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Autore: BloodyRose00    03/04/2013    2 recensioni
Sette adolescenti in una clinica psichiatrica. Hanno un'estate per cercare di ricominciare a vivere.
"Non voglio che la gente sappia che sono pazzo. Nessuno di noi lo vuole."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter Fifteen

Savannah non aveva nessuna intenzione di rivolgere la parola a suo padre.
Anche lui all'inizio era stato piuttosto seccato. La telefonata dalla clinica gli aveva rovinato i piani per la giornata. Lui e la sua quarta e giovanissima moglie avrebbero dovuto passare la mattinata nella villa con piscina in cui convivevano fuori città. Per la serata era previsto un aperitivo con gli elegantissimi amici di lei.
Perciò, al principio, era stato piuttosto riluttante all'idea di cancellare tutto per trascorrere la giornata tra adolescenti psicopatici.
Sapeva di non essere un grande padre. Aveva dato una casa grande alla figlia, le dava soldi ogni mese e le lasciava tutta la privacy di cui aveva bisogno. Insomma, tutto quello che, secondo lui, una ragazza potesse desiderare. E poi non era colpa sua se la madre di Savannah aveva un'altra, numerosa famiglia a cui badare.
Adesso però, nella luce bianca al neon della clinica, vedeva sua figlia in un'ottica diversa. Savannah, sempre così combattiva e piena di vita, sembrava sconfitta. Occhiaie scure le circondavano gli occhi e l'anonimo camice bianco rendeva la sua carnagione giallognola e spenta. Quanto tempo era che non la vedeva? All'ospedale, dopo il coma etilico, non era andato a trovarla. Era in viaggio di nozze ai Caraibi e di certo non sarebbe tornato in anticipo solo perchè una diciassettenne aveva bevuto un po' troppo. Adesso la realtà gli si stagliava davanti agli occhi. Aveva sbagliato tutto e ne era consapevole.
Lui e sua figlia sedevano nello studio della dottoressa che seguiva Savannah, di cui non aveva afferrato il nome. Doveva essere una psichiatra, o una psicologa: non faceva differenza, per David Moore si trattava della stessa branca di ciarlatani.
Lei gli stava spiegando il problema che la figlia aveva con l'alcool e il modo in cui aveva deciso di intervenire.
“Signor Moore, sarò sincero con lei” disse. “Sua figlia ha riportato gravi danni al fegato. Se mai ricomincerà a bere avrà bisogno di un trapianto nel giro di pochi anni”.
Queste parole lo colpirono. Possibile che Savannah si fosse messa in un guaio così grande? Guardò verso di lei, ma la ragazza aveva lo sguardo fisso davanti a sé.
“Potreste smettere di parlare come se io non fossi presente?” disse, inaspettatamente. Era la storia della sua vita. Gli adulti prendevano decisioni per lei e poi se ne andavano, abbandonandola a se stessa.
“Savannah, tesoro...” cominciò il padre.
“Non chiamarmi tesoro” rispose rabbiosa lei. “Com'è che adesso ti interessa di me? Dov'eri quando ero in un letto di ospedale incosciente? Dov'eri quando bevevo la terza bottiglia di vodka di fila? Dov'eri quando scopavo un tizio per affari?” sputò fuori, tutto d'un fiato.
Non era da lei parlare così francamente. Non era da lei far sapere agli altri cosa provava. Di certo non a suo padre, poi. Quell'uomo per lei era poco più che un estraneo.
Nella stanza piombò il silenzio. Fu solo allora che Savannah si rese conto di aver parlato troppo. Il suo segreto più grande era uscito allo scoperto, dopo tutta la fatica che aveva fatto per tenerlo nascosto al mondo. Le sue parole aleggiavano ancora nell'aria.
Non andava fiera delle sue azioni, sia chiaro. Non voleva che tutti quanti scoprissero che cosa si era abbassata a fare. Anche a scuola, non poteva nemmeno immaginare il caos che sarebbe scoppiato se la voce avesse circolato.
“Che cosa?” disse incredula la dottoressa Carthwright, non appena riuscì a recuperare l'uso della parola.
“Che cosa?” le fece eco il signor Moore. Questo era troppo per lui persino da credere.
“Spiega” le intimò la dottoressa. La questione poteva essere più grave di quanto previsto.
