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Autore: Narsyl    12/10/2007    0 recensioni
E’ solo lo sfiorar lento e dolce di due dita, il guizzar veloce di sguardi, le ombre nascoste di sorrisi, l’incanto segreto e magico di due cuori che battono all’unisono. E’ questo che ci salva dall’oblio.
Questa non è una vera storia. E' più una fantasia improbabile. Uno stralcio di vita senza inizio ne fine. Benvenuti nell'oblio.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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LEI


Quella fredda notte di dicembre ogni cosa sembrava assopita, sconfitta dalla consueta spossatezza pre-natale, quella stanca quiete che senti sulle spalle quando, tornata a casa dopo un pomeriggio infernale fra lavoro e shopping natalizio, ti ritrovi sola e desolata nel tuo appartamento, con solo una tazza di cioccolata calda e la televisione a tenerti compagnia. E’ uno scenario desolato, allietato forse solo dalla dolce e candida neve, la prima dell’anno, che da una parvenza, un’illusione di pace alla caotica New York. Eppure, le milioni di persone che sfrecciano frenetiche come piccole formiche, piene di pacchetti da colori sgargianti e nastrini in raso attaccati con grande maestria e cura dalle povere commesse, e i taxi di quell’inconfondibile colore giallo e nero, e gli uomini in giacca e cravatta che tornano tutti impettiti a casa dalle moglli, nelle loro macchine di lusso con i finestrini a specchio, e persino i barboni e senza tetto, che osservano con rancore e rassegnazione la vita che passa davanti ai loro occhi spenti, con l’unico sostegno di una bottiglia di vodka scadente e sudicia nelle mani incallite, tutti loro, ognuno con i suoi pensieri, ognuno con i suoi guai e le sue lotte, in fondo al loro cuore non possono resistere al confortante candore della prima neve dell’anno, che spazza via il grigiume triste di un ennesimo novembre, e riscalda gli animi dannati della Grande Mela più di qualsiasi camino, di qualsiasi fiamma elettrica o di qualche altro aggeggio di ultima generazione, che pur portando la temperatura a dei rispettabilissimi 25°, non può in nessun modo curare il ghiaccio sottopelle, quello che ci scorre nelle vene, pompato dai nostri cuori intirizziti e stanchi.
La nostra dolce Emma, la lei della mia storia, in quel proprio momento osservava rapita lo spettacolo dal suo piccolo balconcino, nel suo mini-appartamento di Manhattan. Un posticino così minuscolo da sembrare piccolo persino per essere la cameretta di un neonato, ma era suo, era la sua tana, il suo rifugio, e le bastava. E poi, dava su una spettacolare vista di un piccolo parco molto pittoresco, dal quale la mattina si vedevano i bambini giocare a nascondino, e le oche sguazzare rumorose in un piccolo laghetto, e qualche uomo solitario leggere un libro seduto all’ombra di una possente quercia; e poi la strada con tutta la sua vita, i suoi colori, la sua gente e i suoi negozi dalle vetrine allestite in maniera quasi maniacale, tutto oro e rosso, e alberi di natale quasi accecanti per tutte quelle luci, e un vecchio babbo natale che chiedeva umilmente monete in fondo alla via, calpestando la propria dignità per un pezzo di pane, e rovinando un sogno a qualche bambino che fino a quel momento era ancora puro e ingenuo. Tutto quel melodico tran tran Emma lo godeva dal suo piccolo balconcino, sulla sua piccola seggia scricchiolante, con un cappellone di lana ed una vecchia coperta sbiadita, a cui era terribilmente affezionata, quasi come Linus alla sua. Poteva stare ore e ore ad osservare dall’alto la lontana routine del mondo, la fuori, come fosse un vecchio film ingiallito, proiettato da una cinepresa sul muro di casa, mostrante i movimenti lenti e scoordinati di giovani ormai andati, con quella cadenza particolare di una vita fa. Ma la neve scendeva fitta fitta, e costrinse la bella giovane a ritirarsi, per salvare i piedini scalzi e nudi – ebbene si, ella non sopportava che nessun tipo di tessuto separasse il suo unico contatto con il mondo reale dalla nuda terra, almeno in casa - da un imminente congelamento. Entrata nella piccola tana, appoggiò una tazza di tè ormai fredda sul lavandino, incastrato in un angolino simpatico della stanza, che fungeva da cucina e da sala da pranzo al contempo: consisteva in una armadietto in cui riponeva tutto il cibo precotto che riusciva a trovare, due mensole piene di tazze colorate e piattini eccentrici, un lavandino, e un piccolo mini-bar, il suo frigo, stracolmo di alcolici e povero di acqua. La sua sopravvivenza dipendeva fondamentalmente dall’acqua corrente, di cui ella ignorava allegramente il sapore di cloro e i pericoli che poteva comportare alla sua salute. A coronare il tutto, vi era un’alta scrivania che circondava l’angolo quasi completamente, come il bancone di un bar, con due sgabelli da pub in pelle nera, che Emma reputava sciccosissimi e che le erano costati un patrimonio. Il resto della stanza unica era una rinfusa di vestiti e cianfrusaglie ammucchiate un po’ dappertutto, e che ricoprivano il letto cinese, di quelli bassissimi – una trovata geniale per guadagnare spazio senza dover ricorrere ad un deprimente materasso ammassato a terra – e il pouf marocchino dai colori caldi che aveva comprato a Marrakech anni orsono. Infine, un armadio in legno d’acero, antico e bellissimo, troneggiava attaccato ad una parete, con un separè in stile giapponese in un angolo, dietro il quale vi era un’alto specchio e qualche mensola piena di trucchi e bigiotteria varia, tenuta alla rinfusa in delle piccole cestelle di vimini.
