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Autore: rekichan    19/10/2007    4 recensioni
Chissà cosa lo aveva spinto a credere che gli Uchiha fossero tutti uguali.
Lo avrebbe dovuto comprendere subito che Obito, col suo sorriso incancellabile, perfino nella morte, aveva costituito una tanto improbabile quanto meravigliosa eccezione.
Così come doveva comprendere che quel ragazzino dagli occhi neri e il broncio sul volto non sarebbe mai stato come lui.
E non avrebbe più riso, perché le risate dei bambini, quelle che si rompono e si trasformano in etere fate, si erano perse per strada allo svoltare dei suoi sette anni.
No.
Decisamente, a Kakashi, quel Sasuke adolescente non piaceva.
Forse, perché erano troppo simili.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kakashi Hatake, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Eccomi col primo capitolo^^. Come al solito, scrivere KakaSasu è un travaglio XD!

Interamente dedicato alla piccola Linnie che suda sui libri.

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Oh, where have you been my blue-eyed son?

I’ve been out in front of a dozen dead oceans.

I passi erano leggeri e inudibili, come solo quelli di un ninja - o di un gatto - potevano essere.

Le pareti in carta di riso sembravano, tuttavia, frusciare al suo passaggio, staccandosi dall'impalcatura in legno che il passare del tempo aveva deteriorato.

Fuori, il sole, cocente e impietoso, causava l'essiccamento delle piante del grande giardino che circondava la tenuta.

Una volta, quel giardino era stato florido e curato, ora era solo un mucchio di sterpaglie incolte.

Foglie secche. Foglie morte.

Come i suoi abitanti.

Scostò una ragnatela - l'ennesima - incurante della fatica e della dedizione del ragno nel tesserla.

Di fronte a lui, solo polvere.

E sangue.

E ancora polvere, in un parodico sovrapporsi continuo dei due strati: uno visibile [polvere], l'altro celato [sangue].

Attraversò la casa. Immobile. Eccetto il fruscio dei suoi passi e il segno delle impronte lasciate dai propri sandali. Linee parallele, come quelle di qualsiasi altro ninja.

Perché, in fondo, essere ninja voleva dire essere tutti uguali.

Peccato che non ci fosse nulla di più falso.

Peccato.

Già.

Di fronte ai suoi occhi stanchi, infine, ecco il pontile. Quel pontile dove tutti gli Uchiha avevano eseguito per la prima volta la Palla di Fuoco; quello stesso pontile dove, adesso, sedeva un bambino.

Le gambe sporgevano dal bordo del ponte, ciondolando distrattamente e lo sguardo era fisso sull'acqua, incentrato sulla visione di un mondo che gli adulti non potevano vedere. Un mondo fatto di sangue, di vendetta, di rabbia e di amore represso.

Un mondo che, per gli adulti, non era visibile perché troppo abituati a viverci.

Lo guardò. Osservò quel piccolo fanciullo di fronte all'acqua.

La schiena esile appariva ancora più magra a causa della maglietta larga con lo stemma del suo clan; il capo chino e i corti capelli bruni scompigliati. Sporchi.

Gli si avvicinò. Era suo dovere portarlo via da lì.

Un bambino solo non poteva prendersi cura dell'intero quartiere Uchiha che, ad un anno di distanza dalla tragedia che aveva colpito il Clan, era caduto completamente in rovina.

Doveva portarlo via.

Dove, non lo sapeva: era compito dell'Hokage preoccuparsene.

Ora che ci pensava, neanche l'essere lì era affar suo. C'erano ninja specializzati nel trattare con mocciosi rimasti orfani.

Se li ricordava bene, quei ninja vestiti di bianco che arrivavano e ti portavano via, se non eri in grado di cavartela da solo. Dove, poi, era tutto da vedere.

In fondo un ninja, o un aspirante a diventarlo, dovrebbe cavarsela da solo sin dalla più tenera età.

Dovrebbe, ma come si può pretendere da un bambino di otto anni la piena autosufficienza?

Si può, se sei un ninja.

Scosse il capo; la maschera da gatto dell'uniforme ANBU gli coprì il viso.

Evitare. Il. Contatto. Diretto.

Non era necessario.

Non doveva essere necessario.

Quella creatura sul pontile, era solo un ninja.

Non un bambino rimasto orfano.

Gli si avvicinò.

«Uchiha Sasuke?»

Il bambino voltò lentamente il capo.

Gli occhi scuri erano gonfi per il pianto; arrossati dalle lacrime e lucidi per le stesse.

Ma tirò su col naso, e annuì.

«Non puoi restare qui da solo. Sei piccolo per prenderti cura della tenuta degli Uchiha.»

Era panico quello riflesso nello sguardo del bambino? Kakashi decise di non interpretarlo come tale, così come evitò di notare le guance rigate dal pianto, il musetto sfatto e le occhiaie.

«Non sono piccolo. Sono un ninja.»

La voce era infantile e timida, quasi il pronunciare quella frase servisse solo a celare una verità che Sasuke stesso voleva ignorare.

