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Autore: _Des    30/03/2013    10 recensioni
«..i gentili passeggeri sono pregati di allacciare le sicure. Il volo per Parigi sta per decollare...» Oh, che bello. Eravamo diretti a Par.. COSA?! Parigi?
Lanciai uno sguardo rabbioso al riccio che mi guardò, sorridendo appena, mentre afferravo la cintura di sicurezza e la legavo in vita.
Io odiavo Parigi.
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cari lettori, se mai vorrete viaggiare, andare all’estero, conoscere nuove culture e magari concedervi anche alla compagnia del/la vostro/a migliore amico/a ricordate: mai permettere a lui/lei di scegliere la destinazione o andreste incontro alla peggior settimana della vostra vita.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Scommettiamo. Ti piace giocare? '
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Holiday in Paris: The worst week of my life.

Informazione di servizio: si tratta di una one-shot ricollegata alla storia Scommettiamo. Ti piace giocare? Inoltre Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.

 
 
Una settimana bianca, aveva detto. Ed io immediatamente ero andata su tutte le furie. Come poteva anche solo pensare che avrei accettato con tanta nonchalance di trascorrere una settimana su una montagna sperduta, dove il freddo pungente avrebbe reso violacea qualsiasi parte possedesse una punta nel mio corpo? E non dimentichiamoci dell’elemento chiave della montagna: la neve. Io detestavo la neve.
Dopo la mia sfuriata, aveva tentato di rimediare all’errore organizzando di suo pugno una vacanza in una località a me sconosciuta, giusto per tenermi sulle spine. Conoscendolo, temeva che sarei stata in grado di disdire il viaggio anche mezz’ora prima della partenza, se la destinazione non fosse stata di mio gradimento. Proprio per questo si era impegnato perché fosse mantenuta una certa riservatezza. In poche parole, non voleva che venissi a conoscenza di nulla, nemmeno del minimo dettaglio, affinché non prendessi l’iniziativa e mandassi tutto a rotoli.
Bell’amico, davvero.
 
«Ripetimi perché sono seduta sul sedile di un dannatissimo aereo.» lo pregai, inspirando ed espirando animatamente.
«Perché, cara Sam, stai per vivere la settimana migliore della tua vita.» sussurrò con il tono più convincente che riuscì ad adottare. Spalancai di colpo gli occhi, voltandomi a guardare un riccio, con simpatiche fossette stampate ai lati della bocca e vispe iridi tendenti al verde acqua. Harry mi sorrise, quasi tentasse di offrirmi le sue più umili scuse. Io odiavo le scuse.
«Sei un demente, Styles.» lo ripresi, tornando alla mia seduta di rilassamento pre-partenza.
«Perché lo sarei?» domandò con fare evidentemente divertito. Cos’era a divertirlo tanto? La mia fottuta agitazione, ecco cosa.
«Perché sì.» esclamai. «Mai pensato che io potessi aver paura di mettere piede su uno di questi cosi con le ali?» bofonchiai, stringendo i pugni pur di mantenere la calma. Una bella dose di valium, ecco cosa faceva per me.
«E come credevi ti avrei portata dove ti devo portare, se non in aereo? Su una scopa volante?» ridacchiò.
«Probabile.»
«Non siamo ad Hogwarts, se non ti fosse chiaro.» Lo guardai accigliata, prima di sorridere beffarda e proferire una risposta, degna di una maga:
«Perché tu sei un lurido babbano.» Tentò il tutto per tutto, ma in fine si lasciò andare ad una simpatica risata e, nonostante sentissi che a breve sarei stata vittima di un attacco di panico, accennai anch’io ad una risatina.
«Sei così stupida.» mi derise.
«E tu un idiota.» ribattei.
«Ti voglio bene, anch’io.» una linguaccia funse da risposta per la mia persona, poi tornai a torturarmi riguardo la meta di destinazione. Magari Harry aveva adoperato quei pochi neuroni che ancora possedeva ed era riuscito ad individuare un bel posto in cui prolungarsi per una settimana. Magari aveva spremuto fino all’ultimo di quei neuroni per ricordare quanto amassi la Spagna o quanto il mare riuscisse ad infierire sul mio umore, rendendolo ottimo. Magari.
«Dimmelo.» gli imposi, all’improvviso.
«Cosa?» domandò, senza capire.
«Dimmi dove stiamo andando, perché non ne posso più dell’attesa.» In effetti, il volo doveva ancora avviarsi e, per quanto potessi saperne, avremmo potuto fare anche quindici ore di viaggio, una dietro l’altra.
«Oh, un bel posto.» asserì, trattenendosi dal guardarmi, mentre lo fulminavo con lo sguardo per quel suo prendersi gioco della mia intelligenza.
«Harry.» lo avvertì.
«Sono certo che ti piacerà.» mi tranquillizzò.
«Oh, okay. Basta che non si tratti di..» fui interrotta da una vocina antipatica che, praticamente, aveva richiamato tutti i presenti al silenzio, annunciando quello che sarebbe stato il piano del viaggio.
«..i gentili passeggeri sono pregati di allacciare le sicure. Il volo per Parigi sta per decollare...» Oh, che bello. Eravamo diretti a Par.. COSA?! Parigi?
Lanciai uno sguardo rabbioso al riccio che mi guardò, sorridendo appena, mentre afferravo la cintura di sicurezza e la legavo in vita.
Io odiavo Parigi.
 
