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Autore: Shark Attack    30/03/2013    5 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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25
Incontro Ravvicinato



Tolakireth era sempre stato un tranquillo luogo di pace, emblema della serenità tra regioni e Capi, tra brehmisth e jiin, tra cielo e terra. Tra le mura marmoree si discutevano questioni di ogni tipo, talvolta si stilavano trattati di guerra e dichiarazioni ostili, ma sempre seguiti da tregue e promesse positive per un futuro più radioso.
Da un paio di giorni, però, il palazzo dei palazzi era scosso da due giovani forze che non seguivano esattamente quella tradizione e in particolare quella mattina una delle due stava mettendo a soqquadro ogni sala e persona che incontrava, servitore o funzionario che fosse, con lo sguardo di chi avrebbe messo tutto a ferro e fuoco.
«Possibile che oggi sia così tremendamente difficile trovare qualcuno in giro?», borbottò Savannah quando un altro cameriere le disse di essere desolato senza saperle rispondere.
Saettò verso il terzo piano, immaginando che la camera di Nehroi fosse, se non proprio accanto, quantomeno nelle vicinanze della sua. Lo aveva cercato in ogni angolo del palazzo, ormai mancavano all'appello solo le camere personali degli ospiti.
Arrivò di fronte alla porta e contò le stanze che la affiancavano: tre a sinistra, due a destra.
Si posizionò di fronte alla prima a sinistra, cercando di carpire voci o suoni dal suo interno, ma non riuscì ad udire nulla. Appoggiò un orecchio sulla porta con delicatezza e rallentò il suo respiro abbastanza da non disturbarla, ma nel giro di pochi istanti Savannah iniziò a credere che fosse finita in una dimensione totalmente estranea al rumore.
«Non puoi.»
La principessa Chawia era appena comparsa dalle scale, con i capelli sempre perfettamente intrecciati ed un vestito azzurro adornato qua e là da piccole gemme verde acqua che non sembrava assolutamente casual, come una giornata senza programmi ufficiali avrebbe dovuto suggerire. Il suo sguardo era tagliente come una lastra di ghiaccio incrinata, condito con uno scarlatto sorriso annoiato.
«Perché no?», le domandò Savannah con un velo di nervosismo. Si rese conto che le prime parole che la principessa le stava rivolgendo erano un divieto e la cosa la irritò non poco.
La donna non se ne curò. «C'è un incantesimo.»
Savannah fece spallucce. Aveva sentito dire che gli incantesimi erano magia particolare e un po' più elaborata del normale pensiero di un jiin, specialmente per quanto riguardava la durata dell'effetto ideato, ma non si era mai posta problemi in merito.
«Sempre magia è», borbottò la ragazza.
La risata di Chawia la irritò ancora di più: era divertita, sorpresa e sprezzante allo stesso tempo.
Si spense in un attimo, così com'era iniziata, e rimase solo il suo irritante eco ad aleggiare le corridoio. «Allora non avrai problemi», la provocò la principessa.
Savannah sentì il sangue ribollirle nelle vene: era la sua occasione per dimostrare a quell'ochetta di cosa era capace e non se la sarebbe lasciata sfuggire. Senza farselo ripetere due volte, si aggrappò agli stipiti di marmo, sollevò una gamba, la caricò immaginandola pesante e violentissima e tirò un calcio ben assestato sul legno. Prima che potesse toccarlo effettivamente, la jiin si ritrovò sbalzata all'indietro contro la parete con un urto micidiale.
Udì il rumore delle sue ossa scricchiolanti fin dentro il cervello e una sensazione nauseata la pervase come una scossa elettrica, più rapida del battito delle sue stesse ciglia stupite. Il freddo del muro di marmo la colpì come ghiaccio e rovinò a terra ancor prima di capire da che lato del corridoio fosse. La testa pulsava come se contenesse un martello e qualcuno lo stesse agitando senza tregua e la vista le si annebbiò completamente.
«Si dice che gli stolti capiscano qualcosa solo quando ci sbattono il naso contro», commentò ilare la principessa, senza neanche disturbarsi di sembrare addolorata o sconvolta. «Non credevo fosse tanto vero...»
