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Autore: shadowsymphony    31/03/2013    1 recensioni
"Adesso mi odierai ogni volta che ti dirò 'va bene'?" chiese lei, sorridendo, appoggiando la testa al suo petto. "Potrei farlo" rispose lui, ridendo. "Ti odio" rise anche lei. "Capisco. Sfoga pure la tua rabbia su di me". "Allora preparati alla tortura" ridacchiò, e si alzò in punta di piedi per baciarlo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“ci sto” disse Gaga, sorridendo, poi rimise la testa sulla sua spalla. Chiuse gli occhi. Rimase così per qualche momento, senza preoccupazioni, finalmente tranquilla dopo tutto quel tempo; aveva quasi dimenticato quant’era bello stare tra le sue braccia. Erano quasi le sette di sera, ma c’era un silenzio strano; riusciva a sentire il suo respiro, le auto in lontananza, il rumore delle stoviglie dei vicini, persino il ticchettio delle lancette dell’orologio che Taylor aveva al polso. Si strinse di più a lui e sentì le maniche del golfino srotolarsi, e all’improvviso si ricordò che aveva addosso quei vestiti da uomo enormi… e doveva andare al ristorante. Vestita in quel modo. Senza trucco. “ma… non ho niente da mettermi per la cena” disse. Di solito passava ore a decidere cosa mettersi, ogni volta che andava a cena fuori con lui, e curava ogni minimo particolare – dai capelli, alle scarpe, ai gioielli. “non importa” sussurrò lui, girando la testa verso il suo viso. “ma non mi faranno entrare vestita così”. “fanno entrare me vestito come un barbone, di cosa ti preoccupi?” ridacchiò lui. Anche lei rise “dai… è per il mio compleanno… voglio essere per lo meno guardabile”. “e allora cosa facciamo?”. Gaga ci pensò su un attimo. “mmh… non puoi andare a comprarmi un vestito e un paio di scarpe decenti?”. “io? Sei fuori? Non me ne intendo di queste cose” rise Taylor. “daaaaaaaaaaaaaiiiiiiiiiii!! Dovresti almeno sapere la mia taglia e il mio numero di scarpe” sorrise lei “non dirmi che non li sai”. “li so, li so” annuì lui, e la baciò improvvisamente sulla fronte, poi la spostò delicatamente per alzarsi dal divano “va bene, dai, vado. Mi devo far perdonare in qualche modo. Però non ti arrabbiare se prendo un vestito che non ti piace”. “ooh grazie mille!” disse lei, felicissima, alzandosi dal divano insieme a lui. Si sentiva eccitata come una ragazzina con la madre, che accettava di comprarle quel bel vestito che tanto desiderava. Guardò Taylor mentre accendeva la luce della cucina e frugava nel suo zaino per cercare il portafogli. “no no no lo pago io, ti do la mia..”. “ma va! Faccio io, tu stai qui tranquilla, vado nel negozio qua…” indicò a destra, fuori dalla finestra “spero abbiano qualche vestito elegante”. “ma va bene qualsiasi cosa, basta che non sia proprio brutto brutto… e prendi assolutamente delle scarpe col tacco. Più alto è, meglio è”. “sì, miss! Faccio veloce, arrivo subito” e in men che non si dica, lo sentì correre giù per le scale. Aveva persino dimenticato di chiudere la porta, le chiavi erano ancora nella serratura. Aveva bisogno anche di qualcosa per truccarsi. Dalla porta socchiusa, sentì la vocina di Matthew e quella di un altro bambino. Provenivano dall’appartamento di fronte, probabilmente Judy abitava lì. Forse aveva un qualsiasi cosmetico, bastava anche solo un fondotinta. Uscì, fece pochi passi fino alla porta dell’appartamento dei Nolan, e suonò il campanello.

