Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: thank you idols    24/03/2013    3 recensioni
Si può odiare una persona senza avere uno straccio di rapporto?
Nel mio caso si.
Quell'inutile pallone gonfiato, puttaniere, egocentrico che si credeva Dio sceso in terra è il mio problema.
Il mio problema si chiama Harry Styles.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
7-Imprecai tra me e me dopo aver realizzato che quel cespuglio di capelli era quello di Styles.
Le opzioni erano due: o mi leggeva nel pensiero, e sapeva dove andavo o dove stavo andando, o mi spiava con una qualche telecamera.
Che fosse il destino?Nahh, non credo in queste cazzate.
-Oh, posso tornare dopo- dissi sbrigativa mentre chiudevo la porta, ma il preside disse –Ma no, signorina Payne, non ci disturba. Si accomodi- disse indicandomi la sedia accanto a quella dove sedeva Styles. A quelle parole sbuffai silenziosamente mentre mi sedevo.
Il riccio mi rivolse un sorrisetto divertito e disse –Ciao Sophie- con la sua voce suadente.
Io non gli risposi e non lo degnai neanche di uno sguardo.
-Allora, signorina, cosa la porta di nuovo qui?- domandò il preside.
-Ho risposto male a quella di biologia.- dissi svogliata.
-Bene bene, due sfacciati in una sola volta.- disse il preside.
Gli rivolsi un’occhiata interrogativa.
-Sa, perché il signorino Styles ha appena messo in ridicolo la professoressa di disegno.-disse, prima severo, poi il suo faccione si aprì in una fragorosa risata.
Porse la mano aperta a Styles, che la colpì e la strinse.
-Sei..stato…un genio ragazzo!-disse tra una risata e l’altra, con le lacrime agli occhi.
Continuai a guardarlo scettica, finchè non mi spiegò che aveva messo la colla a presa rapida nella sedia della professoressa, e lei ci si era seduta sopra.
Attaccai a ridere anche io, immaginandomi la scena.
Era una situazione assurda, paradossale.
Io, il preside e Styles a ridere di gusto di una professoressa.
Il preside si asciugò gli occhi e, tornato più o meno serio, disse –Va bene ragazzi, potete andare, non fatelo più mi raccomando.- ci disse sorridendo.
Ci alzammo dalle sedie e salutammo il preside.
Styles aprì la porta e ci dirigemmo fuori dal suo ufficio.
-Mi piacciono le cattive ragazze.- disse, rivolto a me.
-Ma a me non piacciono i ragazzi a cui piacciono le cattive ragazze.- dissi secca, prima di sparire dietro l’angolo del corridoio.
 
 
Andai nel posto dove mi incontravo con Chloe durante la ricreazione, gli armadietti del corridoio vicino alla segreteria e mi ci appoggiai.
Non dovetti aspettare molto che la sua testolina bionda mi comparve davanti.
Mi sorrise e mi chiese –Com’è andata?- mentre ci incamminavamo in giardino.
Risi e cominciai.
-Se escludiamo il fatto di non aver trovato l’aula di biologia, di essere stata baciata per la seconda volta da Styles, di aver mandato a fanculo quella di matematica e di aver fatto perciò un salutino al preside dove c’era anche lui, si, tutto apposto.-
Mi guardò un attimo poi scoppiammo a ridere insieme.
-Non male come primo giorno.- disse Chloe.
-Io invece ho assistito a tre ore di lezione una più pallosa dell’altra, però ho conosciuto un ragazzo e una ragazza nuovi. Si chiamano Josh e Cindy. Sono fratello e sorella, molto simpatici. Si sono appena trasferiti dall’America!-
Chloe amava ogni singola cosa riguardante l’America, perciò cominciò a parlare di tutto ciò che le avevano detto i fratelli, senza fermarsi un momento.
Eravamo nel giardino verdeggiante della scuola.
Era un bel giardino, curato, che stonava per la troppa bellezza rispetto all’edificio grigio della scuola.
Qua e là c’erano grandi alberi e cespugli, persino un piccolo laghetto.
Strano per una scuola.
Io e Chloe ci dirigemmo verso quello che chiamavamo il ‘nostro posto’.
Era un enorme salice, nella parte più lontana del giardino, che con le sue foglie faceva ombra su una grande porzione di terreno, e quando faceva vento, le foglie producevano un suono che mi sembrava una ninna nanna.
Io chiudevo gli occhi e mi facevo cullare da quella melodia, mi sentivo protetta, a casa.
Ci accomodammo con le schiene appoggiate sul grande tronco e cominciammo a parlare del più e del meno, come al solito parlava più Chloe di me, io annuivo alle sue affermazioni e mi aprivo in fragorose risate alle sue battute.
Ero felice, ma mi tornavano in mente i ricordi di Styles, dei suoi ricci, dei suoi occhioni verdi, delle sue labbra piene e rosee e mi arrabbiavo con me stessa, perché non riuscivo a reprimerli.
Fortunatamente, la campanella che indicava la fine della ricreazione mi interruppe e tornammo dentro.
Era l’ora di spagnolo, che avevamo in comune, perciò andammo insieme fino all’aula.
Entrammo e mi girai verso il corridoio, dando una veloce occhiata, sapendo che ormai ero in trappola, prima di chiudere la porta della prigione.
 
