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Autore: fly_with_1D    24/03/2013    3 recensioni
La mia mano tremante raggiunse la sua.
Lo guardai in quei suoi profondi occhi verdi, non sapendo cosa dirgli.
Una lacrima solitaria scese lentamente lungo la sua guancia perfetta, la asciugai.
Non mi sono mai sentita così male in tutta la mia vita.
In mezzo al mio petto c’era nuovamente quella voragine, lo guardai di nuovo negli occhi. Lo avrei amato per sempre, ne ero sicura. Ma non potevo dirglielo, non dopo quello che mi aveva fatto.
Per l’ennesima volta quella che soffriva ero io.
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Una raggazza, Elizabeth, che dopo la morte di sua madre entra in brutti giri. si trasferisce, dall'America, per l'estate a casa di sua zia Jenna, a Londra con la sua migliore amica, Queen.
L'incontro con cinque magnifici ragazzi riuscirà a cambiarla? ci sarà il lieto fine per la nostra protagonista?
leggete e fatemi sapere cosa ne pensate!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. The Beginning




Sono già tre ore che sono sveglia, dalle sei di questa mattina.
Io e Queen eravamo da un ora sedute su quelle maledette poltrone della prima classe di quello stupidissimo aereo, che sarebbe dovuto partire da li a poco per portarci a Londra dai parenti di mia mamma.
Erano passati troppi mesi dalla sua morte e da allora la zia Jenna continuava a invitarmi  e io, continuamente, rifiutavo. In quel momento mi passarono davanti agli occhi quelle maledette immagini, di quella maledetta sera.
 
-Elisabeth, smettila di fare la stupida, per favore- disse mamma dolcemente.
Mamma era venuta a prendermi dopo una serata con i miei amici per festeggiare i miei diciassette anni.
Avevo bevuto, forse troppo, e continuavo a darle fastidio.
Non so cosa accade in quei pochi secondi.
I fari accecanti di un’auto di fronte a noi si avvicinavano velocemente.
Mamma si girò verso di me.
Aveva già capito che non ci sarebbe stata alcuna possibilità di evitare l’incidente.
Io la guardai.
Una lacrima scese lungo il suo viso e poi il vuoto.
Il buio.
 