Le ore di volo non furono troppe e quasi non mi accorsi del tempo che trascorse veloce. Il motivo? Dormii per l’intera durata, pur di non dover conversare con quel depravato che usavo chiamare “migliore amico”. Ma quale migliore amico avrebbe condotto la propria migliore amica nell’unica città che detestava con tutta sé stessa? Harry Styles, per l’appunto.
Non odiavo Parigi perché questa fosse brutta. La trovavo anzi una splendida città, sia per le origini storiche che dal punto di vista estetico. Il punto era che da sempre quella aveva la nomina per essere, insieme a città come Venezia o Verona, la capitale del romanticismo europeo, delle coppiette, dell’amore. Ed io con l’amore non volevo averci a che fare, fin quando non avrei dovuto far ritorno dalla vacanza.
Mi ritrovai quindi ad affrontare ben due viaggi, uno in aereo, uno successivo in taxi che era così differente da quelle sottospecie di “carrozze” nere che, insieme ai bus rossi, rendevano celebre Londra. Beh, lì ve n’erano di normali, cosa che mi stupii non poco.
C’era bel tempo, ma il caldo non era eccessivo. Il sole era tiepido, ma meglio di niente. La città non era niente male, per quel che s’intravedeva da un finestrino posteriore.
Sospirai.
Io odiavo sospirare.
 
La hall era esageratamente esagerata.
Già m’infastidiva essere in quel posto a spese di Harry, ma sapere che probabilmente avrebbe speso un ammontare incontrollabile per pernottare in un albergo a cinque stelle, in centro, mi mandava letteralmente in collera. Se ero arrabbiata con lui?
«Sam, aspetta!» urlò, seguendomi all’interno dell’edificio. «Sei arrabbiata con me?» domandò, quando mi affiancò.
«Secondo te, genio?» risposi, retorica.
«Cos’ho sbagliato?» chiese, curioso.
«Per iniziare la città..» cominciai, mentre ci avviavamo in direzione della reception per avvertire qualche responsabile del nostro arrivo. «..l’hotel, ah.. e se t’interessa, non mi piace il tuo parrucchiere. Alla prossima, te li taglio io i capelli.» il riccio mormorò qualcosa riguardò quell’ultima mia affermazione, senza commentare quant’altro, poiché era giunto il momento di avere a che fare con il primo vero francese che incontravamo: il segretario della reception.
«Buongiorno.» esordì il riccio con un gran sorriso in viso. Il tipo posto dietro l’enorme bancone, sollevò lo sguardo verso i diretti interessati e ci guardò con fare indagatore.
«Tranquillo, non spacciamo.» borbottai, infastidita. Per tutta risposta, Harry mi diede una gomitata che mi addolorò lievemente ed il tizio, che non dimostrava meno di quarant’anni, rialzò un sopracciglio, con un evidente confusione dispersa nell’espressione facciale.
«Desolé, Je ne parle pas l’anglais.» alle parole del segretario, io ed il riccio non potemmo fare a meno di dimostrarci del tutto spiazzati. Non avevamo capito una sola parola di quel che aveva detto, perché nessuno dei due conosceva minimamente il francese e perché suonava così strano che un direttore d’hotel non rispondesse a due turisti stranieri nell’unica lingua conosciuta universalmente per la comunicazione ovvero l’inglese.
«Può ripetere?» pregai, senza riflettere sul fatto che sembrava non capirmi.
«Un istant, s’ill vous plait.» e ora cosa stava tentando di comunicarci con quella lingua anomala e contorta? Anche se, ragionandoci, in quella particolare circostanza, era la mia lingua ad essere incomprensibile, non la sua.
Sospirammo entrambi, prima che l’uomo scomparisse, risucchiato in una porta nelle vicinanze e il cui accesso era riservato a personale specializzato e autorizzato. Io ed Harry ci lanciammo un’occhiata veloce. Eravamo stanchi e scocciati dall’attesa, ma dopotutto eravamo inglesi, ben educati e degni di provenire dal paese in cui era una regina a dettare moda e legge.
A breve vedemmo comparire lo stesso uomo accompagnato da un ragazzo sulla ventina. Lo squadrai per bene: aveva grandi occhi azzurri, capelli biondi, sorriso mozzafiato e fisico da far invidia. Sorrisi, quando notai il suo sguardo calare sulla mia persona e radiografarmi più volte. Avevo fatto colpo.
«Scusate l’attesa. Posso esservi utile?» ci accolse, con quell’immancabile accento francese che lo rendeva ancor più sexy.
«In effetti..» mormorò Harry, sbuffando. Aveva ben notato anche lui le occhiate che riservatemi.
 
