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Autore: Shark Attack    22/03/2013    4 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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24
Postumi, sorprese e domande



Cercò suo fratello nella sala gremita ormai da metà dei partecipanti iniziali, ma non riuscì a vederlo svettare da nessuna parte. Continuò a girare e a cercarlo con gli occhi, ma non riuscì a far altro che imbattersi nuovamente in Silar, evitandolo alla velocità della luce, e poi in una infastidita principessa Chawia.
Quando le loro strade si incrociarono, i loro sguardi non si legarono come era accaduto durante la riunione: gli occhi di Chawia erano puntati verso l'abito di Savannah, con la stessa ostinazione con cui avevano fissato il tavolo due piani più in alto ore prima.
«Viola», bisbigliò il Capo di Eastreth.
«Come, scusa?»
Le iridi smeraldine della principessa si posarono ferocemente sul viso di Savannah, poi tornarono a fissare un punto indefinito nei pressi del giardino. Con ampie falcate e tendendo con determinazione il mento all'insù, la donna si allontanò rapidamente dalla ragazza. «Ma che problema ha?», si domandò la jiin, poi scosse la testa e tornò a cercare suo fratello.
Seduta su una sedia, poco distante dall'ingresso della sala, Decra accarezzava il suo pancione e sorseggiava una bevanda trasparente. Indossava un abito liscio e senza fronzoli, blu come il suo grado di jiin, macchiato solo da getti di sabbia che spiccavano su una spalla, sul fianco, dall'orlo inferiore.
Savannah fu tentata di ignorarla, ma vederla così sola e sconsolata le fece passare in un paio di istanti la rabbia che le aveva sempre gettato addosso con la sua indifferenza verso tutti i ragazzini che erano scomparsi durante i suoi anni al governo. Le parole solenni che aveva udito durante la riunione dal vecchio Kin e la sua risposta definita saggia stavano iniziando a mettere radici in lei, così si avvicinò al tavolo del buffet e prese un po' di tutto, comprese le tartine misteriose.
Attraversò la sala e porse con poca delicatezza il piattino ad una sorpresa Decra, che temette di vedersi sovesciato addosso tutto quel cibo.
«Acqua di lago?», le domandò Savannah indicando il bicchiere, mentre il disagio per quella situazione la colpiva ad ondate come un mare in tempesta.
Il Capo di Feinreth inclinò il liquido come se lo stesse esaminando e schioccò la lingua. «No, solo acqua. In gravidanza non si possono bere alcolici, lo sai?»
Afferrò delicatamente il piattino ed invitò la ragazza a sedersi accanto a lei facendo fluttuare una sedia verso di lei. «È molto gentile da parte tua, grazie.»
Savannah si morse un labbro e si maledì per aver deciso di rallegrare la serata del suo nemico.
«Cosa contengono quelle tartine verdi?», non riuscì però a trattenersi dal chiedere e Decra la guardò stupita. La musica cambiò e divenne meno ritmata, ma avvolgente come una coperta morbida.
«La prima volta che sei entrata nel mio ufficio avevi chiesto qualcosa di simile, sul contenuto di una cassetta di cuoio», ricordò la donna. Savannah rimase sorpresa e scosse la testa con un gesto secco.
Decra sorrise ed addentò una patatina blu e bianca. «Beh, è normale che non ricordi, eri molto piccola... dimmi, quanti anni hai ora?»
«Non ne sono sicura», rispose titubante la jiin, «Più di venti, credo.»
«Oh.»
Il tono della donna era sinceramente addolorato e non troppo stupito.
«Il nonno non ha mai saputo decidere quanti anni avessimo», continuò la giovane jiin quasi con bisogno, come se non potesse non dire quell'ultimo pezzo di risposta.
«Non ricordava neanche da quanto vi avesse con lui?»
Savannah si morse un labbro. «Sì...»
Le faceva uno strano effetto parlare del nonno con il Capo di Feinreth, ma sentiva che le sue confidenze sarebbero rimaste, in un certo senso, a casa. Non aveva mai percepito un legame speciale nei confronti della sua regione natale, ma Decra l'aveva vista crescere, sebbene solo attraverso guardie ed imputazioni di reati vari, e provava un irrazionale senso di fiducia nei suoi confronti che non sapeva spiegarsi. Forse aveva davvero bevuto troppo... «Quello lo ricordava», proseguì comunque, «Solo non sapeva quanti anni avessimo quando ci ha presi con sé. Poi non siamo mai riusciti a tenere il conto degli anni da quando è morto, e questo è quanto.»
