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Autore: ste87    28/03/2013    11 recensioni
"Sposto ancora lo sguardo e per poco non mi affogo con quello che sto bevendo quando mi accorgo chi è seduto due tavoli più in la. Non posso evitare di agitarmi ogni volta che lo vedo, se poi lo scopro in compagnia di altre donne è anche peggio. Con lui faccio sempre finta che non mi importi con chi si frequenta e che può fare quello che vuole della propria vita, ma non posso negare di sentire una fitta dilaniante alla base del cuore quando ci comportiamo come due estranei. Ma ormai è questo che siamo diventati, due estranei che si fanno costantemente la guerra per non rischiare di far riaffiorare dei sentimenti che ci farebbero solo soffrire. Lo so io, lo sa lui e lo sanno le persone che ci stanno intorno, almeno quelle a cui teniamo di più." Bella e Edward sono divorziati e genitori di una bambina di nome Sophie. Cosa li ha portati alla separazione? E soprattutto riusciranno a ricucire un rapporto lesionato da tempo? Non vi resta che leggere!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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CAP 9
                                 

Eccomi qui, gente! Scusate il ritardo di queste settimane ma è stato un periodaccio ed emotivamente mi sentivo troppo giù per scrivere. Anyway, il capitolo è pronto e vi lascio alla lettura.

Baci!


Capitolo 9
La condizione più straziante per l'animo umano non è il dolore, è il dubbio.

-Paul Mehis.

Spalanco gli occhi all’improvviso. La mia bocca produce un suono strozzato, come quello che fai quando torni in superficie dopo essere rimasta per troppo tempo sott’acqua. Mi guardo intorno ma non vedo nessuno, c’è solo la luce del neon ad accecarmi gli occhi. Li richiudo di scatto sentendoli lacrimare e torno a respirare normalmente. Mi gira un po’ la testa e sembra che la stanza ruoti tutt’intorno al mio lettino. Lettino! Si, sono sdraiata. Per una frazione di secondo mi domando come diavolo ci sia arrivata quassù, poi mi ricordo tutto quanto.
Un rumore alla porta mi fa sussultare; qualcuno entra ma io rimango immobile.
-Finalmente ti sei svegliata o mia Bella Addormentata- Jen?
-Avanti, alzati! Vecchia poltrona che non sei altro- si, è Jen.
-Senti chi parla- gracchio a mezza voce- quella che “non rompetemi le scatole quando ho la giornata libera, voglio rimanermene a casa a dormire”- le faccio il verso alzandomi sui gomiti; mi gira la testa ma cerco di non pensarci –cosa ci fai qui?-
-Che vuol dire cosa ci faccio qui? Sono venuta per Edward naturalmente. E anche per te-
-Come l’hai scoperto? Ti ha avvisato qualcuno?-
-I telegiornali non fanno altro che parlare di questo- dice sedendosi sulla sedia di fronte al letto.
I telegiornali? Di già? Pensavo fosse notte fonda ma vengo subito smentita dalla luce che vedo entrare dalla finestra alle sue spalle.  
-Oddio, Jen che ore sono?-
-Le 8:30, perché?-
Cazzo sussurro tra i denti alzandomi dal lettino mentre la mia mente viaggia alla velocità della luce – ho dormito per quattro ore. Quattro ore!- dico facendo un rapido calcolo.
-Si, e allora?-
-Come è allora? Devo andare immediatamente da Edward, non capisci?-
Faccio per scendere ma una sua mano mi blocca prima che riesca a mettere il piede per terra.
-Rilassati Bella. Edward è in terapia intensiva. Gli hanno indotto il coma farmacologico e non si sveglierà ancora per un bel po’- a queste parole è automatico che io senta una punta di tristezza. Ancora per un bel po’… quanto esattamente? Quanto dovrò aspettare prima che possa rivederlo? Prima che possa rivedere i suoi bellissimi occhi verdi posarsi di nuovo su di me?
Mi porto le mani a coprire il viso e lascio andare i pensieri in un respiro profondo.
-Ehi, va tutto bene. I medici dicono che l’intervento è perfettamente riuscito. Per fortuna l’emorragia si è arrestata. E cosa più importante dicono che non ha lesionato il tessuto celebrale o come si chiama…- grazie a Dio.
-Già- ho il volto ancora coperto dalle mani ma quando Jen fa forza per abbassarmele scoppio in un pianto liberatorio.
-Ehi, Bella sta bene, va tutto bene. Perché piangi ora?- si siede accanto a me stringendomi un braccio intorno alle spalle.
-Piango perché… sono sollevata. Sono felice e sollevata-
-Mi dispiace non esserci stata ma ho visto la notizia solo un ora fa. Certo che potevi anche chiamarmi però. Dev’essere stato difficile stanotte-
-Difficile? È stato terrificante. È stato tremendo, orribile. Ho pianto tutte le lacrime che avevo in corpo. Penso di aver passato le tre ore più brutte della mia vita. Forse solo le ore trascorse in pena per mia madre dopo l’attentato alle Torri le superano per intensità e dolore. E poi quando il Dottore  è venuto a comunicarci che finalmente l’intervento era finito… cosa faccio io? Cado a terra priva di sensi e dormo per quattro ore di fila senza neanche rendermene conto. Sono pessima, sono…-
-Sei umana- la sua voce mi interrompe bruscamente- eri stanca e il tuo corpo non ha retto. Ognuno reagisce in maniera diversa; tu sei collassata a terra, tanto che ti hanno trasportato d’urgenza in questa stanza e ti hanno sottoposto ai controlli del caso-
-Non serviva, io sto bene- dico inflessibile asciugandomi con rabbia le lacrime dal viso. Mi sento una stupida; come se mi fossi persa quattro ore della mia vita. O meglio… quattro ore della vita di Edward. Il fastidio maggiore è dato dal pensiero di non essere stata presente quando i medici hanno comunicato al resto della famiglia le sue condizioni di salute. È come se mi fossi persa un altro momento importante della sua vita.
-Non ho fatto domande e non ho intenzione di farlo nemmeno adesso ma…-comincia sospirando- se non ti chiedo cos’è successo quando sei andata via con quel damerino ieri sera, penso di impazzire!-
La guardo stralunata considerando l’assurdità della sua domanda, ma poi capisco che in verità Jen non sa nulla di quello che è successo ieri sera, ne della decisione che ho preso.