 
Finalmente uscimmo da scuola.
Le lezioni erano finite.
Salutai velocemente Chloe e andai al mio muretto.
Presi dalla borsa il mio I-pod e scelsi una canzone a caso.
Little bird di Ed Sheeran.
Chiusi gli occhi, con quella canzone meravigliosa nelle orecchie, e mi persi tra le sue note.
 
‘And you can stay with me forever, or you could stay with me for now…’
Finchè un clacson non mi fece sobbalzare.
Era Liam, ma mi accorsi che la macchina era piena.
Dietro c’erano gli altri ragazzi che completavano la sua banda.
Un ragazzo biondo dagli occhi color ghiaccio, il fratello di Chloe, Niall; Louis, un deficiente ma altrettanto figo e Zayn con i capelli e la pelle scura. Mi sembra che il padre fosse indiano o fanculiano, non mi ricordo.
Ma ne mancava uno all’appello. Styles.
Volevo mantenere quel poco di dignità che mi rimaneva, perciò entrai in macchina senza dire una parola.
Manco mi avesse letto nel pensiero, Laim disse –Ho invitato i ragazzi a casa, Harry arriverà con la sua moto-
Strinsi i pugni e digrignai i denti, cercando di reprimere la voglia che avevo di prendere mio fratello a pugni.
L’idea di un altro lunghissimo giorno con Styles intorno mi innervosiva.
Calma, Sophie, basta ignorarlo come fai sempre.
Ecco, esattamente quello che farò. Assumerò la mia forma ‘ghiacciolo’ e farò finta che non esista, che sia solo il suo ologramma, o un fantasma o solo la mia immaginazione dovuta al troppo stress.
 
 
Il mio discorso sulla mia tattica difensiva fu bruscamente interrotto dalla frenata dell’auto, che mi fece quasi cadere dal sedile.
-Ma insomma che cazzo hai in testa?- urlai a Liam.
-Simpatica come sempre, vedo- replicò quel deficiente di mio fratello con un sorriso beffardo sul viso.
Scesi dalla macchina, rimanendo sorpresa dall’enorme veicolo parcheggiato vicino a casa mia.
Una moto enorme, nera metallizzata, così pulita che ci si poteva specchiare.
La oltrepassai, aprendo il cancelletto del giardino e poi il portoncino, trovando la casa completamente vuota.
Un leggero rumorino proveniva dal salotto, doveva essere sicuramente Styles, perciò decisi di non andare neanche a controllare.
Ricorda Sophie, ghiacciolo, ghiacciolo.
Stavo per dirigermi in camera mia quando sentii un altro rumore. Quel rumore.
Il rumore che avevo evitato per dieci anni. Un pianoforte.
Mi diressi a passo di carica verso la stanza da cui proveniva, trovando la sua testa di cazzo seduta sul bellissimo pianoforte a parete. Il mio pianoforte a parete.
Sentivo le lacrime cominciare a inondarmi gli occhi mentre urlavo –Tu! Porta subito il tuo cazzo di culo fuori di qui!E non permetterti mai più a mettere piede qua dentro.- mentre ormai due rigagnoli di lacrime mi bagnavano le guance.
Mi avvicinai a lui e lo presi per un braccio, facendolo uscire bruscamente, mentre lui, sbalordito, diceva –Ehi, che ho fatto?-
Mentre uscivamo, vidi Liam e gli altri e lo sentii sussurrare –Oh no- mentre correvo su per le scale, fino a rinchiudermi in  camera mia.


