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Autore: Aout    25/03/2013    2 recensioni
Daniel è un ragazzo come tanti.
Ha diciannove anni e frequenta il secondo anno di college, lavora per mantenersi e ama lamentarsi di qualunque cosa gli capiti sotto tiro. Vive una vita normale, anonima e noiosa e, anche se a tratti la trova seccante, diciamo che l’accetta così com’è.
Ecco… peccato che il mondo così tanto "normale" proprio non sia, peccato che di mostri inquietanti ce ne siano a bizzeffe, peccato che perfino lo stesso Daniel nasconda qualche piccolo e trascurabile segretuccio...
Ci siete?
Prendete tutti i personaggi che conoscete, tutte quelle creature soprannaturali che di vivere in pace proprio non ne vogliono sapere, prendete la sete di vendetta e pure una buona dose di calcolo strategico ed ecco che avrete la storia.
Che altro dire?
Vi aspetto ;)
(STORIA SOSPESA almeno fino a quest'estate, quando avrò il tempo di rivedere la trama, la piega che sta prendendo mi piace poco. Chiedo venia a chi mi stava seguendo, ma ritengo di non poter fare altrimenti)
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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Capitolo 12
Perché il mondo è pieno di occhi dai colori improbabili

 
 
 
 
- Un tè, grazie.
Davanti a me stava, arcigna, una cameriera pallida e dai capelli grigio topo. Ero seduto al bancone di quel piccolo bar, immobile, da più di due minuti ormai, aspettando invano che mi venisse data una risposta.
Immobile… ma dico, vi rendete conto?
Stavo immobile.
Per quale ragione non avevo ancora cominciato a correre, vi chiederete, preferibilmente urlante e magari sventolando le mani in aria preso dal panico? Sì insomma, perché non manifestavo quel terrore che doveva attanagliarmi?
La donna, comunque, pareva ben lungi dal preoccuparsi delle mie preoccupanti elucubrazioni mentali…
- Ehm… un tè, grazie. – dissi di nuovo, più forte.
Uno sbuffo spazientito, un ticchettante rumorio di tacchi sul parquet e poi finalmente la cameriera si decise a prepararmi la sospirata bevanda calda. Calda… ingurgitare qualcosa che non fosse quell’aria gelata che in quel momento scalpitava nei miei polmoni, sarebbe stato fantastico.
Ma, insomma la questione è alquanto fondamentale, com’era che ero così tranquillo?
Beh, dunque… io, come dire?
Io… ecco… io, sapevo che gli Occhi Rossi non sarebbero arrivati .
Speravo intensamente, sul serio, che quella consapevolezza nascesse dal fatto che no, non mi avevano aspettato al terminal con uno striscione di benvenuto, né fuori dall’aeroporto, né tanto meno li avevo trovati a bersi un cappuccino in quel bar.
In realtà, però, io lo sapevo e basta. Ne ero, in qualche modo, sicuro, ecco.
Deglutii la poca saliva che mi rimaneva in bocca, aspettando anelante il tè caldo che non arrivava e di cui avevo profondamente bisogno, considerando quanto ormai fossi prossimo al congelamento. E avevo scelto volontariamente l’esilio in Alaska… ma Honolulu, no?
Dopo qualche eterno minuto, finalmente il tè arrivò e mi ritrovai subito a scottarmici la lingua, sotto lo sguardo di quell’antipatica cameriera.
Stavo proprio assaporando quel momento, ecco, quel tè era riuscito, vai a sapere come, a regalarmi un momento di tranquillità, un momento finalmente felice, anche se puramente temporaneo e, nello specifico, molto, molto breve, comunque.
