Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    01/04/2013    2 recensioni
Che cosa sarebbe successo a tutti loro? Potevano continuare a proteggersi a vicenda?
In poche ore gli uomini di Mustang ricevono l'ordine di trasferirsi negli angoli più pericolosi del paese: gli scacchi vengono allontanati dal loro re.
E' il pedone che, in poche ore, deve fare i conti con le paure e i dolori della separazione e alcuni tremendi sospetti; perché ogni pezzo è indispensabile alla vittoria finale.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Central City sembrava così diversa di prima mattina: silenziosa e con le strade deserte, restia a svegliarsi quasi fosse consapevole che quel giorno si sarebbero verificati eventi che l’avrebbero cambiata totalmente.
Fury percorreva le strade di periferia cercando di tenersi nascosto. Si rendeva perfettamente conto di dare nell’occhio con lo zaino e il suo cappotto, teoricamente bianco, pieno di fango, macchie e strappi; per non parlare dei suoi capelli sporchi e arruffati e del viso tirato e con quei due vistosi cerotti.
Era stata una settimana di viaggio estenuante: purtroppo la sua nuova condizione di disertore non gli aveva permesso di prendere le vie più rapide e agevoli ed era dovuto ricorrere a strade secondarie e orari a volte improponibili; diversa parte del percorso era stato costretto a farla a piedi.
Essere giunto a Central City gli sembrava un sogno che si avverava: lui e i suoi compagni erano più vicini che mai. La squadra era in qualche modo riunita.
Certo, il sottotenente Havoc ormai era distante ad est, in parte al sicuro da quanto stava per succedere. Ma Fury sapeva che il suo biondo compagno era vicino a loro, come era stato vicino a lui in quella dannata trincea, anche se per il primo periodo non se n’era reso conto. Aveva combattuto con lui e per lui.
Con questo pensiero arrivò al posto dell’appuntamento: un vecchio capannone in disuso in una zona periferica della città. Tirò fuori la sua M5 e aprì un lieve spiraglio nel grosso portone: sembrava tutto deserto, in regola. La prudenza gli fece fare un rapido giro di perlustrazione, ma pareva che nessuno ci avesse messo piede da mesi. Si concesse un sospiro di sollievo e si sedette sul pavimento, poggiando la schiena su una grossa cassa di legno.
Era ancora presto per l’incontro, fissato nel pomeriggio. Tirò fuori dal suo zaino il panino che gli era avanzato dalla sera precedente e fece una rapida colazione. Negli ultimi giorni erano pochi i pasti decenti che aveva potuto fare ed era sicuro che in tutti quei mesi aveva perso parecchio peso. Non si guardava allo specchio da un sacco di tempo, ma forse era meglio così.
Con un sospiro si strinse nel cappotto e decise di prendersi qualche ora di sonno: il colonnello avrebbe avuto bisogno di uomini freschi e lui aveva decisamente bisogno di dormire.
 
Erano le due del pomeriggio quando Riza Hawkeye arrivò davanti al capannone. Sapeva di essere in anticipo, ma si era data un certo margine di tempo per depistare eventuali nemici.
Fortunatamente Black Hayate non dava segni di irriquietezza e sembrava che la situazione fosse sotto controllo. Tuttavia, dopo qualche secondo che furono davanti all’ingresso, il cane iniziò a grattare con impazienza alla porta emettendo uggiolati.
“Cosa c’è?” mormorò il tenente accarezzando la testa dell’animale.
Prese la pistola e aprì delicatante uno spiraglio nell’ingresso, pronta a fare fuoco. Black Hayate, appena riuscì a passare, corse come un matto all’interno dell’edificio: non sembrava arrabbiato, ma solo incredibilimente eccitato.
“Hayate!” lo chiamò la donna con un bisbiglio, ma il suo animale sembrava fuori controllo.
Chiudendo la porta alle sue spalle, si mise a seguirlo finchè non lo vide scomparire dietro una cassa.
