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Autore: Nivees    22/03/2013    5 recensioni
{ Dieci storie tratte dalle canzoni più belle dei Kagamine | Len/Rin ♥ }
Ogni volta che Rin non riesce a dormire la notte, corre sempre nel lettone di Len il quale, finché la sorella non chiude gli occhi, le sussurra una dolce favola della buona notte, stringendola a sé.
First night ~ «C'era una volta...» ...una bambola. [Dolls]
Second night ~ «C'era una volta...» ...una principessa. [Sword of Drossel]
Third night ~ «C'era una volta...» ...una parola. [Hello Again]
Fourth night ~ «C'era una volta...» ...un robot. [Kokoro]
Fifth night ~ «C'era una volta...» ...un prigioniero. [Paper plane]
Sixth night ~ «C'era una volta...» ...un sogno. [Dreamy Dance Party]
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incest
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Ed eccoci, dunque, alla terza notte.
Ammetto che questa shot è la mia preferita tra tutte. Mi piace. Per una volta, finalmente, vado fiera di ciò che ho scritto. Non so, è tanto dolce e poi io adoro questa canzone: la voce di Rin e Len, con sottofondo questa melodia che ricorda tanto un carillon, sono bellissime. E poi le parole (quelle comprensibili, almeno) mi hanno fatta scendere una lacrimuccia. ;u;
Btw, non ho molto da dire, quindi vi lascio subito alla lettura.
Ringrazio come sempre i... beh, i lettori dato che nessuno recensisce e chi ha messo la storia tra le seguite (siete aumentati, wow). xD Un ringraziamento speciale va a quell'unica persona che ha capito che non mangio, e mi ha lasciata un commentino. Grazie! :3




 

La dolce favola della buona notte

Third night ~ Hello Again

 

 

La porta della stanza si aprì di scatto, rivelando la bionda ragazzina scattante e dietro di lei, come un fedele cagnolino, suo fratello la seguiva docilmente, con ancora lo stomaco pieno da tutto quello che avevano mangiato quella sera a cena.
Rin ancora rideva, ripensando a quello a cui avevano appena assistito. Len, invece, preferì non ricordare la scena di Meiko – ubriaca, naturalmente – mentre biascicava qualche parola incomprensibile e nello stesso tempo picchiava il povero Kaito e... accidenti, ci stava pensando. Len si schiaffeggiò una mano in faccia, pensando con che razza di amici lui e la sorella erano costretti a dividere la casa.
«Sto ancora ridendo» mormorò Rin, asciugandosi una lacrima, «È stato troppo divertente, non è vero Len?».
No. «Certamente. Non vedi come sto scompisciando dalle risate?» le fece notare, sarcastico. Ma la sorella non si accorse del suo tono decisamente troppo ironico, ma continuò a ridacchiare, mentre si coricava nel letto.
«Ci vorrebbe...» disse, senza spegnere il sorriso, «Ci vorrebbe qualcosa che mi faccia dimenticare quella sce–», non riscì a finire la frase, che un altro attacco di riso la colpì al ricordo della cara Meiko in quelle condizioni, facendola quasi piegare in due, mantenendosi la pancia.
Len sbuffò. Poi una piccola lampadina si accese nella sua testa e ghignò nella direzione della ragazza, dicendo: «Ho un modo per farti smettere di ridere. Dovevo raccontarti una storia anche questa sera, se non sbaglio».
«Sì!» si accese subito di entusiasmo lei, «Voglio che mi racconti...».
«Aspetta, aspetta, Rin» la fermò, prendendo posto accanto a lei, «Ho già una storia da raccontarti, che ti farà dimenticare quella scena così... beh, ridicola forse è il termine giusto».
Rin cercò con tutta se stessa di non ridere, con scarso successo però. «Non ci riuscirai mai! Che storia è? Di che parla?».
«Parla di un'amore corrisposto e ricambiato, ma nessuno dei due riesce a capirlo».
Quando Rin piegò la testa, confusa, Len capì che a spiegarglielo così in due parole non sarebbe mai riuscito a farglielo intendere. «Lascia stare, stai a sentire e capirai» le spiegò con dolcezza, accarezzandole i capelli, poi iniziò: «C'era una volta...».

