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Autore: Melian_Belt    23/03/2013    2 recensioni
Nella Roma del 410 d.C., uno schiavo viene acquistato da una potente famiglia romana e si trova a vivere in un mondo diverso da quello al quale era abituato. Ma l'elemento più disturbante si rivelerà il nuovo padrone, destinato a dare una svolta inaspettata a quello che credeva il suo destino già segnato.
Slash, tanto per cambiare U_U
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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È l’apice del mattino, il sole entra forte dalla grande finestra e fa brillare i muri bianchi quasi da accecare. Da fuori, arriva un rumore nuovo, un fruscio cullante che non avevo mai sentito prima. Giuliano dice che è il mare. Dal giardino gli aranci combattono contro l’arsura, una fontana zampilla a fatica. Sembra un altro mondo rispetto agli orrori degli ultimi giorni.
Giuliano sorride, ma un velo malinconico si è aggiunto a quello che già aveva di indole. La nipote più piccola è abbandonata contro una sua spalla, mentre la maggiore si sporge per guardare i pesciolini nella vasca, oltre al portico. La sorella di Giuliano è passata più volte, cercando inutilmente di portarle via per far riposare lo zio.
Io rimango seduto in fondo al letto, la sua gamba contro la mia schiena è un contatto rassicurante. Sospira e chiude gli occhi, una cosa che fa sempre per combattere il dolore. Ha rifiutato di prendere dosi troppo massicce di anti-dolorifici, dice che lo confondono e non vuole tornare nello stato di stupidità in cui lo riducono.
Ormai sono passati due giorni da quando siamo arrivati qui e notizie di distruzione e massacri continuano a giungere, ma queste ville sembrano protette da un qualche potere, perché rimangono un’oasi di pace. Sappiamo che tutto potrebbe cambiare in un istante, ma per ora andiamo avanti, nonostante tutto ciò che abbiamo lasciato indietro.
Qualcuno si schiarisce la gola e Giuliano apre gli occhi stanchi, dirigendoli verso l’entrata. Il medico lo guarda e qualcosa nella sua espressione grave fa corrugare la fronte a Giuliano.
“Leptos…cosa c’è?”.
L’anziano greco sospira e avanza nella stanza. Ha l’aria stremata, due profonde occhiaie segnano gli occhi insieme alle grinze dell’età.
“Tuo cugino, mio signore, non migliora affatto”.
Giuliano sbarra gli occhi e anche io non riesco a nascondere la sorpresa. Mi tiro in piedi, fissando il medico con incertezza: “Ma…avevate detto che l’unica ferita grave era quella alla gamba”.
“È così. La prima notte le sue condizioni erano buone, a parte l’affaticamento. Quando gli è venuta un po’ di febbre, non ci siamo preoccupati. Ma stanotte si è alzata e non riusciamo a svegliarlo da ieri”.
La bambina alza il visino verso lo zio, non dice nulla ma tira su col naso. Giuliano la stringe un poco con il braccio:  “Quale può essere la causa?”.
“Crediamo che la lama fosse avvelenata”.
Il poco colore che Giuliano ha ripreso scompare dal suo volto. Non posso condividere il suo accoramento, ma non sono tanto crudele da gioire di una simile notizia, soprattutto se fa soffrire Giuliano. Alessandro non è più oggetto del mio odio, in questi due giorni i miei pensieri non l’hanno nemmeno mai sfiorato e devo riconoscere che senza di lui forse non saremmo qui.
“Avvelenata…?” ripete Giuliano con voce flebile.
“Sì. Un veleno non potente abbastanza da uccidere, ma ha indebolito il suo corpo già affaticato. La ferita mostra già i primi segni di infezione”.
“Ha delle possibilità?”.
Leptos annuisce: “Potrebbe farcela. Tutto si deciderà prima di domani all’alba, se riusciremo a combattere l’infezione è probabile che vivrà senza complicazioni. Ma se dovesse peggiorare…allora avrai una scelta difficile da prendere”.
“Quale?”.
“In caso l’infezione prendesse piede, l’unico modo per dargli una possibilità sarà amputare”.
Un pesante silenzio cade sulla stanza alle ultime parole, Giuliano trattiene il respiro, immobile. Tace, affonda le dita nelle lenzuola, ma non fa altro.
È Leptos a riprendere il discorso: “Aspetteremo il più possibile, poi sarai tu a dover decidere. Possiamo solo fare del nostro meglio per evitare che si infetti in modo irreparabile”.
Con un breve inchino, se ne va a passo trascinato. Scruto Giuliano per qualche istante, prima di sedermi accanto a lui e prendergli una mano. Accarezzo il palmo, dove un livido si sta ingiallendo. Trattiene a stento un’espressione  di doloroso sconforto, ma leggo i suoi occhi troppo bene per farmela sfuggire.
La sorella appare sulla porta, con un’espressione molto simile sul viso. Deve leggere le emozioni del fratello, riconosco l’empatia nei suoi lineamenti sconfortati. Alza le mani pallide: “Bambine, ora è davvero il momento di lasciare zio a riposare. Tornerete oggi pomeriggio”.
Giuliano le rivolge un sorriso affaticato, che prende una sfumatura affettuosa quando Flavia gli poggia un bacio sulla guancia e balza giù dal letto.
Nonostante tutto sono due bambine simpatiche e sono molto affezionate allo zio, il che me le fa piacere. Ma sono contento che se ne siano andate. Lo bacio lentamente, ma non troppo a lungo. Non sono bravo a confortare, ma so che Giuliano mi capisce anche senza le parole.
Mi rivolge un ultimo sguardo prima di assopirsi, pur mantenendo una vena di afflizione sulla fronte corrugata. Stavolta poggio lì le labbra, distendendo quelle malevole pieghe fino a che, con un sospiro, non entra in un pacifico oblio.
 
