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Autore: Carmen Black    24/03/2013    3 recensioni
Paul, dopo l'ennesimo litigio con un membro del suo stesso branco, si allontana, ritrovandosi sulla spiaggia. E' lì, che immerso nelle sue riflessioni, intravede una sagoma da lontano. " Un pazzo suicida ", lo definisce.
Ma più la sagoma si avvicina, più i suoi contorni prendono forma e lui viene sorpreso da un evento che cambierà irrimediabilmente la sua vita. Per Sempre.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Lahote, Rachel Black
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Paul

 
 
 
La vita universitaria è davvero dura.
Credo che questa sia la prima cosa da dire, in modo che se doveste decidere di andare via di casa, per seguire la vostra dolce metà, sappiate a che cosa andate in contro.
Feci un grosso sbadiglio e mi rigirai nel letto sperando che la mia Rachel mi avesse portato la colazione, ma non sentivo nessun odore, quindi di sicuro si era precipitata alle lezioni dimenticandosi di me. Che vita barbara questa.
Aprii gli occhi e sbadigliai di nuovo. Ero da solo nella nostra camera, uno spazio angusto di dieci metri quadrati in un appartamento condiviso con dei secchioni mai visti, che se ne andavano in giro con dei maglioni con pupazzi di neve disegnati e occhiali spessi come il fondo delle bottiglie.
Come c’ero capitato in quel film horror?
Mi alzai ad agio perché in quasi due mesi che vivevamo insieme, avevo distrutto la maggior parte dei soprammobili che Rachel si ostinava a mettere sul mio comodino: le piacevano le fatine.
Io, Paul Lahote, con le fatine sul comodino, stiamo scherzando? No purtroppo.
La cosa più positiva di quella situazione era che nessuno ci rompeva le scatole, eravamo da soli. Ridacchiai fra me e me.
Potevo farle tutto quello che volevo senza dovermi preoccupare di Jacob che leggeva nella mia mente. Se avesse saputo… diavolo, mi avrebbe ucciso!
Comunque, come dicevo, la vita al college è davvero dura.
Passavo la maggior parte delle mie giornate a letto o a mangiare e proprio quando non ne potevo più andavo nel bosco più vicino e mutavo, giocando a nascondino con qualche scoiattolo. Era strano stare lontano dai miei fratelli per così tanto tempo, in un certo senso mi… mancavano.
D’altronde era con loro che trascorrevano l’intera giornata, poi da un giorno all’altro mi ero ritrovato da solo con la mia ragazza, catapultato in mezzo alla civiltà. Non che non avessi mai visto una grande città o delle ragazze audaci, a La Push era pieno di turiste, ma lì… era fico.
Embry e Seth avrebbero dato di matto. Persino Santo Quil avrebbe abbandonato i pannolini per quelle misere gonnelline.
Io, ogni giorno alle 12:00 in punto avevo un appuntamento fisso. Ovviamente Rachel non se lo immaginava proprio, ma ogni giorno, alle 12: 00 in punto, attraverso le tendine rosa con le farfalle della nostra camera, avevo appuntamento con l’intera confraternita del nonosoche, comunque erano quindici ragazze con addosso qualcosa simile a un completino intimo, che facevano a.e.r.o.b.i.c.a.
Quando l’avevo detto a Jared al telefono si era messo a urlare e poi aveva fatto una ricerca su internet per vedere in che cosa consisteva l’aerobica. Infine disse che era una specie di Kamasutra, solo un po’ più veloce.
«Ciao amore!». Rachel entrò all’improvviso con un sorriso smagliante stampato sul viso. Lasciò la borsa su una sedia e si buttò su di me baciandomi il viso.
Il mio cuore si sciolse e la mente si svuotò. Quando mi era accanto accadeva sempre.
Qualche pensierino del tutto legittimo sull’universo femminile, si creava solo quando mi era lontano. A ogni modo, rimanevano solo e soltanto pensierini. Gli occhi sono fatti per guardare, ma non mi ero mai azzardato ad andare oltre, il mio corpo non me lo consentiva, voleva solo lei. Io volevo solo lei.
«Sei già di ritorno?».
«Sì, non sei felice di vedermi?».
«Tantissimo».
La baciai sentendo il suo profumo di fragola. Ah bene, oggi aveva cambiato. Ieri aveva quello alla cioccolata e le mie attenzioni speciali le avevano fatto saltare un paio di lezioni.
«Sono qui perché devo darti una bella notizia».
Si mise a cavalcioni su di me e mi diede qualche pacca sul viso, per poi accarezzarmi.
«La mia laurea è tra una settimana, ormai siamo agli sgoccioli», iniziò.
«Bene, così potremmo trovarci un appartamento decente. Se continuo a rimanere qui mi trasformerò in un quattrocchi».
«Non ho nessuna intenzione di andare alla ricerca di un nuovo appartamento, Paul e poi non abbiamo un lavoro qui!».
Puah, figuriamoci. Se avessi voluto lavorare ne avrei trovato a bizzeffe. Solo che dopo la faticaccia delle ronde mi ero preso un po’ di vacanze, tanto avevo qualche risparmio che mi aveva lasciato in eredità la mia povera defunta nonna Adeline.
Un giorno, per esempio, ero andato un po’ in giro e una signora giapponese mi aveva richiamato avvicinandosi a me e senza mezzi termini mi aveva chiesto se volevo lavorare nel suo ristorante. Avevo pensato che gli servisse un cameriere e invece mi aveva detto che cercava un piatto da portata. Cioè dovevo fare da piatto! Ma la gente è proprio fuori di testa nelle grandi città.
Avrei dovuto spogliarmi, stendermi su un tavolo e lasciare che mi mettessero del cibo addosso e poi qualcuno lo mangiasse; non avevo idea se si usassero le posate. Mi avrebbe pagato centocinquanta dollari a servizio. Da una parte era allettante… però, c’è sempre un però. E il mio però era Rachel.
Wow, mi stavo trasformando in un chierichetto!
«I soldi non sono un problema», risposi.
«Perché tu vuoi rimanere qui? Lontano dalla tua famiglia e i tuoi amici?».
«Lo sai che mi mancano», ammisi in una macabra caduta di stile. «Posso sempre andare a trovarli. Ma la mia vita adesso è con te».
«E anche la mia è con te», mi diede un bacio dolce stringendomi forte. «Però come potrei essere felice se tu non lo sei completamente?».
«Rachel…».
«Torniamo a La Push».
«Andiamo, tesoro. E tutti questi anni di sacrifici, vuoi buttarli così?».
«Ovviamente no. Ho trovato una soluzione giusta per entrambi».
«Ah davvero?». Sorrisi accarezzandole la schiena. La mia piccola aveva una mente geniale e quando non la usava per scrivere improbabili filastrocche che mi sussurrava poi all’orecchio durante la notte, si rivelava utile.
«Ho trovato lavoro in un’azienda nelle vicinanze di Forks a mezz’ora da La Push».
I suoi occhi erano luminosi e felici, le braccia strette ancora intorno a me. Era chiaro che il suo umore fosse dettato dal fatto che era certa di farmi una sorpresa, e in effetti me l’aveva fatta.
«Dici sul serio?».
«Mai stata così seria».
«Mai stata così seria?», le chiesi con tono rimproveratorio. «Quindi tutto ciò che mi hai detto fin’ora era… non so, era una cosa così?».
«Ma sei scemo?», mi morse le labbra. «E’ tutto vero. Io ti amo e voglio stare con te».
«Hmm…», protestai facendo finta di pensare alle sue parole. «Decido di crederti. Stavolta ti è andata bene».
Lei rise e io ribaltai le posizioni, portandola sotto di me.  Affondai con una mano nei suoi capelli e la baciai. «Quindi siamo proprio destinati a stare insieme», dissi un po’ riluttante all’idea.
«Paul, lo so che ti mancherà l’appuntamento di mezzogiorno con le ragazze che fanno aerobica qui dietro al parco. Ma sì, sei destinato a stare con me».
Ecco i poteri sovrannaturali delle donne. Alcune volte pensai che sarebbe stato meglio nascere femmina, per una serie di motivazioni diverse. La prima era quella con cui avevo appena fatto i conti: loro sanno sempre tutto di te, anche quando pensi di essere stato discreto e di aver compiuto una missione alla James Bond.
La seconda era avere le tette e poterle toccare.
«A che cosa pensi Paul?».
«A niente… Anzi…». Intrecciai le mani alle sue e la guardai da vicino, in quei suoi grandi occhi espressivi.
«Prepariamo le valigie. La Push ci aspetta.».
 
Dopo essermi vantato della mia ragazza per tutto il College, dicendo a gente estranea di ogni etnia che si era laureata con il massimo dei voti, partimmo per La Push… ritornavamo a casa.
Ero al settimo cielo, solo allora realizzavo quanto mi fosse mancata la foresta, i miei amici e mio padre che adesso affidava le faccende di casa a quel moccioso di Collin.
A gran sorpresa Billy con l’aiuto di Nessie e Kim aveva organizzato una bella festicciola per il nostro ritorno che invece poi si era trasformata nella festa di ritornodi Rachel, io potevo benissimo starmene dov’ero.
Era trascorsa una settimana da quel giorno e tutto era tornato alla normalità: io andavo a fare la spesa e facevo i turni di ronda e Rachel viveva con suo padre e suo fratello e presto avrebbe iniziato il suo nuovo lavoro.
Non era meglio al college? Ovvio che sì. Dovevo fare pure i salti mortali per uscire con lei, era inaccettabile. Fu proprio quando meditavo su questa brutta faccenda che mi venne un’idea.
La mia cara nonna Adeline non mi aveva lasciato solo un gruzzoletto, ma anche una casetta niente male. Certo, andava fatto più di un lavoretto, però ne valeva la pena. Tanto io e Rachel avremmo passato la vita insieme, quindi perché aspettare per andare a vivere nella stessa casa? Al College non l’avevamo già fatto?
Avevo avuto un’ottima idea, sicuro!
Prima di chiederglielo però, era meglio azzardare una richiesta che facesse capire quanto serie fossero le mie intenzioni: un anello di fidanzamento, sì. Ecco la seconda idea geniale del giorno.  Se le avessi chiesto di fidanzarsi ufficialmente, Billy non avrebbe avuto niente in contrario, almeno lo speravo.
Poi d’un tratto sentii della musica ad altissimo volume e attraverso la finestra della mia camera vidi i mocciosi del branco capitanati da Seth, che cercavano di nascondersi dietro il muro di una casa e non smettevano di spintonarsi a vicenda.
Ero pronto a mettermi a sbraitare, ma qualcuno bussò ai vetri della finestra. Sollevai un sopracciglio e la aprii ritrovandomi davanti la faccia strana di Jared.
«Che diavolo vuoi?».
«Paul!», esclamò aprendo un sorriso a mille denti. «La civiltà è arrivata anche qui! Dietro casa di Emily stanno praticando il Kamasutra veloce!».
«Che cosa?», esclamai di colpo.
«Vieni! Andiamo a vedere!».
Saltai giù dalla finestra e seguii Jared fino a casa di Emily, distava cinquanta metri, non di più.
Quando arrivammo alle spalle dei mocciosi li sentii gongolare e dire delle frasi che facevano ben intendere che razza di pervertiti sarebbero diventati.
«Ma quello è un angolo retto?».
«Oddio quello è un novanta gradi!».
«Beato Jacob… e anche Jared».
«Perché Paul no? Guarda che tette che ha Rachel».
Presi due mocciosi per i capelli, rispettivamente Collin e Brady e li lanciai contro il muro come se fossero pupazzi. Jared invece si occupò di Seth. Non ebbi nemmeno il tempo di urlargli contro che si erano volatilizzati nella foresta.
Come osavano dire certe cose sulla mia Rachel? Maledetti maniaci, pervertiti fottuti!
Quando svoltai l’angolo della casa, però, capii l’euforia che aveva colpito i mocciosi. La stessa che stava colpendo me.
Era come essere al College, al mio sacro appuntamento delle 12:00 in punto, solo che invece di essere ragazze sconosciute erano le nostre ragazze. Oh mio Dio che orrore!
«Kamasutra veloce», mi ripeté Jared all’orecchio.
Erano tutte vestite, anzi svestite, indossavano una specie di bikini, ma non avevano freddo? Si lamentavano sempre di La Push e ora se ne stavano lì nude!
«Rachel!», sbraitai.
«Calmati amore!», disse sorridente facendo uno strano movimento con le gambe. «Vieni, unisciti a noi! Non ti piaceva l’aerobica?».
Andai a spegnere lo stereo e sentii le ragazze protestare. Con la coda dell’occhio vidi i mocciosi che spiavano da dietro alcuni cespugli, erano tornati all’attacco.
«Ma non avete freddo?».
«Siamo in movimento, ovvio che non ne abbiamo!».
Alzai le mani in segno di resa. «Scusate se vi ho interrotto, ma non voglio che vi accada qualcosa di brutto».
Le ragazze mi guardarono stranite mentre Rachel si mise le mani sui fianchi.
«Perché saremmo in pericolo?», chiese Nessie. Ammazza che… polmoni… Ora i pensieri di Jacob erano più chiari.
«Perché la specie di danza che state facendo, qui è proibita dai secoli dei secoli», mi avvinai mansueto a Rachel. «Se gli anziani vi vedessero credo che vi metterebbero al rogo».
Presi Rachel sulle spalle come un sacco di patate e corsi via a tutta velocità prima che iniziassero il linciaggio ai miei danni.
Rachel urlava come una sirena della polizia, gli uccelli si alzavano a stormi dagli alberi.
«Mettimi giù!».
Quando fui abbastanza lontano dalle altre della sua razza, la misi giù e schivai una tripletta di cazzotti ben assestati.
«Paul, sei impazzito?».
«Sì. È per questo che devo dirti una cosa. Importante».
Vedendo il mio tono serio Rachel si placò guardandomi fisso negli occhi.
Bene, nonna Adeline, mandamela buona o ti sogni che ti porto ancora margherite al cimitero.
 
 
Angolino Autrice

Ciao a tutti e buona domenica. Lo so che avevo detto anche stavolta che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma ho una cosa tira l'altra e mi è venuto fuori qualcosa a cui non potevo rinunciare, questo capy mi piace troppo. Il prossimo sarà l'ultimo promesso ahahah!
Spero vi piaccia e alla prossima! <3 

 
 
 

  
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