HARRY.
Il vento si infrangeva tranquillo sul mio corpo mentre sfrecciavo sulla mia amatissima moto verso casa di Liam.
Mi aveva dato anche le chiavi, nel caso fossi arrivato prima di loro.
Il tragitto da scuola alla casa non era molto lungo, e guardavo attentamente le grandi strade trafficate e le viuzze buie di Londra.
Non mi ero mai accorto di quante cose si potessero nascondere in una città.
Poi sentii una strana fitta alla bocca dello stomaco e i ricordi mi piombarono tutti insieme in mente.
Le altalene del piccolo parco dove giocavo sempre con Louis, la mia scuola elementare, il campo da calcio dove ancora adesso mi faccio qualche tiro con i ragazzi e Sophie.
Sophie. I miei pensieri erano ricaduti sui suoi occhioni color cioccolato, i suoi capelli chiari, la sua pelle morbida, le sue labbra rosee, l’espressione buffa che fa quando si arrabbia con me.
Scossi la testa per ricatapultarmi sulla strada.
 
Arrivai al cancelletto bianco, scesi dalla moto dopo averla parcheggiata ed entrai in casa.
Mi tolsi il mio giubbotto in pelle e lo buttai sul divano, così come feci con me stesso.
Il tempo scorreva lento, mentre fissavo un punto imprecisato del pavimento.
Stufo, mi alzai e mi diressi alla grande libreria del salotto.
Presi un libro dopo l’altro, leggendo i titoli e sfogliando le pagine.
La mia attenzione cadde su un libricino dalla copertina dorata, si intitolava ‘Il giardino segreto’.
Lo aprii e non potei evitare di sorridere.
Sulla prima pagina, scritto con un pastello rosso, con una scrittura infantile, spiccava un enorme cuore con scritto ‘Sophie+Frances’ che da quanto lessi, era l’autore del libro.
Misi al suo posto il libro e mi ritrovai di fronte a una porta.
In tutti gli anni che andavo a casa di Liam, non mi ero mai accorta della sua esistenza, o magari non le avevo mai dato importanza.
Tentai di aprirla, ma notai la chiave nella toppa e la girai.
Strano chiudere una stanza a chiave da fuori.
Aprii cautamente la porta che cigolò leggermente sui cardini ed entrai nella stanza.
Non era molto grande, le pareti erano di un tenue color pesca, davanti a me c’era un piccolo comò color ciliegio che mostrava un’innumerevole quantità di foto.
Una giovane coppia sorrideva alla macchina fotografica davanti ad una spiaggia meravigliosa, poi l’uomo con le braccia di due bambini, un maschietto sui cinque anni con i capelli castani e una bambina dai lunghi capelli biondi che doveva avere sui tre anni,attorno al collo, poi la donna di prima evidentemente incinta e l’uomo che le baciava la pancia, e il bambino sulle sue spalle.
Scorrendo lo sguardo su quei frammenti mi venne in mente che non avevo mai visto il padre di Liam, ma non avevo mai osato chiedere dove fosse.
Evidentemente quello nelle foto era lui.
Che i genitori fossero divorziati?Che lui fosse violento e quindi la madre di Liam si fosse allontanata? Da quelle foto mi sembrava un uomo allegro e dolce. Ma allora dov’era?E perché Liam e Sophie non accennavano mai a lui?
Mentre mi crogiolavo nella curiosità, il mio sguardo cadde su un bellissimo e impolverato pianoforte.
Era in legno, con le venature ben evidenti e i tasti bianchi ingialliti dal tempo.
Mi sedetti sullo sgabello e cominciai a suonare qualche tasto, anche se non avevo la minima idea di che note fossero.
Ad un tratto, sentii la porta lasciata socchiusa sbattere contro il muro, rivelando la figura arrabbiata di Sophie.
Che cazzo avevo fatto ora?
 
