Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Una Certa Ragazza    29/03/2013    5 recensioni
In un mondo in cui basta sembrare una papera per essere una papera (citazione necessaria da un detto inglese), basta una quarantenne nevrotica perchè la tragedia si compia...
EDIT: ho deciso di proseguire questa storia facendola diventare una raccolta. Sarà una trilogia di racconti centrata sul tema della discriminazione. Spero che continuare sia stata una buona scelta!
Genere: Generale, Introspettivo, Satirico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Argeta

 

Ogni ingiustizia ci offende,

quando non ci procuri direttamente alcun profitto”

Luc de Vauvenargues

 

Come tutti i giorni Argeta si alzò presto e c’erano già i clacson che suonavano e i freni che stridevano e la tv di quella che aveva affittato la stanza accanto che faceva chiasso. Perché doveva sentire la rassegna stampa del TG alle sei di mattina, lei.

Siccome fuori si gelava, si gelava davvero, decise che per quel giorno poteva anche permettersi di fermarsi strada facendo a prendere un cappuccino nel bar all’angolo che le piaceva tanto, e così tra il barista che sorrideva e il cappuccino che scottava vide l’annuncio:

Ragazzi ITALIANI cercano impiego, si svolgono anche lavori pesanti...” e Argeta strinse più forte la mano sul bordo della tazza perché avrebbe proprio voluto chiamare il numero e dire: «Chiamo per lo sgombero di un magazzino... oh, ma vedo adesso che siete italiani maiuscoli e sottolineati, perciò non se ne fa nulla.»

Ma non fece niente, pagò il cappuccino e tornò sulla strada fredda dove c’era vento e doveva stringere le mani nel cappotto mettendo un grosso scialle attorno alla testa sennò poi le veniva la sinusite e chissà per quanti giorni ne avrebbe avuto.

Mentre andava, poi, i giornali.

Lei i giornali neppure li leggeva, non aveva mica tempo e certo non avrebbe speso tutti quei soldi ogni giorno per un pezzo di carta che la mattina dopo avrebbe dovuto buttare perché le notizie non erano già più le stesse, che parlava sempre delle solite cose solo in salsa diversa, che se proprio le interessava qualche articolo poteva andarlo a cercare su internet.

Però ai titoli più grandi, quelli che si fermava a leggere tutti i giorni mentre andava alla stazione della metro che puzzava e sapeva di sporco, a quelli prestava attenzione e poi le ballavano in testa per tutto il tragitto, e uno dei tanti che vide quel giorno urlava: “carenza di alloggi a causa degli immigrati”.

Non si fermò non controllò ma era, ci avrebbe scommesso, un giornale locale impregnato di nebbia padana e l’articolo poi avrebbe avuto un tono tra il paternalismo sprezzante e la condanna. Il primo sarebbe stato freddo e benpensante e la seconda dura e compiaciuta e probabilmente anche revisionista perché quelli che scrivevano articoli così erano anche revisionisti sicuro e suo nonno partigiano, povero nonno, si rivoltava nella tomba.

Camminava pensando così, Argeta, con le mani ben ficcate nelle tasche e l’ombrello sotto il braccio come una baguette.

E poi, all’improvviso, la figura davanti a lei.

«Dove credi di andare, sporca musulmana?» quel grido e la morsa sul braccio e la strada dove non c’era nessuno come se non fosse abbastanza il buio delle sette di mattina a gennaio.

Cacciò un grido e si divincolò da quell’uomo col cappuccio che puzzava d’alcool e urlò, urlò, urlò, con un vago ricordo di sua madre che quando era piccola le diceva se ti toccano urla urla urla.

«Sta’ zitta, musulmana di merda!» partì uno schiaffo e Argeta neppure lo capì però in qualche modo lo schivò.

«Non sono musulmana. E mollami!» gridò lei, dando uno strattone un po’più forte mentre lo scialle pesante le cadeva sulle spalle e chissà come nel suo alcolismo l’uomo si rendeva conto dell’accento veneto di Argeta o forse solo del fatto che non aveva più la testa coperta, chi lo sa.

«Oh vergine italianissima!» l’uomo fece una specie di inchino sghimbescio, beccheggiò come una barca, si inciampò nei suoi piedi.

Argeta si sentiva come se avesse corso, quando non sai più dove trovare l’aria e i polmoni fanno male, e c’è quel dolore tipo una ferita in gola.

«Permettimi di accompagnarti dove... dov’è che stai andando? C’è brutta gente, in giro.»