“Si può sapere cosa…” iniziò, ma poi si inginocchio per bloccare il cane che stava entusiasticamente tirando con i denti la manica del cappotto di Fury.
“Sssh, buono! – sussurrò il tenente – Non fare troppo rumore”
Il cane sembrò finalmente reagire al comando della sua padrona e si calmò, limitandosi a sdraiarsi con soddisfazione accanto al suo compagno di giochi umano, profondamente addormentato, e a leccargli la mano.
Riza rimase in ginocchio accanto a Fury, notando con dolore come la guerra avesse lasciato dei profondi segni sul viso del soldato. Non erano i due grossi cerotti, ma la sua espressione nel dormire che non riusciva ad essere del tutto rilassata ma con una lieve angoscia: la stessa che aveva lei quando a Ishbar si addormentava consapevole che il giorno dopo sarebbe riniziato tutto daccapo.
“E’ tutto finito, piccolo soldato - sussurrò con delicatezza – Non sei più in quel posto di morte”
Posò il palmo della mano su quella guancia pallida e sporca e quasi d’istinto, il giovane inclinò la testa verso quel contatto, emettendo un lieve mormorio.
“Sssh, da bravo, puoi ancora dormire – mormorò accarezzandolo sulla tempia – Non aver paura, ci sono io a proteggerti”
Avrebbe voluto indurlo a sdraiarsi, ma aveva timore che muovendolo troppo da quella posizione seduta l’avrebbe svegliato, privandolo di sonno prezioso. Si sedette accanto a lui e gli fece posare la testa sulla sua spalla per evitare che ciondolasse troppo facendosi venire un brutto torcicollo. Vide che Black Hayate si era accucciato tra loro due e con pazienza si dispose ad aspettare, assaporando quella profonda, inaspettata quiete prima della tempesta.
 
Fury aprì gli occhi dopo circa un’ora. In un primo momento sentì che la sua testa poggiava su qualcosa di morbido e pensò al suo zaino: si strofinò leggermente contro quel tessuto ma ebbe la strana sensazione che ci fosse qualcosa di diverso.
“Ben svegliato, sergente maggiore” disse una voce accanto a lui.
Guardando verso il basso vide Black Hayate sdraiato con il muso sopra la sua gamba. Improvvisamente gli arrivò l’intuizione e alzò la testa.
“Tenente! – esclamò arrossendo e rendendosi conto che aveva dormito appoggiato alla sua spalla – Io… io… mi scusi! Non mi sono reso conto…”
“Stai tranquillo, Fury – sorrise la donna stiracchiandosi – eri così esausto che non ho voluto svegliarti prima del tempo.”
“Sì, ma ho dormito sulla sua spalla… non è una cosa che avrei dovuto…”
“E’ tutto a posto, davvero. Con la testa a ciondoloni rischiavi un torcicollo”
“Non mi sono accorto di niente: ero proprio fuori combattimento” sospirò rassegnato
“Eri semplicemente stanco, dopo tutto quello che hai passato – disse il tenente con tono pratico. Poi lo guardo e sorrise – Sono felice che tu sia sano e salvo”
“Sono felice pure io di vederla, signora. – sorrise lui di rimando, poggiandosi di nuovo contro la cassa – E’ come le avevo detto: quando il colonnello ci avrebbe richiamati saremo stati di nuovo tutti insieme”
“Eh sì”
I loro occhi si incontrarono e Fury si sottopose a quello sguardo indagatore che scrutava la sua anima. Sapeva benissimo che il tenente stava cercando di capire se lui aveva mantenuto la sua promessa.