-Tu… tu cosa credi che sia successo?-
-Ho mille teorie in testa a dire la verità. Una di queste comprende te che te ne vai dal mio ristorante quasi in lacrime, Jacob che ti porta a casa e ti consola come si deve sotto le coperte-
Il mio sguardo deve risultarle scioccato, in effetti ho male agli occhi tanto sono fuori dalle orbite, perché fa spallucce e aggiunge- che c’è? Non guardarmi così. Sono nella posizione di pensarlo e come me penso l’abbia fatto anche Edward, anzi ne sono più che sicura-   
La fisso senza dire nulla, incapace di dare un senso alle sue parole. Le metto insieme a formare una frase, che leggo su una tavola nella mia mente. E alla fine capisco.
Edward crede che sia andata a letto con Jacob. Edward è andato a casa con la consapevolezza che io abbia scelto un altro ed è convinto che non lo voglia più. Sento una scarica di brividi e una fitta al petto tanto è il senso di colpa che mi attanaglia lo stomaco.
-Bella? Non hai da dirmi niente a parte guardarmi come un pesce lesso tutto il tempo?-
-Jen… Edward pensa che io sia andata a letto con Jacob?- con un salto balzo giù dal letto.
-Sì, suppongo di sì- torna a fare spallucce – l’ho pensato io, perché non dovrebbe averlo pensato anche Edward? Dopotutto hai rifiutato ancora una volta il suo perdono-
-Io non ho rifiutato il suo perdono!- dico sprezzante portandomi le mani tra i capelli, anche se capisco che ad un occhio esterno possa essere sembrato così.
-E allora cos’è che hai fatto esattamente?- incrocia le mani al petto e mi guarda saccente. Assottiglia gli occhi e mi sfida a rispondere.
-Io… io sono stata costretta ad andare via. Ho provato troppa paura…-
-Paura di cosa?- m'incalza, dando sfoggio del suo carattere fermo e deciso. Ho la sensazione di essere sotto interrogatorio. Per un secondo ho il tempo di logorarmi della mia debolezza e di inveire contro me stessa per non essere come lei.
-Jen, tu non capisci. Lui mi ha detto che mi ama ed io sono stata ad un passo dal cadergli addosso. Non ho capito più niente, ho avuto una specie di crisi di panico- le confido mestamente, confermando il mio pensiero precedente- l’unica cosa che volevo era andarmene da li. Ero insicura su un sacco di cose, su quello che mi aveva detto riguardo a Tania, sul suo ti amo, sulla reazione giusta da avere. Credimi, avrei voluto buttargli le braccia al collo e ricambiare le sue parole ma non ce l’ho fatta. Ancora una volta ho deciso di comportarmi razionalmente. Tu lo sai che sono fatta così. Sono una stupida bambola a cui serve del tempo per riflettere- m’interrompo un attimo per riprendere fiato mentre guardo Jen, adesso provata quanto me nel sentire queste parole- e ho riflettuto. L’ho fatto nel tragitto dal tuo ristorante a casa mia. L’ho fatto quando ho salutato Jacob e sono salita in fretta nel mio appartamento. L’ho fatto sotto la doccia e quando mi sono messa a letto-
-Aspetta! Quindi non hai fatto sesso con Jacob?- mi guarda speranzosa e vorrei davvero sferrarle un ceffone solo per il fatto che abbia creduto possibile un’eventualità del genere.
-No! non sono andata a letto con lui. Smettila di ripeterlo. Come avrei potuto se le uniche cose a cui pensavo erano il volto di Edward e le sue parole? Io… io volevo incontrarlo oggi per chiarire ogni cosa, per parlare dei miei e dei suoi sentimenti… ma sono stata svegliata all’una di notte da una donna che mi diceva di correre in ospedale perché mio marito era rimasto coinvolto in un grave incidente- la mia voce trema al ricordo delle lacrime che ho versato.
-Bella, non dirmi che…che finalmente ti sei decisa-
-Sì - abbasso lo sguardo sulle mie mani che sto torturando da cinque minuti buoni- in realtà non c’è mai stato nulla da decidere, l’ho sempre  saputo. Semplicemente non ho mai trovato il coraggio di dirlo ad alta voce. Io lo amo- dico solennemente- l’ho sempre amato e sempre l’amerò. Anche in questi anni in cui non volevo fare altro che staccargli la testa dal collo, io ho continuato ad amarlo- mi tremano un po’ le gambe a confessare così apertamente i miei sentimenti, ma è necessario che lo faccia.
Le braccia di Jen mi circondano all’improvviso e in men che non si dica mi ritrovo stretta al suo petto e con le lacrime agli occhi.
-Diamine lo sapevo! Lo sapevo che prima o poi ti saresti decisa ad ammetterlo. Oh Bella, come sono felice…-
Tiro su con il naso regalandole un sorriso – lo so che tu sapevi, hai sempre cercato di farmelo capire ma io non ti ho mai ascoltata. Il mio orgoglio di donna ferita è sempre stato più forte di tutto il resto-
- Adesso però hai capito che lui è più importante dell’orgoglio e dei dolori del passato - dice accarezzandomi una guancia- Ci vuole del coraggio per dimenticare un tradimento, ma ce ne vuole molto di più per decidere di dimenticare la persona che ami più della tua stessa vita-
- Io non l’ho mai dimenticato, non ci sono mai riuscita. Lo pensavo giorno e notte, continuamente. L’unica soluzione possibile è sempre stata una sola. Allora mi sono detta… perché dobbiamo stare divisi se ci amiamo così tanto? Se nemmeno la ferita di un tradimento ha diminuito l’amore che provo nei suoi confronti, perché devo permettere all’orgoglio di tenermi lontana da lui?-
- E adesso hai messo l’orgoglio da parte finalmente?-
-Sì. Quando ti importa davvero di qualcuno, i suoi errori non cambieranno mai i tuoi sentimenti perché è la mente che si arrabbia, ma al cuore continua ad importargliene-
-Perciò hai obbligato la tua mente a smettere di pensare- mi rivolge un sorriso obliquo e furbo mentre vedo un guizzo di malizia saltarle agli occhi- in effetti mi domandavo quale fosse il motivo che ti aveva spinta ad uscire con Jacob, adesso mi è tutto chiaro- dice scoppiando a ridere alleggerendo l’atmosfera. Torno a sedermi sul letto sbuffando della sua battuta ma non posso negare che la scelta di uscire con lui sia stata una decisone del tutto illogica, soprattutto se teniamo conto di quello che le ho appena confessato.