Savannah rimase sdraiata a terra per un po', intontita dalla botta e shockata da ciò che era appena successo. Il marmo le stava raffreddando la pancia, il seno, le cosce, le braccia e una guancia, ma ciò che le bruciava di più era la schiena e la nuca. Imprecò mentalmente, senza voler sprecare forze preziose per farlo ad alta voce. In più, non vedeva altro che le scarpe della principessa e non erano neanche messe bene a fuoco.
Piano piano l'aria ricominciò a tornarle nei polmoni e il sangue tornò a fluire nelle giuste direzioni. «Sono stata... rimbalzata?», soffiò incredula. Alcuni punti del suo corpo pulsavano, sicuramente adornati da enormi lividi che presto l'avrebbero fatta sembrare un dalmata, e non riusciva ad alzarsi in piedi.
Chawia si chinò su di lei con un'espressione sprezzante, ben attenta a non avvicinarsi troppo.
«Con la stessa stupida forza che volevi riservare alla porta», la informò soave.
Stava per sparire di nuovo verso le scale quando la ragazza riuscì ad alzarsi in piedi e a correrle dietro, ignorando le sue stesse ossa che urlavano pietà. «Tu!», le disse così seriamente da costringerla a fermarsi. Prese fiato e si portò una mano alle costole, ma non si lasciò distrarre. «Tu devi dirmi cosa ti ho fatto!»
La principessa alzò entrambi le sopracciglia e ridacchiò nuovamente. «Perché credi di essere così importante da avermi fatto qualcosa?», domandò.
«Alla riunione mi hai degnata appena di uno sguardo», iniziò la ragazza.
«Non ti dovevo altro.»
«Alla festa mi hai quasi mangiata con gli occhi perché avevo un vestito viola.»
«Puro stupore.»
«E adesso questo!», sbottò infine.
La donna sorrise angelica e nuovamente sprezzante. «“Questo”... cosa, la tua devastante ignoranza? Non è colpa mia se non sai le cose e in più non ascolti i consigli.»
Savannah incrociò le braccia al petto e piantò i suoi occhi viola in quelli verdi con determinazione, fino ad odiare il fatto che fossero così simili a quelli di suo fratello. «Sai una cosa? Sono proprio curiosa di sentirli, i tuoi consigli. Se la tua reale testolina può accettare l'idea di parlarmi per più di un secondo, certo.»
La principessa sembrò stupita. Socchiuse gli occhi per esaminare meglio il viso di quella ragazzina insolente, analizzandola come se disponesse di raggi x, e poi annuì, non senza un ghigno malizioso che avrebbe fatto rabbrividire chiunque. «Bene», le disse. «Vieni nelle mie stanze e parliamo.»
Savannah sentì di aver guadagnato un punto. «Anche subito», sfidò.
Rimase ad un solo passo di distanza da lei fino al quinto piano, sforzandosi per tutto il tempo di convincersi che non stava poi così tanto male. Lassù le porte erano solamente due e così tanto lontane tra loro che sembrava dovessero contenere una sala da ballo ognuna. «Le altre camere sono troppo piccole», asserì la principessa prima che la ragazza potesse aprire bocca. Savannah avrebbe invece voluto domandarle quanta spocchia e strafottenza potesse contenere una sola persona, perché la stanza che le avevano assegnato era grande quanto il suo attico di New York e non l'avrebbe mai definita “piccola”.
Chawia aprì la porta sollevando delicatamente il mento, permettendo a profumi intensi e magnifici di riversarsi nel corridoio bianco, poi invitò la ragazza ad entrare con un gesto minimale della mano.
«Prima tu», le disse Savannah.
La principessa varcò l'uscio con un sorriso, per poi trasformarlo in un ghigno quando sentì le imprecazioni della ragazza alle sue spalle, bloccata contro un muro invisibile.
«Ops», disse innocentemente. Si voltò e la vide battere le mani contro l'aria solida come un mimo isterico. «A quanto pare oggi sei una calamita per gli incantesimi.»