“I primi tempi – disse, senza smettere di guardarla – ho creduto che non ce l’avrei mai fatta. Era come essere perduto in un limbo di dolore che ti fa dimenticare il motivo stesso per cui vivi”
“Oh Fury…” sospirò lei
“Sei lì, in quella trincea, a chiederti se le prossime ore saranno le ultime, se la prossima granata ucciderà anche te. E la cosa terribile è che dopo un po’ non te ne importa nemmeno… in fondo è un modo come un altro per far smettere quella follia. Ne muoiono tanti accanto a te, cosa avresti tu di speciale per essere graziato?”
Il tenente lo guardava con gli occhi lucidi. Fury si chiese per un attimo se era il caso di smettere, ma se c’era una persona che aveva il diritto di conoscere quanto fosse profonda la sua ferita, quella era Riza Hawkeye. Ma non perché cercava in lei qualche conforto, o qualche miracolosa guarigione da quell’orrore: in fondo lui aveva vissuto la guerra da soldato di trincea, lei da tiratore scelto. Semplicemente era a lei che aveva promesso di non farsi annientare dall’orrore.
La donna gli prese la mano e disse
“Non sei mai stato sacrificabile” mormorò
“Adesso lo so… ma ho dovuto toccare il fondo prima di capirlo. – confessò, ricambiando la stretta e ripensando a quella notte di mesi prima e a quegli occhi azzurri che lo fissavano – E’ dura dirlo, ma stavo per venire meno alla promessa, signora. E’ stato grazie al sottotenente Breda che sono tornato alla vita… sentire una voce amica al telefono dopo settimane di trincea è stato come rinascere.”
“E’ perché siamo una squadra, Fury. L’hai detto tu stesso che vinciamo sempre insieme”
“Già. – sorrise – E da quel momento ho capito che non ero sacrificabile: non potevo fare un torto alle persone che amo e che voglio proteggere. Ho capito che stavo rischiando di morire, non solo fisicamente, ma anche in un modo più orribile, quello contro cui lei mi aveva messo in guardia. Stavo dando per scontata la morte delle persone intorno a me.”
Black Hayate si svegliò e vedendo che era desto pure Fury abbaiò felice e gli saltò in grembo.
Sorridendo il sergente accarezzò con la mano libera le orecchie del cane e disse
“Siamo soldati, è vero… ma siamo prima di tutto persone. E come tali proviamo sentimenti e abbiamo bisogno l’uno dell’altro, anche nei momenti peggiori. Non è giusto evitare di ricordare i nomi dei tuoi commilitoni solo perché da un momento all’altro potresti perderli; non è giusto lasciare un soldato a morire da solo, perché non c’è più niente da fare. Non è giusto rinunciare a me stesso… solo perché nella trincea è più facile dimenticare e lasciarsi andare. Io… io voglio continuare ad essere felice. E lo so che forse sembrano parole sconsiderate di fronte a tutti quelli che sono morti… ma forse è un torto più grande nei confronti della vita che ho ancora e che condivido con le persone che amo”
Black Hayate abbaiò con entusiasmo, quasi ad approvare le sue parole.
“Oh Fury, grazie davvero – mormorò il tenente prendendo la sua testa bruna tra le mani e posando la fronte contro la sua – hai mantenuto la promessa, piccolo soldato… e non sai che sollievo mi hai dato con queste parole”
Fury mormorò qualcosa, imbarazzato per quel gesto così improvviso. Per fortuna Black Hayate venne in suo soccorso spingendo con impazienza il muso tra le teste dei due umani, desideroso di attenzioni.
“E’ letteralmente impazzito come ha sentito il tuo odore” dichiarò il tenente alzandosi in piedi
“Anche io ho sentito la tua mancanza, piccolo – sorrise Fury alzandosi a sua volta con il cane in braccio – E scommetto che hai fatto buona guardia a tutti quanti!”
“E’ stata la migliore guardia del corpo che potessi mai volere”
“Signora – chiamò il sergente lasciando scendere il cane – è andato tutto bene? In questi mesi ho potuto parlare solo col sottotenente Breda e qualche volta con il maresciallo Falman… insomma, sapevo che eravate tutti vivi, ma…”
“E’ andato tutto bene – lo rassicurò – non è stato facile nemmeno per me e per il colonnello, ma ce la siamo cavata. In fondo non siamo mai stati veramente soli.”