«Hai già fatto colpo.» sentenziò il riccio, chiudendo la porta alle nostre spalle. «Fatti schifo.» concluse, gettando a terra la sua valigia. Lo imitai alla perfezione.
«Che vuoi farci.» mi pavoneggiai. «La classe non è acqua.» mi lascia sprofondare tra le lenzuola del comodo letto matrimoniale, presente nella camera, che odoravano di un'essenza tutta particolare, rilassandomi finalmente dopo ore.
 
La sera decidemmo di usufruire del servizio in camera e di ordinare un film, rigorosamente in inglese. Gustammo il tutto nell’enorme letto che avremo condiviso e per finire ci ritrovammo a non seguire minimamente il film per il quale avevamo sborsato ben cinque euro.
Già, euro.
Non capivo una ceppa di quella moneta, io che ero abituata alle sterline. Fu proprio a causa di quest’intoppo, che io ed Harry pensammo di studiare un po’ la funzione che avevano le monete e le banconote in quel paese, per non rischiare di andare in contro ad imbarazzanti figuracce.
«Domani esploreremo la città.» mi avvertì, spegnendo la abat-jour che era, a vista d’occhio, così.. francese.
«Se proprio insisti.» risposi, in fine.
«Dormi bene.» lo sentii ridacchiare, prima di ritrovarmi stretta tra le sue braccia, con la testa che aderiva al suo petto.
Già, avrei dormito proprio bene.
 
Harry’s Point of View:
Mi scappò una flebile risata quando, il mattino a seguire, la ritrovai ancora avvinghiata al mio corpo. Dormiva beatamente, con le labbra appena schiuse e gli occhi rilassati. Ricordava un angelo, ma probabilmente se me l’avesse chiesto, l’avrei paragonata ad una scrofa in calore. Amavo vedere come, pur trovandosi in difficoltà, riusciva a sbrogliarsela in qualsiasi caso.
L’allontanai appena per alzarmi, progettando di renderla contenta sebbene avessi scelto,a suo dire «la meta sbagliata». Pff.. avevo scelto una destinazione perfetta. Era lei ad essere così maledettamente.. difficile. Eppure me la stavo spassando da morire, semplicemente perché mi trovavo in sua compagnia.
Mi diressi in bagno per una doccia veloce, infine tornai in camera, munito solo di asciugamano in vita. Credevo che Sam dormisse ancora, ma con mia sorpresa era già ben sveglia, intenta a guardare uno stupido cartoon francese. Non appena catturai la sua attenzione, la vidi sbarrare gli occhi, fissando instancabilmente i miei addominali scolpiti i quali, pur andandone fiero, non ero solito mettere in bella mostra.
«Cosa sei!» farfugliò, scuotendosi un po’.
«Hey, hey, hey. Sta’ buona e tieni a bada gli ormoni.» la smontai, con l’unico intento di metterla a disagio.
«Allora non girare per la stanza con quegli addominali in bella vista.» sbottò, nervosa.«Hai due braciole al posto dei pettorali, caspita.» sussurrò poi, nascondendosi pur di non rendere evidente il rossore che sapevo averle invaso le guance.
Sorrisi. 1 a 0 per me.
 
