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Autore: _Pocahontas_    02/04/2013    4 recensioni
Laura ha vent'anni e si è trasferita a Firenze per studiare medicina.
Matteo, è il ragazzo di Laura da ormai due anni, da quando quest'ultimo ha trovato il coraggio di dichiararsi e uscire dallo status di migliore amico.
E l'altro?
Christian è bello quanto arrogante e il suo stile di vita non segue certo le ligie regole di un monastero!
E se, per errore, i due avessero affittato lo stesso appartamento?
E se, entrambi non volessero rinunciarci?
Come sarà la convivenza tra i due?
E come la prenderà Matteo?!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Era lì, steso sul pavimento della camera da letto con la faccia rivolta verso destra, lasciando scoperto il profilo dai lineamenti dolci; Laura lo guardò impaurita, avrebbe voluto scappare urlando come la protagonista di qualche film dell’orrore, ma la curiosità di scoprire chi fosse, sembrava più forte.

“Attenta Laura, la curiosità uccise il gatto!”

Si dissi mentalmente.

Lasciò cadere l’ombrello e con mani tremanti, lo afferrò per le spalle larghe e fece forza, in modo da poterlo girare per guardarlo completamente; i capelli castani tendenti al biondo miele, gli ricadevano umidi sulla fronte a piccole ciocche, il naso era dritto e proporzionato, la carnagione scura, olivastra, le ciglia lunghe, la mascella squadrata era contornata da un accenno di barba, le labbra carnose erano semiaperte e da esso il fiato caldo, fuoriusciva regolare.

“E’ vivo!”

Pensò, lasciandosi sfuggire un sospiro di sollievo; nel suo curriculum, non avrebbe certo voluto inserire che, nel periodo universitario, era scappato il morto!

Gli occhi, le erano rimasti preclusi.

Passò ad osservare il fisico del ragazzo che giaceva ai suoi piedi; non era eccessivamente muscoloso, il ventre era asciutto e gli addominali poco evidenziati seppur presenti, piccole gocce d’acqua scendevano lente fino a fermarsi sulla concavità del suo ombelico.

“Ha fatto la doccia a casa mia?” pensò stranita, incurvando un sopracciglio verso l’alto.

Con gli occhi scese ancora più giù, verso il bacino stretto, incontrando la stoffa nera dei boxer.

Arrossì, dandosi dell’idiota; che diavolo stava facendo? Un uomo era entrato in casa sua e giaceva in mutande sul pavimento, per quanto ne sapeva, poteva trattarsi di un maniaco sessuale e lei, invece di chiamare la polizia, controllava la sua mercanzia!

-Uhm, che botta!

Mugugnò lo sconosciuto, strizzando gli occhi e passandosi una mano dietro la nuca.

Laura, velocemente, afferrò l’ombrello giallo che aveva precedentemente lasciato cadere per terra e lo puntò verso lo sconosciuto; se si fosse azzardato a fare una sola mossa sbagliata, glielo avrebbe piantato nelle palle come una bandierina colorata su di un sandwich.

-Ma che diavolo...

Il ragazzo, mosse velocemente le labbra lasciandosi sfuggire un’imprecazione, prima di contrarre il viso in una smorfia di dolore.

-Ehi, tu! Si può sapere che diavolo ci fai in casa mia e per di più in mutande?!

Esordì Laura in tono aspro.

Lo sconosciuto aprì gli occhi come scottato, sentendo la sua voce; due iridi di un color verde smeraldo, investirono Laura lasciandola senza fiato per qualche secondo.

-Casa tua? Ma che…

Alzò di poco il busto, reggendosi con le braccia appoggiate sul pavimento.

-Sei completamente fuori strada! E smettila di puntare quell’ombrello sui miei gioielli di famiglia! Io li uso e ti consiglio di fare lo stesso, saresti meno acida!

Il tono della sua voce, inizialmente allarmato, si era abbassato notevolmente di qualche ottava, diventando roco e sensuale.

-E tu smettila di fare il sex symbol dei miei stivali, ti faccio notare che non sei nella condizione giusta per farlo! Potrei farti diventare membro dei Village people da un momento all’altro!