Fury sorrise intuendo il sottinteso di quelle parole.
“E’ quasi ora di muoversi, vero?” chiese infine prendendo lo zaino
“Sì, manca ancora Breda e siamo pronti ad andare”
In quel momento sentirono un rumore e si girarono verso l’ingresso, mentre il tenente metteva mano alla pistola. Ma subito sorrisero quando videro la robusta figura del sottotenente che entrava, quasi evocata dalle loro parole.
“Sottotenente!” esclamò Fury con gioia, correndo incontro al compagno.
“Dannazione, ragazzo, sei proprio impresentabile – sghignazzò Breda arruffandogli i capelli – avresti bisogno di una bella doccia”
“Non ne ho avuto occasione!” sorrise il sergente alzando le spalle
“Questa volta passi – annuì l’uomo prendendolo per il mento e fissandolo – Niente di grave questi due cerotti, vero?”
“Solo tagli superficiali”
“Ottimo. Allora signora, - si rivolse alla donna che li aveva raggiunti – è un piacere rivederti”
Riza sorrise mentre si sistemava la giacca e prendeva in mano il fucile
“Domani le cose si metteranno in moto – disse – Facciamo ciò che dobbiamo, sottotenente Breda, sergente Fury…”
“Smettila con questa storia del sottotenente – sorrise Breda – Adesso sono solo un normale disertore”
Fury sospirò a quell’affermazione: adesso iniziavano i guai grossi
“Le cose si fanno torbide” esclamò rassegnato.
Riza si voltò verso di lui e sorrise
“Quando sarà tutto finito, il colonnello dovrà prendersi le sue responsabilità”
Fury non potè fare a meno di ricambiare il sorriso, pensando che iniziava la vera missione: adesso era quasi tutto a posto in quanto era con i suoi compagni e avrebbe agito insieme a loro, come era giusto che fosse.
Tre disertori e un cane uscirono dal capannone per andare a incontrare il loro re.
 
Il giorno dopo un furgone dei gelati procedeva ad alta velocità per le vie di Central City. Ma al posto di gelati trasportava un intero arsenale, un gruppo di disertori, un ostaggio e un cane.
Fury non potè far a meno di pensare che una scena del genere non poteva che avvenire con il colonnello.
Finalmente si sentiva al suo posto, con i suoi compagni, a fare qualcosa in cui credeva veramente.
Assieme al colonnello aveva ritrovato quella determinazione inossidabile che gli faceva salire l’adrenalina: la stanchezza gli era completamente sparita e si sentiva lucido e vigile, pronto a qualsiasi azione. Vedere il tenente di nuovo accanto al suo superiore era stata la ciliegina sulla torta: era quello il posto di Riza Hawkeye, non dietro all’homunculus King Bradley.
A proposito del comandante supremo, il suo sguardo si spostò verso la signora Bradley: ecco, forse quella era l’unica parte che gli dispiaceva davvero. Si capiva perfettamente che quella donna non c’entrava nulla con gli homunculus e che era totalmente ignara dei complotti sul paese. A Fury aveva fatto male vedere la paura nei suoi occhi: era sicuro che doveva essere una persona molto dolce e gentile e non meritava tutto questo.
“Fury, ho subito bisogno di un collegamento telefonico!” disse Mustang dal sedile di davanti, girandosi verso il restro del furgone
“Cosa? - sbiancò il sergente maggiore, rinsanvendo dai suoi pensieri – Ma signore, non ho niente con cui…”
“Ho detto che mi serve un collegamento” disse per la seconda volta il colonnello. Poi si girò, come se gli avesse ordinato la cosa più normale del mondo.