Più che un appartamento, sembrava un negozio d’antiquariato e di oggetti vintage, e l’odore fine di incenso donava alla camera un speciale tocco orientale, come se non si distinguesse già tanto di per sé! Con il suo innegabile gusto era riuscita a mischiare etnie diverse e opposte creando in quei pochi metri quadrati uno stile unico ed eccentrico.
Era il totale e fedele specchio della sua personalità.
Entrata in casa, tirò dal frigo una boccetta di liquore, ne stappò il tappo con i denti e ne bevve un lungo sorso audace, sorridendo al brivido caldo che le percorreva la schiena come una scarica elettrica. Ah, l’alcool! Il suo migliore amico nelle giornate di freddo, dentro e fuori. Bastava quel sorso per risparmiarle insieme il riscaldamento e un fidanzato.
Si gettò con poca cura sul letto e accese la piccola televisione, artisticamente appollaiata dentro una valigia aperta di un rosa shocking, con una statuetta di betty boop piazzata sopra. La piccola scatola era completamente vuota e priva di qualsiasi immagine anche vagamente interessante, ed Emma sbuffò contrariata, roteando gli splendidi occhi verdi e scattando in piedi come una molla
-Tipico! – mormorò spalancando l’armadio con un gesto teatrale. Quell’armadio era il suo piccolo mondo incantato. La sua dolce debolezza, il suo errore preferito. Non era di certo fra le 100 donne più ricche del pianeta; si guadagnava da vivere con lavoretti part-time qua e la e qualche foto ben scattata venduta a riviste sconosciute, facendo provini su provini per inseguire il suo grande sogno, peraltro il motivo per cui si era trasferita in quella magnifica città: diventare un’attrice. Quei suoi modi stravaganti, quel volto sfavillante e luminoso, quel corpo longilineo, avrebbero dovuto essere reputati irresistibili da tutti i registi e le agenzie di modelle. Il suo piano, inizialmente, era proprio quello: andare a New York, farsi scovare da qualche regista in erba, togliersi i panni di ragazza per benino e vivere all’insegna della follia artistica. Sesso droga e rock’n roll, yeah!
..Non era andata esattamente in quel modo. Nessuno l’aveva notata, era stata scomunicata dalla famiglia – scappare dal collegio non era stata proprio una grande idea – ed ora era una ventenne in decadenza. Eppure, non se ne pentiva. Poteva affermare di aver seguito il cuore, l’istinto, poteva affermare di aver colto l’attimo, di aver vissuto con eroismo, con ironia. Poteva affermare di essere felice così.
Bè, più o meno, dai.
Ma sto divagando: dicevo, aprì l’armadio e ne estrasse un vestitino favoloso nero, corto e scollato, in seta e pizzo con laccetti che le facevano aderire il tessuto al corpo come se gliel’avessero dipinto addosso. L’etichetta cantava fieramente “Dolce & Gabbana”. Se lo mise frettolosamente, poi infilò un paio di Jimmy Choo in vernice rosso fiamma con tacco a spillo. Si passò sulle labbra un rossetto aggressivo, uno spruzzo di Ipnoze per darle quel tocco di magia in più, ed era pronta per la passerella. Nessuno avrebbe mai detto che una ragazza del genere potesse vivere in un buco simile. Ma lei adorava essere imprevedibile,e questo era uno sei sui modi preferiti. Di giorno era una persona, di notte un’altra. Aveva mille personalità, mille alter ego, mille diverse storie e profili tutti accomunati dallo stesso esile e meraviglioso corpicino; era incredibile che una personalità così forte e stravagante potesse racchiudersi in una figura così piccola: magra e flessibile come un giunco, il viso dai contorni etnici, latini, con dei meravigliosi occhi verde smeraldo, una fronte alta, un nasino all’insù e le gote palline addolcite da uno schizzo di delicate lentiggini; le labbra erano sensuali, carnose, piene, e le donavano un’aria pericolosa, con quel suo tipico sorriso sarcastico, di chi la sa lunga. Il viso straordinario era incorniciato da una chioma corvina, dai riflessi ramati, che ricadeva in morbidi boccoli sulle spalle. Una figura eterea, un angelo scappato dal paradiso per vivere sulla terra fuori dagli schemi.

L’orologio segnava le 2 e mezza di notte,quando la giovane uscì traballante sbattendo la porta dietro di sé, senza meta, senza compagnia, senza ragione. Seguendo ancora una volta l’istinto. O vogliamo chiamarla meglio sconsideratezza, guidata da quello che nella sua testa riusciva a distinguere in mezzo alla nebulosa di pensieri post-sbornia.
Ma forse non era l’istinto né la sconsideratezza, ne l’alcool. Forse, era solo il destino.

  
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