La trascinai di peso in giro per la città.
Visitammo piazze, musei e qualche altro centro storico. Rimasi piacevolmente sorpreso, notando quanto Sam fosse in realtà interessata e rapita dalle bellezze presenti nel posto, quanto amasse la storia, poiché conosceva molte aneddoti legati ai monumenti che incontravamo lungo il cammino.
Programmammo, su consiglio di qualche individuo che, per grazie divina, comprendeva e conosceva un briciolo d’inglese, di visitare la Torre Eiffel il giorno a seguire, poiché un paio d’ore non ci avrebbero permesso di effettuare nemmeno il giro completo del suo primo piano.
Probabilmente nel pomeriggio l’avrei portata a fare shopping e per finire, avremo cenato in albergo o, se non eravamo troppo esausti, in uno dei trentamila ristoranti di lusso lì presenti.
Ripensandoci, se l’avessi costretta a mangiare in un luogo del genere, Sam mi avrebbe letteralmente mandato al patibolo. Una pizza al taglio sarebbe andata più che bene, sempre che esistesse quella concezione di pizza a Parigi.
 
«Ti prego, fermiamoci a quel bar.» biascicò, indicandone uno nelle vicinanze. Annuii, senza più fiato in corpo e tentai di trascinarmela ancora al seguito, conducendola fin davanti a quel bar che affacciava su un fiumiciattolo, sicuramente artificiale. La feci accomodare in uno dei tavolini esterni, prima di addentrarmi nel piccolo locale alla ricerca di qualche bibita dissetante. Due the alla pesca, erano proprio ciò che faceva al caso nostro.
Quando gliene porsi uno, non esitò a divorarlo.
«Ti verrà mal di stomaco.» l’ammonì, divertito.
«Oh, sembri mia madre.» sbottò, per poi sorridermi. «La città è.. bella.»ammise più a sé stessa che a me.
«Te lo avevo detto.»
«E’ che le persone sono così..» s’ammutolì per qualche attimo, alla ricerca dell’aggettivo più congruo. «..strampalate.» Non potei che ridere della sua spontaneità.
«Effettivamente.» l’appoggiai.
«Tipo quel tizio di stamane: avrà bevuto quella mini tazzina di caffè in dieci minuti, se non più. E la vecchietta che mi ha maledetta circa una ventina di volte, prima di avvertirmi che avevo pestato uno dei suoi amati fiori, è stata il colmo.» sbottò, tornando a bere il suo the.
Risi, ricordando eventi della mattinata trascorsa, da considerare epocali. Il posto era decisamente bello, erano però i modi di fare della gente ad essere troppo differenti dai nostri.
Sia io che Sam adocchiammo l’arrivo di un gruppo di ragazze francesi che sedettero in un tavolo poco distante dal nostro. Da quel momento in poi, sebbene tentassi disperatamente di attaccare bottone con la mia unica interlocutrice, Sam divenne sempre più pensierosa. Qualcosa in particolare attirava la sua attenzione. Quando mi decisi a seguire la traiettoria dei suoi occhi, mi accorsi che puntava il tavolo delle biondine francesi. Queste si voltarono, mi osservarono ed infine sorrisero, tornando a confabulare in una lingua così… da ‘r’ moscia.
«Si può sapere perché a momenti le sbrani con lo sguardo?» le domandai, stanco.
«Ti guardano.» borbottò, masticando la cannuccia del the, senza mai portare lo sguardo su di me. Sapeva che avrei capito cosa le passava per la testa, se solo avesse osato sfiorarmi con le iridi scure.
«E quindi?» ridacchiai.
«Sono delle oche, non devono guardarti.» tirò le somme. Non le era mai interessato chi mi portassi a letto o chi frequentassi. Oh, vedevo qualche mostriciattolo verde comparire sul suo viso: gelosia.
«Gelosa, Wilson?» la provocai.
«Oh, non osare..» la sua audace risposta,venne interrotta dall’arrivo di una delle biondine del gruppo, forse la più coraggiosa che, con sorriso luccicante, mi porse un bigliettino, per poi farmi un occhiolino e andarsene, senza mai tener conto di Sam.
«Cos’è?» domandò, con poca enfasi. Controllai. Il foglietto riportava nome, cognome, numero di telefono ed età. Mi trattenni dallo scoppiare a ridere. Già, facevo quell’effetto alle ragazze. Lo passai non curante a Sam che alla vista del suo contenuto, non riuscii a trattenersi:
«Puttana.» solo a quel punto mi guardò.«Hai già fatto colpo. Fatti schifo.» mi fece il verso, storcendo le labbra.
«Che vuoi farci, la classe non è acqua.» la imitai, lanciandole poi un bacio.
2-0 per me.
 