Una goccia salata scese solitaria lungo la mia guancia al ricordo di papà che mi annunciava la morte di mia madre, con gli occhi lucidi pronunciò difficilmente quelle parole Bath, la mamma non ce l’ha fatta.
Ero stesa sul letto di quella camera d’ospedale quando mio padre mi disse dell’accaduto, da li cominciò il mio periodo buoi, come lo chiamava papà. Alcool, fumo e brutte compagnie. E c’ero dentro ancora, ne ero consapevole, ma sembrava l’unico modo per soffocare quel vuoto, quel dolore che mi accompagnava ogni giorno dalla morte di mia madre.
E per ora non avevo alcuna intenzione di uscirci.
Scacciai quei pensieri.
Da li a un ora sarei arrivata a Londra.
Queen si era addormentata appena aveva poggiato la testa sul sedile.
Non so perché avevo accettato di andare dalla zia; non la vedevo da quando ci eravamo trasferiti in California, non me la ricordavo, l’avevo presente solo grazie alle foto che  mamma aveva conservato di quei pochi anni trascorsi a Londra quando ero piccola.
Mi misi le cuffie dell’ipod nelle orecchie e feci  partire la ripetizione casuale.
Tenevo lo sguardo fisso, fuori dal finestrino. Osservavo le nuvole. Erano davvero belle viste dall’alto, così delicate e leggiadre. Quando ero piccola mi divertivo con Queen ad ammirare il cielo e a inventarci le forme delle nuvole. Ora preferivo osservare il cielo di notte. Amavo rimanere sveglia fino a tardi, a osservare le stelle. Mi attraevano tantissimo.
Una voce che annunciava l’arrivo all’aeroporto di Londra mi fece tornare alla realtà.
Svegliai Queen, scendemmo dall’aereo e recuperammo i bagagli.
In pochi minuti ci ritrovammo entrambe in mezzo a un onda di gente che andava avanti e indietro per l’aeroporto, spingendoci e urtandoci per la fretta.
Zia Jenna non era ancora arrivata.
Io e Queen ci dirigemmo verso l’uscita chiacchierando e progettando quello che avremmo potuto fare li per tre mesi, appena uscite tirai fuori il pacchetto di sigarette e ne accesi una.
In quel preciso momento qualcuno mi urtò e per poco non caddi per terra di faccia.
La mia borsa cadde e tutto il suo contenuto si sparse sul pavimento.
– Ehi…idiota guarda dove vai! Non ci sei solo tu in questo aeroporto…- dissi acida.
A colpirmi era stato un ragazzo alto, magro, con le spalle ampie, i capelli marroni e ricci. Si voltò verso di me, era bellissimo: aveva gli occhi di un verde talmente intenso che mi ricordavano le foglie degli alberi in primavera e un sorriso che sarebbe stato capace di mozzare il fiato a chiunque.
– Oddio, scusami… non ti avevo vista!- disse lui dispiaciuto ma anche un po’ imbarazzato mentre si chinava per aiutarmi a raccogliere le mie cose. Intanto un gruppo di ragazzi stava correndo verso di lui, erano in quattro, avevano tutti i capelli scuri, tranne uno che aveva i capelli biondi. Non riuscii a focalizzarli nei minimi dettagli, forse perché mi ero appena persa nel verde di quegli occhi così belli e misteriosi.
– Harry ma ti muovi? Dobbiamo andare…- esclamò un ragazzo alto quanto Harry, presumo si chiamasse così, i capelli marroni spettinati e gli occhi azzurri. Non riuscii a vedere di più.
– Si, arrivo… scusami ancora!- e se ne andò, lasciandomi con un sorriso timido e un ciao soffocato.
Non ero riuscita a dire nulla, ero rimasta ipnotizzata da quel suo sorriso, così perfetto e meraviglioso…
Queen mi guardava con la bocca aperta. Erano i cinque ragazzi più belli che avessimo mai visto. Ci scambiammo uno sguardo che durò per qualche minuto, poi tornammo in noi, consapevoli che non li avremmo rivisti molto presto.
 