«Mi dispiace», commentò Decra. Una briciola di pane nero scivolò giù dal piattino e rotolò sul suo vestito color blu elettrico confondendosi per un istante tra i granelli di sabbia, rimbalzò su una gamba e cadde a terra.
Decra sollevò la tartina verde e la allungò verso Savannah. «Quindi non sei ancora riuscita a capire cosa contiene?»
La jiin sorrise ed inclinò la testa di lato.
«Non te l'ha spiegato il tuo nuovo amico, Silar?»
Il sorriso si incrinò. «È troppo noioso», si limitò a dire.
«Penso che dovresti tenertelo davvero vicino», le disse con voce materna. «Ha una grande passione per la genealogia, lo sapevi? Scommetto che può scoprire tutto anche della tua famiglia, se solo glielo chiedi.»
Savannah incrociò le braccia e sbuffò con nervosismo. Silar era dall'altra parte della sala, immerso in una animata conversazione con Olus, in una giacca blu scuro che faceva risaltare la sua carnagione abbronzata e dei pantaloni bianchi come i sassi di Bastreth con dei motivi così elaborati ed originali che la ragazza ci mise un po' a capire che erano effettivamente ricoperti di pietre, e con sua moglie Helea, con un abito rosa che la faceva sembrare fin troppo bella. La ragazza fece una smorfia quando la vide e la donna ricambiò dandole le spalle con un'occhiataccia.
«Sì, me l'ha detto...», rispose a Decra con enorme ritardo.
Il Capo sembrò non essersene accorta. «Potresti approfittarne, scoprire quello che ti interessa e mollarlo, no?»
Savannah increspò le sopracciglia e lanciò uno sguardo obliquo alla donna col pancione che le sedeva accanto. Lei finì di masticare ciò che stava mangiando e scrollò le spalle. «Cosa? Ti stupisci che abbia imparato come ragionate fate tu e tuo fratello? E poi non è una tattica malvagia... io lo farei. Credo sia parte dello stereotipo della donna in carriera.»
«Sedotto e abbandonato?»
«Sedotto, sfruttato e abbandonato, sì.»
La giovane jiin ridacchiò. «Non mi interessa sapere nulla, sto bene così», disse, ma la determinazione della sua frase venne meno quando abbassò lo sguardo sul pancione del Capo.
Lei aveva un'aria così felice ogni volta che lo sfiorava... l'aveva avuta anche sua madre? Oppure per qualche motivo li aveva odiati, lei e suo fratello, e ripudiati condannandoli a quel modo? Spesso Savannah si era chiesta se i suoi genitori non fossero davvero morti, ma li avessero semplicemente abbandonati.
Scrollò le spalle. Quegli stupidi pensieri erano rimasti sepolti in lei da anni, precisamente dal momento in cui aveva scoperto di essere una jiin, varcato il portale e viste le nuove prospettive che la vita aveva da offrire loro. Che da qualche parte ci fossero una mamma e un papà anche per loro oppure no non aveva più alcuna importanza: avrebbero dovuto vivere comunque da soli.
Decra ammiccò complice, ignara dei mille pensieri contrastanti che stavano animando la ragazza.
«Questo è il posto giusto per le risposte, facci un pensierino.»
Savannah la guardò per un lunghissimo istante, cercando di sforzarsi e ricordare di cosa stessero parlando prima che si perdesse nei suoi pensieri. Infine ridacchiò. «Ho capito!», esclamò alzandosi in piedi. Si piantò di fronte al Capo a gambe larghe, con le mani sui fianchi ricoperti di stoffa svolazzante e con un'espressione trionfale sul viso. «Stai cercando di convincermi ad accettare la proposta dei Capi! Credi che mi importi così tanto delle miei origini da poter cadere in una trappola simile? Non mi interessano affatto, né i miei genitori né quegli stupidi Capi!»
Decra fece spallucce e si rituffò nel piattino a spiluccare qualcosa, con un'espressione più indifferente del previsto. «Io parlavo per il tuo bene, Savannah, mi dispiacerebbe vedervi in situazioni irreparabili...»
La jiin viola scacciò la sua ultima frase come una mosca fastidiosa e si allontanò con ampie falcate.
Trovò Phil poco più in là, intento a tamponare con un fazzolettino una vistosa macchia arancione sulla manica destra. «Mayson!», lo chiamò. Lo vide gettare via il fazzoletto e nascondere il braccio dietro la schiena. «Che ti è successo?»
Lui sembrò accorgersi solo in quel momento di essere sporco e si guardò la macchia con stupore.
«Mi hanno spinto», fu il suo unico e desolato commento. Guardò la ragazza con un sopracciglio alzato. «Hai bevuto?»