“Non… - balbettò Fury guardandosi intorno tra tutte le casse delle munizioni che stavano in quel furgone - … io non posso…” cercò disperatamente lo sguardo di Breda, ma ottenne solo un sorriso divertito
“Beh, ragazzo, questa è materia tua. – disse Breda – Io non ti posso proprio aiutare”
“Tieni sergente! – disse improvvisamente Rebecca, l’amica del tenente, gettandogli una grossa borsa – forse questa fa al caso tuo”
“Ma è una radio da campo! – si illuminò Fury – Funziona?”
“Ah non lo so… l’ho caricata all’ultimo pensando che poteva fare comodo.”
Al ragazzo tremavano le mani mentre tirava fuori dalla borsa quell’apparecchio. Erano mesi che non toccava più le sue amate radio, ma gli sembrava una vita. Emise un sospiro ansioso, chiedendosi se fosse ancora in grado di far funzionare quelle macchine, se le sue mani erano ancora in grado di fare quei lavori così delicati e sensibili.
“E’ quello per cui sei nato, – gli disse il tenente, girandosi verso di lui – non puoi averlo dimenticato. Ricordi che mi hai detto? Che non hai rinunciato a te stesso”
Fury annuì lievemente, trasse un lungo respiro e poi prese in mano la situazione
“Il segnale c’è ancora – annunciò iniziando ad accendere i vari meccanismi – ma devo assolutamente trovare una nuova sintonizzazione. Ho bisogno di un… di un… ehm, qualcuno ha un…” il suo sguardo cadde sulla signora Bradley
“Signora – chiese inginocchiandosi accanto a lei – potrebbe essere così gentile da prestarmi quella spilla che indossa?”
La donna lo fissò con aria interrogativa e a Fury ricordò sua madre, quando lui le chiedeva qualche attrezzo, come una forchetta o un ago da cucire che usava per i suoi esperimenti di elettronica. Fu quindi con naturalezza che le rivolse un sorriso carico di aspettativa.
La signora Bradley esitò per un istante e poi si slacciò la spilla, porgendogliela con mano tremante.
“Grazie mille, signora. Le prometto che gliela restituisco appena finisco!” esclamò.
Tornò quindi a lavorare alla radio:
 “Devo cambiare questi contatti… sottotenente, per favore, può passarmi quel pezzo di fil di ferro?”
“Allora Fury, come procede?” chiese il colonnello girandosi di nuovo.
“Cinque minuti e avrà la sua linea signore – disse subito senza distogliere l’attenzione dal lavoro che stava eseguendo – ma dobbiamo andare dove c’è un palo dell’elettricità. E’ necessario fare il collegamento da lì.”
“Perfetto. Hai sentito sottotenente Ross? Sai dove andare?”
“Certo colonnello!”
 
“Allora, come mi collegherò ci sarà solo da comporre il numero” disse Fury porgendo al sottotenente Ross la cornetta. Poi si avvicinò al palo dell’elettricità e dalla piccola cabina che stava alla base prese un grosso cavo e una strana cintura.
Mentre se la sistemava il colonnello si avvicinò a lui.
“Mesi in trincea non ti hanno fatto perdere il tuo talento, eh Fury?”
“A quanto pare no, signore” ammise sistemandosi in vita la cintura e assicurandola con un gancio al palo.
“Mi ricordo che tempo fa un sergente di mia conoscenza stava piagnucolando sull’utilità che poteva avere un esperto di comunicazione in una storia così grande” disse con un significativo sorriso.
Fury stava per iniziare l’arrampicata ma si fermò con un piede già piantato contro il palo.
“Sono stato uno sciocco, signore… - ammise rispondendo al sorriso – ma come vede sono arrivato in fondo alla scacchiera e ora posso dare il mio contributo allo scacco matto, come promesso.”
“Ah – annuì Mustang – ma un pedone non è un pezzo inutile?”