Beh, diciamo che avrei dovuto accorgermi che le cose non sarebbero potute andare bene nemmeno per un effimero, passeggero istante.
Infatti, se un secondo prima la tazza era saldamente ancorata alla mia mano destra, un secondo dopo si era infranta per terra e il suo contenuto bollente era sparso sulla mia camicia scura.
L’attimo aveva infranto l’attimo.
Perché li avevo visti. Loro.
Beh, insomma, non è che fossero proprio loro, ma, cavoli, ci andavamo dannatamente vicino.
Un uomo e una donna stavano passeggiando ad appena qualche metro da me, avevano dei pacchetti in mano e sarebbero potuti sembrare normali passanti. Sarebbero, vista la pelle spaventosamente pallida. Si muovevano con una fluidità così sovrumana che non dubitai nemmeno per un singolo istante di aver preso una cantonata, era fuori discussione. Erano decisamente troppo simili a loro.
A quel punto, non pensai.
Non pensai alla mia pelle scottata da quella bevanda alla lava pura, la solita parte imbecille del mio cervello constatò che quella cameriera doveva essere particolarmente frustata per avercela con uno sconosciuto, non pensai che quei due avevano continuato per la loro strada ignorandomi e che magari non stavano cercando me, non pensai che, se anche si fosse realizzata l’improbabile possibilità che non mi avessero visto, una fuga rocambolesca avrebbe segnalato la mia presenza più di un coro da stadio.
Non ci pensai e cominciai a correre.
Superai con un balzo, e conoscendomi fu già tanto che non andai a schiantarmi sullo stipite del tavolo, la sedia davanti a me. Superai la scostante cameriera, lievemente sorpresa, aprii la porta con una certa irruenza e mi diressi lungo il corridoio del supermarket.
Cavoli, cavoli, cavoli. Ma perché ero venuto lì, eh? Noleggiare una macchina e fuggire verso qualche desolata landa del nord, questo avrei dovuto fare!
Ma no, prendiamoci un tè, con calma, tanto non sei inseguito da degli esseri spaventosi, giusto, Daniel? Constatò sarcasticamente la mia irritante vocina interiore.
Entrai dalla prima porta che trovai aperta. Con mio grande dispiacere, mi accorsi che le scale portavano verso l’alto. Ma verso l’alto dove?
Lo scoprii qualche secondo dopo, quando sbucai su un tetto in cemento, dove il freddo era tale che pure i miei denti si erano arresi e avevano smesso di battere.
Cazzo e adesso?
Pensai, molto prosaicamente.
Mi girai e mi guardai attorno. Fino a quel momento non l’avevo ancora fatto, era stato troppo il terrore. Se mi fossi girato, se li avessi trovati… non so, ma non sarebbe stato di certo un bene, ecco.
Beh, mi accorsi che non c’erano. Non c’era nessuno lì, con me, a congelarsi, proprio nessuno.
Che fare?
Scendere, subito. Sul serio, morire assiderato non era mai stato un mio desiderio e non avevo proprio alcuna intenzione di provarci in quel momento.
Perciò scesi le scale. Piano piano, con sguardo circospetto, calcolando ogni gradino al millimetro. Quanto dovessi risultare ridicolo era una cosa da ignorare in quel momento.
Eccoci, la porta. Bene, aprila e inizia a correre, d’accordo?
Sì, correre… facile a dirsi, ma il lavoro avrei dovuto farlo io. D’accordo, ci siamo, tre due uno…
 