Piegò le labbra in una smorfia, impallidendo leggermente e facendo correre una sua mano a proteggersi le parti intime.

-Ok, ok, hai vinto!

Disse, mostrando i palmi delle mani in segno di resa.

-Ma ora abbassa l’ombrello!

Laura lo fissò sospettosa, squadrando il suo viso con insistenza nella disperata ricerca di un qualche indizio che potesse incriminarlo; nonostante la situazione equivoca, non gli parve che lo sconosciuto potesse essere paragonato ad un delinquente, al massimo, poteva dubitare della sua moralità, visto il modo in cui si era rivolto a lei.

-Vestiti, ti aspetto in salotto!

Ordinò, con occhi accesi di determinazione e le labbra piegate in una smorfia infantile.

-Ti imbarazza vedermi in mutande?

Chiese lo sconosciuto, schiudendo le labbra in un sorriso sardonico.

Laura sentì le guance prendere fuoco; tutta la sicurezza ostenta fino a quel momento, sembrava vacillare sotto il suo sguardo divertito.

-N-no, ma sono fidanzata e a al mio ragazzo non farà certamente piacere sapere che ho conversato allegramente con uno sconosciuto in mutande!

Cercò di darsi un tono, per non apparire fragile e insicura.

In verità, non aveva la benché minima idea di raccontare a Matteo lo spiacevole episodio della mattina; conosceva benissimo il suo ragazzo e la gelosia quasi maniacale che ostentava verso di lei, come se in qualche modo potesse appartenerle.

Gli esseri umani, di fondo, non appartengono a nessuno, nemmeno a se stessi.

-Sei fidanzata? Peccato, non sei male!

Lasciò che i suoi occhi, scivolassero sulla figura di Laura; era una ragazza carina, forse troppo poco formosa per i suoi gusti, troppo esile e insignificante. Si soffermò ad osservare il viso dai tratti dolci: la carnagione chiara contrastava con i suoi occhi grandi, a mandarla, dal colore castano, intensi, sembrava quasi cioccolato al latte fuso, contornati da folte ciglia scure, le labbra carnose, il viso piccolo, incorniciato da una massa di capelli castani completamente lisci.

Laura ebbe la sensazione di essere nuda di fronte allo sguardo malizioso del ragazzo; non le piaceva il modo in cui la guardava, si sentiva esposta, come se quella in mutande fosse lei e non lui. Poteva vedersi addosso i suoi difetti, i suoi sbagli, completamente visibili ad altri occhi.

-Smettila di fissarmi a quel modo, maniaco!

Urlò, avvicinando di poco la punta di ferro dell’ombrello sulla carne scoperta del suo interlocutore.

-Piantala tu con quell’ombrello! Comunque, sono Christian, piacere!

Tese la mano verso di lei guardandola con un misto di determinazione, malizia e sincerità.

Laura fissò la mano per qualche secondo, era grande e affusolata; si domandò come potesse essere toccargli le mani, le immaginò morbide e calde.

Arcuò un sopracciglio, scacciando quei pensieri poco consoni alla situazione, e punto i suoi occhi in quelli di lui.

-Laura.

Disse in modo secco.

Christian ritirò la mano deluso; era la prima volta che una ragazza non si buttava ai suoi piedi cadendo vittima dei suoi occhi verdi e del suo sorriso malizioso.

Sbuffò infastidito, rivolgendole uno sguardo sprezzante.

-Mi spiace per il tuo ragazzo, sai? Devi essere proprio frigida tu.

Ora si che avrebbe voluto prenderlo ad ombrellate sulla testa fino a tramortirlo.

Laura si sentì profondamente offesa; chi era quel ragazzo per mettere il becco nella sua vita privata? Chi era lui per esprimere giudizi su di lei e sulla sua relazione?

Lo squadrò scettica, stampandosi un leggero sorriso sulle labbra carnose.

-Questa frigida sa amare e ha trovato qualcuno che la ama. Tu invece, dai proprio l’idea di essere un bel bambolotto senz’anima, bello certo, ma incapace di amare e di essere amato.

Christian sorrise, una punta di fastidio velata nello sguardo.

-Ti aspetto di là.

Mormorò, lasciando la stanza con un sorriso di vittoria stampato sulle labbra.

