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Autore: cherrycherry    21/10/2007    1 recensioni
Non fatevi ingannare dal titolo: questa fic è sì ispirata al libro di Charles Lutwidge Dodgson, ma in realtà la somiglianza dura solo fino ad un certo punto, in cui la trama si stacca completamente dalla favola conosciuta. (CAPITOLO QUINTO)
Qui Alice (si legge all'inglese) è una ragazzina di 15 anni del XXI secolo, dark e con una grande passione per il disegno, che segue un ragazzo vestito interamente di bianco per recuperare il suo blocco di schizzi finendo catapultata nel mitico Paese delle Merviglie...
BUONA LETTURA E UN BACIO A TUTTI, VECCH!!! (vi prego ditemi cosa ne pensate, anche se vi fa schifo!!!)
Genere: Dark, Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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“Salve!” esclamò il ragazzo avvicinandosi al signore vestito completamente di azzurro.
“Giorno!” fece Alice alle sue spalle.
L’uomo lanciò loro un’occhiata infastidita e borbottò: “Voi chi siete? Non vi ho mai visto da queste parti!”
“In effetti è da tanto che non ci vediamo...” rispose di rimando il più giovane.
Solo allora l’uomo parve capire. “Così sei tu! L’ultima volta che ti sei fatto vedere da queste parti, avevi un paio di orecchie assai ridicolo... E questa ragazzina sarebbe...?”
“Si.”
“Ah. Quindi state andando dalla Regina!”
“Non dalla Duchessa?” domandò Alice che di tutto quel discorso non ci capiva più nulla.
“Prima dalla Duchessa, e poi dalla Regina! -rispose il ragazzo seccato- Dicevamo?”
“Non hai proprio cuore, mio caro!”
“Non è questo il punto...”
“No? E quale, dunque?”
“Anche tu vuoi continuare a vivere in questo posto, giusto?”
“Eppure non credo che sia l’unico motivo per cui lo fai, dico bene?”
“Può darsi...”
Per un istante, ad Alice parve di vedere un accenno di sorriso seppur triste sul volto del ragazzo. Solo allora se ne rese conto: non lo aveva mai visto sorridere prima!
“Ebbene, cosa vuoi questa volta?”
“Una parte di fungo, una per tipo!”
“Serviti! Un lato per aumentare l’altezza e l’altro per diminuirla!”
“Un lato di che?” intervenne la ragazza sempre più confusa.
“Del fungo! -sbraitò offeso il signore in azzurro- È la terza volta che mi tocca ripeterlo! Vergogna! Tsk!” e si voltò senza più badare a loro per riprendere a fumare la sua pipa.
Così, il ragazzo prese due parti del fungo e se ne andò senza salutare.