  
 
È l’apice del mattino, il sole entra forte dalla grande finestra e fa brillare i muri bianchi quasi da accecare. Da fuori, arriva un rumore nuovo, un fruscio cullante che non avevo mai sentito prima. Giuliano dice che è il mare. Dal giardino gli aranci combattono contro l’arsura, una fontana zampilla a fatica. Sembra un altro mondo rispetto agli orrori degli ultimi giorni.
Giuliano sorride, ma un velo malinconico si è aggiunto a quello che già aveva di indole. La nipote più piccola è abbandonata contro una sua spalla, mentre la maggiore si sporge per guardare i pesciolini nella vasca, oltre al portico. La sorella di Giuliano è passata più volte, cercando inutilmente di portarle via per far riposare lo zio.
Io rimango seduto in fondo al letto, la sua gamba contro la mia schiena è un contatto rassicurante. Sospira e chiude gli occhi, una cosa che fa sempre per combattere il dolore. Ha rifiutato di prendere dosi troppo massicce di anti-dolorifici, dice che lo confondono e non vuole tornare nello stato di stupidità in cui lo riducono.
Ormai sono passati due giorni da quando siamo arrivati qui e notizie di distruzione e massacri continuano a giungere, ma queste ville sembrano protette da un qualche potere, perché rimangono un’oasi di pace. Sappiamo che tutto potrebbe cambiare in un istante, ma per ora andiamo avanti, nonostante tutto ciò che abbiamo lasciato indietro.
Qualcuno si schiarisce la gola e Giuliano apre gli occhi stanchi, dirigendoli verso l’entrata. Il medico lo guarda e qualcosa nella sua espressione grave fa corrugare la fronte a Giuliano.
“Leptos…cosa c’è?”.
L’anziano greco sospira e avanza nella stanza. Ha l’aria stremata, due profonde occhiaie segnano gli occhi insieme alle grinze dell’età.
“Tuo cugino, mio signore, non migliora affatto”.
Giuliano sbarra gli occhi e anche io non riesco a nascondere la sorpresa. Mi tiro in piedi, fissando il medico con incertezza: “Ma…avevate detto che l’unica ferita grave era quella alla gamba”.
“È così. La prima notte le sue condizioni erano buone, a parte l’affaticamento. Quando gli è venuta un po’ di febbre, non ci siamo preoccupati. Ma stanotte si è alzata e non riusciamo a svegliarlo da ieri”.
La bambina alza il visino verso lo zio, non dice nulla ma tira su col naso. Giuliano la stringe un poco con il braccio:  “Quale può essere la causa?”.
“Crediamo che la lama fosse avvelenata”.
Il poco colore che Giuliano ha ripreso scompare dal suo volto. Non posso condividere il suo accoramento, ma non sono tanto crudele da gioire di una simile notizia, soprattutto se fa soffrire Giuliano. Alessandro non è più oggetto del mio odio, in questi due giorni i miei pensieri non l’hanno nemmeno mai sfiorato e devo riconoscere che senza di lui forse non saremmo qui.
“Avvelenata…?” ripete Giuliano con voce flebile.
“Sì. Un veleno non potente abbastanza da uccidere, ma ha indebolito il suo corpo già affaticato. La ferita mostra già i primi segni di infezione”.
“Ha delle possibilità?”.
Leptos annuisce: “Potrebbe farcela. Tutto si deciderà prima di domani all’alba, se riusciremo a combattere l’infezione è probabile che vivrà senza complicazioni. Ma se dovesse peggiorare…allora avrai una scelta difficile da prendere”.
“Quale?”.
“In caso l’infezione prendesse piede, l’unico modo per dargli una possibilità sarà amputare”.
Un pesante silenzio cade sulla stanza alle ultime parole, Giuliano trattiene il respiro, immobile. Tace, affonda le dita nelle lenzuola, ma non fa altro.
È Leptos a riprendere il discorso: “Aspetteremo il più possibile, poi sarai tu a dover decidere. Possiamo solo fare del nostro meglio per evitare che si infetti in modo irreparabile”.
Con un breve inchino, se ne va a passo trascinato. Scruto Giuliano per qualche istante, prima di sedermi accanto a lui e prendergli una mano. Accarezzo il palmo, dove un livido si sta ingiallendo. Trattiene a stento un’espressione  di doloroso sconforto, ma leggo i suoi occhi troppo bene per farmela sfuggire.
La sorella appare sulla porta, con un’espressione molto simile sul viso. Deve leggere le emozioni del fratello, riconosco l’empatia nei suoi lineamenti sconfortati. Alza le mani pallide: “Bambine, ora è davvero il momento di lasciare zio a riposare. Tornerete oggi pomeriggio”.
Giuliano le rivolge un sorriso affaticato, che prende una sfumatura affettuosa quando Flavia gli poggia un bacio sulla guancia e balza giù dal letto.
Nonostante tutto sono due bambine simpatiche e sono molto affezionate allo zio, il che me le fa piacere. Ma sono contento che se ne siano andate. Lo bacio lentamente, ma non troppo a lungo. Non sono bravo a confortare, ma so che Giuliano mi capisce anche senza le parole.
Mi rivolge un ultimo sguardo prima di assopirsi, pur mantenendo una vena di afflizione sulla fronte corrugata. Stavolta poggio lì le labbra, distendendo quelle malevole pieghe fino a che, con un sospiro, non entra in un pacifico oblio.
 
  

  
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