... una parola. O meglio, quella sera c'erano molte parole che echeggiavano nel buio e tra le onde del mare che si infrangeva contro gli scogli. Ad ascoltare quelle parole – apparentemente incomprensibili – c'era un ragazzo, che sostava accanto ad un letto, in attesa di qualcosa, aguzzando più che poteva le orecchie per poter cogliere ogni sfaccettatura di quella voce cristallina che mormorava parole a lui completamente sconosciute.
Il ragazzo si chiamava Len. Viveva in una piccola baita vicino al mare, perché era un ragazzo che adorava guardare il cielo cambiare colore all'alba e al tramonto, quando all'orizzonte saliva o calava il sole sull'acqua che brillava grazie alla sua luce; e poi adorava ancora di più sentire il rumore dell'acqua vicino a lui, persino durante la notte, che lo accompagnava nel sonno – e gli teneva compagnia, essendo un ragazzo relativamente solo.
Fino a quella sera, almeno.
Quella voce e quelle parole lo avevano attirato come una calamita verso il mare. In un misero attimo, pensò persino di aver sentito una sirena – le leggende su quegli esseri, in quella città dove marinai e pirati sbarcavano quasi ormai tutti i giorni, erano molte e lui ne aveva sentite alcune, tanto che non poté non pensarci. Quando, in riva al mare, appoggiata delicatamente sulla sabbia bianca, non trovò una ragazza.
Era una ragazza giovane e bella, tremendamente bella. I suoi vestiti sembravano asciutti, se non fosse per la gonna leggermente bagnata a causa delle onde che le si infrangevano contro, quindi la teoria della sirena fu accantonata – per il momento, almeno.
Sembrava dormisse; i suoi occhi non accennarono ad aprirsi, nonostante una parte di lui desiderasse vederli come mai aveva desiderato niente prima di allora. Continuò a ʻdormireʼ persino dopo che Len la prese tra le braccia – e fu in quel momento che capì che era proprio lei quella voce che aveva sentito fino a quel momento.
«
Werra svey jhno jhno. Werra svey jhno mrrau». Erano quelle le parole strane che uscivano dalle sue labbra rosse, totalmente incomprensibili per lui.
Che fosse un'altra lingua? Non somigliava a nessuna di quelle che lui – anche se in minima parte – conosceva.
Che fosse un'aliena? ... Quasi si schiaffeggiò da solo a quel pensiero.
Qualcosa significavano, su quello era certo. Len non si perse d'animo: decise che glielo avrebbe chiesto direttamente a lei una volta che si sarebbe svegliata. Anche a gesti, se necessario.
Per questo motivo, ora, Len si trovava accanto a quel letto, dove la bella ragazza sconosciuta continuava a dormire, sussurrando ogni tanto quelle parole.
E a guardarla con il passare del tempo, Len si sentiva sempre più attratto.

Soltanto tre giorni dopo che la incontrò, la ragazza aprì i suoi occhi. Len era rimasto al suo capezzale per tutto il tempo, lasciandola solo quando era strettamente necessario. Aveva persino dormito su quella sedia rotta e scomoda, pur di non allontanarsi e di non perdersi il suo risveglio.
Non se ne pentì affatto, dopotutto.
Aprì i suoi occhi blu chiaro – molto simile al colore nel mare calmo – e lo fissò, un po' come se sapesse già che lui si trovasse al suo fianco. La ragazza non disse niente, non fece nemmeno una faccia stupita, non chiese chi diavolo lui fosse o cose del genere; si limitò ad osservarlo in silenzio, con un espressione che Len catalogò come ʻdolceʼ.
«Chi sei?» le chiese, incantato. Era la ragazza più bella che avesse mai visto, con i suoi capelli biondi e i suoi begli occhi cerulei. «Qual è il tuo nome?».
La ragazza gli sorrise teneramente, sembrando addirittura contenta che lui le avesse rivolto la parola. «
Werra svey jhno mrrau» le rispose, ma Len aggrottò le sopracciglia, non capendo cosa stesse dicendo, e il sorriso della ragazza si spense.
«N–Non capisco» ammise, riluttante. Non voleva renderla triste, ma veramente non riusciva a comprendere quelle strane parole, «Mi dispiace, ma davvero non capisco cosa dici. Ma non preoccuparti, questo non significa che ti butterò fuori di casa!».
La ragazza sconosciuta sgranò impercettibilmente i suoi occhi, poi sorrise annuendo. Len considerò quel gesto come un ringraziamento per la sua ospitalità, ma lei forse non sapeva che proprio per lei lui avrebbe fatto questo ed altro. Chissà se era proprio questo quello che intendevano i marinai, quando dicevano che il canto della sirena incantava gli uomini per trascinarli nelle profondità degli abissi più oscuri. Se lei fosse davvero una sirena, e lui ne era ormai già affascinato, gli sarebbe toccato quel destino senza alcuna ombra di dubbio. E a quel punto, Len non era nemmeno tanto certo di tirarsi indietro, quando sarebbe stato il momento; soprattutto se a portarlo negli abissi del mare era proprio lei. Avrebbe accettato il suo destino, in tal caso.
«Ti chiamerò Rin. Ti piace?».
Decise di darle comunque un nome. Scelse quello, perché credeva che la rispecchiasse completamente data la sua musicalità – un po' come quelle parole strane che continuava a ripetere, e che lui continuava a non capire.
Le diede un nome, e si disse che non sarebbe bastato questo ad allontanarla da lui.

