano.

Gli chiesi di Annie, e lui mi chiese di Jacob, il quale aveva rappresentato una parentesi minuscola della mia vita.

Come poteva durare con lui, con chiunque altro, se negli occhi di tutti  cercavo i suoi occhi? Quegli occhi da cui ero fuggita anni addietro, quegli stessi occhi di cui avevo avuto paura, perché rappresentavano per me l'inferno e il paradiso insieme.

Dirglielo non era stata la cosa più intelligente che potessi fare, ma a quanto pare ero nata per fare solo cose stupide.

Ormai eravamo fermi nel vialetto di casa mia da un bel po', e gli dissi che dovevo andare.

Uscii dall'auto di Edward e l'aria fresca invece di liberarmi mi soffocò. Finché c'ero dentro non me n'ero accorta, ma ora che non respiravo più il suo odore capii quant'ero stata sciocca ad aver pensato che allontanandomi da lui sarei stata meglio. Era lui il mio rifugio sicuro.

Tornai indietro, non potendone fare a meno, e mi scusai per tutto. Lui capì a cosa mi riferivo, a tutto quello che era successo tra noi, disse che non importava ma invece importava eccome.

Feci retrofront, entrai in casa cercando di sfuggire a quella sensazione che avevo da quando lo avevo rivisto, quella sensazione che mi diceva che avevo sbagliato tutto e che dovevo rimediare, e cercai di auto convincermi che ormai era tardi per porre alcun rimedio.

Era davvero troppo tardi.

 

 

Come vi dicevo prima, sembra che sia troppo tardi, ma... Ma in realtà non è così. LOL

Non disperate, perchè nel prossimo capitolo (che cercherò di postare il prima possibile), succederà... ehm... qualcosa.  Eh, ma va? ahaha seriamente, spero di postare presto ç_ç anche perché con le vacanze di Pasqua avrò sicuramente molto più tempo.

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, sicuramente ha chiarito qualche dubbio che avete espresso nelle recensioni, se non è così chiedete pure :) e fatemi sapere cosa ne pensate, se avete voglia ovviamente :3

Vi ricordo come sempre:

Il gruppo facebook (per spoiler e quant'altro :3)

Il mio profilo facebook (che ho cambiato per l'ennesima volta lol)

Grazie mille a tutte, per tutto.

 

   
 
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