–Tu! Porta subito il tuo cazzo di culo fuori di qui!E non permetterti mai più a mettere piede qua dentro.- disse tra le lacrime.
Non riuscivo a capire, anche quando non facevo nulla se la prendeva con me, perché?
Mi portò a forza fuori dalla stanza, dove trovammo i ragazzi, mentre lei saliva di corsa le scale.
Notai Liam che mi guardava con l’espressione abbattuta e gli chiesi –Cosa ho fatto ora?-
Dopo secondi interminabili di silenzio, Liam ci spiegò tutto.
-Quell’uomo è nostro padre, è… morto. Era un pianista e quando Sophie aveva tre anni le insegnò a suonare il piano in cui era bravissima. Suonava sempre, in casa c’era sempre la loro musica come sottofondo e lui ha scritto diversi pezzi per lei.- cominciò.
-Un giorno, tornando dal lavoro, un pazzo lo investì. Io avevo nove anni e Sophie sette. Da quel giorno, ha chiuso a chiave questa stanza e non ha più toccato il pianoforte.-
Ora capivo.
Perché non mi sono fatto una marea di cazzi miei?Adesso io non starei morendo di senso di colpa e Sophie non starebbe piangendo per colpa mia.
Cazzo, cazzo cazzo.
Mi alzai di scatto e corsi su per le scale, arrivando alla porta della sua camera.
Appoggiai l’orecchio e riuscii a sentire i suoi singhiozzi, che mi uccisero.
Bussai cautamente.
-Vai via- urlò con la voce rotta dal pianto.
-Ti prego Sophie, scusami, davvero, io non lo sapevo, per favore, apri.- la supplicai, ma non sentii nessuna risposta.
-Sophie- la chiamai.
-Ho detto vattene!-
Scivolai sul pavimento, presi un respiro profondo e parlai.
-Sai, anche mio padre è morto. Cancro. Avevo dieci anni. Quando se n’è andato non ero più in me, rompevo tutto, e sfogavo la rabbia sugli altri bambini. Pensavo che non ci fosse più niente per cui valesse la pena lottare.- Feci una pausa, riportare tutto alla mente era difficile, come lo era stato per lei.
Io la capivo, anche se lei sicuramente pensava il contrario.
-Mia madre si risposò. All’inizio odiavo Stan, il mio patrigno, ma poi lui è riuscito a farmi guarire dalla mia ‘malattia’. Lui è un fotografo, e mi ha insegnato molto. Portavo sempre in giro la fotocamera che mi regalò, e a poco a poco tornai ad essere felice, non come prima, ma almeno non ero il bulletto della scuola.-
-Mio padre era il mio eroe, il mio modello, e ancora oggi, mi manca, tutti i giorni, penso sempre a lui. So come ci si sente, e mi dispiace se ho fatto una cosa che non dovevo.- aspettai una risposta, un sospiro, qualche segno di vita, che non arrivò.
Sbuffai leggermente e mi alzai.
 