Troppo incerto, per essere ancora considerato un adulto.

«Sei un bambino. Studi all'accademia.»

Il paradosso.

Era abbastanza ninja per lasciare tutto senza fare una piega, era troppo bambino per far sentire le sue ragioni.

La vita, a volte, è ingiusta.

Eppure, il fatto che lo sia con tutti, permette agli uomini di godere di un malsano senso di giustizia quando al vicino accade disgrazia peggiore di quella successa a noi.

«Sta andando tutto in rovina, Sasuke. Non ce la puoi fare. Devi lasciare il quartiere Uchiha.»

Sasuke strinse i piccoli pugni, le nocche sbiancarono.

Piccoli tagli sulle dita infantili; qualche callo di troppo per la sua giovane età.

Kakashi osservò le ginocchia [sbucciate] e quelle mani [irritate].

Mani che avevano conosciuto la fatica.

Mani che, per giorni e per notti, avevano tentato di pulire, sistemare e restituire dignità al luogo dove, un tempo, era vissuto il clan più potente di Konoha.

«Io posso farcela. Non sono piccolo. Non lo sono. No.»

Quanta decisione, in così tenera età; o forse si sarebbe dovuto parlare di testardaggine.

«Non lo sono. Sono un ninja io.»

Ma se non hai saputo neanche aiutare i tuoi genitori?

«Sono forte.»

Ma se fino ad un momento fa, piangevi?

«Posso farcela.»

Ma se non riesci neanche a pulire tutta la tua casa?

«Non piango.»

Ma se hai ancora gli occhi rossi?

«Non sono più un bambino.»

Tragicamente vero.

Sasuke tirò su col naso, Kakashi sospirò di fronte a quel bambino che aveva cessato di essere tale.

«Itachi tornerà. E io...io lo ucciderò. Io posso ucciderlo. Lo ha detto lui che se mi alleno posso diventare più forte e lo potrò uccidere. Posso riuscirci. Se lo ha detto lui, posso riuscirci, perché Itachi...- deglutì a quel nome - Itachi non mi direbbe mai una bugia.»

Quanta fiducia, ancora, nelle parole del fratello maggiore.

Tanta, forse troppa.

Kakashi trattenne il gesto [superfluo] di scompigliare [patetico] i capelli del bambino [un adulto non ne avrebbe avuto bisogno], limitandosi ad annuire con un cenno del capo e andarsene.

Quella sera, Kakashi Hatake avrebbe annunciato che il piccolo Sasuke era perfettamente in grado di gestire la propria vita da solo, non per nulla era un Uchiha.

Quella sera, Sasuke Uchiha si svegliò per colpa di un brutto sogno: quello stesso incubo che lo tormentava da un anno, in cui Itachi uccideva tutti, ma proprio tutti-tutti, lasciando solo lui in vita.

Però, quando corse in camera del fratello per cercare conforto, la trovava vuota e immacolata.

Allora si ricordava che l'incubo era vero e si accucciava lì a piangere, sotto il futon del suo stesso obiettivo.

Kakashi lasciò il bambino nella casa dei fantasmi.

In fondo, non era altro che un fantasma lui stesso.

Si pentì di essere andato lì.

Non vi abitava nessuno, ormai.

Quella notte, non pioveva.

Kakashi tratteneva un sospiro e, forse, una risata, ogni volta che lo osservava spalancare, a fatica, quel bambino non riusciva ancora ad arrivare bene alla maniglia che separava la casa dal resto del villaggio.

Sì, perché il quartiere Uchiha non poteva mischiarsi col resto di Konoha.

Loro erano ninja d'elité, uno dei clan più antichi e prestigiosi della Foglia, nonché amministratori della giustizia all'interno del villaggio stesso.

Ironico che uno dei mukenin di classe S più ricercati e pericolosi provenisse proprio da quella famiglia che, ormai, non era più tale.

Perché il prestigio [distrutto] di un Clan [morto] ricadeva sulle spalle di un membro troppo giovane [debole] per portare quell'oneroso peso.

Però il bambino, dopo i primi, difficili tentativi, si alzava sulle punte dei piedi e riusciva finalmente ad afferrare la maniglia del portone.

Quando vi riusciva, sorrideva soddisfatto, ma era solo per un attimo.

Ritornato serio, si guardava attorno, timoroso che qualcuno lo avesse colto in fallo ad alzarsi sulle punte.

Perché quando mai si è sentito di un Uchiha che fatica ad aprire la porta di casa?

Prima non aveva mai avuto problemi, ma a quel tempo c'era la zia Uruchi che gli apriva il portone, quindi non si notava che era proprio così tanto basso.

Itachi non aveva mai avuto problemi. Neanche ad otto anni.

Lui era sempre stato alto [superiore].

Quando si rendeva conto di essere solo, ma proprio solo solo, allora si metteva il cuore in pace ed entrava.

Kakashi, a quel punto, scuoteva il capo e si allontanava da quell'abitazione dove abitava solo un bambino ostinato che faticava perfino ad aprire la porta di casa.

Oh, where have you been, my darling young one?

I’ve been ten thousand miles in the mouth of a graveyard.

Kakashi andava ogni giorno alla tomba di Obito.

Ogni giorno, costantemente, si piazzava in piedi di fronte alla lapide di marmo.
Accarezzava il nome con un dito, alzava il coprifronte e cominciava a parlargli, come se, in quel modo, con il roteante occhio carminio visibile, l'amico lo avesse potuto sentire.

Non si preoccupava di guardarsi attorno per verificare di essere da solo.

Nessuno sarebbe mai andato a quel monumento a piangere per Obito o per alcun altro morto.

Nessuno.

Kakashi [sapeva] era [di essere] solo [l'unico].

Come se gli altri non avessero morti.

Quella non era una casa.

Era un cimitero e Sasuke se ne rendeva conto ogni giorno di più.

Morti gli zii.Si

Morti i nonni.

Morti i genitori.

Morti. Tutti morti quelli che lo salutavano mentre percorreva, ostinatamente [per quanto ancora?], le vie del quartiere Uchiha.

E lui, rispondeva a quei saluti.

In fondo erano lì.

Gli parlavano.

Sussurravano al suo orecchio.

Invocavano vendetta.

Perché non avrebbe dovuto rispondergli, se erano così innaturalmente vivi?

Quel giorno non era solo, al cimitero.

C'era un'altra persona, di fronte alla lapide.

Kakashi storse il naso, quasi infastidito da quella presenza che andava ad interferire con la propria visita giornaliera.

Ciò nonostante, si avvicinò, sovrastando con la propria ombra la figura del bambino accucciato di fronte alla lapide; gli occhi neri fissi su di essa.

«Ehi, bimbo. Che ci fai qui?»

Il bambino alzò lo sguardo, degnandolo appena di un'occhiata vacua, per poi tornare a fissare gli eleganti [ma affollati] ideogrammi.

«Non è posto per i bambini, questo.»

Non è posto neanche per gli adulti.
«Sono morti tutti per il villaggio.»

Constatazione priva di qualsivoglia intonazione.

Era una semplice presa di coscienza dei fatti.

«Sì. Sono degli eroi.»

«Degli eroi morti di cui nessuno si ricorda. La gente si ricorda solo quello che le fa piacere.»

Kakashi schioccò irritato la lingua, poi spostò lo sguardo sul ventaglio che, bianco e rosso, svettava nel blu notturno della maglietta del piccolo.

«E i morti non fanno star bene. Per questo si dimenticano.»

Un simbolo pesante per quelle spalle fragili, dopo solo un anno.

Troppo.

Il bambino si alzò, scuotendo il capo.

«Che morte stupida.»

Quanta amarezza [e orgoglio] in quella frase.

«Morire e diventare solo un nome su una pietra. Non si ricordano i morti, solo gli assassini.»

Il nome di Itachi era ancora sulla bocca di tutti.

«Io non voglio morire come uno stupido.»

«Preferisci essere ricordato come un assassino?»

Kakashi non ottenne risposta, ma nel torcersi del labbro inferiore del bambino, gli parve di scorgere un muto diniego che, però, non giunse alla bocca infantile.

«Io lo ucciderò.»

Quella frase, pronunciata con una determinazione già raccapricciante per un adulto, diventava ancora più raggelante in quanto proveniente da un bambino.

Kakashi lo osservò lanciare un'ultima occhiata [sprezzante] alla lapide, prima di avviarsi lungo il sentiero di terra battuta che conduceva al villaggio.

I cimiteri, rifletté, non dovrebbero esserci, portano solo lacrime.

Anche il cielo, ora, stava piangendo.

And it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard, it’s a hard,
It’s a hard rain’s a-gonna fall

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Angolino di risposta:

Ainsel: we, nee-chan! Le KakaSasu devono diventare universali*-*! Ovviamente XD! Kakashi...mah, è Kakashi! Comunque, come hai visto, riesco comunque ad aggiornare*O*! E ricordati che un giorno dobbiamo uscire assieme XD!

Kira 7: io Sasuke lo adoro ç_ç! E' il mio alter ego cartaceo, non potrei mai volergli male, anche se lo faccio stare di merda. Spero ti piaccia anche questo capitolo.

Ross: mamma*-*! Ricevere le tue recensioni fa sempre piacere! E, beh...Kakashi è Kakashi e mi dispiace non riuscire mai a trattarlo degnamente, a mio parere ç_ç, quindi mi ci impegno più che posso.

darkrin: oh, una convertita*-*! spero che tu continui a seguire le KakaSasu perchè meritano tutte, anche solo per la coppia! sì, la seconda parte del capitolo è, effettivamente, più pesante, ma l'effetto voluto era quello XD!

Evilinnie: Linnie, tesoro. Visto? Ho aggiornato ambo le fanfiction^^. Soddisfatta? Un bacione grande >*<

Kasumi_love: un'altra convertita*-*! Diffondete il verbo, ragazze, diffondete!

Rukia: Ho aggiornato un pò tardi, ma spero che il risultato sia di tuo gradimento ù_ù

   
 
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