-Sei veramente molto spiritosa, non c’è che dire-
-Lo sai che prenderti in giro è il mio passatempo preferito- mi si piazza davanti con sguardo minaccioso, tanto che i suoi occhi da gatta si assottigliano ancora di più- ma è vero che mi sono chiesta quale fosse il motivo che ti aveva spinta ad agire in questo modo. Insomma ero certa dei tuoi sentimenti ancora prima che te ne accorgessi tu stessa. Vederti uscire con un altro uomo me ne ha fatto dubitare-
Sospiro grattandomi il naso - ho commesso un errore ad uscire con Jacob ieri sera, lo so. Ma quando qualcuno ci ferisce, anche noi vogliamo ferirlo. Volevo ferire Edward per quello che credevo avesse fatto, sai… la storia di Tania e tutto il resto. Ma non volevo che venisse a saperlo. Volevo dimostrare qualcosa a me stessa e questo nella mia testa bastava come punizione. Dimostrare per una sera che anche io potevo avere una nuova vita se solo mi fossi decisa a mettere da parte quello che provo nei suoi confronti. Ma per quanto buone fossero le mie intenzioni è arrivato lui ed ha scombussolato tutto- adesso è il mio turno di guardarla minacciosamente – se solo ti fossi fatta un bel pacco di affaracci tuoi tutto quello che è successo ieri sera non sarebbe mai accaduto, “Jenny dalla bocca larga”- l’apostrofo con quel nomignolo che le ho affibbiato sin dal primo giorno che ci siamo conosciute, e che in questi anni non ha mai fatto nulla per scrollarsi di dosso o dimostrarmi il contrario.   
Aguzza gli occhi inarcando le sopracciglia- adesso vuoi dare la colpa a me del giochino stupido che ti sei inventata? Se non l’avessi chiamato per chiedergli di venire, tu non ti saresti mai decisa ad andare da lui. O devo ricordarti quello che mi hai detto ieri mattina? Non volevi nemmeno chiamarlo per chiedergli informazioni riguardo lo scandalo che ha coinvolto la sua azienda. Vi sareste mai parlati se non fosse stato per me? Te lo dico io, no! Non l’avreste mai fatto perché tu saresti finita a fare sesso chissà dove, pendendotene subito dopo, e lui sarebbe rimasto a casa a piangere, per poi finire mezzo arrostito e con la testa quasi fracassata in ospedale-
Mi vengono i brividi alle parole “mezzo arrostito” e “testa quasi fracassata”, tanto che porto le mani a stringermi il busto per trovare un po’ di calore. Non posso negare che abbia ragione però. Tranne per il fatto di immaginarmi a fare sesso chissà dove, tutto quello che ha detto è vero. Se  non ci fossimo incontrati la sera prima, ci saremmo ritrovati in ospedale senza sapere nemmeno come comportarci. E a quel punto cos’avremmo fatto?
Dondolo la testa, ponderando per bene se sia saggio darle ragione, facendole montare ancora di più la capoccia che si ritrova. Ma adesso, più che in ogni altra occasione, se lo merita davvero.
-Okay, hai vinto tu- dico alzando le mani in segno di resa- hai ragione. Ma devo dissentire sulla questione del sesso. Non ho mai avuto alcuna intenzione di andare oltre con Jacob-
-Su- sbuffa gongolando dichiarando chiuso il discorso- adesso prendi un po’ di caffè e vieni di la con me. Gli altri ci aspettano- afferra un bicchiere dal comodino accanto al letto (della cui presenza non mi ero minimamente accorta), e me lo porge con una faccia mortificata.
-Che c’è?-
-E’ freddo-
-Non ti preoccupare, ne prederò un altro-
Butta il bicchiere nella spazzatura e mi segue fuori dalla camera. Noto subito che il corridoio è un po’ più affollato questa mattina, non che mi faccia piacere certo. Siamo nel reparto di terapia intensiva e non augurerei a nessuno di stare in questo posto.
Il suono del cellulare di Jen che inizia a strillare impazzito mi fa girare nella sua direzione. Primo, perché dovrebbe tenere la suoneria bassa, siamo in un ospedale e in questo reparto il minimo rumore è severamente vietato. Secondo, perché la sento sbuffare e imprecare tra i denti.
-Chi è?-
-Mmh, tuo padre. Mi sono dimenticata di dirti che ha già telefonato due volte quando eri incosciente, scusa- dice colpevole.
-Davvero?- la guardo a bocca aperta. Non dovrei stupirmi della sua chiamata, dopotutto è un gesto normale per un padre chiamare la propria figlia, soprattutto se è venuto a conoscenza di quello che è successo, no? Ma lui e la normalità non vanno a braccetto da un po’ di tempo ormai.
-Si, davvero- sbuffa della mia faccia stupita e mi passa il cellulare.
-Pronto papà?-
-Bella. Dio, Bella stai bene?- è molto agitato.
-Papà io sto bene, calmati-
-Ho provato a chiamare sul tuo cellulare ma non rispondevi, perciò ho chiamato Jen. Mi ha detto che hai avuto un malore e che stavi dormendo. Ho saputo quello che è successo bambina mia. Mi sono preoccupato da morire- ho le lacrime agli occhi e il cuore in gola; è il discorso più lungo che gli sento fare da anni -e Edward? Come sta?- riprende senza fermarsi un attimo.
-Edward se la caverà per fortuna- Charlie vuole molto bene a Edward. Era l’unico che riusciva a strappargli un sorriso quando eravamo ancora sposati e andavamo a trovarlo nel Queens prima che arrivasse Sophie, perciò capisco la sua preoccupazione. Ma ciò non toglie che il suo atteggiamento mi scombussoli un pochino. Da quanto tempo è che non lo sento? Dal giorno in cui ha telefonato per avere informazioni sulla faccenda dei soldi rubati da Mike. Non così tanto dopotutto, un tempo così breve che mi fa cogliere la differenza tra questa telefonata e quella. Adesso lo sento quasi normale, i monosillabi con i quali si esprimeva a momenti sembrano un brutto ricordo. Che sia successo qualcosa?