“Scusa se te lo chiedo, ma di cosa stavate parlando prima?” chiese Alice seguendolo verso il folto del bosco.
“Nulla di importante...”
“In fondo un po’ mi dispiace di averlo fatto arrabbiare, quel signore...” continuò lei.
“Lascia stare: se la prende sempre per nulla!”
“E poi non è affatto vero che aveva detto tre volte del fungo!”
Il ragazzo non rispose nulla e continuò a camminare in silenzio per una decina di minuti fino a che i due si ritrovarono davanti ad una casa alta circa un metro e venti al centro di un piazzale. Probabilmente, se fosse stata della sua statura originale, pensò Alice, l’avrebbe trovata troppo piccola anche se ad abitarla ci fosse stato un bambino, ma visto che le sue dimensioni erano pari a quelle di un coccinella le sembrò spaventosamente grande.
“Tieni...” fece il ragazzo porgendole un confetto rosa, ma lei lo rifiutò voltandosi dall’altra parte.
“Non intendo più cambiare dimensioni! Sono stufa marcia di essere prima grande e poi piccola! Non ho alcuna intenzione di entrare lì dentro! No, no e no!!” protestò.
“Hai finito?” domandò educatamente l’altro aspettando che lei smettesse, mandandola ancora di più in bestia.
“Perché nessuno qui mi prende sul serio?! Perché non sono a casa, o a scuola o in un qualunque altra mazza posto lontano da qui?! AAARRRGH!!!”
“Fa’ come vuoi... Se cambi idea io sono nel giardino, quello dietro alla porticina, hai presente?” concluse ignorando la sua sfuriata e porgendole ugualmente il confetto. Dopo che Alice l’ebbe preso di mala voglia si diresse senza alcuna fretta verso la casa e vi sparì all’interno dopo una breve conversazione con una specie di valletto.
“Non mi importa nulla di seguirti! Me la so cavare benissimo anche da sola, sai?” urlò alla porta ormai chiusa. Ma in fondo non ne era poi così convinta!
Si sedette ostinata sull’erba a gambe incrociate, lo sguardo corrucciato e il confetto rosa stretto nel pugno.
“Non ho bisogno di nessuno, io!” ripeteva di tanto in tanto a mezza voce. Non si aspettava che l’avrebbe mollata lì veramente, e, poiché dopo alcuni minuti Alice vide che non arrivava nessuno, sconfitta, ingoiò il confetto e si diresse verso la casa.
Bussò con foga alla porta finché dalla soglia non apparve un uomo tarchiato con gli occhi grossi e dilatati come un brutto rospo.
“Desidera?” chiese gentilmente.
“Devo entrare. Dovrebbe esserci una persona che mi aspetta!” Rispose Alice senza riuscire a nascondere un po’ di stizza.
“Non credo! La Duchessa non attende nessuno ora, e chi attendeva è già arrivato e se n’è anche andato!” “Forse non stiamo parlando della stessa persona! Io devo entrare! Altrimenti non posso raggiungere il giardino!” “Perché no?” “Perché non so dove accidenti sia questo cavolo di giardino!” “E allora come pretendete di raggiungerlo?”
Lei fece per rispondere a tono ma un piatto volante tramortì il valletto colpendolo sulla nuca, così lei ne approfittò per entrare.
L’aria era così densa e calda che ad Alice venne meno il fiato e cominciò a tossire come se stesse per soffocare. Nel frattempo attorno a lei volavano padelle e posate, tanto vicine al suo viso che per poco non rischiò di essere colpita.
Senza preavviso si sentì afferrare per la vita e trasportare via, ma era talmente confusa e le bruciavano così tanto gli occhi, che non capiva più nulla. Sentiva un grugnito misto al lamento di un neonato in lontananza, poi più nulla se non il sole sul viso e il frusciare dell’erba. Eppure si ostinava a non voler aprire gli occhi.
“Alice! Alice! Acc... Alice!!!”
Mugugnò qualcosa e aprì lentamente prima un occhio e poi anche l’altro, trovandosi davanti al ragazzo vestito di bianco... o forse sarebbe più corretto dire che si trovava sotto a lui... ^///^
“Tutto bene?” la interrogò lui preoccupato.
“Si. Comunque sarebbe meglio se ti spostassi!” fece notare Alice sorridendo appena imbarazzata.
“Ha ragione lei! Quella posizione è un po’... equivoca!” suggerì una voce femminile poco distante.
Mia sorella la troverebbe perfetta per uno dei suoi amati dischi jazz, pensò Alice alzandosi in piedi aiutata dal ragazzo.
Era stata una giovane donna a parlare, vestita con un abito viola aderente e pieno di lustrini; i capelli, più lunghi davanti che dietro, erano corvini e tra le ciocche spuntavano due curiose orecchie grigie da gatto. Da dietro si poteva ammirare una lunga ed elegante coda dello stesso colore delle orecchie che ondeggiava morbidamente.
“In quella casa sono tutti matti! Avete visto la domestica? Non fa che lanciare pepe e stoviglie in aria! E il bimbo? Una cosa pazzesca: sembra un porcellino! Aah! -sospirò- Non credo che la Duchessa verrà alla partita di croquet quest’oggi, Bianconiglio caro!”
“Bianconiglio?!” le fece eco Alice senza capire.
“Sarebbe il mio nome...” borbottò il ragazzo offeso e imbarazzato distogliendo lo sguardo.
Alice non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere come un’ossessa. “Ahahahahahahaha!!! Bianconiglio! Ihihihihihihihihi!!! Che nome assurdo!!!!! Ahahahahahah!”
“Che maleducata a ridere come un’isterica del nome degli altri! Vabbè -sospirò ancora la ragazza-gatta con un gesto eloquente della mano dalle lunghe unghie affilate- io ora vado! Se mi volete sono alla partita di croquet in giardino! Byebye baby!” fece l’occhiolino e, così com’era venuta, sparì.
Intanto Alice seguiva il Bianconiglio che si era rimesso in marcia senza riuscire a smettere di ridere. Quando però lei si accorse della sua espressione rabbuiata smise e gli si parò davanti seria.
“Che c’è?” sbottò quasi seccata.
“Tsk! Cretina!” rispose il ragazzo senza degnarla di uno sguardo.
“Ehi, aspetta un attimo! Quella tipa con le orecchie strane scherzava prima, vero?”
“No, non scherzava! Si, ho un nome idiota! No, non mi fa ridere!” sbraitò scostandola per poterla superare.
“I-io... -la ragazza si sentiva davvero mortificata- non avevo capito... pensavo che fosse... che ne so, un soprannome per il modo in cui ti vesti! -altra gaff!- Cioè, no... non intendevo dire questo!”
“Parla meno e pensa di più, che magari la prossima volta fai una figura migliore!” ribatté secco lui interrompendo il suo balbettare...
Alice non si era mai sentita così in colpa e non sapeva come fare per scusarsi!


FINE TERZO CAPITOLO

  
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