Savannah sbuffò ed annuì. «Era necessario... per poter sopportare Silar.» Allungò una mano verso di lui, immaginò di pulire la manica e la macchia scivolò a terra così come era caduta sul vestito nuovamente immacolato.
«Non dovevi», le disse il consigliere con un mezzo sorriso.
«Puoi ringraziarmi scoprendo dov'è quello scemo di mio fratello», propose lei con fermezza. «Lo sto cercando da un po'.»
«Ah!», esclamò Phil illuminandosi. «L'ho visto prima, stava salendo le scale.»
«Quindi è tornato nelle sue stanze?»
Il consigliere tossicchiò ed attirò l'attenzione della jiin. «Veramente...», iniziò.
«Cosa?»
Phil si grattò la nuca e lasciò vagare gli occhi giallognoli nel salone, posandoli ora su un invitato, ora su un drappo sul soffitto, ora sugli affreschi sulle pareti. «Era con Deiry», disse infine, mentre si domandava perché la sua vita si fosse riempita di momenti imbarazzanti da quando aveva conosciuto i Fratelli del Deserto.
Savannah batté le palpebre più volte ed aprì la bocca con uno scatto, per poi richiuderla ed aprirla nuovamente, pur senza riuscire ad emettere suoni. Dopo qualche istante, però, scrollò le spalle e scosse la testa. «Non mi interessa», disse risoluta, cercando di non pensare a cose di cui si sarebbe pentita.
Phil annuì. «Sono d'accordo. Una passeggiata nel giardino?»
Indicò l'ampia finestra che conduceva alla balconata da cui si accedeva alla distesa degli alberi variopinti sotto i quali si erano incontrati qualche ora prima. La luna accarezzava ogni foglia ed ogni filo d'erba e li tingeva d'argento, donando all'atmosfera qualcosa che l'umano non avrebbe esitato a definire “magico”.
Savannah annuì e per la seconda volta in quella serata prese sotto braccio il suo accompagnatore e si lasciò guidare fuori dalla sala, lontano dai problemi e dalle questioni irrisolte, almeno per qualche minuto.
O forse più.

Nehroi si sentiva bene e si stupì quando se ne accorse.
Per tutta la serata non aveva fatto altro che chiacchierare amabilmente con Deiry e la cosa che aveva reso tutto possibile era l'atteggiamento molto aperto e spontaneo della ragazza, che sembrava aver gettato dalla finestra la spocchia e le arie da miss che lo avevano annoiato quando era sbucata all'improvviso di fronte a loro prima di colazione.
Si era rivelata essere una compagnia davvero interessante, attraente in tutti i sensi e Nehroi non era riuscito a smettere di sorridere neanche per un istante, o di staccare gli occhi da lei.
La sala era gremita di gente e la musica era orecchiabile: la sensazione che lo aveva pervaso fin da subito era stata di calore, un grande calore nel petto. Aveva dimenticato tutto, dalla prima all'ultima delle sue preoccupazioni.
C'era solo Deiry.
Nehroi si mise a sedere e si guardò attorno.
Si sentiva ancora straordinariamente bene ma... c'era qualcosa di strano. Innanzitutto, aveva l'impressione di essere diviso a metà: una parte era ancora euforica dalla festa ma un'altra si domandava con ragionevole sospetto dove fosse finito.
La stanza era molto simile a quella in cui la cameriera lo aveva lavato e vestito di tutto punto, ma era piuttosto sicuro che non fosse la stessa. L'albero che vedeva fuori dalla finestra era scomparso e oltre il vetro regnava solamente un panorama illuminato dal nuovo giorno.
Un pezzo di stoffa azzurrino lanciato su una sedia dall'altro lato della stanza attirò la sua attenzione e due dita che gli passeggiavano sul braccio lo fecero rinsavire del tutto.
«Deiry!», esclamò all'improvviso. Quello laggiù era il suo abito, non più rosso, e lei era sdraiata accanto a lui, nuda. Improvvisamente si rese conto di essere nudo anche lui e non gli ci volle molto per intuire cosa fosse successo.
«È già mattina?», biascicò lei mentre si stropicciava un occhio con la mano. I suoi capelli biondissimi erano sparsi sul cuscino come i raggi del sole e Nehroi sentì uno strano balzo al petto quando lo pensò.
Si affrettò a trovare i suoi boxer o pantaloni o un qualunque pezzo di stoffa che potesse coprirlo e alla fine tirò a sé il lenzuolo. Si alzò in piedi ed iniziò a cercare i suoi vestiti in giro per la stanza quando si accorse che prendendosi il lenzuolo aveva lasciato Deiry scoperta e la cosa lo gettò ancora di più nel panico. «Ma che diavolo è successo?», borbottava in continuazione.
Trovò i suoi boxer e li infilò alla velocità della luce, lanciando altrettanto rapidamente il lenzuolo addosso alla ragazza.
«Ci siamo trovati, non è meraviglioso?»
La voce di Deiry era candida e dolce, ma Nehroi scosse la testa e cercò di non lasciarsi incantare. Di nuovo, evidentemente. «”Trovati”, dici? È impossibile, decisamente incredibile.»
I suoi pantaloni erano dalla parte opposta della stanza, accanto al letto. Deiry sorrise e non appena le si avvicinò gli afferrò delicatamente il braccio prima che potesse toccare la stoffa del suo abito.
«Hai mai sentito parlare del colpo di fulmine?», gli disse soave. Lui sentì venir meno la sua determinazione, ma non cedette e lei neppure. «Abbiamo solamente compreso che siamo fatti l'uno per l'altra... non sei felice?»
«Sì...»
Nehroi smise di respirare per qualche istante, come se fosse andato in cortocircuito. Cosa stava dicendo? Non era felice, era angosciato. «Mi hai drogato?», domandò con titubanza, ridendo assieme alla ragazza quando la sua voce trillò divertita.
«Drogato d'amore, ovviamente.»
Le mani di Deiry salirono lungo le braccia piene di cicatrici e si intrecciarono sulla sua nuca. Nehroi dimenticò ogni preoccupazione e si tuffò sul letto legando la ragazza a sé in un lunghissimo bacio.
Poi sentì di nuovo una strana sensazione, là dove il tatuaggio del suo sigillo nasceva e moriva ogni volta che veniva sciolto e rifatto, e la allontanò bruscamente.
Deiry sbuffò e si sistemò i capelli spettinati lontano dal viso. «Cosa ti prende?», domandò senza zucchero nella voce. Sembrava irritata.
Nehroi si passò una mano sul torace e massaggiò un punto preciso tra i simboli del sigillo rossastro. «Io... credo che...»
Deiry era nuda, in piedi di fronte a lui e la finestra la rifletteva di spalle.
«Ehi, dov'è il tuo tatuaggio?», le domandò notando la sua schiena immacolata.
Poi un ricordo attraversò la sua mente e si sentì confuso e disorientato come se stesse cadendo da un'altezza incredibile. Qualcosa cambiò, ad un tratto vide immagini di paesaggi splendidi e si sentì di nuovo tranquillo. C'era un riflesso, uno specchio d'acqua illuminato nella luce soffusa del tramonto, e tutt'attorno erba smeraldina finissima. Un refolo di vento la scuoteva dolcemente, cullando il paesaggio tra le sue braccia fresche e invisibili.
In mezzo a tutto questo, Deiry gli tendeva le mani, splendida come un angelo.
Il suo sorriso sembrava lucente come la luna e i capelli ondeggiavano delicatamente come una cascata di fili dorati. Nehroi alzò le braccia e cercò di afferrare le sue mani candide. Una musica dolce e suadente mescolava quelle immagini e le univa in maniera indissolubile.
Deiry strinse Nehroi in un abbraccio e il ragazzo si sentì svuotato di ogni pensiero.
Lasciò che lei lo trascinasse con sé sul letto e le loro labbra si unirono nuovamente.
«No!»
Nehroi saltò fuori dal letto, prese in fretta e furia tutti i pezzi del suo vestito e si fiondò in corridoio.
Chiusa la porta, rimase attaccato alla maniglia per qualche istante come se temesse che avrebbe dovuto lottare per tenerla chiusa, poi corse rapido per qualche metro prima di ricordarsi che fosse ancora in mutande. Imprecò ed indossò in fretta pantaloni e camicia, dopodiché provò ad indovinare in quale ala del palazzo si trovasse ed iniziò a percorrere tutti i piani come uno spaesato.
Trovò la stanza di Savannah dopo una decina di minuti di tentativi a vuoto e di salite e discese rapide delle infinite scale che li separavano, scoprendo che in effetti non era poi così lontana.
«Chi è?», domandò lei dall'altra parte della porta e Nehroi ringraziò che non fosse andata da nessuna parte. La sua voce fu il balsamo che addolcì il suo stato di agitazione: lei era lì, insieme avrebbero scoperto cos'era successo in un batter d'occhio.
«Sono io», ansimò, accorgendosi finalmente in quali pietose condizioni si stesse ritrovando.
Savannah aprì la porta e la prima cosa che notò fu la camicia aperta del fratello e la sua pelle sudata. Venne travolta dal suo ingresso nella stanza ancor prima che potesse salutarlo e improvvisamente le passò la voglia di augurargli un buon giorno.
«A cosa devo l'onore», borbottò contrariata.
«E quello?», domandò lui indicando il pigiama che stava indossando. Savannah si strinse nelle spalle ed abbassò anche lei lo sguardo sulle stelline che la ricoprivano fino alle caviglie. «La mia cameriera è molto premurosa», si limitò a dire. «Allora, che ti è successo?»
Nehroi si sedette pesantemente sul letto ed inspirò più volte, come se si fosse appena tratto in salvo da un mostro che voleva ucciderlo. «Non ci crederai mai», esordì.
«Che sei stato con Deiry?»
Lui la guardò stupito ed un'espressione stupefatta gli si disegnò in viso. «Come lo sai?»
«Ho le mie fonti. Non pensavo fosse il tuo tipo...»
Il brehkisth scattò nuovamente in piedi come una molla e l'agitazione tornò a pervaderlo. «Infatti è così! Non è per niente il mio tipo, non sarei mai andato a letto con lei se non... se...»
Savannah inarcò un sopracciglio e fece un passo avanti. «Se non?», lo incalzò.
Lo sguardo del fratello si fece sempre più vacuo e le sue parole si persero nella nebbia che gli stava attanagliando la mente. Sul viso, un'espressione ai limiti dell'inebetito si faceva largo rapidamente.
Savannah lo scrollò per un braccio e il ragazzo sembrò riprendersi. «Cosa?», domandò confuso.
«Che stai facendo?»
«Che sto facendo?»
«Stavi dicendo una cosa e ti sei imbambolato!»
«Ah, sì! Non ci crederai mai.»
«Questo l'hai già detto, perché non provi a proseguire? Che è successo con Deiry?»
L'attenzione di Nehroi venne catturata da un enorme mazzo di fiori splendidi e dai colori molto accesi che troneggiavano assieme ad un bigliettino su un tavolino in mezzo alla stanza. «Quelli da dove arrivano?», domandò invece.
«Sono fatti miei, puoi finire il tuo discorso?», replicò stizzita la jiin.
«Scioglimi il sigillo!»
«Cosa? Ma che...?»
«Anzi no, facciamo così», si avvicinò scombussolato alla porta e si passò entrambe le mani tra i capelli. «Sto benissimo, non ho bisogno di nulla ed è tutto a posto!»
Savannah si portò due dita alle tempie e roteò gli occhi. «A me tu sembri tutt'altro che a posto...»
La porta si chiuse durante il suo borbottio e l'esagitato fratello svanì dalla stanza con la stessa rapidità con cui era era comparso.
La jiin si avvicinò al mazzo di fiori e sfiorò distrattamente qualche petalo. Non aveva mai ricevuto omaggi del genere e si sentì in qualche modo lusingata dai modi fin troppo gentili di Silar, sebbene la sua proposta di unire le famiglie per creare una discendenza potentissima continuava ad aleggiare attorno ai suoi tentativi di piacerle come uno spettro angosciante.
«Suo fratello era turbato», disse la cameriera sbucando dalla cabina armadio.
Savannah annuì. «Credo gli sia successo qualcosa, ma non ho capito nulla... sono due giorni che mi sembra di essere ritardata.»
«Oggi incontrerà il signor Gerit», affermò l'altra nel suo strano modo di porre domande.
La jiin sospirò. «No, non credo... anche se ha promesso di raccontarmi della mia famiglia», rispose sovrappensiero.
Durante la passeggiata con Phil nel giardino del palazzo aveva avuto modo di incontrare seriamente Olus e Helea, scoprendo un'altra donna rispetto all'acida insensibile che li aveva curati il minimo indispensabile perché i suoi figli fossero contenti. Vederla così tranquilla e rilassata nel giardino le aveva fatto credere che sarebbero riuscite a parlare senza minacce reciproche, ma l'impressione durò un attimo. «Non credere che mi lascerò incantare dalle tue recite da brava bambina», le aveva sibilato rapidamente prima che il marito le raggiungesse. «Io ricordo perfettamente che razza di assassina pericolosa tu sia.»
Quando il Capo di Bastreth arrivò ad un passo da loro, la donna cambiò completamente umore ed indossò una maschera di allegria e cordialità che spaventò Savannah. Suo marito invece sembrava veramente esaltato all'idea di aver avuto l'opportunità di conoscerla di persona, elogiandola per aver liberato la valle dalla presenza inquietante della grotta.
«E grazie anche per esservi presi cura dei miei ragazzi, davvero!», non aveva mai smesso di dire.
Lei aveva provato a spiegargli in tutti modi che era successo l'esatto contrario, ma lui sembrava essere sordo alle sue repliche. «Helea mi aveva raccontato di una jiin molto forte e giovanissima che era andata temerariamente a sfidare il mostro», proseguiva secondo il suo discorso preimpostato, «E quando i ragazzi mi hanno detto che eravate riusciti a sconfiggerlo... beh, potrai immaginare quanto sono stato contento di sapere che ci saremmo incontrati qui! Avrei voluto fissarvi un incontro per un ringraziamento ufficiale già quando eravate a Bastreth, ma mi è stato detto che avevate fretta di andarvene e che non sono riusciti a trattenervi...»
Savannah non riusciva a credere che il Capo Reggente si fosse bevuto una simile balla, ma lo sguardo beato di Helea mentre lui diceva quelle cose non le aveva fatto dubitare per niente che lui ignorasse davvero quale arpia insensibile fosse sua moglie.
«In realtà non deve ringraziarci», gli aveva detto rossa in viso, «Non abbiamo sconfitto niente, solo intrappolat...»
«Ancora meglio!»
Qualunque cosa Savannah avesse provato a dire, Olus aveva sempre trovato il modo di elogiarla ed esserle grato. Al terzo tentativo di farlo ragionare, la jiin aveva abbandonato ogni speranza e pregato Phil di trovare un espediente che le facesse sparire quei due dalla vista. E in caso di questioni diplomatiche, lui era veramente imbattibile. Sarebbe riuscito ad indorare qualsiasi pillola e a convincere chiunque, e Savannah sentì di ammirarlo e di temerlo per quello strano potere, la strana arma di un semplice umano che usava le parole come unico scudo.
Avevano passeggiato in lungo e in largo nell'immenso giardino, poi lui l'aveva galantemente riaccompagnata nella sua camera e lei era andata a dormire con un sorriso sereno stampato sul viso.
La mattina dopo, l'enorme mazzo di fiori aveva catturato la sua attenzione fin dal primo battito delle palpebre e la raffinata “s” impressa sul bigliettino le aveva fatto ricordare che bisognava essere pronti a combattere e difendersi anche nel mondo raffinato dei modi gentili e delle tattiche silenziose. Possibilmente senza distruggere nulla, come aveva faticosamente dovuto promettere al consigliere.
«Anzi... sì», rispose alla cameriera dopo un'infinità di ricordi. «Oggi lo vedrò.»
«È una brava persona. Ha carisma.»
Savannah ridacchiò. «Non ne dubito, anche se ha dei modi decisamente... insomma, non credo sia normale proporre di fare un figli con una persona che conosci appena, no?»
Tornò per un attimo sulle sue, poi il silenzio che aveva ricevuto come risposta la incuriosì. Ruotò la testa verso la donna, immobile come una statua vicino alla porta della cabina armadio, ed aggrottò le sopracciglia. «Beh?», le domandò. «Nessun commento?»
La cameriera scosse la testa, vagamente impaurita.
«Cosa c'è?»
«Il mio era un commento oggettivo, non dico altro.»
«E un commento soggettivo?»
I suoi piccoli occhietti scattarono in ogni angolo della stanza, come se temesse che qualcuno potesse comparire all'istante e sgridarla per chissà quale motivo.
«No», disse solamente.
Savannah fece qualche passo e le prese le mani tra le sue. La guardò negli occhi e lesse un timore familiare, lo stesso che aveva visto nelle espressioni di molti altri bambini e ragazzi tremanti di fronte all'aspettativa di una punizione, solitamente corporale. «Non dirò nulla a nessuno», le disse con tranquillità, cercando di sembrare il più affidabile possibile. «Hai la mia parola.»
«E lei la mia», rispose. Fece un bel respiro. «Il signor Gerit è un ottimo partito.»
Savannah fu sorpresa da quell'affermazione. A giudicare dalle silenziose premesse, sembrava che avesse da dire qualcosa di cattivo, maligno o che potesse in qualche modo alimentare i sospetti della jiin nei confronti del futuro Capo.
«Davvero?», le domandò scettica.
L'altra annuì. «Non dovrebbe respingerlo. È sempre gentile, premuroso, educato.»
«Perché avevi paura di dirlo, allora?»
«Le ho rammendato e lavato i vestiti», disse invece la donna, porgendole cosa stava tenendo tra le mani da quando era entrata nella stanza. «Se no l'armadio è pieno di altri, scelga.»
Savannah scosse la testa. «Non sono una lady», le ricordò.

«Dov'è Goon?», domandò ad un cameriere nell'enorme sala in cui c'era stata la festa la sera prima.
Altri due uomini stavano tirando giù i drappi dal soffitto facendoli fluttuare con attenzione verso terra e una donna rimpiccioliva le sedie sfiorandole.
«Desolato, miss, non glielo so dire.»
Savannah sbuffò, era stufa di sentir parlare tutti in quella maniera assurda. «Fa niente», sputò rude. «E Heim?»
Il cameriere non sembrò minimamente toccato dai suoi modi popolani e le rispose con la stessa educazione che avrebbe riservato a chiunque, forse anche al vassoio che portava tra le mani e alle tartine verdi che conteneva. Savannah si sentì tentata dall'idea di mangiarne ancora una e scoprire finalmente cosa contenessero.
«È in procinto di partire, miss. Sta per tornare a Norreth.»
La jiin non perse tempo per ringraziarlo e corse verso l'ingresso, varcando il portone immenso in tutta fretta. Si ritrovò vagamente disorientata dalla quantità e dalla dimensione dei vari carri fluttuanti che erano parcheggiati a qualche centinaio di metri dal punto in cui si era accampata con Nehroi e i mal'Kee due sere prima. Strizzò gli occhi e vide un uomo panciuto e dai capelli bianchi camminare rapidamente verso un carro marrone seguito da due valigie che volavano a mezz'aria.
«L'hai caricato?», lo sentì domandare ad alta voce mentre riprendeva a correre verso di lui.
Un ragazzino stringeva tra le dita sottili un'enorme gemma e sussultò per lo spavento quando la voce imperiosa di Heim lo colse di sorpresa. La jiin non riuscì a sentire cosa gli avesse risposto.
Il Capo gli strappò la Stella dalle mani e la strinse a sua volta. Non appena un lieve bagliore rosa venne sprigionato, Heim lanciò la gemma al ragazzino e gli ordinò qualcosa con un tono molto sbrigativo.
Savannah corse più che poté ma quando arrivò sufficientemente vicina al Capo di Norreth per potergli parlare, questi salì sul carro e schizzò via ad una velocità incredibilmente elevata, facendo perdere l'equilibrio al ragazzo e gettandolo sull'erba umida.
«Merda», imprecò la jiin con stizza.
Il ragazzo, più mingherlino e smunto di quanto avesse potuto immaginare da lontano, la guardò e sembrò spaventarsi.
«Cosa ti ha chiesto?», gli domandò lei cercando di ignorare le sue strane reazioni.
Il ragazzo sembrò essere pervaso dallo stesso timore che aveva bloccato la cameriera poco prima, nella stanza. «Non lo dirò a nessuno», gli disse lei sperando che la tattica usata con la donna potesse funzionare di nuovo. «Te lo prometto.»
Il ragazzo sembrò rifletterci seriamente per qualche istante, poi annuì debolmente. «Mi ha sgridato», disse con voce flebile, «Non ho caricato la Stella abbastanza in fretta.»
Ogni carro si muoveva grazie ad una Stella, la gemma speciale in grado di immagazzinare energie magiche e di rilasciarle successivamente. Era un sistema principalmente usato dai soldati per non rimanere mai esausti durante una guerra o a causa dei macchinari perché potessero funzionare.
«Non sei abbastanza forte per poterlo fare?», ipotizzò Savannah. Quel ragazzo non sembrava essere essere un jiin di livello elevato e il suo cenno di assenso glielo confermò.
«Sai dov'è Goon?», domandò imperterrita.
Il ragazzo scosse la testa e la jiin tornò sconsolata verso il palazzo.
Incontrò nuovamente il cameriere con cui aveva parlato prima, trovandolo impegnato a lucidare un lampadario controllando a distanza una spugnetta gialla.
«Non ha visto Goon?», gli domandò ancora.
«Nuovamente desolato, miss.»
Si accorse solo in quel momento degli affreschi che avevano adornato le pareti bianche e che la donna che poco prima stava rimpicciolendo le sedie stava cancellando facendoli scivolare in una scatola. Era già a metà dell'opera ma parte della storia che era stata rappresentata era ancora visibile, sebbene Savannah non sapesse interpretarla o non vi trovasse nulla di familiare.
«Invece Mayson, il consigliere?», domandò infine, sperando in una risposta positiva, tanto per cambiare.
«L'ho visto andare verso la biblioteca con il signor Gerit, miss. Quasi un'ora fa.»