-Papà, tu stai bene?-  gli chiedo a questo punto preoccupata per lui.
-Sì, tesoro. Sto bene- ed è la verità, lo sento diverso e questa realtà mi risolleva il cuore riempiendolo di gioia- volevo chiederti se avevi bisogno di qualcosa. Vuoi che Sophie stia con me mentre tu sei in ospedale? Non c’è problema, lo sai che può venire qui quando vuole-
Spinta dalla forza dell’abitudine mi ritrovo a valutare per un attimo i pro e i contro della sua offerta, e mi do uno schiaffo mentale quando mi accorgo di quello che sto facendo.
-Mi sembra un ottima idea papà. Solo che adesso è a casa con Jasper no so come…-
-Oh non preoccuparti, ho il suo numero. Lo chiamo e ci mettiamo d’accordo. Tu non pensare a nient’altro, va bene?- il suo entusiasmo mi lascia senza parole ma non posso fare altro che salutarlo e dirgli che ci sentiremo in giornata. Restituisco il cellulare a Jen come se fosse una reliquia preziosa. Continuo a fissarlo fino a che lei non lo infila di nuovo in tasca e riprendiamo a camminare.

Ci fermiamo quando raggiungiamo la sala d’attesa. Esme sta sfogliando una rivista, il corpo appoggiato alla spalla del marito. Quest’ultimo tiene il giornale in mano; sicuramente il New York Times, legge solo quello. Alice sta  digitando qualcosa al cellulare e Rosalie sta per addormentarsi con la testa poggiata alla parete. Appena mi vede però spalanca gli occhi.   
-Bella- esclama facendo girare tutti nella mia direzione e in un batter d’occhio vengo sommersa da una raffica di domande.
-Oh, cara eravamo così preoccupati. Stai bene adesso?- Esme.
-Sì, sto bene adesso. Grazie-
-Figliola non vedevo qualcuno prendere un colpo così forte da quando Jadeveon Clowney, mandò al tappeto Vincent Smith. Sei sicura di non esserti fatta male?- il pragmatismo di Carlisle mi fa spuntare il sorriso sulle labbra.
-Penso che se avessi preso la botta che ha preso Smith a quest’ora starei in obitorio-
-Mmhh, sono contento che tu sia ancora in mezzo a noi allora- dice facendomi ridere.
Alice mi abbraccia forte e mi invita a sedermi sulla sedia accanto a lei – ci hai fatto prendere uno spavento, davvero-
-Mi dispiace di avervi fatto preoccupare. Io… io non so cosa mi sia preso. Svenire il quel modo poi-  
-Su adesso non pensarci. È meglio se metti qualcosa nello stomaco piuttosto-  si intromette Rosalie e solo in questo momento mi accorgo di avere una fame da lupi. Non mangio da ieri a pranzo, se consideriamo il fatto che ho rigettato la cena di ieri sera nel water dell’ospedale. Il mio stomaco comincia a brontolare pregustando il momento in cui metterò qualcosa sotto i denti.
-Ci penso io Bella- Jen si alza e afferra il giubbotto – vado alla caffetteria qui di fronte e ti porto la colazione- chiede anche agli altri se desiderano qualcosa ma declinano cortesemente la sua offerta.
-Edward? Come sta?- sono troppo impaziente di saperne di più. Mi rivolgono un sorriso caldo e sincero che mi fa smettere di tremare all’istante per l’ansia e la preoccupazione.
-Sta bene. Il dottor Abernathy dice che è riuscito ad arrestare l’emorragia senza nessun danno al tessuto celebrale. Ovviamente fugheremo ogni dubbio quando si sarà svegliato. Ha la gamba destra ingessata, dal ginocchio in giù, e la sinistra un po’ scottata, per fortuna non è nulla di grave; mancava solo che si ustionasse. Dovrà rimanere sotto osservazione per un po’, dopotutto non è uno scherzo quello che gli è capitato-
-No, certo che no- rispondo – ma… quando si sveglierà? Lo hanno detto?- non posso evitare di fare questa domanda. Sono impaziente come un drogato in crisi d’astinenza. Ho bisogno di vederlo. Mi manca l’aria tanta è la voglia di trovarmi nella stessa stanza con lui.
-Non lo sappiamo ancora. Il dottore ha detto che verrà ad avvisarci quando smetteranno di sedarlo-
Sospiro chiudendo gli occhi e lascio andare uno striminzito –okay-

Faccio colazione con quello che mi porta Jen e nel frattempo cerco di convincere gli altri ad andare a casa. Con le quattro ore di sonno che mi sono fatta in seguito allo svenimento mi sento un leone, penso di riuscire ad affrontare l’intera giornata con tranquillità. Ma non vogliono sentire ragioni: rimarranno finché Edward non si sarà svegliato. Passiamo circa mezz’ora a parlare dell’argomento ma capisco che non l’avrò mai vinta contro la loro testardaggine. All’improvviso ci ritroviamo a sobbalzare dallo spavento quando sentiamo un vocione urlare nella stanza.
-Diamine! Non ditemi che sono arrivato troppo tardi. Quel bastardo se ne è andato senza salutarmi?- non ho dubbi che si tratti di Emmett, il linguaggio colorito è un suo tratto distintivo purtroppo e anche il suo vocione, lo riconoscerei tra mille. Infatti compare subito dietro la vetrata d’ingresso.
Viene verso di noi, impeccabile nel suo vestito grigio elegante, con tanto di cravatta e cappotto pesante sotto braccio. Il suo abbigliamento sembra urlare “manager d’azienda” da tutti gli strati costosissimi di lino d’Irlanda che compongono il suo vestito di alta sartoria.
-Carlisle, Esme, Bella- ci saluta telegraficamente prima di sedersi su una delle sedie- e… ci conosciamo?- dice con un sorriso sornione da “acchiappo” rivolto a Rosalie che lo guarda sbigottita ed io mi ritrovo ad alzare gli occhi al cielo. Emmett è… Emmett: coglione, burlone, Don Giovanni, amico dal cuore d’oro e... sì devo ammetterlo…figo da paura, già. Con il suo metro e novantasei d’altezza e i suoi occhi azzurri come il cielo più limpido riesce a stendere chiunque. Anche Rosalie non sembra per niente immune al suo fascino e al suo fisico “selvaggio” da lottatore di Wrestling . Quest’ultima si riprende dopo qualche secondo dal suo stato di adorazione e inarca le sopracciglia prima di rispondergli – non ho avuto questa sfortuna- dice calcando la lingua sulla esse.