Taylor si guardò in giro, nel negozio pieno di luci. Non gli piaceva fare shopping, per niente, e soprattutto in un reparto di abiti femminili senza una donna al fianco. Si sentiva un pesce fuor d’acqua, tra tutti quegli strani capi d’abbigliamento. Davanti a lui, una rastrelliera piena di vestitini estivi a fiori. “ma chi diavolo li mette con questo freddo?” pensò, guardandoli senza interesse. “posso aiutarla?” sentì all’improvviso dietro di sé. La commessa lo stava guardando incuriosita. “ehm… sì… mi serviva un vestito, è per la mia… ragazza…” che strano chiamarla così di nuovo “un po’ elegante, per una cena”. “certamente. Venga da questa parte” e la commessa lo portò poco più in là. Appesi al muro, c’erano degli attaccapanni con dei vestiti eleganti. Erano indubbiamente molto belli, ma non aveva la più pallida idea di quale prendere. Ce n’era uno nero, senza spalline, lungo, con lo strascico che dal nero degradava all’arancione. Uno simile, ma tutto blu e con le spalline a catenella dorate. Si girò un attimo e vide, nella rastrelliera dietro, un vestito bianco che gli sembrava familiare. San Diego, agosto 2011, sulla spiaggia, di notte. La notte più bella della sua vita racchiusa in quei pochi metri di stoffa. “questo?” andò a tirarlo giù dalla rastrelliera. Spalline sottili, corpetto aderente, lunga gonna fluttuante. Era identico. “non è proprio adatto per una cena, ma potrebbe andare” disse la commessa. “prendo questo” disse, continuando a fissarlo. “taglia?”. “42. E… che scarpe possono andare bene con questo vestito?”. La commessa cercò sulla rastrelliera il modello con la taglia 42 e lo tirò giù; “mmh… tutte queste” indicò le scarpe su una mensola appesa alla parete dei vestiti. Taylor le guardò un po’ confuso. Posò lo sguardo su tutte le paia appoggiate sulla mensola: decolleté beige, nero, turchese, rosa. Quelle beige avevano un tacco stranissimo, stretto sulla base e larghissimo in fondo. “più alto è, meglio è” si ricordò, e controllò meglio l’altezza dei tacchi. Quelle nere erano vertiginose. Prese una scarpa e la guardò: il tacco era lungo come la sua mano. Ma come cavolo facevano le donne a camminare su quei cosi? Va beh, ne aveva viste anche di più alte ai piedi della sua ragazza, quelle sarebbero andate benissimo. “prendo queste”. “numero?”. “37”. Andò a pagare e si precipitò subito fuori dal negozio, sentendosi un po’ strano con quella borsa in mano. Mentre camminava verso casa, la aprì e tirò fuori il vestito. Lo guardò alla luce giallastra dei lampioni: era identico a quello che aveva indossato quella magnifica nottata. Si sarebbe accorta della somiglianza? Lo rimise nella borsa e si affrettò a tornare a casa.
Spinse la maniglia, la porta era aperta. La luce in cucina accesa. “eccomi!” disse. “sono in bagno, arrivo!” sentì. “ti ho preso il vestito e le scarpe, vieni a vedere se vanno bene”. Appoggiò la borsa sul divano, e la vide arrivare dal bagno a piedi nudi, in reggiseno, con i capelli raccolti e con in mano un tubo di fondotinta. “me l’ha prestato Judy, le ho chiesto se aveva qualcosa per truccarmi…” disse, e appoggiò il tubetto sul tavolo “allora?”. Quasi emozionato, Taylor aprì la borsa e tirò fuori il vestito bianco. “wow! Che bello!” senza lasciargli il tempo di dire una parola, il vestito gli fu strappato di mano “stupendo, grazie mille!”. Lo guardava quasi a bocca aperta, come una bambina davanti al suo regalo di compleanno. Che non era quello, però. Sorrise: non si era accorta della somiglianza col suo altro vestito bianco. “e anche le scarpe… era il tacco più alto che c’era” le porse le scarpe. Gaga le guardò per un attimo e poi le provò. “ti vanno bene?” chiese lui. “perfette!” esclamò lei, reggendosi al tavolo e alzando una gamba per guardarle meglio “magnifiche, grazie mille. Finisco di truccarmi e arrivo!” si tolse le scarpe e si precipitò di nuovo in bagno con il vestito in mano.