Le zaffate di alcool le arrivavano ad onde, una marea di miseria. Non aveva smaltito la sbornia della sera prima oppure si era già ubriacato di mattina presto, in ogni caso che tristezza però chissenefrega, Argeta aveva paura ed era confusa e voleva liberarsi di lui.

«Sono vicina.» mormorò e se ne andò, cercando di non far sembrare che stava scappando, che poi magari quello lì impazziva e gli giravano i cinque minuti, ma allontanandosi il più velocemente possibile.

Rallentò solo davanti al solito chiosco di gelati che a quell’ora era chiuso, però lì in giro c’era un po’di gente e lei poteva stare tranquilla.

La stazione della metro era a due passi, doveva solo entrare e sedersi lì per pochi minuti.

Ed entrò e si sedette, mentre il vecchio accanto a lei borbottava qualcosa sul prezzo dei cavoli e sul fatto che lì nella stazione c’erano sempre più marocchini e un giorno o l’altro gli avrebbero fregato il portafoglio com’era successo al suo amico Gianni, proprio lì, e Argeta non sapeva se diceva tutte queste cose a lei o se parlava tra sé e sé. Forse non lo sapeva neppure lui, il vecchietto le sembrava un po’suonato, anche se non come l’alcolizzato di prima.

Avrebbe potuto non rivolgergli parola, ma c’erano già stati l’annuncio, il giornale e l’ubriaco, perciò quella era una domanda che bisognava fare: «Perché ce l’avete tanto con gli immigrati?»

«Ma non lo vedi che sono dei delinquenti?» rispose il vecchietto tutto orgoglioso ma forse perché nessuno gli dava mai del “voi” e stava ancora cercando di capire come mai «Bisognerebbe rimandarli tutti a casa loro.»

«Non credo che tutti commettano dei reati.»

«Sì, ma come fai a capire chi fa danni e chi no? Nel dubbio rimandiamoli da dove sono venuti, ecco, è questo che voglio dire.»

«Mio nonno era partigiano, e credo che abbia combattuto per la libertà e i diritti di tutti. Lei non è d’accordo con questo?»

«Ma sì che lo sono!» un cliché di vecchietto, un po’bizzoso un po’accomodante «Guarda che io c’ero, piccolo così ma c’ero, e non sono mai stato un fascista: i fascisti ci hanno requisito le pecore, durante la guerra, e il campo e la casa. Ma questa è una cosa diversa.»

«E in che cosa sarebbe diversa, scusi?»

«Eh, ragazza, i partigiani hanno combattuto per la loro patria, mica per qualche straniero. Anzi, hanno cacciato i tedeschi.»

«Cioè, lei dice che i partigiani sono dei nazionalisti?!»

«Nazionalisti, non esageriamo. Nazionalista lo era Hitler. Comunque voi che non c’eravate potete studiare bene la guerra, la storia e tutto il resto, ma esserci era diverso.»

La metro si fermò ed era quella di Argeta. Lei salì, lasciando il vecchio con un cenno che non sapeva neppure lei se voleva essere di saluto o semplicemente di riconoscimento della sua presenza.

Durante la corsa dentro al tubo e le scosse che comunque non ti facevano cadere perché c’era troppa gente a tenerti in piedi Argeta pensò.

Pensò se fosse stata musulmana che cosa sarebbe successo con lo sbronzo.

Cosa sarebbe successo, in generale, se fosse stata musulmana o turca o rumena o qualsiasi altra cosa. Ci sarebbe stata un sacco di gente che la guardava male per strada e che non sarebbe stata disposta a offrirle un lavoro perché non era italiana tutta maiuscola e sottolineata, e che avrebbe scritto su di lei che occupava spazio aria appartamenti ai padroni di casa, e che avrebbe detto a persone sconosciute alle fermate della metro che lei rubava portafogli ai vecchietti.

Ma poi arrivò in ufficio e c’era Simona che interruppe tutto questo, aveva un’aria così cupa ma così cupa...

«Oh, Argeta, sapessi! Vogliono licenziare, daranno il benservito ad un sacco di gente!»

«Che!?» Argeta balbettava, più confusa che preoccupata.

«Vogliono gente che possono pagare meno. Carlo dice che addirittura li pagheranno in nero e che se potesse lo proverebbe e li farebbe arrestare tutti.» Simona emise un respiro rantolante, un respiro da baratro, ed era nell’aria che stava per scoppiare a piangere.

Allora Argeta capì si arrabbiò buttò la borsa sulla scrivania ed esclamò: «Albanesi del cazzo, vengono qui e ci fregano il lavoro!»

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Una Certa Ragazza