-Ah-ah simpatica la ragazza- il sorriso di lui arriva fino alle orecchie –allora, ditemi cosa diavolo è successo- riprende serio rivolgendosi a noi.
Gli raccontiamo ogni cosa e naturalmente reagisce molto male; d'altronde era del tutto prevedibile.
-Gesù Santo, come accidenti  hanno fatto a mettere una bomba nel suo appartamento? Come?- è furioso così come lo siamo noi. È da stanotte, nonostante il dolore e l’ansia per le sorti di Edward, che continuo a chiedermi chi diavolo sia stato a piazzare quella dannata bomba.
-Emmett non lo sappiamo, confidiamo nella polizia- gli risponde Esme preoccupata.
Faccio per intervenire anche io nella discussione ma vengo interrotta da Carlisle che approfitta della situazione per urlare contro quello che hanno scritto alcuni giornali.
-Infangano la reputazione di mio figlio come se stessero parlando di un accattone. Sanno chi sono io, e che diamine! Lo accusano di aver mandato in fallimento l’azienda per aver fatto degli investimenti sbagliati, e di aver dilapidato gran parte del suo Fondo Fiduciario!- sbraita tendendo al massimo la mascella.
-Carlisle calmati, non vorrai farti venire di nuovo un infarto- lo rimprovera Emmett poggiandosi alla spalliera della sedia, assumendo una postura rigida.
-Ah al diavolo, non mi interessa il mio stupido cuore. Io voglio tutelare la dignità di mio figlio. Non posso permettere che… a si aspetta, guarda qua- si interrompe giusto il tempo di passare un giornale al suo interlocutore - sostengono che abbia un conto alle isole Cayman o qualcosa del genere, comunque in uno di quei paradisi fiscali… roba da non crederci. Emmett, voglio che tu faccia tutto il possibile per mettere a tacere queste voci. Chiama i nostri avvocati, chiama chi vuoi ma fa qualcosa. Sappiamo tutti che non è vero-
-Che mi venga un colpo!- sbotto risentita- Edward proprietario di una mega villa alle isole Cayman? Basta guardare il suo appartamento o quel che ne rimane per capire che quella non è la sua vita. Edward è la persona più attenta, responsabile e oculata che conosca-
-Non preoccuparti- si intromette Emmett- non permetterò che qualche giornalista del cazzo insudici così il lavoro di tutta una vita-
-Edward non c’entra niente con quello che è successo in azienda- la voce di Rosalie fredda e spietata ci fa congelare tutti all’istante- lui non si era accorto di niente, è tutta colpa mia-
-Rosalie… ma che stai dicendo? No…- scuoto la testa.
-Sì, invece. Mike continuava a farmi domande su domande, sapete… riguardo i vari conti dell’azienda eccetera. Edward lo vedeva molto strano ultimamente, ma sono io quella che doveva insospettirsi di più, no? In fondo abitavamo insieme. Ma non ho detto niente. Non mi sono ribellata quando Mike mi pressava affinché gli rispondessi, ne ho detto qualcosa di fronte al suo rientrare tardi la sera o al suo atteggiamento distaccato. Sono stata un stupida-
-No, Rose…- cerco di consolarla come meglio posso poggiandole una mano sulla spalla, proprio come ha fatto lei stanotte con me. Ma non posso impedire a qualche lacrima di bagnarle il volto.
-Non prenderti colpe che non hai dolcezza. Quel farabutto del tuo fidanzato ha fatto tutto da solo. Non sei stata di certo tu a trasferire tutti quei soldi su conti non tracciabili all’estero. Voleva fuggire e l’avrebbe fatto lo stesso, con o senza il tuo aiuto- le parole di Emmett sembrano scaldarle un po’ il cuore, infatti Rose gli regala un sorriso sincero di gratitudine.
      
**********

-Jen, ne sei sicura?-
-Sì, tranquilla. Non casca il mondo se per un giorno non vado a lavoro-
Sto parlando con Jen del ristorante; nemmeno lei vuole andare via, dice di poter affidare la gestione a Seth, il suo aiuto cuoco.
-Solo per oggi, però- le intimo con l’indice puntato contro.
-Sì, va bene. Solo per oggi- risponde mandando gli occhi in gloria.
Mi stiracchio sulla sedia che cigola inesorabilmente sotto al mio peso e sobbalzo quando Rosalie mi conficca il gomito nelle costole per attirare la mia attenzione, facendomi urlare internamente di dolore. Con un cenno del capo mi indica di guardare nella direzione di Alice. Quest’ultima tiene lo sguardo basso come impaurita. Ne capisco subito il motivo. Infatti mi giro a guardare dalla parte opposta e vedo Carlisle trafiggerla da parte a parte solo con la forza dello sguardo. Guarda lei, guarda Jasper che ci ha raggiunti meno di mezz’ora fa, poi fissa le loro mani incrociate e sbuffa come un toro imbestialito.
Vorrei girarmi e urlargli di stare calmo, che non è ne il luogo ne il momento adatto per pensare alla loro faida, che si sta comportando come un bambino e che deve mettersi il cuore in pace. Che dopo che si è affrontata una situazione disperata, le cose banali non hanno più importanza. La nostra prospettiva si allarga e impariamo a vivere ad un livello più profondo. Ma non lo faccio. Mi limito a spostare l’attenzione su altro per impedire a Alice e a Jasper di implodere per l’imbarazzo.
- Sophie ha fatto la brava?- chiedo al mio amico che finalmente alza gli occhi per guardarmi.
-Oh sì. Le ho proibito di accendere la tv e ho raccomandato a tuo padre di fare altrettanto. Gli ho anche consegnato tutti i vestiti che avevamo a casa. Sai… non sapevo quando tempo avessi intenzione di trattenerti in ospedale-
-Hai fatto bene- rispondo. Anche se la mia bambina mi manca terribilmente e lo stesso deve essere per lei, so che il mio posto è qui per il momento. Accanto all’uomo che amo. Non mi schioderò da quest’ospedale fino a che non vedrò Edward riaprire gli occhi.