Quando la vidi contorcersi per la millesima volta nel giro di una decina di secondi, capii di dover intervenire.
«Ti ho ordinato una camomilla.» la rassicurai, inserendo il telefono portatile della camera nel piccolo box, prima di sedermi al suo fianco, sprofondando in quello che amavo definire il mio lato del letto.
«Sto morendo.» si espresse, trattenendo le lacrime. M’intenerii. Come previsto le era venuto mal di stomaco perché aveva bevuto quella bevanda ghiacciata in un baleno e, a seguire, aveva a tutti i costi voluto pranzare con schifezze senza sosta. Poi le erano venuti dei dolori insostenibili ed avevo dovuto condurla immediatamente in hotel, pregando perché non mi svenisse in braccio.
Era una bambina.
Sfiorai con le dita il suo stomaco, dapprima incerto. Poi mi decisi: volevo aiutarla. Passai una mano sulla parte del suo corpo che più le procurava malessere e presi a massaggiarla con estrema delicatezza, perché provasse sollievo e non ancora fastidio.
«Sei bravo.» sussurrò, trattenendo il respiro.
«Ti ricordo che io ho una sorella più piccola.» abbozzai un sorriso al pensiero di Hope. Non la vedevo da tempo e la ‘piccola peste’ oramai aveva quindici anni. Era bella, difatti mi assomigliava in modo inaudito.
«Quindi?» domandò, fingendo di non capire.
«Quindi non so quante volte mi sono ritrovato a massaggiarle lo stomaco per un’influenza intestinale o la pancia per le mestruazioni.»
«Oh, che gentiluomo.» mi sfotté.
«Infatti.» acconsentii.
«Ero ironica.»
«Ah, davvero?» smisi improvvisamente mi massaggiarle lo stomaco, osservando poi come il suo viso, all’inizio disteso, si contrasse in una smorfia esasperata. Ancora, mi trasmise tenerezza.
«Mi spiace.» biascicò. «Harry ti prego..» senza lasciarla continuare, ripresi a fare ciò che per cui mi stava implorando, sorridendole. Dopo aver bevuto l’intera tazza di camomilla che la cucina le aveva preparato, cadde in un sonno profondo. E, osservandola dormire, Morfeo accolse tra le sue braccia anche me.
 
Sam’s Point Of View:
 
Stiracchiai le gambe, dando modo al mio corpo di muoversi appena. Tornai, poi, a distendermi con estrema tranquillità sul letto, avvertendo un peso all’altezza dello stomaco. Peso che, però, a differenza del giorno precedente, non aveva nulla a che vedere con anche il più minimo dolore. Calai lo sguardo fin quando un braccio disteso sul mio addome, entrò nella mia visuale. Sorrisi, ricordando cos’era accaduto la sera precedente e per come Harry mi era stato vicino.
Ma non per questo avrei fatto la brava.
 