Aveva notato lo sguardo seccato che le aveva rivolto, nascosto sotto l’ombra di un sorriso tirato, quasi a dimostrarle che si sbagliava, che le sue parole non lo avevano toccato.

Si accomodò sul divano bianco in una posa rilassata, sul suo viso aleggiava un sorriso soddisfatto mentre si rigirava tra le mani l’ombrello giallo del vicino; doveva ricordarsi di restituirlo al legittimo proprietario, di certo non voleva passare per la ladra del condominio!

Immaginava già, i sussurri alle sue spalle e gli sguardi inquisitori che le sarebbero stati rivolti.

Erano passati ormai diversi minuti e di Christian nemmeno l’ombra, se non avesse sentito i rumori dei cassetti sbattere, seguiti da qualche imprecazione, avrebbe potuto pensare che si fosse dato alla fuga sgattaiolando fuori dalla finestra come un ladro.

Magari poi, lo era davvero.

In fondo, cosa conosceva di lui?

Sbuffò iniziando a giocare con una ciocca castana dei suoi capelli; era una cosa che l’aveva sempre rilassata, sin da bambina. Le piaceva arrotolarsi i capelli sulle dita, o tirarsi le doppie punte con le mani.

Poteva perderci delle ore, e non rendersene conto.

Girò lo taste verso la piccola finestra e si perse ad osservare il paesaggio; una leggera pioggerella aveva preso a scendere leggera, cadendo su tutto e su tutti, posandosi sulle macchine, sulle strade ingombrate dal traffico di mezzogiorno, sugli ombrelli colorati dei passanti, sulle case, i lampioni.

Sembrava scendesse anche nel suo cuore, riempiendola di malinconia e di una sensazione di vuoto che solitamente compensava con un po’ di coccole e una confezione di gelato al cioccolato per lei e Matteo.

Sorrise ripensando a quei momenti, a come il suo ragazzo le riservasse attenzioni ogni qual volta ne sentiva la necessità, di come la viziasse esaudendo i suoi capricci più superficiali, di come la abbracciasse, stringendola forte sul sofà, pulendole con dei teneri baci le macchie di cioccolato con cui si impiastricciava il viso.

-Ti piace la pioggia?

Sobbalzò di fronte a quella domanda improvvisa.

Puntò il suo sguardo sulla figura di Christian, anche da vestito, faceva il suo effetto; il jeans scuro gli cadeva morbido sui fianchi stretti, mettendo in evidenza le gambe muscolose, la camicia bianca, gli evidenziava il petto muscoloso e le spalle larghe. I capelli erano ancora umidi, e scendevano sulla fronte disordinati.

-Si

Mormorò, riportando il suo sguardo sui vetri appannati dalla pioggia.

-Preferisco il sole, la pioggia è grigia, cupa e trasmette sensazioni sgradevoli.

Laura si lasciò scappare una smorfia contrariata.

-Allora, che ci fai a casa mia?

Christian si accomodò al suo fianco, in una posa rilassata, con le gambe divaricate e la testa appoggiata sulla mano stretta a pugno.

-Casa tua? Dovrei essere io a rivolgerti questa domanda! Ho affittato questa casa due settimane fa!

Laura lo osservò con un cipiglio in volto, non riuscendo a mascherare lo smarrimento nel suo sguardo.

-E’ impossibile, ho affittato io questa casa! Sono venuta qui con il mio ragazzo per vederla e firmare il contratto!

Laura tirò fuori il cellulare dalla tasca stretta dei suoi pantaloni e compose il numero del signor Moreno, l’uomo di mezza età che le aveva affittato l’appartamento.

-Che fai?

Chiese Christian, rivolgendole un’occhiata curiosa.

-Secondo te? Sto chiamando quel simpaticone del signor Moreno!

Rispose con tono sarcastico.

Il cellulare squillava a vuoto. Laura provò a richiamare più volte nel giro di cinque minuti.

Christian sbuffò, grattandosi il mento ispido.

-Credo sia inutile proseguire su questa linea, è chiaro che ci hanno fregati.

Mormorò in tono laconico.

-E questa casa è troppo piccola per entrambi, limiterebbe gli spazi e la privacy!