 
SOPHIE
Rimasi senza parole.
Ero sul pavimento di camera mia, attaccata alla porta e ascoltavo Harry dire quelle parole.
Erano profonde, sincere, non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da lui.
Si era aperto con me, ora era il mio turno.
Lo sentii sbuffare leggermente e alzarsi.
Feci lo stesso e aprii la porta.
Lui si girò e mi guardò con un’aria interrogativa finchè non sorrisi e lo fece anche lui.
Non dovevo avere un bell’aspetto, gli occhi erano di sicuro gonfi e arrossati.
Avevo la gola secca, ma riuscii a dire –S..scusami- mentre mi torturavo le dita.
Lui si avvicinò dicendo –Vieni qui- e mi abbracciò.
Io tenni le braccia piegate, strette contro il suo petto e riuscivo a sentire il suo cuore.
Non fu l’abbraccio sfacciato della prima volta, era vero, caldo, dolce e mi sentivo protetta.
-Scusami tu, non sapevo nulla- sussurrò contro i miei capelli.
-Non fa niente.- ribattei io, mentre mi stringevo di più a lui e chiudevo gli occhi.
Mi sembrava incredibile.
Io che abbracciavo Harry Styles e mi sentivo maledettamente bene mentre inalavo a pieni polmoni il suo profumo.
Restammo stretti per un tempo che a me sembrò infinito ma che non volevo finisse mai.
Finchè lui non sciolse l’abbraccio e disse -Scendiamo, penseranno ti abbia rapita-
Sorrisi timidamente e lo precedetti per le scale.
Arrivammo in salotto, dove i ragazzi erano intenti a esultare per la partita di calcio che trasmettevano in tv.
Quando Liam mi vide, si alzò e mi venne in contro, mentre Harry si sedeva al suo posto.
-Va tutto bene?- mi chiese dolce, tenendomi per le spalle.
-Meglio- gli risposi.
Mi diede un leggero bacio sulla fronte e tornò in salotto, mentre io mi diressi in cucina.
Decisi di prepararmi un tè e misi l’acqua a bollire.
Sentii il portoncino aprirsi e il viso allegro di mia madre fece capolino dallo stipite della porta.
-Ciao tesoro- disse sorridente.
Mia madre si chiama Claire, ha quarantatrè anni, è alta, ha un bel fisico, lunghi e liscissimi capelli castani e due occhi azzurri da far invidia. Credo che sia la mamma più bella del mondo, anche secondo i miei coetanei.
Si affacciò in salotto e urlò –Ciao ragazzi!-
Tutti insieme, risposero al saluto, mentre mia madre si buttava letteralmente su una delle sedie della cucina.
-Giornata dura?- chiesi.
-Non ti immagini nemmeno.- rispose.
Mia madre lavora come ostetrica all’ospedale e a volte i suoi turni erano davvero opprimenti da quanto mi raccontava.
Io non avevo mai messo piede in un ospedale, ho la fobia per il sangue e per gli aghi.
-Sto facendo il tè, ne vuoi un po’?- le chiesi
-Oh si per favore- rispose, quasi supplicandomi.
Versai l’acqua nelle tazze e misi dentro le bustine e io e la mamma chiacchierammo un po’.
Mi disse che aveva fatto nascere due gemellini talmente piccoli che pensavano non ce l’avrebbero fatta, invece, si stavano riprendendo bene.
Io le raccontai della mia giornata a scuola, tralasciando l’argomento preside e quello sotto la voce ‘pianto con abbraccio’ di poco prima.
 
