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Autore: Thalasya    27/03/2013    1 recensioni
"Non ce la faccio a vivere senza di te."
"Mi servi come serve a Winnie The Pooh il miele."
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1: Cheer me away.
Cause you were mine for the summer
Now we know it’s nearly over
Feels like snow in Semtember 
But I always will remember
You were my summer  love
You always will be mine summer love.
ASH’S  POV.
1 settembre.
L’estate era scappata via.La mia voglia di vivere sembrava fosse stata legata a quella stagione con un filo trasparente, contenente tutte le emozioni provate in tre mesi                                                                                                                                                                                         Piccola similitudine: l’estate era uno spacciatore e la mia voglia di vivere e la mia felicità tutta la droga che spacciava, ma purtroppo quel rompipalle dell’autunno, ovvero la polizia con la sua assillante e allarmante sirena l’hanno fatto fuggire. ‘Aspetta, torna qui!’ ma niente, non si può fermare la corsa del tempo.
Come si fa a vivere dopo aver passato i migliori tre mesi di tutta la propria vita?
Come si fa ad avere il sorriso ancora stampato in faccia dopo che tutto ciò a cui tenevi di più è sparito?
Come si fa a continuare sapendo che l’unica cosa che ti farebbe sorridere sarebbe il sorriso di un ragazzo che si trova al di là dell’oceano?
Ho io la risposta: non si fa. Non si fa perché si può benissimo abbandonare tutto è partire, dico una diciottenne come me a quei tempi poteva benissimo mandare a farsi fottere tutto e tutti e scappare per raggiungere colui che ama. Ma ho detto bene una come me, non io.
Non potevo, mia madre me lo aveva severamente vietato.
Mi aveva detto prima di partire: ‘Ash, non innamorarti quest’estate. Io non ti lascerò rimanere lì in Inghilterra poi a settembre quando tu ed il tuo futuro amore dovrete abbandonarvi, tu ritornerai qui a Los Angeles e sfrutterai il tuo talento nel disegnare con me nella mia boutique.’
Poi è successo quello che è successo, mi sono innamorata ed il trenta agosto mi chiusi in macchina a piangere, mentre mia mamma caricava i bagagli.
Si posizionò al posto del guidatore e mi disse: ‘Ash io ti avevo avvisato, è stato solo un tuo errore.’ continuava a ripetermi, l’ultime parole che riuscii a sentire prima di mettermi le cuffie furono ‘Ash, non cambierò idea, tu ritornerai con me a Los Angeles.’
Durante tutto il viaggio in aereo, prima di arrivare alla città dove ero nata, luogo da me eternamente odiato quel primo di settembre, tornai indietro nel tempo, magicamente.
Ritornai a “l’inizio dei tempi”.
Tre mesi prima.
Mi sentivo tanto spaesata, le coste dell’Irlanda erano stupende ma mi mancavano tanto le strade popolate della mia amata Los Angeles.
Scrutavo le case dal finestrino, analizzavo i volti dei passanti che si salutavano l’un l’altro. Ognuno  in quel pesino sapeva tutto dell’altro. Credo che non fosse naturale vedere dei volti sconosciuti dalle facce facevano quando incrociavano il mio sguardo.
“Come si chiama questo paese?” chiesi riluttante a mia madre.
“Mullingar, tesoro. E’ la quarta volta che me lo chiedi da quando siamo in macchina.” disse lei.
“Scusa. Devo trovare un modo per ricordarmelo, Mullingar… Mulino in gara, ok ci sto.” dissi tornando ad analizzare tutti i volti nuovi.
Nessuno badava troppo al passaggio della nostra auto, a nessuno importava più di tanto.
Non sapevo di preciso neanche io cosa ci facessi lì, in quel paese quasi sperduto. Ah sì, quasi dimenticavo, mia madre doveva fare un non so che con un non so chi, non mi importava più di tanto. Al lavoro di mia madre contribuivo solo disegnando modelli di vestiti che lei avrebbe dovuto poi sviluppare.
Arrivammo di fronte una casa, fino a quel momento tutto filava liscio.
“Maura!” gridò mia madre scendendo dalla’auto e correndo verso una donna più o meno della sua età.
“Marta!” disse la signora abbracciando mia madre.
Rimasi in macchina, odiavo già stare lì. Mia madre era così felice di stare lì, avrei voluto chiederle in prestito un po’ della sua euforia.
“Ma tua figlia non scende?” disse la signora.
“Oh scusami Maura. Ash, scendi immediatamente!” mi ordinò mia madre.
Aprii la portiera e scesi dall’auto, raggiunsi la signora con un finto sorriso sulle labbra.
“Piacere sono Ash.” dissi porgendole la mano.
“Ciao Ash sono Maura.” disse lei mentre ci faceva entrare.
Casa sua era abbastanza grande: due piani con un giardino sul retro. Carina e confortevole.
“Come vi conoscete voi?” chiesi cercando di sembrare il più interessata possibile all’argomento.
“Allora noi ci conosciamo dai tempi delle medie.” disse Maura.
“Come sai io ho origini italiane ed anche Maura, abbiamo fatto le medie insieme ed anche le superiori ma poi lei ha deciso di trasferirsi qui ed io a LA.” disse mia mamma.
“Ah, e come mai s..” venni interrotta dal suono di una chitarra proveniente dal piano di sopra. “Chi è che suona?” chiesi, per la prima volta veramente interessata da quando eravamo lì.
“Mio figlio, avete più o meno la stessa età… quanti anni hai tu?” mi chiese Maura.
“Io ne devo fare diciotto a luglio!” dissi scrutando al di là delle scale.
“Oh lui invece diciannove a settembre!” disse sorridendomi. “Perché non vai a conoscerlo? Prima o poi dovrete fare amicizia, d’altronde passeremo l’estate tutti qui in casa.” disse lei.
Io annuii e salii lentamente le scale, stando attenta a non coprire con il rumore delle  mie scarpe la chitarra.
Seguii la musica quando sentii una voce canticchiare dalla stanza vicina al bagno così spiai dalla porta socchiusa.
Persi l’equilibrio ed urtai alla porta facendola spalancare.La mia solita fortuna.
Mi ritrovai davanti un ragazzo biondo dagli occhi azzurri, con l’apparecchio ma senza maglietta, mi tese la mano per farmi rialzare.
“Tu devi essere Ash, giusto?” disse sorridendo cercando di incrociare il mio sguardo.
“Si, tu sei il figlio di Maura, giusto?” ricambiando il sorriso.
“Giusto, mi chiamo Niall.” disse stringendomi la mano, sorrideva come un ebete, ci mancava poco che non glielo dicessi in faccia.
“Sei bravo a suonare.” dissi indicando la chitarra.
“Grazie, vuoi suonata qualcosa?” mi chiese riafferrando lo strumento e sedendosi sul letto.
“Si, perché no!” dissi mettendomi accanto a lui.
  
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