Savannah sbuffò fuori di sé e continuò a tastare la parete invisibile che le impediva di entrare nella stanza in cerca un passaggio o di romperla. «Ancora la cosa della privacy?», domandò inviperita. Chawia era di fronte a lei, meno di un metro a separarle, e non poteva avvicinarsi neanche di un centimetro. Picchiò i pugni e provò a dare qualche calcio, guardandosi bene dall'usare la stessa potenza di prima, ma avrebbe avuto più effetti su una roccia granitica; inoltre dovette smettere subito, non appena il suo corpo le ricordò che non era una mossa saggia sbatterlo ancora contro superfici solide.
Una poltrona dorata dall'aria comodissima, gonfia come un palloncino e sicuramente soffice come una nuvola, si avvicinò alla principessa e lei vi si sedette con tranquillità esasperante scostando di lato l'abito azzurro. «No, ho bloccato solo te.»
La ragazza fu tentata di insultarla. «Mi inviti e poi mi blocchi? Cos'ha che non va la tua logica?»
«Guardarti è un vero spasso.»
Savannah spalancò il palmo della mano e le lanciò un fulmine ma quello evaporò contro il muro come acqua sul fuoco.
Schiumò di rabbia ancora per qualche istante, poi le venne in mente un'idea che non ci mise molto a definire “geniale” ed annuì a sé stessa. «Sai cos'altro è uno spasso?», disse mentre scompariva dalla visuale.
Chawia rimase per qualche minuto seduta lì, sulla sua bella poltrona comodissima, in attesa di scoprire cosa avrebbe escogitato quella ragazza strana e impulsiva. Era certa che nulla avrebbe potuto scalfire il suo incantesimo, fin troppo chiaro e preciso per poter essere raggirato: “Impedire categoricamente l'accesso a Savannah Krajal”. Elementare.
Rimase lì seduta per almeno un minuto, forse due. Qualsiasi cosa quella ragazzina stesse organizzando era terribilmente lenta ed iniziava ad annoiarla.
Quando però si rese conto che non sentiva alcun rumore e che la cosa divertente a cui si riferiva era lei che l'aspettava inutilmente, si alzò e si precipitò nel corridoio, girando la testa in tutte le direzioni per cercarla.
«Ora la faccia spassosa è la tua», la sentì dire a qualche metro da lei, con la voce diffusa nel corridoio vuoto. Era seduta su un davanzale, intenta a controllarsi con tranquillità estrema le pellicine sulle dita.
Chawia inclinò la testa su un lato e sorrise con semplicità, senza malizia o sadismo. «Complimenti, mi hai fregata», ammise vagamente soddisfatta.
«Sciogli l'incantesimo.»
La principessa si immobilizzò. Rimase in silenzio per qualche secondo, come se fosse caduta in trance o in coma profondo all'improvviso.
Savannah non sapeva cosa pensare, dire o fare, quindi rimase immobile anche lei, osservando la principessa nell'attesa che si animasse di nuovo. Non l'avrebbe mai ammesso, ma iniziava ad essere preoccupata. Era stata colpita anche lei da un incantesimo? Non aveva ancora ben capito come funzionasse la cosa...
Poi, con la stessa rapidità con cui si era imbambolata, Chawia schioccò le dita. «Fatto», comunicò.
«... tutto qui?», domandò la ragazza con scetticismo.
La principessa roteò gli occhi e sorrise ironica. «Certo che no, genio, ho predisposto tutto mentre mi fissavi come un'ebete.»
Probabilmente non l'avrebbe mai trattata con la gentilezza o il rispetto che le riservavano Silar e Phil, ma la cosa non ebbe alcun effetto su Savannah: anzi, si scoprì contenta di aver trovato qualcuno con cui poter essere sé stessa.
Chawia tornò alla sua poltrona dorata mentre Savannah scendeva dal davanzale e varcava finalmente la soglia. Provò qualcosa di simile a piccoli pizzicotti un po' ovunque, ma considerò che non aveva mai avuto a che fare con un incantesimo e lo interpretò come una conseguenza del transito.
La stanza, o meglio la piazza d'armi, era quanto di più bello, raffinato e ricercato che Savannah avesse mai visto. Il pavimento non era in marmo bianco come il resto di Tolakireth, ma rivestito di un caldo parquet con assi larghe quanto tronchi d'albero tagliati semplicemente a metà, sovrastato da una cascata di diamanti trasparenti come gocce di rugiada che si stendeva lungo tutto il soffitto.