Occhi gialli.
Mi osservano, da lontano.
Sono malinconici, non ci sono lacrime, ma bruciano, lo percepisco.
Li vedo allontanarsi, veloci. Non posso raggiungerli, non posso.
Brucio anch’io, troppo per muovermi, troppo.
 
Occhi gialli, davanti a me.
Feci appena in tempo ad appoggiarmi alla maniglia di sicurezza prima di cadere carponi per terra.
Visioni nei momenti migliori, eh? Stavano cercando di uccidermi per caso? Anche loro?
- Dovresti prestare più attenzione… - mi disse, quella bellissima ragazza.
Aveva i capelli rossicci, più o meno, un viso dolce a cuore ed un sorriso lieve ad incresparle gli zigomi alti. La sua pelle era candida, come la neve.
Troppo candida.
Sì, ma gli occhi?
Non importa, corri.
Che potevo fare? Ricominciai la fuga, lontano, oltre quell’essere bellissimo, alla fine del corridoio, lontano da quella visione oscura che mi aveva lasciato una profonda malinconia addosso, senza sapere esattamente il perché.
 
Con un fiatone degno di un cavallo da corsa, ero giunto a qualche centinaio di metri dall'entrata del supermarket, sì, resistenza pessima. Mi appoggiai stravolto ad ringhiera in ferro, lì vicino, tentando di riposarmi un attimo. Non avevo più forze, ero stravolto, e così, quando quella gentilmente decise di rompersi, mi ritrovai per terra, con la faccia immersa nella neve bianca. Con il fiato che mi rimaneva, poco a dirla tutta, mi girai appoggiando la schiena a terra, cercando inutilmente di ritrovare un respiro normale.
- Stai bene?
Davanti al cielo blu cobalto che mi feriva la vista, comparve improvvisamente una cascata di capelli ricci.
- Waaaah! – urlai nella sua direzione, tirandomi, subito, in piedi - Non t-ti av-vicinare! – balbettai rivolto verso di lei, penso per il freddo agghiacciante, e mi accorsi con orrore che era proprio la stessa donna da cui ero scappato. Da cui avevo cercato di scappare, evidentemente.
Mi rispose uno sguardo vagamente perplesso. Mi accorsi, in quel momento, che brandivo davanti a me un pezzo della ringhiera, che già si stava sbriciolando arrugginita tra le mie mani.
Lei, direi divertita ma forse esagero, mi disse: - Uhm, non voglio farti del male… - ma suonava un po’ dubbiosa come affermazione. Se non altro, e questo già era un buon punto a suo favore, non era assolutamente paragonabile alla stessa frase uscita dalla bocca di Sorriso-Malvagio.
Non che sia mai realmente accaduto, ben inteso. Oh almeno, credo…
Scrollai la testa per riordinare le idee, il mal di testa stava aumentando e mi distraeva.
Fissai lo sguardo su quell’espressione perplessa, innocente, su quegli occhi dorati.
Dorati… ma perché dorati?
- Non sono stupido… - osai – Il fatto che tu non abbia gli occhi rossi non cambia le cose… io, io non ancora capito cosa volete da me, ma non… voi, non… - la testa prese a girare più velocemente, il fiato a farsi più pesante. Che mi stava succedendo?
Lo sguardo della donna pallida si fece più affilato: - Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando…-
Stupido, stupido! Le stai dando troppo indizi, non lo capisci, sciocco? Loro non lo sanno, non sanno che hai visto tutto!
Uhm, ottima osservazione.
Se solo… se solo fossi riuscito a pensare razionalmente, se solo… ma la testa girava veramente troppo.
Mi aggrappai più forte a quella sbarra di metallo, come un’ancora per tenermi attaccato alla realtà, ma quella si sbriciolò, troppo arrugginita per sopportare appena una leggera pressione.
- Chi sei, tu? – mi chiese la donna, avvicinandosi.
- Non… –  tentai di dire, ad un passo da lei, cercando di retrocedere.
Ma quando il mio piede sinistro non trovò appigli sulla neve chiara alle mie spalle, semplicemente caddi, di nuovo.
Il mio sguardo si fece scuro, la mia visuale si strinse sempre di più su un abisso nero. L’ultima cosa che vidi, anche se sfocata e confusa, fu quel viso a cuore, con le sopracciglia contratte.
Poi… poi una landa chiara si dipinse davanti al mio sguardo, ma non era più quella in cui mi trovavo qualche secondo prima. Tante statue, tutte affiancate, stavano da una parte di una grossa radura, tutti rabbiose, con le fauci, fauci?, aperte, ringhiavano.
Gli occhi spalancati e rossi, scarlatti, brillanti.
Dall’altra parte del campo qualcuno stava dritto, con sguardo fiero… qualcuno che avevo già visto…
Poi, persi conoscenza.
 
 
- Cosa succede? – chiese, fermandosi – Demetri?
La guardia, immobile a qualche metro di distanza da lei, non si muoveva, fissando un punto davanti a sé.
- Si muove.
- Dove, Demetri? – chiese, annoiata e con tono irritato. Odiava ripetersi.
- Era a Providence, fino a qualche secondo fa, ma adesso… si muove. Credo si stia dirigendo verso sud. Warwick, c’è un aeroporto. – rispose lui, sempre con il solito sguardo vacuo.
- Credi? – fallire una missione così semplice non era nemmeno lontanamente pensabile.
Demetri si girò verso di lei, lo sguardo affilato: - È ancora indeciso.
- Potrebbe averci…? – chiese serio Felix, rimasto in silenzio fino a quel momento.
- Forse, meglio muoverci. L’America non mi piace.

 
 
 
 
 
 
 
Note: Chiedo scusa per il ritardo, ma sono tornata giovedì sul tardi e sono riuscita ad articolare poco o niente fino a ieri ;)
Dunque, dunque… capitoletto un po’ scarno, eh? Beh, mi rifarò *risata malefica*…
Per quanto riguarda le note puramente tecniche: secondo la Meyer (Guida Ufficiale) Demetri è in grado di rintracciare chiunque voglia in quanto riesce a seguirne la “traccia mentale”. Ora, cosa si intenda esattamente con questo termine... beh, io non ne ho la più pallida idea, perciò ho dato la mia approssimata interpretazione al tutto, vedete di non soffermarvici troppo (:
Ora del dodicesimo capitolo, dedico una piccola sviolinata a chi recensisce <3, a chi preferisce, a chi ricorda, a chi segue e anche solo a chi apprezza… grazie, grazie mille perché siete voi il motore della storia ;)
Beh, alla prossima,
Aout ;)

 
  
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