Emmett riprende a parlare con Esme e Carlisle e li invita al distributore per prendere un caffè; forse anche lui si è accorto della tensione che si è venuta a creare da quando Jasper ha messo piede in questa stanza. Non ho il tempo di preoccuparmene più del dovuto che Rosalie mi si piazza all’altezza dell’orecchio destro e comincia a bisbigliare.
-Chi è quello?- mi chiede con un filo di voce rivolgendosi alla montagna umana poco distante da noi. Alla buon ora penso, stavo per diventare vecchia nell’attesa che me lo chiedesse. Beh meglio tardi che mai…
-E’ Emmett McCarty, l’amministratore delegato della Cullen Enterprises. Ha preso il posto di Edward quando è andato via- sibilo anche io –perché?-
-No, niente. Così. Volevo sapere chi era. Non l’ho mai conosciuto e a quanto ho capito è molto amico di Edward-
-Sono praticamente fratelli. Esme e la signora McCarty sono amiche d’infanzia; ha conosciuto suo marito al matrimonio dei genitori di Edward. Quando sono nati i bambini i rapporti sono diventati ancora più stretti tanto che Edward ed Emmett sono cresciuti praticamente insieme-
-Anche Carlisle sembra fidarsi molto di Emmett. Non gli avrebbe dato l’incarico che era del figlio altrimenti-
-Giusta osservazione- mi complimento- sì, Carlisle si fida molto di lui. Quando si sono laureati entrambi hanno fatto pratica nell’azienda dei Cullen e quando Edward se ne è andato c’era solo un altro uomo con la stessa competenza in grado di prendere il suo posto: Emmett- faccio un cenno nella sua direzione e Rosalie sembra quasi in imbarazzo.
-Che c’è?- bisbiglio- non dirmi che ti piace Emmett?- la punzecchio facendola arrossire.
-Beh non sarebbe così impossibile non trovi?- afferma Jen con noncuranza facendo spallucce – è un figo pazzesco- Rosalie diventa ancora più rossa nell’apprendere che qualcun altro sta assistendo alla nostra conversazione.
-Ma no, che dici? Non lo conosco nemmeno. Non essere ridicola- risponde decisa dandosi un tono diverso dalla ragazza imbarazzata di poco prima- e poi il mio fidanzato mi ha mollato nemmeno cinque giorni fa. Non mi interessa nessuno al momento -
-Comunque non ci sarebbe nulla di male – la guardo negli occhi per imprimere maggiore enfasi alle mie parole. Ricominciare è l’unico modo che ha per dimenticare quello che Mike le ha fatto. La vedo dirigere gli occhi verso Emmett e poi alzarli al cielo quando si accorge che la sto fissando. Ci mettiamo a ridere entrambe.
-Quindi il detective Cameron non si è ancora fatto vivo dopo stanotte?- chiede Jasper a Alice ma a rispondergli è Esme che proprio in questo momento torna a sedersi insieme agli altri.
-Ha detto che ci avrebbe tenuti aggiornanti. Speriamo che chiami presto-
-Al momento l’unica priorità è che Edward si svegli e, se le sue condizioni di salute lo permettono, di venire interrogato e raccontare nei particolari quello che è successo- Alice parla quasi per inerzia: è stanchissima. Stare tutta la notte in piedi nelle sue condizioni deve essere stato durissimo. Vorrei dirle di andarsene a casa ma so già che non mi ascolterebbe. Il suo stato balza agli occhi di tutti però, visto che sono gli altri a parlare al posto mio. E il primo a farlo è proprio Carlisle.
-Alice, vattene a casa. Sei stanchissima- quest’ultima sussulta quando lo sente parlare e sbianca di colpo. Forse non crede alle sue orecchie così come io non credo alle mie.
-Mmmh..- tossisce- no, papà preferisco stare qua- e dopo qualche secondo aggiunge-grazie-
-Io lo dico per te. Si vede che non stai bene. Forse stai covando l’influenza. Non è vero Esme? Diglielo anche tu-
-E’ vero tesoro. Sei troppo pallida. Jasper portala a casa per favore- Carlisle non avrebbe di certo voluto tirare in ballo Jasper e infatti lancia un occhiataccia alla moglie che però glissa con un gesto magistrale della testa (frutto di anni e anni di esperienza) il rimprovero del marito.
-Non voglio andare a casa-si infervora Alice.
-Ma Alice…- comincia la madre per poi venire interrotta nuovamente dalla diretta interessata.
-Niente ma, mamma. Voglio aspettare fino a che Edward non si sarà svegliato e non mi diranno che sta bene. Solo questo conta, io posso aspettare- ripete le stesse parole che mi ha detto questa notte e capisco che non c’è nulla da fare, anche se decido ugualmente di fare un ultimo tentativo.
-Tutti voi dovreste andare a riposare, non solo Alice. Ci sono io e c’è Jen qui con me. I medici sicuramente si prenderanno l’intera giornata prima di svegliarlo. Andate a riposare e tornate nel pomeriggio. Semmai dovessero esserci novità vi chiamo subito-  
-Ha ragione Bella- si intromette Rosalie che più di tutte questa mattina si era opposta alla mia proposta. Sicuramente Alice non è la sola ad accusare la stanchezza dell’intera notte passata in bianco- torneremo nel pomeriggio. Così daremo la possibilità a Bella di andare a riposare, e qualcun altro rimarrà qui con Edward- il suo intervento blocca qualsiasi protesta sul nascere. Anche se vorrei reclamare dicendo che no, non ho intenzione di andarmene nemmeno dopo che Edward si sarà svegliato, ma capisco che non è il momento adatto. Non adesso che la corazza di irremovibile testardaggine che ha ottenebrato le menti dei presenti fino ad ora, sembra essersi incrinata e sta quasi per rompersi in mille pezzi. Jasper guarda Alice e la implora con lo sguardo di andare via. Quest’ultima abbassa gli occhi verso il suo ventre e con un gesto del tutto impercettibile (impercettibile per chi non conosce la verità, per me invece è chiarissimo) si accarezza per un attimo la pancia, alza gli occhi ad incontrare quelli di Jasper e annuisce decisa.

Vanno via tutti che è quasi mezzogiorno e all’ora di pranzo io e Jen ci mettiamo d’accordo per mangiare qualcosa al volo alla mensa dell’ospedale: un Sandwich al tacchino e una coca in lattina. Siamo circondate da medici vestiti con il loro camice bianco e tra la folla cerco il dottore di Edward, ma non riesco a trovarlo da nessuna parte. Mando giù il mio panino come se fosse un sasso e infatti lo sento piazzarsi nello stomaco come se pesasse dieci chili. È la sensazione di terrore, ansia e paura lo so. La stessa che mi accompagna da stanotte e che non riesco a scrollarmi di dosso. Bevo avidamente dalla mia lattina solo per il gusto di sentire qualcosa di fresco scendermi nell’esofago; l’attesa mi ha completamente asciugato la salivazione infiammandomi la gola.
-Non preoccuparti Bella, verrà ad avvisarci molto presto. Me lo sento- anche Jen come me  non fa altro che girarsi e rigirarsi il panino in mano e aguzzare la vista nella speranza di scorgere il dottor Abernathy. Alla fine potrebbe essere andato anche a casa, penso sprofondando ancora di più nell’angoscia. Dopotutto aveva il turno di notte e forse a quest’ora starà riposando. Non metterci troppo dottore, ti prego.
Ed è quello che fa in effetti, visto che sono passate da appena cinque minuti le quattro e lo vedo entrare in sala d’attesa con passo spedito. Alzo la testa dall’appoggio confortevole della spalla di Jen e gli vado incontro seguita a ruota dalla mia amica.
-Dottore, ci sono novità?- sento le spine rodermi sotto i piedi; ho paura che sia venuto a darmi una notizia terribile. D’altronde non hanno mai detto che Edward fosse fuori pericolo.
-Stia tranquilla signora Cullen, suo marito sta bene- automaticamente lascio andare un sospiro di sollievo e sento quasi le gambe cedermi - lei piuttosto, si è ripresa dallo svenimento di questa mattina?-
Mi rivolge un sorriso cordiale e sincero che non posso fare a meno di ricambiare. Il Dottor Abernathy è un bellissimo uomo di colore, che avrà si e no una quarantina d’anni.
-Si, sto benissimo adesso, grazie-
-Bene, sono felice di saperlo. Sono venuto ad informarla che abbiamo sospeso i sedativi da circa un ora e che aspettiamo da un momento all’altro una reazione da parte del paziente-
-Già da un ora? Allora potrebbe svegliarsi anche adesso?- chiedo; la mia ignoranza in termini di medicina è aberrante.
-Beh, ancora è troppo presto per dirlo. È sempre bene per un pazienze rimanere incosciente dopo un intervento così delicato. Aspettiamo che l’organismo di suo marito sia pronto per risalire dall’incoscienza autonomamente, con questo intendo dire che potrebbero volerci anche delle ore-
-Beh, in ogni caso, io sono qua. Se dovesse avere bisogno di me… io…-
-Sì, non si preoccupi, verremo subito a chiamarla-
Si congeda dandomi una vigorosa pacca sulla spalla ed io torno ad accasciarmi sulla sedia. Mi porto le mani a coprire il viso e lo strizzo un pochino; sento le guance intorpidite.
-Bella sta tranquilla. Hai sentito il Dottore? Edward sta bene ed è questo l’importante-
-Sì… sì. Spero solo che si svegli presto-

“Avete freddo, perché siete sola: nessun contatto accende il fuoco che è in voi. Siete malata, perché il migliore di tutti i sentimenti, il più nobile, il più dolce che sia concesso agli uomini, vi rimane lontano. Siete sciocca, perché, per quanto ne soffriate, non gli fate cenno di avvicinarsi, né muovete un passo per andargli incontro.”
Alzo gli occhi dalla mia copia tascabile e sgangherata di Jane Eyre che porto sempre dietro e che anche in quest’occasione mi tiene compagnia. Ma non mi rapisce l’anima e la mente come avrei desiderato. Sono cinque minuti buoni che rileggo sempre lo stesso punto senza riuscire ad andare avanti; la mia mente vola via. Vola verso una di quelle stanze che vedo dal lungo corridoio, in cui si trova l’amore della mia vita. Vola per ricongiungersi alla sua anima.

Sospiro e butto la testa indietro fino a toccare il muro freddo della parete. Chiudo gli occhi e provo a sincronizzare il mio respiro con quello di Jen che sonnecchia placidamente da mezz’ora. Ma non riesco a starle dietro, la mia mente fugge via un’altra volta.
Ho ancora gli occhi chiusi quando una mano delicata mi accarezza un braccio e per poco con caccio un urlo disumano per lo spavento. Jen sobbalza spaventata al mio fianco. Un’infermiera dai capelli scuri come la notte ci guarda dispiaciuta.
-Signora Cullen, mi scusi ma il Dottore mi ha chiesto di venire ad avvisarla. Suo marito si sta per svegliare- mi alzo di scatto, come una molla e subito ho le mani di Jen strette nelle mie. Mi guarda con occhi sbarrati che poco a poco si fanno lucidi e mi sorride.
-Vai Bella. Ci siamo- ho il cuore che sembra scoppiarmi nel petto. La lascio andare con un abbraccio e un fugace bacio e seguo rapida l’infermiera che si è già avviata nel reparto. Mi conduce in una stanza e mi fa infilare il camice, le protezioni ai piedi, i guanti alle mani, la cuffietta in testa e la mascherina. Quando sono pronta mi fa cenno di seguirla.
Arriviamo in un corridoio molto silenzioso che mi fa venire i brividi. L’odore nauseante di disinfettante qui è ancora più insopportabile. L’infermiera si ferma proprio davanti ad una finestra che da su una stanza completamente sterile e mi incita con una mano ad avvicinarmi.  Appena guardo dentro, quello che vedo mi fa fermare il cuore. Istantaneamente sento le lacrime addensarsi agli angoli degli occhi e mi porto entrambe le mani davanti la bocca per soffocare un gemito di dolore. Edward è steso nel letto, completamente ricoperto di fili che collegano le sue funzioni vitali ad alcune macchine che con il loro incessante bip mi martellano il cervello. Rimango a fissarlo per non so quanto tempo fino a che il dottor Abernathy non si accosta al mio fianco e con una mano sulla spalla mi fa cenno di entrare prima di lui.