Le pareti erano tappezzate di specchi, arazzi magnifici o scaffali di legno robusto e scuro straripanti di pendagli sontuosi, libri dalle copertine ricche ed elaborate, fiori freschi di ogni tipo e molte altre cose che la giovane jiin non riuscì ad identificare bene. Era entrata in un ingresso molto ampio che si trasformava in un salotto di tutto rispetto, con tre divani dorati e morbidi come la poltrona che era fluttuata davanti alla porta, disposti attorno ad un pregiato tappeto che sosteneva un tavolino di cristallo rosso che brillava come diamanti in fiamme; sopra di esso, libri scuri e con migliaia di pagine ingiallite l'uno si alternavano ad oggetti magici di varia provenienza e forma. A dividere due porte, una delle quali portava alla camera da letto di cui si intravedeva la testata e le decine di cuscini foderati come i divani e l'altra chiusa, c'era un caminetto spento così grande che la ragazza ipotizzò di poterci entrare senza neanche abbassare la testa.
Non appena mise piede dentro lì dentro, però, la luminosità che la riempiva calò drasticamente. Di colpo tutto si fece nero, i dettagli sfumavano lontani e Savannah si sentì annebbiata e immobilizzata.
Cadde inerme a terra, priva di sensi.

La prima cosa che notò era il freddo che le attanagliava le braccia. Assomigliava a quello del pavimento, ma era più opprimente.
Provò a ricordare, poi aprì gli occhi, la luce la accecò e ripiombò nella consapevolezza di cosa fosse successo, desiderando di non averlo mai fatto.
«“All'ignoranza segue solo ingenuità”, dicono.»
Chawia la stava fissando incuriosita dalla poltrona e sembrava che non avesse mosso un dito per tutto il tempo che Savannah era rimasta svenuta. Sorseggiava un drink rosa chiaro che tingeva la strana forma ondulata del bicchiere. «Incredibile quanti proverbi prendano vita solo guardandoti.»
La ragazza abbassò lo sguardo e si scoprì incatenata ad una sedia di legno, troppo poco pregiata per poter provenire dalla stanza della principessa più spocchiosa ed odiosa di tutti i mondi. Strattonò le braccia, inutilmente. Si concentrò e catalizzò ogni suo pensiero ed energia sul desiderio di sgretolare quelle robuste catene come se fossero di carta, come aveva fatto spesso con le manette dei poliziotti umani. Non accadde nulla.
Provò ad allentarle, farle svanire, cambiarne il materiale e persino scioglierle, sebbene la cosa le avrebbe procurato bruciature non indifferenti. Nessuno di quei tentativi ebbe effetto e le catene rimasero perfettamente immutate.
«Possibile che non si riesca a vedere qualcosa se non la si conosce?», domandò retorica la donna.
Savannah sbuffò sconfitta ed alzò gli occhi al cielo di gocce diamantine. «Un altro incantesimo», comprese. Odiava quella sensazione di impotenza e odiava essere costantemente alla mercé di quella donna odiosa.
«“Non ricevere effetti dalla magia di Savannah Krajal”, per l'esattezza. E dovresti essere onorata, è un incantesimo difficile da elaborare perché bisogna immaginare tutti i modi in cui potresti romperle ed ordinare che non funzionino... davvero non hai mai fatto niente del genere? Ma che hai imparato a scuola?»
Savannah le lanciò un'occhiata di fuoco.
«Ah», la principessa ricordò con una smorfia finta. «Già.»
Staccò le dita dal suo drink e quello rimase sospeso nell'aria. Andò a posarsi delicatamente sul tavolino tra i tre divani, posizionandosi graziosamente in mezzo ad un gruppo di pietre ovali e nere perfettamente allineate tra due pile di libri, mentre Chawia si alzava in piedi e si avvicinava alla giovane prigioniera.
«Usi la magia per queste stupidate?», domandò lei con sorpresa. «Sempre?»