Immerse il pennello nel vasetto della cipria e poi lo passò abbondantemente sul viso. Quel rossore sulle guance non voleva saperne di scomparire. Passò il pennello dappertutto, anche sul collo, mise il mascara e poi si controllò di nuovo nello specchio. Sì, poteva andare, anche senza eyeliner. Si tolse i pantaloni e poi prese il vestito. Era molto simile all’abito bianco che aveva comprato qualche anno prima… l’aveva indossato quella stupenda serata di agosto 2011, sulla spiaggia di San Diego. Indimenticabile. Sicuramente Taylor l’aveva comprato perché gli ricordava quel giorno. Sorrise e aprì la cerniera sulla schiena, poi lo infilò e provò a chiuderlo, ma non ci riusciva. “T, mi aiuti col vestito, per favore?” chiese, aprendo la porta del bagno. “arrivo” e in pochi secondi se lo ritrovò davanti. Aveva in mano una collana e degli orecchini. “metti anche questi?” chiese. “ma da dove li tiri fuori, sei un gioielliere di nascosto?” rise lei, prendendo i gioielli e girandosi per fargli allacciare il vestito. “ho svaligiato Tiffany” ridacchiò lui, e le tirò su la cerniera, con un po’ di difficoltà. “ma che caz…” lo sentì mormorare. Tirò violentemente la cerniera e alla fine riuscì a chiudere il vestito. Lo sentiva molto attillato. “non hai preso una taglia troppo piccola?” chiese lei, un po’ agitata. “no, è la 42”. “beh fa niente, mi pettino e arrivo”. “fai con calma” sorrise lui. con calma. Era agitatissima in realtà. Chiuse la porta del bagno e slegò i capelli, e li pettinò con la sua spazzola che aveva lasciato a casa di Taylor qualche mese prima. Aveva forse lasciato lì anche qualcos’altro? Lasciò cadere i capelli sulle spalle e appoggiò la spazzola sulla mensolina vicino allo specchio. Frugò nella trousse di Judy e trovò un bellissimo rossetto rosso scuro, e lo provò: era perfetto, anche se forse contrastava un po’ troppo con la pelle chiara. Ma c’era solo quello. Indossò la collana con un pendente a forma di ala, e gli orecchini con la perla. Erano proprio stupendi. Ma quanti gioielli aveva Taylor, oltre a quelli che le aveva regalato? Aveva a casa sua un cofanetto strapieno di collane, braccialetti, orecchini, anelli… “ho svaligiato Tiffany”. Poteva benissimo averlo fatto davvero. Sorrise e si diede un’ultima controllata allo specchio. Spinse i capelli davanti e guardò il vestito. La gonna era morbida, arricciata poco sopra la vita, e le arrivava alle caviglie. Il corpetto era davvero stretto, però, e cercò di sistemarlo. Lisciò la gonna, sospirò, e uscì dal bagno. “eccomi, sono pronta” entrò in cucina, ancora a piedi nudi. Lui la aspettava vicino alla porta, con il casco in mano, e la guardò quasi estasiato. “sei stupenda” sorrise. “grazie” arrossì. Adorava i suoi complimenti, e le erano mancati così tanto. Infilò le scarpe e fece qualche passo. “fa freddo di fuori?” chiese. “non tantissimo, ma metti la giacca. Andiamo in moto”. Lo guardò, stupita. “ma… vestita così, in moto? Mi si rovina tutto, non posso mettere i tacchi”. “su, dai, non muori mica”. “no, no, no, no, ti prego!”. “dai! Quante volte sei andata sulla mia moto e non ti sei lamentata. Metti le scarpe normali e portati dietro i tacchi, li metti al ristorante” ridacchiò Taylor, aprendo la porta di casa. Gaga indossò la sua giacca e prese la borsa. “che palle che sei” si tolse le scarpe col tacco e, sbuffando, infilò le sue Converse e mise i tacchi nella borsa. Mentre era chinata ad allacciare le scarpe, lo sentì ridere ancora. “piantala o te la tiro addosso” lo intimò, prendendo in mano l’altra scarpa e mostrandogliela. “quanto siete complicate voi donne”. “… dai, andiamo!” esclamò lei, prendendo la borsa. Lo seguì giù per le scale, fino al garage. La sua moto era pronta vicino alla claire, lustra come uno specchio. “ci ho messo due ore, ma ne è valsa la pena” disse lui, accarezzando il sellino “beh, tieni” prese un casco appoggiato su una mensola lì vicino e glielo passò. La ragazza lo ispezionò, riluttante. “quanto odio questi cosi…” commentò, poi se lo mise in testa e lo allacciò. Taylor aprì la claire e portò la moto di fuori, poi la richiuse e aiutò Gaga a salire. Salì anche lui. “tieniti” si aggrappò alla sua schiena e poi partirono.