Continuò.

-Perfetto, vuoi che ti dia una mano come le valige?

Chiese Laura, gli occhi accesi di sfida.

-Non sono io che me ne andrò.

-Beh, nemmeno io!

Borbottò Laura, incrociando le braccia sottili sotto al seno.

-Bene.

-Bene.

Laura si alzò e andò a recuperare due bustine di thè dalla sua valigia; amava bere il thè caldo, seduta sul divano in completo silenzio, le dava modo di pensare, e di lasciare che le sue fantasia scorressero indisturbate, giocare con i suoi ricordi e con i suoi desideri.

Le piaceva immaginarsi in situazioni assurde, in posti nuovi, immaginare vicende mai esistite e parole mai espresse.

Dalla credenza recuperò due tazze e un bollitore che riempì di acqua fredda.

-Vuoi un thè?

Christian storse il naso; non gli piaceva granché, avrebbe certamente preferito un tazzone di caffè nero, bollente.

Tuttavia, annuì, incapace di rifiutare.

Avrebbero dovuto condividere casa, tanto valeva abituarsi a dividere le piccole cose, come un thè.

Laura mise il bollitore sul fuoco e nel frattempo sistemò le tazze di porcellana sul legno scuro del piano della cucina.

Il cellulare le squillò improvvisamente; corse verso il divano, dove lo aveva lasciato, e si affrettò a rispondere.

-Amore, ho pochi secondi per parlare, sono a lavoro! La settimana prossima avrò tre giorni di permesso, posso venire da te, non è fantastico?

Laura si girò ad osservare Christian, stravaccato sul divano, intento a fissarla.

Le fece un cenno di saluto con la testa, sorridendo lievemente, con la solita espressione maliziosa sul viso perfetto.

-Fantastico.

Mormorò con tono sarcastico.

-Sicura che ti faccia piacere amore, sembri strana?

Laura tossicchiò colta in fallo.

-No, certo che mi fa piacere! E’ l’ennesima sorpresa della giornata!

Mormorò in tono fintamente entusiasta, lanciando un’occhiata al ragazzo sul divano.

-Sono contento! Ora vado amore, ti amo!

-Anche io ti amo.

Disse con tono più dolce.

Christian grugnì infastidito; proprio non gli piacevano quelle sdolcinatezze tra innamorati. In vita sua, non aveva mai concesso il suo cuore a nessuna, ma questo non gli aveva impedito di farsi un’idea sull’amore. Per lui, l’affetto, si doveva dimostrare con i fatti, e non con le chiacchiere stucchevoli.

Laura chiuse la chiamata con l’animo più cheto; la voce di Matteo le aveva portato un po’ di serenità. Tuttavia, le bastò ricordarsi della presenza del ragazzo seduto sul divano, per cancellare ogni traccia di quiete; Matteo non avrebbe certamente reagito bene sapendola sola in casa con uno sconosciuto, in tutti quegli anni, si era rifiutata di andare a vivere con lui per amore, ed ora, lo stava facendo per ripicca.

Il bollitore emise un fischio acuto; Laura si risvegliò dai suoi pensieri e spense il gas. Afferrò la presina arancione che le aveva regalato sua madre e rovesciò l’acqua calda nelle due tazze bianche.

Piano, l’acqua iniziò a diventare di un delizioso rosso bruno; Laura sollevò le tazze stando attenta a non bruciarsi e le portò con sé sino al divano.

-Tieni.

Disse, avvicinandogli una tazza di thè.

-Ma non lo hai zuccherato!

Si lamentò Christian.

-E’ buono anche così.

Mormorò asciutta Laura, accomodandosi accanto a lui, raccogliendo le gambe sul divano.

-Come mai quella voce funebre?

-A breve, avremo visite.

Mormorò, osservando la pioggia scendere.


Ciao,

ho scritto questo capitolo tre giorni fa e lo sto postando senza controllare (maledetta fretta ç___ç) perciò perdonatemi per gli errori ^^

Per il resto, cosa ne pensate?

Spero vivamente che vi piaccia ^^

Un bacio a tutte e alla prossima!

Ps: Come sono andate le feste? ^^

 

  
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