La stanza è azzurra, un azzurro vivace che infonde un po’ di serenità a chi come me, entra in queste stanze con il cuore a pezzi. Ci sono delle apparecchiature enormi e il letto in cui Edward dorme placidamente mi sembra quasi minuscolo a confronto. Mi avvicino subito e gli prendo una mano tra le mie. Contemporaneamente lascio andare un respiro di sollievo che si porta via anche dieci anni della mia vita.
Quasi inconsapevolmente mi ritrovo a fare un rapido inventario delle sue condizioni.
La sua pelle è morbida e delicata, come lo è sempre stata del resto. Soprattutto quella delle mani… con dita così lunghe ed eleganti, una caratteristica che possiede chi come lui suona il piano sin da quando era bambino. Adesso sono graffiate e arrossate.  
Alzo gli occhi e li posiziono sul suo viso quasi interamente coperto dalla mascherina per l’ossigeno.
Ha alcuni lividi sullo zigomo sinistro, regali della scazzottata che ha avuto con Jacob ieri sera immagino, e un graffio sul sopracciglio destro. I lividi sono viola, con una leggera sfumatura verdastra, ma non sono niente in confronto a quelli della gamba scoperta. È  ingessata dal ginocchio in giù, ma sulla coscia ha dei lividi terrificanti. La sua testa è completamente ricoperta da una bendatura bianca che lascia libera qualche ciocca ramata solo sulla fronte. Immagino che gli abbiano rasato solo la parte interessata dall’emorragia. Ripenso ai suoi capelli bellissimi e alla tentazione che ieri sera mi spingeva ad infilarci le mani dentro e tirare con forza il suo viso verso il mio. Ho un sussulto al ricordo ma mi impongo di non pensarci.
Il Dottore dall’altra parte del lettino, continua a monitorare le sue condizioni di salute. Scrive qualcosa su una cartellina che poggia ai piedi del letto e poi si avvicina di scatto al monitor che riporta le pulsazioni del cuore. Lo vedo spalancare gli occhi quando il battito comincia ad accelerare.
-Ci siamo quasi, sta per riprendere conoscenza-
Il mio di cuore batte frenetico. Se fossi collegata anche io ad un monitor rischierei di farlo esplodere.
-Provi a parlargli- mi chiede cortesemente – gli faccia sentire che è qui-
Mi abbasso all’altezza del suo viso e piano mi avvicino all’orecchio.
-Edward? Sono io, mi senti?- ma non succede nulla.
-Provi ancora-
-Edward, amore mio sono Bella, sono qui. Sono accanto a te. Apri gli occhi…-
Dal monitor si sente il bip accelerare sempre di più.
-Si, così. Ci siamo. Sta per svegliarsi-
Respiro a fatica, penso di poter svenire di nuovo da un momento all’altro. Mi tremano le gambe e la felicità che sento è contrapposta all’ansia insostenibile che mi fa tremare dal… terrore? Dall’attesa? Dal desiderio? Dall’angoscia? Non lo so. So solo che mi sento come una foglia secca in balia del vento autunnale. Tremo e aspetto il momento in cui cascherò giù.
E il momento arriva quando Edward spalanca gli occhi e poi li richiude di scatto. Li strizza per poi provare nuovamente e a rallentatore, come se quel gesto gli costasse tanta fatica, ad aprirli di nuovo.
I miei occhi sono inondati dalle lacrime mentre guardo i suoi bellissimi e spaesati mettere a fuoco quello che lo circonda.
-Signor Cullen? Mi sente?- il Dottore gli proietta subito negli occhi una lucina per controllare la reazione delle pupille.
-Se riesce a sentirmi, sbatta una volta sola le palpebre-
Lentamente e a fatica, ma lo fa. Abbassa le palpebre dalle ciglia lunghissime e poi li riapre.
-Bene. Adesso proverò a togliergli la mascherina dell’ossigeno. È pronto?-
Di nuovo, Edward ripete il gesto di prima.
Quando il Dottore gli allontana la mascherina dalla bocca entra in stanza un infermiera che mi scosta dal letto, e mi separa dalla mano di Edward che tenevo stretta tra le mie come fosse un salvagente. Mi posiziono sul fondo della stanza per non intralciare il loro lavoro e aspetto che facciano tutti i controlli del caso. Cerco di regolarizzare il respiro mentre dentro la mia testa le parole Edward sta bene, ce la farà si ripetono incessantemente alla velocità della luce.
Dopo qualche minuto il Dottore mi fa cenno di avvicinarmi. Raggiungo il lettino con passi incerti e quando gli sono davanti lo vedo aprire e chiudere gli occhi ad intermittenza. È ancora troppo stanco per riuscire a svegliarsi completamente, o l’effetto dei sedativi non è svanito del tutto. Mi guarda per un solo secondo e questo basta ai miei occhi per riempirsi di nuovo di lacrime...di gioia.
-Oddio, sei vivo- sussurro senza riuscire a trattenermi.
-Edward? C’è sua moglie qui. Riesce a salutarla?- si intromette il Dottore.
-Edward?- lo chiamo di nuovo e finalmente, se pur con fatica, i suoi occhi rimangono fissi nei miei.
-Sono io. Bella- ho il cuore in gola e le parole mi escono quasi in un sussurro. Lo vedo aggrottare la fronte e concentrarsi sul mio viso ma non vedo nessuna risposta da parte sua. La reazione che aspetto però arriva sotto forma di doccia fredda quando in un sussurro, pronuncia le parole che non avrei mai voluto sentirgli dire, neanche nei miei incubi peggiori.
-Chi… sei? Non… ti conosco-


o.O  giù le armi ragazze! Non fatemi del male. C’è una ragione se Bianca mi chiama Psico! xD
Piuttosto ditemi cosa ve ne pare! I capitoli di passaggio sono quelli che “odio” di più, in termini di scrittura, perché non succede niente ma io l’ho arricchito con un sacco di informazioni.
Il riferimento a Jane Eyre è una piccola dedica che ho voluto fare alla mia cara, carissima ciù, che adora questo libro (infondo avrei potuto sceglierne anche un altro, perciò non ti lamentare! xD).
Bene, aspetto con ansia di leggere le vostre impressioni.
Baciii e alla prossima!   
   
 
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