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Autore: Dante_Chan    28/03/2013    1 recensioni
Questa storia parla di due ragazzini. Di un metallaro allevatore di ratti (o un allevatore di ratti metallaro?) che si innamora irrimediabilmente di un truzzo un po' particolare. La trama...beh, in realtà la scopro scrivendo, ma in generale il primo incontra il secondo, rimane colpito e tenta di ritrovarlo. Seghe mentali comprese nel prezzo :3
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mi scuso ancora per la brevità dei capitoli. Mi trovo meglio a dividere la storia in piccole parti.
E anche in questo capitoletto il povero Dante si caccerà in un piccolo guaio. Giusto per precisare, quel negozio di animali esiste sul serio. L'ho purtroppo visto coi miei occhi.




Dante rimase mesto per tutta la giornata. Decise di coccolarsi restando tutto il pomeriggio a giocare ad Assassin’s Creed davanti al computer, ma nemmeno ciò riuscì a ridargli il buon umore; non ci riuscivano nemmeno i ratti, e se non ci riuscivano loro non ci riusciva nessuno. Inizialmente si era arrabbiato per quello che gli aveva detto Trunks, ma poi ci aveva pensato su e si era reso conto che l’amico aveva ragione. Ma cosa poteva farci? Non voleva riferire al Diama quello che era successo, avrebbe iniziato un casino, e Dante voleva starsene tranquillo. Per il resto, avrebbe cercato di prendersela meno, anche se non credeva che sarebbe stato facile cambiare.
Alla sera si sentiva un po’ più tranquillo, ma non riuscì comunque a prendere sonno facilmente; aveva mille pensieri che lo agitavano, e la giornata trascorsa era solo uno fra tanti. Un paio di ratti stavano male e aveva paura che fossero vicini al termine della vita; gli dispiaceva un sacco, perché erano stati tra i primi che aveva preso. A scuola non riusciva a concentrarsi e studiare gli era diventato pesantissimo; si distraeva con niente e i voti ne avevano risentito, per cui temeva l’ira dei genitori e le conseguenti punizioni. Ma ciò che più lo agitava era che la sera successiva avrebbe riprovato a cercare quel ragazzo: chissà se quella sarebbe stata la volta buona…
Si addormentò solo alle due passate, e la mattina non sentì la sveglia e si alzò in ritardo; nonostante la foga, non arrivò in orario a scuola e fu costretto ad attendere la seconda ora per entrare in aula. Odiava le giustificazioni, specialmente quelle di ritardo: è un RITARDO. Tralasciando le visite mediche, solitamente se qualcuno arriva in ritardo è perché, appunto, è in ritardo, PUNTO. Perché è pigro, perché aveva sonno, perché non è suonata la sveglia, perché è andato a fare colazione al bar, e che cavolo! Cosa minchia si doveva scrivere, su quelle giustificazioni?? “Sono arrivato in ritardo”, e basta!
Raggiunse i suoi amici a ricreazione 5 minuti dopo, perché il professore aveva insistito per finire il capitolo trattato nonostante la campanella già suonata e le proteste degli alunni. Appena lo vide da lontano, il Diama lo chiamò con un veloce segno della mano; al ragazzino la cosa non piacque per niente.
«Ehi, è vero che sei stato minacciato da due tizi?».
«Trunks!!» Dante guardò l’amico. «Sei davvero andato a dirglielo? Ti credevo una persona discreta! Sai che non volevo!!».
«L’ho fatto proprio perché non volevi.» si difese lui. «Lo sai che puoi fidarti di me, ma questa volta andava detto.».
«Sei un bas-» iniziò Dante, ma Zanna lo zittì stringendogli una spalla. «Sta’ buono, ha fatto bene. Devi dirci chi è stato.».
«Credo di saperlo.» interloquì il Diama. «Devono essere due della 5^C. Erano uno moro e uno biondo, vero? Quello biondo non tanto alto.». Mentre il Diama diceva ciò, Dante vide proprio quei due passare alle spalle del ragazzo; fu solo un attimo, ma fece uno scatto all’indietro e finì addosso a Zanna. Il Diama si girò per capire cos’aveva visto, ma i due erano già spariti tra la folla delle macchinette. «Beh?» fece, guardando il più piccolo.
«Non mi va di parlarne.» mugugnò lui guardando altrove. Il moro aveva un geco tatuato sul braccio, l’aveva visto perché indossava una maglietta con le maniche piuttosto corte. Il Geco e il Capo, dunque, perché l’altro era chiaramente il capo. No, Geko. Perché con la k dava un’impressione più dura.
 «Oh, eddai! Ormai lo sanno!» lo spronò Trunks.
«Ma non voglio che vengano fuori casini…non è niente…».
«A proposito, Diama.» disse a quel punto Chele. «Che cavolo hai fatto, eh?».
«…bah, una cagata. L’altro giorno ero in centro con Massimo e dei bambocci hanno iniziato a fare battutine. Li abbiamo ignorati e loro hanno continuato, finché…beh, non ho perso la pazienza.». Tutto il gruppetto lo fissò con gli occhi spalancati. «Hai…ucciso qualcuno!».
«No, macché! Ho solo dato un pugno in faccia al più fastidioso. Non gli ho fatto niente!».
«…era un ragazzo di questa scuola?».
«Boh? Può darsi, mi pareva d’averlo già visto. Perché?».
«…oddio, allora dev’essere quello di 4^C…ho degli amici in quella classe, mi avevan raccontato qualcosa. Diama, se è lui gli hai rotto il naso!».
«Oh beh, mi dispiace, ma se l’è cercata!».
«Quindi questo è successo.» sospirò Trunks.
«Nessuno tratta male il mio fratellino, specialmente se è colpa mia! Per cui sputa il rospo e dimmi: sono i tizi che ho detto?».
«…sì, credo di sì…» si arrese infine Dante. «Ma non è che hai fatto una descrizione dettagliata, eh… Diama per favore, lascia stare! Non-fare-niente!». Che se fai qualcosa dopo se la prendono di nuovo con me.
«Tranquillo, lascia fare a me.» gli rispose il Diama dandogli colpetti affettuosi sulla testa.
Dante mugolò disperato. Aveva capito. Diama avrebbe cercato rogne. Poteva considerarsi morto.


Il pomeriggio non lo passò in ansia come il sabato precedente: quella settimana aveva pensato molto di meno a Target, nonostante la sua voglia di conoscerlo non si fosse affievolita, ed era un po’ più calmo. Ancora non aveva deciso cos’avrebbe fatto se l’avesse trovato, ma quella era l’ultima cosa a cui pensare.
Il cibo secco dei suoi animali era quasi finito, per cui si recò al negozio dove era solito rifornirsi; una volta arrivato, però, non lo trovò: il proprietario aveva fatto l’ordine in ritardo e i prodotti sarebbero arrivati solo la settimana dopo. Dato che Dante ne aveva urgente bisogno, tornò a casa e cercò su internet un altro negozio che vendesse mangime per ratti; purtroppo non era facile trovarne in giro, perché non erano animali domestici comuni. Trovò un negozio di caccia e pesca un po’ fuori città, nella campagna periferica. Prese la bici e dopo una ventina di minuti di pedalate arrivò al cospetto di un magazzino grigio, circondato da un grande parcheggio; aveva più di un’entrata, una che dava al negozio e un’altra che portava a una specie di garage pieno di sacchi e gabbie vuote, che aveva in un angolo una scala di ferro che finiva in un piano interrato da cui provenivano fischi, trilli, zirli e squittii. Dante entrò nel negozio e trovò con sollievo le crocchette che cercava; prima di andarsene, però, fu attirato dai tanti versi provenienti dall’altra stanza e decise di andare a dare un’occhiata. Se ne pentì: trovò davanti a sé una sfilza di gabbiette una sopra l’altra, con all’interno i più svariati tipi di uccello, da piccioni a quaglie a cose che non aveva nemmeno mai visto; e poi ancora ratti tenuti separati uno dall’altro, chiusi in gabbie divise da grate; e topolini ammassati in uno scatolone, così tanti che erano costretti a camminarsi sopra. Fece un giro della stanza col cuore in una morsa, mentre un uomo in un angolo lo teneva d’occhio; si fermò davanti a una grande scatola con all’interno dei ratti, maschi e femmine assieme, resti di semi di girasole e cacche mescolati con la segatura del fondo, orecchie smangiucchiate, graffi sui musi. Erano quasi tutti degli albini da pasto, ma il ragazzo si bloccò di colpo quando vide tra questi, in un angolino, un ratto nero con delle grandi, grandi orecchie: “Ma quello lì è un dumbo! Come osano venderlo come ratto da pasto??! Non si usano i dumbo come ratti da pasto!!!”.
Non voleva lasciarlo lì. Ma non voleva nemmeno comprarlo e dare altri soldi a quel negozio, già ne aveva dati e se ne pentiva. Si girò a guardare l’uomo: ancora lo osservava distrattamente, ma Dante gli dava la schiena e non riusciva a vedere quello che facevano le sue mani. Prese il ratto nero e se lo ficcò velocemente sotto la felpa; mentre lo afferrava, un ratto bianco che stava di fianco a lui fece uno scatto e si mise in piedi seguendo l’altro con gli occhi, quasi a voler dire “No!”. Dante non ci pensò due volte: agguantò anche lui e si chiuse ben bene il giubbotto. Si alzò con nonchalance e camminò verso l’uscita cercando di mantenere un’andatura tranquilla; sentì che uno dei due animali si stava arrampicando verso l’ascella e che riusciva poi a infilarsi fin sotto la maglietta, graffiandogli petto e pancia con le unghie. Cercò di dissimulare le smorfie di dolore e solletico mentre imboccava di fretta le scale, ma proprio quando era vicino all’uscita del garage uno dei due si mise a squittire di paura; lo stava pure smerdando con cacca e pipì, lo sentiva! Maledetto!
«Ehi, tu!» lo richiamò allora un secondo uomo, che stava mettendo delle gabbie in un angolo. I ratti si agitavano sempre di più, e due bozzi sospetti presero a muoversi sotto il cappotto di Dante. «Hai preso qualcosa? Vieni qui!».
Il ragazzino si lasciò sfuggire una bestemmia e prese a correre per raggiungere la bici: se lo avessero beccato a rubare e avessero avvertito i suoi genitori poteva davvero considerarsi morto, altro che bulletti!
«Vieni qui!!».
“Ma anche no, cazzo!!”. Per sua fortuna, l’uomo era sovrappeso e non riusciva a correre velocemente, così Dante raggiunse la mountain bike e scappò via il più rapidamente possibile, noncurante del sacchetto con dentro le buste di mangime che rimbalzava continuamente grattando sui raggi della ruota anteriore.
Fece un sospiro di sollievo solo una volta che ebbe chiuso la porta di casa dietro di sé. Si spogliò e prese i due animaletti spaventati, mettendoli in una gabbia non tanto grande che usava per tenere i ratti nuovi in quarantena prima di cercare di inserirli nel gruppo. Mise a lavare i vestiti sporchi, si sciacquò nella vasca e indossò una tuta comoda da casa, mettendosi ad osservare e a giudicare i nuovi arrivati. I suoi genitori non si sarebbero mai accorti di loro: non guardavano mai i ratti e, comunque, ormai avevano perso il conto.


Quella sera, come scusa disse agli amici non sentirsi troppo bene e di preferire andare a letto presto. Indossò i vestiti presi qualche giorno prima, una felpa rossa (che tanto si sarebbe tolto, perché in quel posto c’era davvero un caldo soffocante) e delle scarpe da ginnastica (tanto nessuno gli avrebbe guardato le scarpe. No?). Provò anche a mettersi il gel, ma l’incontro ravvicinato non fu dei migliori: la prima volta ne utilizzò troppo e come risultato i suoi capelli vennero fuori impastati in una posizione assurda e disordinatissima che faceva sembrare mancassero ciuffi di qua e di là; se li lavò, si asciugò e il secondo tentativo non andò tanto meglio; al terzo, dopo essersi sciacquato e asciugato di nuovo, venne fuori qualcosa di un po’ più accettabile e si tenne i capelli così com’erano venuti, nonostante l’impressione fosse quella di un vecchio istrice appena scampato a una lotta. Si ricordò la carta d’identità e lo fecero entrare senza fargli storie; Dante aveva paura di essere riconosciuto dal buttafuori, ma quella sera c’era un’altra persona all’entrata. Toltosi giaccone e felpa, non sapeva bene come muoversi: c’era un bordello di gente che all’inizio, tra le luci colorate e lampeggianti del soffitto, sembrava tutta uguale; Dante non sapeva da dove cominciare, perciò si buttò tra la folla e aguzzò gli occhi, sperando almeno di poter riconoscere la faccia di Target, semmai l’avesse visto.
Quando si fu abituato al casino e alle luci, iniziò a riconoscere alcune persone nella calca: ne riconobbe qualcuna della sua scuola (anche gente per bene, cioè! Discotecari insospettabili!), ma rimase di pietra quando intravide alcuni suoi compagni di classe: se l’avessero visto la sua reputazione poteva dirsi rovinata. “Ma bene!”. Cambiò direzione all’istante e ebbe anche l’impulso di scappare fuori, ma si trattenne. Si mimetizzò tra i ragazzi al bancone che vendeva alcolici, continuando a scrutare la gente. Si sentiva proprio a disagio, stando lì da solo come un pirla in un mondo del tutto sconosciuto…tanto valeva farsi una birretta, se non gli facevano storie. Tentò di prendere un’aria adulta e si accinse a ordinare, quando una voce lo fermò: «Nooo! Dante, tu qui! Non ci credo!!». Un braccio gli circondò le spalle e lo trascinò via dal bancone di qualche passo. «Il mio cuginetto in una discoteca! Che c’è, hai preso una botta in testa?!».
«Oh…ciao.». Ecco, Dante avrebbe voluto sparire. Suo cugino: ventun anni per niente, cervello grande quanto un fagiolo, re dei discotecari casinisti, puttaniere, adolescenza in gran parte passata a farsi foto disgustose al cesso. Cosa peggiore: adorava prenderlo per il culo.
«No ma sul serio, cioè, racconta! Com’è che sei in “questa merda di posto circondato da cerebrolesi vestiti come dementi che ballano a ritmo di frecce di auto rotte”?». La sua voce si sentiva appena, fra tutto quel rumore. Per fortuna.
«Ehm…devo fare una cosa.».
«Cosa, ti sei dato al terrorismo, tesoro?».
«Devo…cercare…una persona. Non ti interessa, comunque.».
«NOO! Non me lo dire! Ti sei preso una cotta per una discotecara?? Non ci credo nemmeno se me lo dici! Ma davvero, ma come ti sei conciato i capelli? Non farai mai colpo così, cioè, si vede proprio che non ce la puoi fare, nel senso, tu sei così fuori moda che balli il twist, non puoi pensare di venire qui una sera e fare colpo ridotto così…ma oddio!! Ma cosa sono quelle scarpe poi, ci stanno troppo male, ci vogliono come minimo delle Vans per come sei vestito! Cioè quelle ciabatte rovinano tutto, guarda! Ma perché non hai chiesto aiuto al tuo cuginetto, io sì che potevo aiutarti per bene! Senti, dai, ora la cerchiamo e mi dici chi è e lasci fare a me, ok zio?».
«Veramente sto cercando un ragazzo.».
«Eh…mannò, ma davvero? Mi stai dicendo che sei frocio? No, questa però proprio non me l’aspettavo guarda, cioè, un frocio in famiglia, mi prendi in contropiede! Beh ma in effetti se ci penso, basta guardarti, cioè, ce l’hai scritto in faccia, come ho potuto pensare che uno tanto effemminato fosse-».
«Dov’è che sarei effemminato???!».
«Beh cioè, guardati, non è che sei proprio il top della mascolinità, eh zio!».
«Solo perché il mio corpo non si decide a svilupparsi, che cazzo c’entra la mascolinità!!!! E non sono innamorato di nessuno comunque, quindi ‘sta zitto e fatti i cazzi tuoi!!».
«Ahah amore, io mi faccio le patate, i cazzi li lascio pure a te! Su dai, adesso non fare l’acido, vieni che ti offro qualcosa, il mio cuginetto in disco, cioè, è troppo una cosa da festeggiare!».
«No, guarda, grazie. Me ne stavo giusto andando…».
«Che, sei matto? Ti sei conciato così per trovare quel tipo e te ne vai? Beh ma sul serio, con quei capelli messi da cesso proprio forse è meglio se lasci, sei messo troppo male! Senti, in settimana ti chiamo e ti do qualche dritta, ok? Hai tipo troppo bisogno di aiuto!».
«Non mi interessa, grazie.».
«Guarda che voglio darti una mano, giovane!».
«Mi va benissimo così. Dovevo solo mimetizzarmi un attimo.».
«Vabbè, io non so perché sei qui, ma meglio non fare una cosa piuttosto che farla male…».
Dante cercò di mandarlo via. Accettò che suo cugino gli offrisse una birra. Ascoltò le sue ciance, si fece presentare ai suoi amici e intanto si guardava in giro, cercando il ragazzo senza trovarlo. Un’ora di ciarle dopo, la testa gli stava scoppiando, si stava annoiando a morte e decise di arrendersi per la seconda volta. Decisamente, quel posto non faceva per lui.

   
 
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