Savannah sorrise. Lo ringraziò e si voltò, fece qualche passo e poi tornò immediatamente da lui. Il cameriere le sorrise comprensivo. «Quarto piano, corridoio di sinistra prendendo quelle scale laggiù», la precedette.
Quando la jiin finì di salire gli infiniti e candidi gradini, trovò solo un grande pianerottolo che si diramava in due direzioni, nessuno tra coloro che stava cercando era nelle vicinanze. Il corridoio era spoglio e vuoto come sempre, riempito solamente dalla forte luce del giorno e dal cielo blu che si rifletteva sulle finestre aperte. Savannah si sporse da un davanzale e girò la testa all'insù, strizzando gli occhi per non accecarsi: la statua del fondatore di Ataklur e creatore della barriera era lì, con un braccio teso verso l'orizzonte e un piede alzato, come se volesse attraversare l'immensa terra che aveva riservato ai jiin millenni addietro. Non era mai stata un'appassionata di storia se non di quelle che portavano a preziosi manufatti utili per la missione, ma non si poteva vivere ad Ataklur senza sapere come fosse nata la loro terra e chi fosse stato il jiin più grande di tutti i tempi.
Il rumore di una porta che si aprì e chiuse rapidamente le fece quasi perdere l'equilibrio. Vide con la coda dell'occhio due persone che discutevano piuttosto animatamente, seppure nelle linee rigide del buon costume che regnava tra quelle mura. Non ci mise molto a capire chi fossero: Phil e Silar, entrambi con un'espressione molto tesa ed irritata sul viso.
Savannah si accoccolò in fretta sul davanzale facendo meno rumore possibile e cercò di spiarli attraverso i vetri delle finestre aperte, sperando di non essere vista.
«Ne sono più che certo, invece, l'ha detto in senso generale», disse Silar con un tono strafottente. «Mettiti l'anima in pace, non hai speranze.»
«Ma certo, infatti anche voi siete sempre rimasto vago, sbaglio?», replicò Phil con decisione.
Savannah ebbe l'impressione che stavano combattendo una strana guerra di trincea fatta solamente di parole e visi duri, una guerra che nessuno dei due sembrava intenzionato a perdere.
«Questi non sono affari che ti riguardano, babysitter.»
Phil sospirò ed abbassò le spalle. «Ancora?», domandò esausto.
«Il tuo Capo è tornato a casa e tu sei ancora qui, e pure tra i piedi...»
«Faccio solo il mio lavoro», sbottò a denti stretti l'umano. «Voi, piuttosto, non avete nient'altro da fare?»
Silar ridacchiò. «La differenza tra noi due è proprio questa, Mayson, io posso decidere cosa fare e tu no. Ma...»
I suoi occhi rotearono rapidamente verso la finestra dove Savannah li stava spiando e la jiin si spostò rapidamente per nascondersi meglio. Aveva una gamba distesa lungo la parete esterna e si stava reggendo a fatica al cornicione quando Silar comparve accanto a lei con aria dapprima truce e poi preoccupata. «Per gli spiriti!», esclamò mentre la afferrava per un braccio e la faceva rientrare. «Volevi cadere di sotto?»
Savannah gli scoccò un'occhiataccia. «Ho sconfitto cose più pericolose e letali di una caduta dal quarto piano, non sono una bambina...»
Il suo sguardo si spostò su Phil. «E non ho bisogno di babysitter.»
Il consigliere sbuffò nuovamente e aprì la bocca per correggere quell'affermazione ingiusta, ma un altro pensiero rubò il posto alla protesta. «Dov'è tuo fratello?», domandò.
Ormai erano quasi due settimane che viveva gomito a gomito con loro e vedere solo uno dei due Fratelli del Deserto gli faceva uno strano effetto, come di qualcosa sgarbatamente incompleto.
La jiin mugugnò frustrata e, per la prima volta nella sua vita, alla quella domanda rispose: «Non lo so.»


*-*-*-*



Non è proprio per niente così che volevo terminare il capitolo ma non mi è riuscito niente di meglio. Di cose succulenti ed importanti ne avevo già messe abbastanza, ho anche eliminato una parte troppo lunga con la cameriera e cercato di alleggerire il capitolo... poi boh, adesso mi direte voi se è piaciuto o no! XD
Dico solo che nei prossimi capitoli vedremo Phil e Silar scontrarsi per bene su un campo decisamente particolare, che Nehroi uscirà ancora di più di zucca e che Savannah e Chawia avranno modo di “confrontarsi” a dovere! ^^
Un po' di casino a Tolakireth, olè! Ché se no ci si annoia in quell'enorme palazzo, no?
   
 
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