Ed infatti, Rin restò sempre accanto a lui.
Ogni volta che restava incantato ad osservarla, sembrava sempre più bella. Era inutile persino pensare al fatto che lui fosse terribilmente innamorato di lei, l'amore nei suoi confronti era visibile da lontano. Era quasi palpabile nell'aria, quasi come se ci fosse dell'elettricità attorno ad entrambi. Lui l'amava, non c'erano altri dubbi.
La osservava sempre dormire nel suo letto, tranquilla. Persino nel sonno, Rin continuava a mormorare quelle parole strane e Len divenne quasi ossessionato da ciò, quasi come se maledisse se stesso per il fatto di non riuscire a comprenderla.
«Ripeterò ciò che dici, sperando che siano parole d'amore» le mormorava ogni notte, accarezzandole dolcemente i capelli lasciati liberi sul cuscino.
Ed in effetti...


«... erano senza alcun dubbio parole d'amore, sai? La ragazza continuava a ripeterle ogni giorno, ininterrottamente, per dirle quanto lo amasse. E sentirle pronunciare anche a lui la rendeva più che felice, ma sapeva in cuor suo che lui le ripeteva senza saperne il significato. Lei non credette mai al suo cuore che le metteva in testa che lui ricambiava il suo amore, e viceversa anche lui stesso non capì mai che quelle parole erano per lui, per amarlo nell'unico modo che conosceva. Restarono per sempre insieme, questo sì, ma nessuno dei due seppe mai che l'altro l'amava con tutto se stesso».
Len smise di narrare. Guardò al suo fianco, dove Rin era stesa supina a guardare il soffitto, con uno sguardo terribilmente serio in volto.
«Ci sono modi e modi per far capire l'amore alla persona amata» concluse Rin, dopo aver pensato con accuratezza a ciò che aveva appena sentito, «Insomma, lei poteva... poteva abbracciarlo, o b–baciarlo» arrossì a quelle parole, ma non diede peso, «Cielo, poteva dimostrarglielo in altri modi, sapendo che lui non riusciva a capire quelle parole!».
Len non rispose. Non a parole, almeno. Si limitò a scoppiare a ridere, cercando di nascondere il rossore sulle sue guance e quello strano calore che sentiva all'altezza del petto. «Buona notte, Rin! Quando inizi a pensare troppo, forse è meglio che ti addormenti!» la prese in giro, scompigliandole ancora di più i capelli e mettendosi comodo nel letto – maledicendosi per ciò che sentiva, chiaro.
Furono attimi di silenzio dove nessuno dei due fiatò. Len non vide cosa stesse facendo la sorella e perché non aveva né replicato con qualche sua lamentela, né tantomeno aveva ricambiato la sua buona notte, perché aveva chiuso gli occhi nel vano tentativo di addormentarsi.
Quando ad un certo punto, Rin gli diede finalmente il saluto che tanto bramava, ma non era il solito... Non era il solito bacio sulla guancia e il solito ʻbuona notteʼ.
«Werra svey jhno mrrau» mormorò al suo orecchio, schioccandogli poi un grosso e rumoroso bacio sulla guancia, «Sono parole d'amore, giusto Len?».

  
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