Le era stato detto dal nonno che la magia era importante, che faceva la differenza e che aveva un ruolo basilare nella vita di Ataklur. Quando era piccola e credeva che sarebbe rimasta una brehmisth per tutta la vita, quelle parole avevano avuto un impatto così forte su di lei che a volte si era scoperta contenta di sapere che non sarebbe mai stata una jiin: avrebbe potuto continuare a fare ciò che sapeva fare contando sulle sue sole forze, senza barare come avrebbe fatto Nehroi. Ancora non sapeva che anche la magia faceva parte delle “sue sole forze”, ma comunque non aveva mai pensato di svilirla usandola in maniere così poco edificanti come posare il bicchiere o aprire la porta.
Chawia non sembrò toccata. «Più la usi e più diventi bravo, no? Più diventi bravo e più sei forte, resistente, capace e... beh, lo sai anche tu che qui la legge che regna è quella del più forte.»
Savannah non poté non ritrovarsi d'accordo con quel pensiero e la cosa la fece sentire stranamente in sintonia con la sua rapitrice. Se ne disgustò abbastanza da non dire nulla ed iniziò a cercare una scappatoia alla sua prigionia: avrebbe slegato quelle catene a tutti i costi, trovando un modo che la donna non avesse immaginato e previsto. Ce l'avrebbe fatta, era solo una questione di tempo.
«Gli stessi Capi Reggenti hanno la loro carica per questo motivo, sono i più forti della loro regione… e abbastanza istruiti da prendere il titolo, certo. Nessuno vuole un idiota potente a regnare su qualcosa di più elevato dei suoi capelli.»
La principessa sorrise e Savannah ebbe l'impressione che quello non sarebbe stato un monologo inutile e noioso come quelli di Silar sulla gastronomia. «Non capisco dove vuoi arrivare», la incalzò.
Improvvisamente si accorse che non aveva più tanta voglia di liberarsi. Si costrinse a non lasciarsi distrarre dall'affascinante mobilio e si sforzò di sostenere lo sguardo della principessa, sebbene la cosa le desse il mal di stomaco.
«In tutto questo ci siamo noi, lo sapevi?», disse la donna.
Chawia le accarezzò una guancia con delicatezza, sfiorandola appena, e Savannah si domandò se avrebbe anche provato a staccargliela.
Lei proseguì come se niente fosse. «O meglio, ci sono io perché voglio essere più forte di tutti i Capi. Vedi, io voglio... essere l'unica. La Regina. Il capo dei Capi, la prima di una stirpe. Un capo per tutta Ataklur, la più potente che esista.»
Si beò di quell'idea tanto in fretta e a lungo da rendere il suo viso gonfio di trionfalismo, rendendolo quasi illuminato dalle sue stesse fantasie, come se il sole non facesse abbastanza. Poi si ricordò di Savannah, la guardò come se fosse uno scarafaggio e qualcosa nel suo viso si incrinò. «E poi ci sei tu.»
Si allontanò da lei lascivamente, con stanchezza, e le girò attorno come se fosse un totem, scalpicciando sul parquet scandendo un ritmo asfissiante. «Tu», sputò quando arrivò dall'altra parte, «Tu che arrivi qui candida e tranquilla, ingenua nel tuo non sapere nulla, un accidenti!, di come funzionano le cose fuori dal buco in cui vivi e dai bassifondi che frequenti da quando hai smesso il pannolino. Sarai anche una jiin viola, ma sei altro che una ragazzina con in mano un'arma che non sa usare. Ma non importa che non sappia riconoscere un incantesimo quando ci sbatte contro, non importa quante persone abbia fatto fuori col suo adorabile fratellino brehmisth solo per una vendetta cretina e non importa neanche se non sa neppure il suo cognome! Lo vedi, Savannah? Tu arrivi e tutti... ti acclamano, ti vogliono, ti conoscono, dimenticano i tuoi precedenti e... e non sai nemmeno perché.»
Si appoggiò pesantemente sui braccioli incatenati e si sporse verso Savannah fino ad arrivare a meno di un centimetro dal suo viso, ignorando che si stesse appoggiando anche sulle sue braccia. Potevano contarsi le ciglia a vicenda e la tensione che si stava generando era sempre più palpabile. Chawia socchiuse le palpebre come se volesse leggere qualcosa di molto piccolo nelle iridi di Savannah e le sue labbra rosse rimasero aperte, in attesa del consenso della principessa per poter continuare a srotolare frasi.
