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Autore: C h i a r a    26/03/2013    1 recensioni
Questa è una ff di genere Young-Adult. Eleonora è una ragazza di Livorno che non ha amici. A molti la situazione starebbe scomoda, ma a lei no, non vuole interagire con nessuno.
(la storia si svolge a Livorno, ma luoghi e persone sono puramente inventati, ogni riferimento è puramente casuale)
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lunedì vado a scuola, sono emozionata. Oggi vedrò di nuovo Alessio dopo il Polo. Dio, sono stata così scema ad andare da Marco. Ma ero ubriaca, che potevo farci? Beh, lui mi ha baciata, vuol dire che gli importa di me, che forse anche lui prova quello che inizio a provare io. Corro per le scale, voglio andare da lui, parlargli, chiarire tutto. Ma quando entro in classe la mia emozione svanisce. Il banco vicino al mio è vuoto. Magari arriva tardi. Mi siedo, e per tutte le cinque ore fisso la porta, aspettando che si apra, che Alessio si affacci, sorridendo. Ma non succede. Ignoro le persone che mi fissano sghignazzando. La voce di cos’è successo con marco si è sparsa, ma io me ne frego. La stessa scena si ripete Martedì, Mercoledì, Giovedì. Non risponde ai miei messaggi, né alle mie chiamate, né ai miei tweet. Tutti i pomeriggi vado in biblioteca, sperando che si presenti, ma non lo fa. Sono triste. Non capisco cosa sia successo. Non vado a mangiare all’Hero, preferisco stare sola, a guardare il piatto di pasta scaldato al microonde, senza aver fame.
Sabato ho perso ogni speranza, ma ecco che quando entro in classe Alessio è lì, seduto al suo banco. Ma qualcosa non va in lui. Sembra pallido, direi che pure lui non ha mangiato molto ultimamente. Non sorride, come fa di solito, il suo sguardo è perso nel vuoto. Mi siedo e non saluta.
«Alessio, stai bene?» gli chiedo.
Fa cenno di sì con la testa, intanto prende il libro di latino e inizia a leggere. «Perché sei mancato tutti questi giorni?» insisto io.
Scrolla la testa, senza rispondere. Gli prendo il viso fra le mani e lo costringo a girarsi verso di me, però i suoi occhi vagano per la stanza, senza mai incontrare i miei. «Guardami. Credo tu mi debba delle spiegazioni.»
«Io non ti devo proprio niente.» dice con una voce vuota, tenendo lo sguardo basso. Non c’è rabbia nella sua voce, forse sarebbe stato meglio. Nella sua voce non c’è proprio nulla.
Rimango spiazzata, e torno sul mio libro di latino. Sento gli sguardi della classe incollati su di noi. Per il resto del giorno non ci parliamo.

Passo il pomeriggio stesa sul mio letto, a lanciare in aria una pallina e riprenderla in mano. Lanciare e prendere. Lanciare e prendere. Lanciare e... Mi vibra il cellulare, sul cuscino, mi giro e vedo che è Alessio. La pallina mi cade dritta sul naso.
«Porca puttana.»
Sento mia mamma sforzare la tosse. Odia che dica le parolacce. Prendo in mano il cellulare, nel messaggio ci sono solo due parole: “In piazza.”
Mi precipito fuori, salutando in fretta mia mamma, prendo lo scooter e volo fino in piazza. Alessio è lì, nell’esatto centro. Dritto in piedi come un fuso, le braccia lasciate a penzoloni lungo i fianchi. Mi avvicino da dietro.
«Ehi.»
Nonostante lo dica a voce bassa, e col tono più dolce possibile, fa un salto. «Mi hai spaventato.»
«Scusa.» i suoi occhi ancora non hanno il coraggio di fermarsi sui miei.
Prima che possa dire qualunque cosa lo abbraccio. Mi aspetto di sentire le sue braccia stringermi la vita. È proprio ciò di cui ho bisogno ora. Ma non le sento. Stringo appena di più. «Abbracciami.» sussurro «Ti prego.»
Allora sento le sue braccia avvolgermi, incerte.
Quando ci separiamo sento il bisogno di baciarlo. Sto per avvicinarmi a lui, quando si gira. Camminiamo silenziosamente lungo la via pedonale. Dopo un po’ entriamo in un bar, prendiamo il tavolo nell’angolo più distante dall’entrata. Dopo aver ordinato non c’è più via di fuga, deve per forza darmi delle spiegazioni.
«Cosa ti sta succedendo?» gli chiedo.
«Non sto bene.»
«Di quello me ne ero accorta.»
«Non so come dirlo.»
«Parti dall’inizio, continua, e quando arrivi alla fine, fermati.» dico, sorridendo, per far capire che non era detto con cattiveria.
Per la prima volta quasi riconosco Alessio, mi guarda, e fa un sorriso. Non di quei suoi bei sorrisi che mi fanno sciogliere, ma è un inizio.
«Beh, non c’è un vero e proprio inizio. Mi sono sempre sentito così... diverso. Ma non capivo cosa non andava in me. Ho una buona salute, sempre avuto qualche amico, mai avuto problemi di bullismo, problemi alimentari o altro. Eppure, sentivo di non essere come gli altri. Non ho mai saputo, anzi non so tuttora se sono migliore o peggiore. Ma so che non sono uguale, o almeno non lo sarò quando ammetterò di essere ciò che sono. Per questo nonostante avessi qualche idea non l’ho mai ammesso, nemmeno a me stesso.  Perché so, che una volta fatto, niente sarà più come prima. La gente mormorerà, mi guarderà male, forse inizieranno a prendermi in giro, sarò preso di mira dai bulli. Forse l’ammettere la mia diversità non migliorerà le cose. Forse le peggiorerà. Forse è meglio tenermi tutto dentro, sentire di non apparire come ciò che sono realmente piuttosto di dover affrontare tutto.»
Si interrompe, le lacrime gli salgono agli occhi. Ormai ho capito. Gli afferro la mano.
«Essere diverso non è un problema. Il problema è non essere se stessi. E tu al momento non lo sei.»
«Da quando l’hai capito?»
«Vorrei dirti dalla prima volta che ti ho baciato, ma non è così. Non sono brava a leggere le persone, nemmeno quando sono dei libri aperti. Perché mi hai baciata sabato sera?»
«Ti arrabbi se ti dico che volevo provare?»
«No, ti capisco. Però io ho provato qualcosa durante quel bacio. Ora sono ferita, ma non mi importa. L’unica cosa che mi importa, sei tu.» soffoco una risata «Non avrei mai pensato di dire una cosa del genere.»
Anche lui sorride. «Ma ho capito male o ti piaccio?»
«Non hai capito male.» lo vedo deglutire a fatica, gli stringo più forte la mano «Ma me la farò passare. Ti starò vicina, come amica. Come migliore amica.»
Si rilassa un po’, ma io non sono soddisfatta. «Dillo.» gli ordino.
Mi guarda stupito, ma poi capisce. Spalanca gli occhi e scuote la testa. «Dillo.» continua a scuotere «Non ce ne andiamo finché non lo avrai detto. »
«Non posso, Eleonora.»
«Una volta detto sarà tutto più facile, ti starò vicina io. Dillo.»
Deglutisce molto faticosamente. Prende un respiro profondo. «Sono gay.»
Gli do un bacio sulla fronte, soddisfatta.
  
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