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Autore: _blueebird    24/03/2013    7 recensioni
Ci vogliono pochi minuti per leggerla e altrettanti per innamorarti di loro.
Camille, una sedicenne che lotta tutti i giorni per rimanere a galla in una società di pregiudizi, ingiustizie e in continua lotta con la sua timidezza e con i suoi problemi, si innamora. Tra i banchi di scuola, tra gli amici veri e le cattiverie, troverà l'amore che la porterà a crescere, a soffrire e a combattere i suoi demoni.
Una storia che vi prenderà e che vi scalderà il cuore.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Scolastico
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Avevo gli occhi così velati di lacrime che vedevo tutto intorno a me solo un ammasso di cose sfumate e confuse.
Tirai violentemente su con il naso e sbattei più volte gli occhi per far scendere le lacrime che mi impedivano di vedere con chiarezza. Un paio di occhi neri e malinconici mi guardavano.
“Che-che diavolo ci fai qui?” Chiesi singhiozzando a Francesco che mi aveva seguita, mentre ero scappata via in modo così teatrale, dalla panineria.
“Hai dimenticato la borsa” Disse piano, mentre me la porgeva. La mia cara borsona blu. Era così grande che avrei potuto infilarci dentro un cadavere senza che nessuno se ne accorgesse.
“Grazie.” Dissi piano afferrandola. Mi passai una mano sul viso cercando di asciugare le guance. “Si può sapere cose mai sei scappata via così in fretta? Cos’è successo?” Chiese.
“Niente. Io, io devo solo tornare a casa… il più in fetta possibile.” Dissi in preda ai singhiozzi, mentre cercavo di mettere ordine nella mia mente.
“Tieni” disse poi, porgendomi un fazzolettino di carta, dopo aver frugato nelle tasche del giubbino. “Asciugati gli occhi.” Lo ringraziai e continuai a camminare, ringraziando il cielo di essere stata in ritardo quella mattina e di non essermi truccata. Chissà che faccia avevo.
 
“Vieni con me.” Disse poi Francesco afferrandomi il polso. “Hei, ma cosa…” “Dai, non ti preoccupare, mica ti stupro! Fidati di me.” Disse sorridendo mentre mi trascinava in una viuzza che si apriva fra due negozi. Che cosa aveva intenzione di fare? Insomma, forse mi avrebbe davvero stuprata, magari picchiata, rapita o usata come spacciatrice per i suoi loschi traffici clandestini. La via era completamente immersa nel buio. Il cemento era sudicio e scivoloso; c’era della spazzatura qua e là, un vecchio giornate, e qualche bottiglia di birra vuota coricata su un fianco. L’acqua uscita da una grondaia, che sembrava nera come petrolio per via dell’oscurità, picchiettava violentemente il metallo della grata di un tombino facendo piccoli schizzi luminosi. Il bidone dell’umido semi vuoto posto vicino a una porta rossa di un retro bottega, aveva uno smile disegnato sopra con la bomboletta spray. C’era davvero poco da stare allegri.
Poco prima di uscire dalla viuzza alzai gli occhi: i palazzi vicini erano davvero alti ma si scorgeva il cielo, limpido e blu senza nuvole, solo un piccolo uccellino spezzava la sua perfezione.
Sciolta dalla sua presa, lo vidi dirigersi in un'altra viuzza, poco distante da quella che avevamo appena lasciato. Mi avvicinai a lui e vidi che estrasse sempre dalla tasca del giubbino una forcina. “A che ti serve?” Gli chiesi stupita. Dannazione Francesco, devo andare a casa, non ho tempo per giocare ai piccoli delinquenti. “Hei ma che fai?” Gli urlai, mentre inseriva la forcina dentro alla catena di una bicicletta. “Vuoi stare zitta?” mi urlò. Muoveva abilmente la forcina all’interno del meccanismo, mentre io terrorizzata, mi guardavo attorno sperando che non arrivasse nessuno. “Non pensavo che fossi così abile a rubare le biciclette.” Esordii. “E chi ha mai detto che la sto rubando.” Disse infine dopo aver sbloccato la catena e aver liberato la bici dalla sua morsa. “La prendiamo solo in prestito!” Disse infine sorridendomi.
 
“Allora, non dovevi arrivare a casa il prima possibile?” Mi chiese infine salendo in sella.“Si, ma…” Ero titubante, insomma, non ero proprio il tipo di persona che ama rubare una bicicletta… Mi sentivo come… colpevole. Anche se, proprio perché non era una cosa da me, avevo un voglia matta di farci un giro.
“Sali.” Disse. I suoi capelli che uscivano dal berretto ondeggiavano flebili nell’aria primaverile e il suo sguardo profondo, si era illuminato di una strana luce.
Montai sul portapacchi. “Tieniti forte.” Gli misi le mani intorno alla vita e dopo qualche metro di tentennamento, uscimmo veloci dalla via buia verso casa.
 
L’aria era così bella. I miei capelli lunghi facevano delle onde regolari nell’aria, come ali sottili che sbattevano violentemente per cercare di farmi volare. Francesco guidava davvero bene. Sicuro di se, cambiava strada e imboccava quelle più veloci e meno trafficate. Avevo notato da dietro le sue spalle un lieve sorriso.
“Allora me lo vuoi dire dove hai imparato a scassinare in quel modo le catene delle bici?” Chiesi maliziosa. “Per far fronte ad evenienze come queste.” Mi disse guardandomi altrettanto maliziosamente con la coda nell’occhio.
Dopo un breve silenzio aggiunse “Mio padre. Lui faceva serrature. Me lo ha insegnato lui.”
“E’ la verità o lo dici per convincermi a non crederti un delinquente?”
Rise forte. “Quanto sei idiota.”
Risi anche io. Eravamo come due amici, che ci punzecchiavamo a vicenda. Mi irrigidii di colpo. Insomma, non lo conoscevo nemmeno, magari mi aveva preso davvero in giro. Forse suo padre non faceva serrature.
 
Entrammo nel vialetto di casa mia e vidi il SUV grigio metallizzato di mio fratello parcheggiato davanti a casa, il baule era aperto e dentro c’erano delle valige. Scesi dalla bici senza che Francesco si fosse fermato e corsi verso la macchina. In quell’istante uscì mio padre con un bauletto in mano e mio fratello. Dopo qualche secondo uscì dalla porta anche mia madre, le braccia raccolte sotto al petto e gli occhi rossi. Aveva pianto. Maledetto.
“Quando avevi intenzione di dirmelo? QUANDO?” Urlai con tutta la voce che avevo. Gli occhi cominciavano a caricarsi di disperazione. “Camille, io…” Provò ad aggiungere ma non lo feci finire.“Chi cazzo ti credi di essere? Non te né è mai importato niente della tua famiglia, niente! Passi tutto il cavolo di tempo in giro per il mondo – dissi con tono sprezzante –e quella rare volte in cui torni a casa, non fai altro che scrivere musica, suonare e pensare alla tua prossima partenza. E allora dimmelo, perché diavolo torni? Per fare un piacere a me? Alla mamma? No, non è piacere, è solo sofferenza. Tutte le volte che parti si versano solo lacrime. Allora sai cosa ti dico? Che sono stanca di piangere. Non tornare. Ti prego, non tornare.” Le lacrime che avevano cominciato a scendere si erano fermate. Sol mio viso avevo solo rabbia e odio. Volevo solo che se ne andasse e che smettesse di ferire mia madre. Ne avevo abbastanza.
“Camille, ascolta, io non volevo ferirvi…”
“Se è vero ciò che dici guarda il viso di mia madre!” Gli urlai con tutta la voce che riuscii a trovare. Lei si stupì della mia affermazione. Mio padre si voltò e la guardò in viso: le guance rosse e rigate dalle lacrime e gli occhi madidi e purpurei. Si mise le mani sul viso e tornò in casa.
 
“E’ ora papà.” Aggiunse mio fratello. “Sì.” Esordì lui a testa bassa. Così lo guardai per l’ultima volta uscire dal vialetto, seduto sul posto del passeggero mentre mi fissava. Guardai intensamente i suoi occhi, carica di odio; quegli occhi chiarissimi, di un verde erba, l’iride bordata da un verde ancor più intenso che li mettevano incredibilmente in risalto. Mi ricordai le sue lunghe ciglia bionde e il suo sguardo fissare il pavimento.
Lo sapeva. Sapeva già che sarebbe partito prima del previsto, ma non aveva il coraggio di dircelo.
Vigliacco.
Le ruote scricchiolavano sotto la ghiaia. La macchina si mise in carreggiata e se ne andò, come era venuta.
Mi sentivo così vuota, perché ero rimasta delusa un'altra volta. Avevo sperato che corresse da me per abbracciarmi, che mi stringesse tra le sue lunghe braccia e mi dicesse che sarebbe tornato. E che non mi avrebbe fatta più soffrire.
 E invece, dopo aver ascoltato le mie parole, si era messo in macchina e non aveva fatto altro che guardarmi. Niente urla, nè tentativi di scusa da parte sua. Si era semplicemente messo in macchina e se ne era andato. Come aveva potuto fare questo alla sua famiglia?
 
L’aria mi pizzicava le guance bagnate e gli occhi umidi mi bruciavano.
 
Francesco aveva visto quella scena pietosa immobile, come un pacato spettatore, aveva sul viso un’ espressione triste e malinconica e mi guardava, aspettava una mia reazione.
“Mi dispiace” gli dissi a testa bassa “Di averti fatto vedere questa scena. Non volevo.” Mi si avvicinò piano, con la bici a braccio e si mise di fianco a me. Lo guardai di profilo mentre osservava il cielo.
Incontrando il mio sguardo sorrise dolcemente e mi disse:
“Vuoi scappare con me?”






*Angolo dell'autore*
Ciao! Come promesso eccomi qui questa sera a pubblicare il nuovo capitolo. Mi sono divertita e appassionata molto nello scriverlo.  Spero che possa essere di vostro gradimento!
Commentateeeee
-Sel-
  
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