«Te lo dirò io, il perché», le mormorarono all'orecchio con voce profonda e suadente.
Chawia scostò un ciuffo nero dal viso della jiin e si allontanò da lei, dandole le spalle e incrociando le braccia. «Sei il sassolino che intralcerà la mia ascesa al trono. Ma stai tranquilla, ti calcerò via senza problemi. È solo questione di tempo.»
Savannah si inumidì le labbra e si accorse che non sentiva più le dita della mano sinistra. «Non c'è nessun trono», disse lentamente.
«E qui... ti sbagli. Ma non preoccuparti, non lo vedrai mai.»
Chawia sospirò brevemente, poi scosse la testa e si voltò verso la jiin con l'espressione più divertita e incredula che avesse mai sfoggiato. Allargò le braccia e il vestito azzurro tirò sui fianchi asciutti come una tendina. «Per gli spiriti, sei davvero così stupida? Tutti i Capi Reggenti non vogliono far altro che togliermi di mezzo e cercano di accaparrarsi i favori della nuova paladina, l'orfanella giovane e viola e... davvero tu non hai nessun sospetto? Ancora non ci sei arrivata?»
Savannah si sentì a disagio: evidentemente la sensazione di essere ritardata non l'avrebbe abbandonata molto presto. Era dolorante, in balia di un incantesimo, incatenata ed inondata di troppa dannata politica che non faceva altro che confonderle le idee. «Arrivata a cosa?»
«A capire che ti stanno usando per sbarazzarsi di me e poi di te, naturalmente.»
La jiin sbatté più volte le palpebre sulle iridi viola e il suo respiro si interruppe per una manciata di secondi. Non riusciva a seguire bene tutti quei ragionamenti e le macchinazioni di un mondo che evidentemente non le apparteneva; temeva di aver perso molti passaggi, ma il discorso di Chawia era spaventosamente comprensibile e plausibile. Piuttosto raccapricciante, se preso per vero.
Le scese una gocciolina di sudore lungo la tempia. «Stanno usando me per sbarazzarsi di... me?»
L'ultima parte l'aveva confusa più del solito.
Stava per dire che non aveva alcun senso quando gli occhi glaciali della principessa la colpirono violentemente e all'improvviso Savannah non riuscì più a paragonarli a quelli del fratello.
«Ti hanno offerto una carica?», disse la donna con voce paziente.
«No, loro... beh in effetti sì, un ruolo nella guardia per...»
«Che bravi, vero? Gentili, soprattutto. Credi anche tu che saresti fantastica come poliziotta?»
Le si avvicinò e schioccò le dita. Le catene persero il loro incanto e Savannah si sentì improvvisamente libera di respirare a pieni polmoni, come se l'ora di prigionia fosse durata anni.
Avrebbe potuto spezzarle come avrebbe fatto fin dall'inizio ma rimase immobile, aspettando che la principessa finisse il discorso.
«Tutta impegnata a ripulire le strade e le regioni dai manigoldi, troppo occupata per fare altri danni nei due mondi e dar loro altri pensieri... il tutto mentre gliene togli. Non sono adorabili?»
Savannah era ancora coperta di catene quando la porta si chiuse alle sue spalle e la principessa scomparve dalla sua vista, lasciando dondolare quell'ultima frase davanti ai suoi occhi.


*-*-*-*



Oh, da quanto volevo pubblicare questo capitolo ed approfondire la stronzaggine di Chawia ^3^
Confesso che lei è nata in questo capitolo, la prima scena che mi è venuta in mente con questo personaggio è quella in cui lei si appoggia sulle braccia incatenate di Savannah e si fissano a vicenda negli occhi, con un po' di odio a condire il tutto perché non fa mai male...

Grazie infinite alle mie recensitrici (sapete già che vi lovvo ma lo ribadisco <3) e anche alle ormai molte persone che mettono la storia tra preferiti/seguiti/ricordati o_o ma quanti siete?? Palesatevi! [cit. Spotted EFP] (... ho la febbre, scusate xP)
Alla prossima!
Ciao!

Shark
   
 
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