Gli zii arrivarono con mezz’ora di ritardo.
– Elisabeth? Sei proprio tu?– mi sentii chiamare alle mie spalle da una voce con un’intonazione interrogativa. Mi voltai. Sul mio viso comparve un timido sorriso e le mie guance presero un colorito leggermente rosato.
– Ciao, zia Jenna, è da tanto che non ci si vede… lei è Queen, la mia migliore amica, quella di cui ti avevo parlato - dissi imbarazzata. La osservai. Era molto simile a mamma, i capelli biondi, che sembravano quasi una cascata d’orata, che portava lunghi appena sotto le spalle, era alta, magra e snella. Gli occhi di un azzurro penetrante. Aveva cinque anni in meno di mamma e si vedeva.
Da dietro di lei spuntò un uomo sulla trentina d’anni, occhi scuri, capelli marroni, alto qualche centimetro in più di lei. Era suo marito, Rick.
– Dio, come sei cresciuta, e quanto sei diventata bella… assomigli molto a tua madre – disse Jenna improvvisamente, pronunciò quell’ultima frase con un filo di tristezza nella voce.  Rick prese le nostre valige e partimmo. Durante il viaggio la zia ci disse che avevano tre figli: Alan che aveva sei anni, Cathy, che aveva la mia età e Liam che ne aveva diciotto, uno anno in più di me. Dopo una mezzoretta buona arrivammo in un quartiere molto accogliente dove c’era una sola tipologia di case: ville. Erano tutte bellissime.
Ci fermammo davanti a una di queste, grandissima, su due piani, c’era un portico enorme sorretto da delle semplici colonne bianche. Delle grandi finestre conferivano alla casa un’aria moderna. Entrammo in un cancello di metallo, parcheggiammo la macchina ed  entrammo in casa.
Era spaziosa, sulla destra c’era un’ampia stanza con al centro un divano abbastanza grande in pelle nera davanti al quale c’era un tavolino di vetro e un televisore al plasma, una grossa vetrata scorrevole portava in giardino, dove c’era una grossa piscina rettangolare; sulla sinistra c’era la cucina e un tavolo in quercia scura molto grande. Un’ampia scalinata portava al piano di sopra, dove, molto probabilmente, c’erano le camere.
– Ragazzi, scendete che è arrivata! – urlò Jenna dal piano terra.
In pochi secondi vidi una testa bionda correre verso, un bambino, alto si e no un metro e venti corse verso di noi, doveva essere Alan. Era un bel bimbo, alto di più di un bambino di sei anni, ma dopotutto i suoi genitori non erano bassi. Due grandi occhi grigi, furbi e attenti a qualsiasi cosa capitasse, probabilmente sempre pronti a fare la spia, il viso paffuto con un enorme sorriso a trentadue denti. Involontariamente sorrisi anche io.
– Ciao, io sono Elisabeth! – gli dissi dolcemente.
– Lo so già... – disse prima di ritornare su per le scale.
Subito dopo vidi scendere sua sorella, Cathy, anche lei alta, i capelli castano chiaro, era una bella ragazza, occhi chiari, labbra carnose, le curve nei punti giusti e sicuramente una brava persona a giudicare dal dolce e sincero sorriso che aveva stampato sulla faccia.
– Ciao è un piacere conoscerti, io sono Cathy… Elisabeth giusto!? – disse porgendomi la mano, poi si rivolse a Queen – Tu invece devi essere Queen, la sua amica – lei annuì, sorridendo.
 – Mamma, Liam mi ha detto di dirti che sarebbe andato a casa dei suoi amici e che tornerà per cena – disse rivolgendosi a Jenna – per vostra fortuna... – disse, ridendo, a me e a Queen.
A quel commento ci scappò una risatina nervosa, che a lei non sfuggì minimamente.
 – Bene ragazze io comincio a preparare il pranzo, appena è pronto vi chiamo… Cathy non ti dispiacerebbe portarle alla loro camera così cominciano a disfare i bagagli!? – disse Jenna a sua figlia. Lei annuì e ci scortò di sopra. C’erano sei porte: cinque camere e un bagno.
La nostra camera era quella in fondo al largo corridoio, proprio in parte al bagno, Cathy ci salutò e noi cominciammo a metterci a posto.
La camera era grandissima, c’erano due letti da una piazza e mezza al centro, una grande vetrata sulla destra che ci mostrava la bellezza di Londra, due armadi a due ante, di quercia bianca, alti fino al soffitto che sicuramente non avremmo mai riempito completamente, e una porta che portava al bagno annesso alla camera.
Il pranzo arrivò velocemente, durante il quale ci fu un chiasso pazzesco: Alan aveva cominciato a piangere per non si sa quale motivo, Cathy cercava di calmarlo, Jenna parlava con me e Queen e Rick, spazientito andava avanti a mangiare. A differenza di mamma, Jenna sapeva cucinare e anche bene. Dopo pranzo rimanemmo a casa solo io e Queen.
Rick era andato al lavoro, Jenna aveva accompagnato Alan a una festina e Cathy ci aveva abbandonate per uscire con i suoi amici, promettendoci che ce li avrebbe presentati, prima o poi.
Erano le quattro e mezza quando ce ne andammo pure noi. Lasciammo un biglietto a Jenna e uscimmo da quella enorme e accogliente casa. Avevo un assoluto bisogno di fumarmi una sigaretta o sarei impazzita. Ne offrii una a Queen e insieme ci dirigemmo al primo parco che trovammo.
Adoravo stare all’aria aperta.
Mi sentivo libera.
Passammo il resto del pomeriggio a parlare del più e del meno, all’ombra di un grosso albero. Per essere appena iniziata l’estate non faceva per niente caldo, infatti indossavo una felpa nera, e dei jeans lunghi, ai piedi le solite e fantastiche converse nere.
Fatte le sette tornammo a casa.




*Spazio per me*

ok...ho già pubblicato il secondo capitolo perchè l'ho dedicato
a una mia amica che conosco da sempre e che considero una sorella ormai.

questo capitolo non è molto coinvolgente più che altro racconta cosa succede 
alla madre di Beth e i primi personaggi che incontra.

aspetto con ansia le recensioni

un bacio
S.
   
 
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