“Nessun pezzo è inutile o sacrificabile, signore: – dichiarò il sergente – e se mi hanno sottovalutato, tanto peggio per loro e meglio per noi.”
“Molto bene. – concluse il colonnello dandogli una pacca sulla spalla - Adesso procurami il collegamento radio”
“Subito!”
Facendo leva sugli appigli, si arrampicò con l’agilità di una scimmia fino alla cima del palo. Si concesse un secondo per assaporare la brezza fresca che gli investiva il viso e poi armeggiò con i cavi e alcune prese. Dopo qualche istante fece un cenno positivo e scese a raggiungere i suoi compagni.
Come si avvicinò al colonnello gli vide fare una faccia strana
“Havoc?” esclamò il suo superiore
Fury trattenne il respiro e per un attimo credette di essersi immaginato quel nome. Ma poi vide che anche Breda aveva la stessa espressione stupita: era proprio Havoc al telefono.
Dopo un secondo un sorriso gli apparve nel viso: adesso la squadra era davvero insieme.
“Ti pagherò appena ce l’avrò fatta. Aprimi un conto!” disse il colonnello
 
Finito il collegamento, mentre gli altri decidevano sul da farsi, provvide a smontare i cavi e a portare la radio dentro il furgone. All’interno vide la signora Bradley, seduta in un angolo con lo sguardo basso.
“Tenga signora – disse, avvicinandosi e porgendole la spilla – è stata veramente gentile a prestarmela”
La donna prese in mano il monile e sospirò
“Cosa accadrà adesso?” chiese
“Non lo so – ammise Fury – ma… vorrei davvero che lei credesse alle mie parole: il colonnello non le farebbe mai del male.”
“Credi che mio marito e mio figlio…” non riuscì a proseguire la frase e si mise il viso tra le mani.
A Fury si strinse il cuore nel vedere quella donna straziarsi per due homunculus che l’avevano usata in quel modo. Pensò a sua madre e all’amore infinito che provava per lui e per suo padre e l’idea che sentimenti simili potessero essere sfruttati così biecamente lo fece infuriare.
Si costrinse a ingoiare la rabbia e si inginocchio davanti a lei
“Posso immaginare la sua preoccupazione – mormorò – Ma sono sicuro che in questo momento anche suo marito e suo figlio saranno in pensiero per lei e certamente vorrebbero che fosse forte.”
La signora abbassò le mani e lo guardò con le lacrime agli occhi
“Glielo dico perché non vorrei mai vedere mia madre in queste condizioni… - continuò - vorrei che si facesse coraggio, per favore”
“E tua madre lo sa che sei qui, ridotto in questo modo?” gli chiese la donna sfiorandogli uno dei cerotti
“No - ammise Fury abbassando lo sguardo – non volevo si preocupasse…”
La signora sospirò
“Hai ragione, loro… loro mi chiederebbero di essere forte. Soprattutto Selim… oddio quanto vorrei che fosse qui per stringerlo a me! Il mio bambino!” singhiozzò
Fury si sedette accanto a lei e le passò un braccio attorno alle spalle, lasciandola sfogare
 “Andrà tutto bene, glielo prometto…” mormorò dopo qualche minuto
“Dopo che hanno tentato di ucciderci tutti… non dovresti fare certe promesse” disse tristemente
“Io invece voglio prometterlo… e farò di tutto per mantenere quanto detto”
“Si vede che sei un bravo ragazzo. – dichiarò la signora con un sorriso tirato – E’ da molto che non vedi tua madre?”
“Quasi un anno, ormai” sospirò Fury
“Quando tutto finirà, se andrà bene come dici… promettimi che andrai da lei e… e l’abbraccerai come solo un figlio può fare. Sono certa che anche se non le hai detto nulla, sarà stata molto preoccupata per te”
“Molto probabile, signora. E le prometto che appena posso tornerò a casa e farò quanto mi ha chiesto” sorrise
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath