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Autore: Hikari93    24/03/2013    5 recensioni
Solitamente, la facoltà di parola era cosa rara e preziosa appena svegli, come il mettere insieme due frasi diverse da mugugni indecifrabili e sguardi omicidi lancianti maledizioni silenziose. Con ogni probabilità, Madara era l’unico essere capace di lamentarsi, sbottare, borbottare, rompere le scatole e lamentarsi ancora già un secondo dopo aver aperto gli occhi. Anzi, persino prima: Hashirama riteneva che aprisse prima la bocca e poi sollevasse le palpebre.
«E poi che ci fai con quel… terribile e obbrobrioso grembiule da cucina addosso?»
Genere: Comico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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HashiMada
- Dolci risvegli e baruffe quotidiane –

 
 
 


 


«Dimmi, hai milioni di cavalli al trotto nascosti dentro di te, Senju? Non è stato del semplice chiasso quello che hai fatto, renditene conto.»
Poverino, l’aveva svegliato.
Avrebbe voluto rinfacciargli che con del chiasso normale o medio/basso non avrebbe ottenuto alcun risultato – perché sì, Madara Uchiha aveva il sonno ben pesante –, e di scuoterlo non ne valeva la pena: se non s’era destato quando Hashirama aveva tentato in tutti i modi conosciuti di sfilare il braccio e la spalla da sotto la sua testa – con tanto di gomitata accidentale alla tempia – difficilmente avrebbe funzionato qualche altro espediente. Si appuntò mentalmente di dover verificare.
Comunque. Solitamente, la facoltà di parola era cosa rara e preziosa appena svegli, come il mettere insieme due frasi diverse da mugugni indecifrabili e sguardi omicidi lancianti maledizioni silenziose. Con ogni probabilità, Madara era l’unico essere capace di lamentarsi, sbottare, borbottare, rompere le scatole e lamentarsi ancora già un secondo dopo aver aperto gli occhi. Anzi, persino prima: Hashirama riteneva che aprisse prima la bocca e poi sollevasse le palpebre.
«E poi che ci fai con quel… terribile e obbrobrioso grembiule da cucina addosso?» aggiunse Madara, tirandosi a sedere e scoprendosi barbaramente dalle lenzuola. Probabilmente non aveva notato quel ciuffo ribelle che si era alzato a mò di corno, e Hashirama ne sorrise debolmente, trovandolo alquanto buffo, per niente conforme all’immagine complessiva che Madara dava e voleva dare di sé.
«Sai com’è» riprese quindi, distogliendo l’attenzione da quel particolare, «qualcuno deve pur provvedere al nostro stomaco…» Accennò un mezzo sorrisetto, mentre lasciava che la cucchiaia in legno sbattesse ritmicamente sul palmo dell’altra mano. Non per nervosismo, assolutamente. Tanto gliela avrebbe lanciata contro, tanto quanto sarebbe andato lì ad abbracciarlo, sussurrandogli nell’orecchio – pronto però a darsela a gambe – che quel ciuffetto gli stava un amore.
Dedusse di lasciar perdere entrambe le opzioni proposte dalla sua mente, concludendo che forse sarebbe stato meglio lasciarlo ancora a poltrire, infischiandosene che fosse quasi l’una e conseguenzialmente quasi ora di pranzo.
«Potremmo farne anche a meno delle tue schifezze culinarie.»  
«Grazie, tu sì che sai come gratificare gli sforzi altrui, Madara.»
«Chiamali sforzi, tu. Quattro porcherie in padella…»
Bah, inutile continuare. Voleva avere sempre l’ultima parola, lui.
«Comunque volevo soltanto avvisarti che a momenti è pomeriggio.» Masochismo alle stelle, ecco cos’era; probabilmente una parte di sé si divertiva dannatamente nello stuzzicarlo, tanto quanto un’altra, di parte di sé, gli dava dell’idiota perché non teneva mai la boccaccia chiusa. Ma un po’ di brio non guastava mai, e di certo con Madara non ci si annoiava poi molto.
«Bah, è passato a malapena mezzogiorno.»
«Ciò non toglie che sei comunque un poltrone» lo punzecchiò.
Madara fece roteare gli occhi, avendo intuito il suo gioco. Era superiore, lui; perfetto, lui; non cascava in certi trucchetti, lui – anche se lo faceva praticamente ogni volta senza quasi rendersene conto.
«Suppongo che tu abbia lasciato qualcosa sul fuoco. Corri a spegnerlo, prima che si bruci» commentò, apparentemente calmo, mentre – dato che intanto si era alzato – partiva alla ricerca di qualcosa da indossare, nella convinzione che girare in mutande in casa non fosse troppo congeniale. Hashirama era stato capace di togliergli almeno quel vizio – che lui si ostinava a definire come espressione di una propria e giusta libertà in casa sua. Del tipo: chi non gradisce le mie mutande non entri e non guardi.
«Tutto in ordine e già in tavola, per questo ti mi sono azzardato a chiamarti. Secondo te a che ora ti saresti alzato, altrimenti? Hai parlato di cavalli al trotto, ma fossi in te penserei più alla tua mania di andartene quasi in letargo.»
Hashirama ebbe l’impressione che, almeno simbolicamente, anche qualche altro ciuffo nero si rizzasse all’aria, e si aspettò il peggio. In realtà qualsiasi reazione di Madara andava bene; era una sorta di rituale mattutino – o pomeridiano, continuando sulla linea dello sfottò.
«Magari non hai considerato che se russassi di meno…»
Eccolo che cominciava ad affibbiare colpe a destra, a manca e al centro.
«O se spegnessi quella dannata lucetta verde brillante… sai che la odio.»
«Io non russo, e la lucetta… sai che ne penso della lucetta» si difese.
Non gli era mai piaciuto dormire al buio e non aveva intenzione di cominciare in quel momento. Trovò maledettamente casuale il fatto che quella storica lucetta andasse incontro all’odio e alle ingiurie di chiunque, tranne lui, se la trovasse sul proprio cammino: ora era Madara, ma anche Tobirama aveva avuto la sua parte, solo un paio di anni prima.
«E poi non attribuirle colpe che non ha. Il tempo che l’accendo e torno a letto, tu già dormi» puntualizzò, puntandogli contro la cucchiaia, bellicoso.
«Lo vedi che sei idiota, Senju?» lo rimbeccò Madara, afferrando un cuscino e lanciandoglielo contro a una velocità inumana – lo stesso fu schivato per un soffio. «C’è differenza tra il dormire e il riposare gli occhi.»
«Ecco, questa mancava alla lista. Quindi tu riposeresti gli occhi?»
«Sei diventato anche sordo, adesso? Spiegami il senso di ripetere qualcosa che so di per certo che hai già sentito, di grazia.»
E Hashirama stava per ribattere, ma le parole gli mancarono del tutto. Così se ne stette lì, immobile, con tanta di cucchiaia allungata e cuscino recuperato dal pavimento, pronto a essere rispedito al mittente con tanto di interesse. Perché, diamine, non c’era assolutamente senso nel discutere con Madara. Alla fine uno dei due doveva cedere – e guarda caso il grande passo di maturità lo compieva sempre lui –, quindi tanto valeva lasciar perdere.
E poi…
«Ottimo. Dal tuo silenzio capisco che hai capito.»
Madara non lo sopportava.
«Mi auguro che la prossima volta ci penserai tremila volte prima di intavolare una discussione in cui ne uscirai – tsk – ovviamente sconfitto.»
Non sopportava che gli desse ragione, tanto quanto desiderava averla al cento per cento.
Che tipo particolare. Ancora mi stupisco.
Ed era per questo che spesso Hashirama gli sorrideva – Perché ridi, Senju? –, gli dava le spalle – Te ne vai? Bene. Fai proprio bene – e spariva dalla sua vista – Tsk, codardo –, l’orecchio sempre captante insulti, monosillabi, vanterie e ancora insulti.
Alla fine era lo stesso Madara a volerlo stuzzicare, anche se a sentirlo parlare non era assolutamente così. Hashirama era arrivato alla conclusione che il suo compagno soffrisse di manie di protagonismo, e che stesse sinceramente male e dispiaciuto nel momento in cui un piatto in tavola – poiché Hashirama intanto aveva cominciato a pranzare – acquisiva più importanza di lui. Forse era giunto il momento di cominciare a impartirgli una sonora lezione di vita.
Ma magari…
«Ah, Madara?»
Sapeva che internamente era felice di aver riconquistato il desiderato primato.
«Che vuoi ancora?»
Appunto.
Sospirò, sogghignando; avrebbe fatto meglio a mangiare in fretta i suoi tagliolini, altrimenti avrebbe dovuto o inghiottirli con tanto di piatto, oppure degustarli mentre scappava dalle grinfie di un instabile di mente. Domandargli perdono e convincerlo a un pranzo civile non sarebbe servito a nulla.
«Complimenti per l’acconciatura.»

 
 
 
 























 
 
 

Ultimamente non riesco a scrivere. O meglio, scrivo e non mi soddisfa. Questa… non so se faccia eccezione, ma il fatto che – per quanto breve – io l’abbia terminata, è comunque un buon segno.
Tranquilli, prima che mi uccidiate, sappiate che ho messo la nota OOC. Forse me ne sarebbero servite due, ma pace.
Comunque, questa è un AU, con Madara e Hashirama che, non dico sono due ragazzini… ma non immaginateli ultra quarantenni, ecco. XD Sono comunque cciovani.
Niente, ho concluso. U___U
Non ho pretese per questa storia, non è nulla di che, lo so. :)
Grazie comunque per aver letto. 




   
 
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