«SAM!» non appena lo sentii urlare, mi trattenni dallo scoppiare in risate. Nascosta nell’armadio, speravo vivamente che non mi trovasse, ma conoscendo il suo fiuto investigativo, gli concedevo al massimo cinque minuti, prima che mi scorgesse, chiusa tra le ante.
«Io.. giuro che quando ti prendo, ti riduco in polpette!» sbraitò. Me lo immaginai dinanzi lo specchio, osservante il suo riflesso così sporco. Schiuma da barba bianca imbiancava i suoi ricci e gel per capelli impiastricciava  il suo volto. Ero così subdola, consapevolmente.
Farfugliò qualcosa, ma poco prestai attenzione ai suoi commenti sarcastici rivolti alla mia persona, ero piuttosto concentrata nella conta dei secondi che scorrevano celermente nella mia mente. Un minuto e mezzo era già fumato via, quando prese a gironzolare per la camera, alla mia ricerca. Spalancò la porta del bagno. Presunsi si fosse fermato al suo interno, per accertarsi che non avessi trovato rifugio in qualche angolo della stanza, poi ne uscì.
Allungò il collo nel terrazzo, con scarsi risultati.
Dalla fessura dell’armadio, lo vidi chinarsi per sbirciare sotto il letto e sbuffò, non trovandomi.
«Deve essere qui, per forza. Le sue scarpe non sono state toccate.» Ragionò.
Geniale, pensai.
Si guardò bene attorno, lanciò varie occhiate in tutta la stanza, fin quando lo sguardo non calò sull’armadio. Trattenni il respiro. Un sorriso sghembo fiorì sul suo volto ed uno sguardo vispo lo illuminò.
Chiusi gli occhi.
Un passo, due passi, tre passi, quattro pas.. uno spiraglio di luce e..
«Non hai scampo.» fu tutto ciò che sussurrò in un mio orecchio, prima che due braccia possenti avvolgessero violentemente il mio corpo che in breve si ritrovò gettato sul letto.
Gridai come una dannata.
A cavalcioni sul mio corpo, bloccò ogni mia via di fuga.
«Buondì, Harry. Sai di essere di unico splendore, quest’oggi?» ridacchiai.
«Fottiti.» non capii più nulla.
Venni travolta da un getto d’acqua, da una quantità immane di un liquido il cui odore era nauseabondo e per finire, Harry mi sfilò i calzini, dando inizio ad una strana tortura cinese.
E mentre lo pregavo di darmi tregua, il suo ego diveniva sempre più smisurato.
 
Harry’s Pont of View:
 
Nei giorni a seguire visitammo l’intera Parigi, ci demmo alla pazza gioia con lo shopping e la sera cenammo talvolta nei ristoranti più lussuosi oppure ci trattenevamo in qualche piazza, muniti di qualche strana cibaria, raccattata nei dintorni.
Stavamo bene e al pensiero che a breve saremo dovuti partire, un senso di malinconia mi avvolgeva.
 
«Quanti caspita di piani ha questa baracca?» borbottai, stanco di non giungere mai in cima.
«Taci.» mi rimproverò, guardandosi attorno estasiata.
«Non dirmi cosa devo o non devo fare.» sbottai, esasperato.
«E io lo ripeto: Taci.» l’afferrai mesto per un polso e, attento affinché nessuno ci scorgesse e mi ritenesse uno stupratore, ci appartai in una rientranza lì presente. Le impedì qualsiasi accesso alla fuga, ponendo entrambe le braccia ai lati del suo capo, facendo aderire i palmi delle mani ai mattoni freddi del muro, e sfiorando il mio corpo con il suo.
L’avevo in pugno.
«Ripeti se ne hai il coraggio.» mi osservò, con sguardo sfuggente. Sapevo che, con l’altezza notevole, ero capace d’intimorirla. Sapevo persino che l’avrei resa vulnerabile, ma non me ne curavo. Mi divertivo a suscitarle qualche tipo di strana reazione.
«Altrimenti?» balbettò.
«Sai cosa succederebbe.» probabilmente, incisi fin troppo su quelle ultime parole, diminuendo il tono della voce che divenne ancor più roca di quanto già, naturalmente, fosse.
«E bene, allora..» la vidi esitare, ma per finire si espresse.«TACI.» urlò, divincolandosi dalla mia presa per poi sfuggirne, in un sorpasso clamoroso.
Sorrisi, sapevo che ci sarebbe riuscita.
 