Raggiunsero il ristorante in dieci minuti. Parcheggiarono la moto davanti all’entrata. La aiutò a scendere e poi entrarono nel ristorante. “senti… io vado in bagno a mettermi le scarpe, tu chiedi un tavolo per due” disse lei appena entrati, e sgattaiolò via in fretta e furia. Taylor allora chiese un tavolo appartato per due e il cameriere lo portò in una saletta divisa dalla sala centrale. C’era un bel tavolo circondato da vasi di fiori, era tutto molto raffinato; non era mai stato in quel ristorante, ma ne aveva sentito parlare bene. Si sedette al tavolo, mentre il cameriere accendeva le candele e appoggiava i menù. Il ragazzo buttò un occhio verso la porta del bagno, dall’altra parte della sala, e poco dopo la vide uscire. Fece un segno con la mano per farsi vedere, ed eccola in men che non si dica seduta di fronte a lui. “scusa se ci ho messo tanto…” mormorò lei, prendendo il menù. “non ti preoccupare” disse lui. Lesse il menù e, ogni tanto, lanciò qualche occhiata verso di lei. Era stupenda. Sembrava passato un secolo dall’ultima volta che erano andati al ristorante insieme. Era quasi un’abitudine radicata, andavano almeno quattro sere a settimana a cena fuori. E lei era sempre così contenta di poter stare al tavolo da sola con lui, a parlare del più e del meno mentre aspettavano le portate. Ma quella serata era diversa, era la serata della riconquista. L’aveva appena ritrovata, non doveva lasciarla andare di nuovo. E l’anello in oro rosa aspettava di essere infilato al suo dito, chiuso nella sua scatolina di velluto, nascosta nella tasca intera della giacca. Era la serata giusta. Doveva essere tutto perfetto. Poco dopo arrivò il cameriere, chiedendo cosa volevano ordinare. “per me una pizza ai quattro formaggi” disse lui, dando il menù al cameriere. “benissimo, e lei signora?”. “lasagne, grazie” disse lei, e gli passò il menù. “arrivano subito” e il cameriere se ne andò. I due rimasero soli, nella saletta, divisi da un paio di candele rosse. La fiamma ondeggiava leggermente. Il parlottare della gente a tavola, il rumore delle stoviglie in cucina, i clacson delle auto di fuori… ma lì c’era un insolito silenzio. Gaga guardava verso la sala grande, immersa nei suoi pensieri. Perché era diventata improvvisamente così silenziosa? “cosa c’è?” le chiese. Lei sussultò e si giro verso di lui. “no no niente…” e abbozzò un sorriso. Aveva una mano sul tavolo, e gliela strinse.  