 
Si fecero le otto e i ragazzi a poco a poco, se ne andarono.
L’ultimo fu Harry, che, dopo essere rimasti soli in salotto, dato che Liam e la mamma si stavano cimentando in una nuova ricetta culinaria, mi disse –Spero che d’ora in poi ti potrai fidare di me-
Non mi aspettavo quella frase, perciò rimasi senza parole per qualche minuto, finchè non trovai una risposta valida.
-Non credere che quello che è successo cambi qualcosa- dissi, acida. –Io penserò sempre le stesse cose su di te-
-Ovvero?- mi chiese lui alzando un sopracciglio.
-Ovvero, penso ancora che tu sia uno sfacciato, lurido, egocentrico, narcisista che basa la sua vita sul farsi ogni ragazza possibile e immaginabile-
La sua espressione cambiò radicalmente.
Si spense, i suoi occhi presero un’espressione arrabbiata, affranta.
-In realtà tu non sai niente di me.- disse tutto d’un fiato.
-Non sai che ho sofferto come un cane ad essere nominato come ‘quello senza padre’ o che in tutta la mia vita ho avuto una sola relazione seria, che tutte quelle oche che mi si avvicinano a me e che tu credi che io mi faccia, ricevono solo un mio vaffanculo, perché quell’unica volta che ho amato, sono rimasto fottuto. Oppure non sai che voglio te, solamente te e la tua stupida, meravigliosa faccia.-
Quelle parole mi trafissero. Il mio muro di convinzioni su di lui crollò, lasciandomi allibita.
Lui, il ragazzo dagli occhi magnetici voleva me, solo e soltanto me. E io volevo lui, solo e soltanto lui.
E, finalmente, mi baciò.
Appena ebbe poggiato le sue labbra sulle mie, il consueto uragano nel mio stomaco tornò più violento che mai, e io mi lasciai trasportare da quel bacio.
Dimenticai quel suo lato superficiale e accolsi a braccia aperte quello dolce, quello che mi aveva dimostrato poco tempo prima.
Non feci come le prime volte, non mi sottrassi a quel contatto, anzi, presi i suoi riccioli tra le dita avvicinandolo sempre di più, mentre lui mi cingeva i fianchi con le sue braccia forti.
Quello era l’insieme di tutti i baci repressi che non ci eravamo dati per paura e per orgoglio, sfogati in questo bellissimo e intenso bacio.
Mi staccai da lui mentre diceva –Finalmente- con un sorriso fantastico e gli lasciai altri piccoli baci a fior di labbra.
Ci alzammo dal divano dove eravamo e andammo in cucina.
Liam e la mamma erano tutti indaffarati ai fornelli, a giudicare dall’odore, stavano preparando le polpette e non si accorsero degli sguardi che ci scambiavamo io e Harry.
-Harry resti a cena?- chiese mia madre voltandosi per un minuto, mentre io mettevo la tovaglia sul tavolo.
Prima di rispondere, mi guardò come in cerca di un consenso, e io come risposta, gli sorrisi.
-Certo signora, mi farebbe molto piacere-
Era così maledettamente sexy, appoggiato allo stipite della porta della cucina con i riccioli scuri che gli scendevano sul viso, e ora ero libera di pensarlo senza dovermi mordere la lingua.
-Harry, ti conosco da quando eri un tappo e ancora mi dai del lei?Chiamami Claire- disse mia mamma con un sorriso.
-D’accordo, Claire- disse lui ridendo
-Ehi Harry, mi aiuti con i piatti?- chiesi io per spezzare il silenzio che si era creato.
-Certo, dove sono?- chiese lui togliendosi dallo stipite.
-Il primo sportello a sinistra.- risposi
 
Quando il tavolo e le polpette furono pronti, ci sedemmo e cominciammo a chiacchierare del più e del meno, senza tenere conto dell’orario, che segnava le dieci passate.
-Si è fatto tardi, devo tornare a casa. Grazie mille per l’invito e per l’ottima cena Claire- disse Harry mentre si alzava da tavola.
-Ah, Liam, credo di aver lasciato il telefono in camera tua, vado a prenderlo.-
-Certo amico- rispose lui.
Prima di alzarsi, mi fece un leggero cenno con il capo che indicava le scale e afferrai subito cosa voleva dire, infatti, qualche minuto dopo dissi –Devo andare in bagno- correndo per le scale.
 
Guardavo bene ogni scalino, per evitare di cadere durante la corsa, finchè, all’ultimo,  fui bloccata da una stretta ferrea intorno a me e da un calore sempre più familiare.
Inalai il suo profumo chiudendo gli occhi, mentre mi baciava i capelli.
Mi alzai sulle punte per arrivare alla sua altezza e le nostre labbra si incontrarono ancora, ancora e ancora.
Ci staccammo e mi guardò, tenendomi il viso tra le mani, mentre mi accarezzava una guancia con il pollice.
Aveva le labbra leggermente arrossate e i capelli scompigliati, ma assomigliava ancora a un dio greco.
-Andiamo, ci avranno già dato per dispersi.- disse infine, sorridendo.
Scendemmo le scale e, dopo aver salutato mia madre e mio fratello e dopo avermi dato un leggero bacio sull’uscio, se ne andò.


SPAZIO AUTRICE:
Porca puzzola, sette fottutissime pagine di word. Cioè AHAHAHAHAHAHAH.
Anyway, è da un sacco che non aggiorno, ho avuto delle settimane veramente estenuanti, ma eccomi qua!
Devo dire che l'ultima parte di questo capitolo mi strapiace (che modesta oh) e chissà perchè AHAHAHAHAHAHAH
Fatemi sapere in taaaante recensioncine cosa ne pensate, e ditemi anche cosa dovrei cambiare o aggiungere o togliere....Mi affido a voi!
Enjooooy
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: thank you idols