Sam’s Point of View:
 
Trascinai Harry lungo il corridoio, condotti verso la camera d’albergo, ridacchiando.
Il genio era sfinito dalla mattinata trascorsa prima sulla Torre Eiffel, tra turisti francesi e stranieri, proprio come noi.
«Non ne posso più.» mormorò.
«Quanto sei esagerato.» lo ripresi, facendo per aprire la porta. Mi accorsi però che quella era accostata. Sbarrai gli occhi.
Un ladro.
Un ladro era entrato.
Un ladro era entrato nella stanza.
Un ladro era entrato nella MIA stanza.
Oh, porco ringuino.
Ringui.. che? Ringuino. Un incrocio tra un rinoceronte ed un pinguino.
Mia creazione, specie in via di sviluppo, roba serie gente.
«Harry.» lo scossi appena, ma questo non mi diede importanza. «Harry.»lo scossi ancora, stavolta in modo decisamente sgarbato.
«Che vuoi?» sbottò.
«La porta.. è aperta.»
«Che vuoi che sia. Entra, avanti.» rimasi ferma, impalata sul posto. Non mi sarei mossa dalla mia postazione nemmeno per tutto l’oro dell’Eldorado.
Il riccio, al mio fianco, sbuffò scrollandosi di dosso la mia presa per entrare in camera, ma prontamente lo fermai.
«Che diavolo fai?» sussurrai.
«Entro in camera?» rispose con fare evidente.
«Sei scemo o cosa? E se il tizio ti colpisce con una delle tue spazzole doma ricci, tu svieni e poi ti rasa completamente a zero?» ipotizzai, tremando.
«Ma che..?» credo stesse per darmi contro, ma tacque per realizzare qualche sorta di pensiero, sempre che Harry pensasse, prima di spingermi in direzione della porta e mormorare: «Entra prima tu.»
«Cosa? Perché?»
«Non posso, capisci? Devo salvaguardare i miei ricci, sono così importanti per me.» li toccò, li sistemò, poi li massaggiò e per finire accarezzò. Idiota.
«Oh, che gentleman.»
«Come sempre.» osservò.
«Ero ironica.» puntualizzai.
«Scommettiamo che ora non lo sei più?» provocò, facendo qualche passo verso di me. Avrei volentieri ribattuto che mai avrei cambiato opinione, essendo fermamente convinta delle mie idee, ma un rumore molesto proveniente dall’interno della stanza, fece destare entrambi.
Ancora, mi spinse in direzione della porta, al ché mi nascosi dietro la sua schiena, lui fece altrettanto, io tornai dietro di lui che scaltro, si riposizionò alle mie spalle e mi spinse nella stanza definitivamente. Lui al mio seguito.
Con uno sguardo rabbioso, lo allontanai da me, afferrando poi una baguette dimenticata da Harry, di certo, lì nelle vicinanze. Pff.. se quel ladro credeva di farla franca, gliel’avrei fatta pagare cara.
Io e la mia fidatissima complice Angie la baguette ci avviamo a passi lenti e brevi lungo il corridoio, poggiandoci alla parete per mimetizzarci, in qualche arcano modo.
Giunsi quasi alla fine, respirai profondamente e restai in ascolto. Rumore di lenzuola smosse..
un pedofilo.
Un pedofilo era entrato.
Un pedofilo era entrato nella stanza.
Un pedofilo era entrato nella MIA stanza.
Oh porco Spincactus.
Già, spincactus. Un cactus con le spine.
Mia invenzione, specie in diffusione, roba seria gente.
Come.. esistono già i cactus con le spine? Fa niente.
Mi preparai per colpire il ladro-pedofilo, alzai veloce la baguette e contai fino a tre, prima di uscire dal nascondiglio.
Uno.. Due..
«ESCI DA QUESTA CAMERA LURIDO LADRO PED.. oh, salve.» esclamai notando una signora sulla cinquantina, bassa e minuta, guardarmi con occhi fuori dalle orbite.
Effettivamente, la stavo minacciando con una baguette in via di ammuffimento.
Sembrava una cameriera, vista l’uniforme blu.
«Mon Dieu l’aider.» disse quella, ricordando una spiritata. Estrasse infatti dalla camicetta che indossava un crocifisso e, puntandomelo contro, iniziò a proferire una cantilena infinita. Credo fossero maledizioni.. o forse riti funebri. Uno vale l’altro.
La guardavo sconcertata.
«Cosa fa in camera mia?» sbottai, esasperata.
«Io scopare.» mi strozzai semplicemente con la saliva. Lei scopava? E doveva farlo in camera mia? Mi guardai attorno, non c’era traccia di uomini o di essere umani, tranne noi due e quell’energumeno di Harry. Mi chiesi, quindi, in che modo avesse potuto provar piacere e riflettendo, rabbrividii.
«Tu fare cosa?» la imitai con il suo pessimo accento.
«Io.. scopare.» ed indicò uno scopa appoggiata al muro. Le opzioni erano due: la scopa era l’oggetto del suo piacere o aveva spazzato. Optai per la seconda delle due, per pura convinzione personale.
«Oh, scopare. Capito. Ora, smammare.» la indicai la porta, non curante del minimo inglese conosciuto dalla donna, per poi afferrare la scopa e rifilargliela.
Quella comprese di essere di troppo e se ne andò, volgendomi ancora una volta il crocifisso contro.
Io odiavo i francesi.
«Insomma, ce l’abbiamo fatta.» sospirò Harry, sprofondando nel letto.
In preda all’ira, afferrai baguette e.. beh, Harry ebbe baguette per i suoi denti.
 
«Stava per picchiare una vecchietta con una baguette?» esclamò Louis che chiacchierava allegramente con Harry della pessima esperienza subita il giorno precedente attraverso una video chat su skype.
«Già. E poi con quella baguette c’ha picchiato me.» lo informò Harry, vittima delle mie violenze.
«Che ragazza aggressiva.» furiosa, spalleggiai Harry,facendolo cadere dal letto per occupare l’intera visuale della chat. Louis rise di quella mia reazione molto, come dire, pacata.
«Ti conviene tacere se non vuoi ricevere lo stesso trattamento di Harry.» lo avvertii.
«Cos’è a turbarti, piccola?*» gli rifilai un occhiata malevola, prima di zittire Harry che lamentava dolore a causa della caduta, per tornare infine a Louis:
«Primo: non chiamarmi in quel modo..»
«Già solo lui può.» mi prese in giro, pura allusione a Zayn.
«Già, solo lui. E poi.. Io odio la Francia, i Francesi, il tipo della reception, i tizi che bevono caffè, le vecchiette che amano i fiori, le ragazzine con gli ormoni a 3000, le cameriere che scopano, le baguette, Harry, i suoi ricci..»
«Capito, capito. Woho, odi un bel po’ di roba.» m’interruppe ridendo.
Arrossendo, capii di aver straparlato, forse a sproposito. D’altro canto, Harry e Louis erano i miei migliori amici, poco mi premeva tenere per me dettagli e farne dei segreti con loro, poiché mi conoscevano, avrebbero collegato il tutto, senza che io aprissi bocca.
«E’ insopportabile.» sentenziò Harry che riemerse dal pavimento e venne a sedersi al mio fianco, stampandomi un tenero bacio sulla guancia.
Sensi di colpa per averlo trattato male, venite a me.. naaah.
«Avanti, non deve essere stato poi tanto male.» rise, Louis.
«Infatti è stato peggio.» confermai, fiera. Harry si lasciò andare ad una risata, ormai arresosi. Non avrebbe più tentato di convincermi della bellezza di quel posto.
«Beh, manca poco. Domani tornate.» e alle parole del castano, io ed il riccio ci guardammo: ce n’eravamo totalmente dimenticati.
 
L’indomani, mi ritrovai a fingere di ringraziare Harry per l’emozionante settimana trascorsa. Dopotutto, gli ero grata per avermi permesso di comprendere una cosa: non odiavo Parigi, la detestavo.
Quindi, cari lettori, se mai vorrete viaggiare, andare all’estero, conoscere nuove culture e magari concedervi anche alla compagnia del/la vostro/a migliore amico/a ricordate: mai permettere a lui/lei di scegliere la destinazione o andreste incontro alla peggior settimana della vostra vita.
 

*Chiaro riferimento al nomignolo affibbiato da Zayn a Sam nella storia Scommettiamo. Ti piace giocare?
 
my space:
Okay, che ve ne pare? lol
Vi avevo avvertite che durante la stesura di nuove storie non vi avrei lasciate sole e beh.. questo è il risultato.
Spero vi piaccia.
Grazie a chi leggerà e apprezzerà.
Grazie a chi leggerà e mi manderà letteralmente a quel paese.
 
Bye girls.
Desi. xx 

 

  
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