“allora, il mio regalo?” chiese Gaga, mandando giù l’ultimo boccone di torta. Era il dolce più buono che avesse mai mangiato, c’era dentro tanto di quel cioccolato! Ne aveva mangiate quattro fette. Leccò il cucchiaio, lo appoggiò sul piattino e poi alzò la testa verso Taylor, che la stava guardando con un sorriso enorme. “hai finito? Non ne vuoi un’altra fetta?” lui ne aveva mangiata solo una ed era rimasto a guardarla ingurgitare cucchiaiate su cucchiaiate di quella delizia ricoperta di panna. “sono piena. Allora, questo regalo!” lo incalzò. Era eccitatissima, nonostante fosse abituata ai suoi regali, che le arrivavano quasi ogni settimana. Ogni piccola sorpresa la faceva impazzire. Ma quello era il suo compleanno, e sperava le avesse comprato qualcosa di diverso dal solito gioiellino. “non qui. Voglio portarti nel posto giusto” disse lui, misterioso. “ma lo voglio adesso!”. “non fare la bambina capricciosa! Aspetta un attimo. Paghiamo, usciamo, e ti porto là non è lontano” e si alzò dalla sedia. Lei lo guardò, un po’ imbronciata. “beh, tu paga, io vado a cambiare le scarpe” e andò in bagno. Si chiuse in una toilette e cambiò le scarpe il più in fretta possibile. Dove diavolo la voleva portare? Erano le dieci di sera, con quel buio e quel freddo… il vestito era troppo leggero. Infilò i tacchi nella borsa, indossò le sue scarpe e uscì dal bagno. Lo trovò sulla porta d’entrata. “andiamo” e la accompagnò di fuori. Si era alzato il vento. Le passò il casco. “ma dove andiamo?” chiese. “non ti preoccupare. È un posto speciale” la aiutò a salire sulla moto e subito sfrecciarono via.

In pochi minuti, grazie al poco traffico, raggiunsero il ponte sul fiume Chicago. Taylor parcheggiò la moto dentro la zona pedonale su un lato del ponte. Aiutò Gaga a scendere. Il ponte era completamente vuoto, non ci passava sopra neanche una macchina. I lampioni lanciavano una luce biancastra su di esso, illuminandolo a sprazzi; non c’era la luna quella sera. L’ultima volta che erano andati lì insieme era stato qualche mese prima, quando il ponte era circondato da turbinii di neve e illuminato dalla luna. L’aveva portata lì per fargli vedere la città da una “diversa prospettiva”, e si era subito innamorata di quel posto. Il fiume che gorgogliava leggermente sotto di loro la affascinava. Erano così vicini all’acqua, li separavano soltanto una ringhiera e una ventina di metri. Era una strana sensazione.

“è qui?” chiese, stringendosi al suo braccio. Il vento freddo la fece rabbrividire e si strinse ancora di più a lui. “si sì. Non è proprio la nottata adatta ma… va beh” e le prese la mano “vieni”. La portò poco più in là, proprio sotto a un lampione. Una macchina sfrecciò a pochi metri da loro.

“ok, basta. Ho capito che per te sono stronzate, ma non cambio idea”

La guardò alla luce quasi spettrale del lampione. Sentiva le sue mani tremare, chiuse nelle sue, sudate. Il cuore gli batteva forte; doveva dirle solo due parole.

“e allora d’accordo, facciamola finita”



scusate il tremendo ritardo, ma per 2 settimane non ho avuto la più pallida idea di cosa scrivere. lo potete notare dalla ECCEZIONALE credibilità di questo capitolo, che ho scritto in 5 ore tutto d'un colpo, dal nulla. mi scuso ancora. comunque preparatevi per il prossimo e per l'altro, avrete due sorprese (beh una forse l'avete già capita) :)
   
 
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