“È cominciato due anni fa. Lui mi fotografava e faceva pubblicare le mie foto. Io lo soddisfavo. Tutto qui”. Adesso Savannah cercava di minimizzare la questione. Sapeva di essersi messa nei guai da sola. Sapeva anche di aver messo nei guai qualcun altro. Non che le importasse più di tanto, ma aveva giurato di mantenere il segreto.
Ora temeva le conseguenze. Certamente, la Carthwright avrebbe fatto qualcosa al riguardo. Quella donna non si faceva mai gli affari propri.

Fuori dallo studio, era arrivato il momento, per Charles e Isabelle, di scambiare due parole con Chris. Il ragazzo pareva bendisposto a riallacciare il rapporto con la madre, che negli ultimi anni era diventato pressoché inesistente.
La donna, dal canto suo, stava cercando di superare l'enorme scoglio della depressione, per essere finalmente il genitore responsabile di cui il figlio aveva bisogno.
“Chris? Come stai, tesoro?” domandò con un filo di voce Isabelle. Chris era incredulo. Non solo quella era probabilmente la prima volta che lei lo chiamava tesoro, ma era anche la prima volta in diciassette anni che lei gli avesse chiesto come stava.
“Meglio, grazie” rispose lui, impacciato.
“Sono contenta” sorrise Isabelle, un po' imbarazzata. “Senti, Chris... io e Charles abbiamo qualcosa da dirti”. Chris si preparò. Quella frase non sembrava premettere niente di buono.
“Vedi, noi... è da qualche giorno che ci stiamo vedendo” disse. “È bene che tu sappia che ho le intenzioni più serie con tua madre” si affrettò ad aggiungere Charles. “Pensavamo che fosse giusto che tu lo sapessi”.
Chris si prese qualche secondo per metabolizzare la notizia, poi si avvicinò ad Isabelle e l'abbracciò stretta.
La notizia lo rendeva particolarmente felice. Isabelle non aveva mai fatto buone scelte in fatto di uomini. Aveva avuto fidanzati abusivi e fidanzati violenti, fidanzati che le avevano dato false speranze e fidanzati che l'avevano immancabilmente abbandonata. Charles era veramente la cosa migliore che poteva accadere alla loro famiglia. Chris era genuinamente felice. Davvero, la sua vita sembrava andare finalmente per il verso giusto.
In realtà, la riacquistata felicità durò ben poco. Una manciata di secondi più tardi il padre di Cheyenne, furibondo, gli si scagliò addosso, prendendolo per la gola e facendolo cozzare contro il muro.
“Papà!” gridò la ragazza, terrorizzata, non appena si rese conto di quello che stava succedendo.
Chris, che era stato preso alla sprovvista, sembrava non riuscire a liberarsi dalla stretta.
Repentinamente, l’allenatore di Cecily e Charles si lanciarono contro l’uomo, costringendolo faticosamente a mollare la presa.
Il signor Harrison si allontanò lentamente, con il volto ancora sfigurato dalla rabbia. Aveva aspettato tanto, troppo tempo per vendicarsi dell’assassino di suo figlio, e, adesso che se lo trovava davanti, non aveva alcuna intenzione di lasciarselo scappare.
Tentò di liberarsi dai due uomini che gli bloccavano le braccia, ma, non riuscendoci, si accontentò di sputare in faccia a Chris.
La madre del ragazzo cercò di fargli scudo con il suo esile corpo. “Come si permette?” gridò in direzione del signor Harrison.
“Non sa che suo figlio è un assassino? Come può difenderlo dopo quello che ha fatto?” gridò lui di rimando.
“Papà, non è stata colpa sua” mormorò debolmente Cheyenne.
“Vuoi dirmi che non era lui che se la faceva con Jake? Che gli vendeva la droga? Che lo incoraggiava nella sua folle idea di lasciare l’università?” Adesso il signo Harrison era faccia a faccia con sua figlia.
“A parte che era Jake a vendergli gli spinelli” precisò Cheyenne. “E che all’università aveva già smesso di andarci da un pezzo”. La sicurezza del padre cominciò a vacillare.
“Resta il fatto che era questo frocetto qui a guidare la macchina” rispose con cattiveria.
“Dio, ma perchè devi usare quella parola? Se non ti fosse ben chiaro, anche il tuo adorato figlio era un frocetto!” Cheyenne era esasperata. “E poi non è stata colpa di Chris, o non hai letto i giornali? Qualcuno stava guidando contromano!”.
Ce l’aveva fatta, il padre sembrava sconfitto.
“Adesso capisci perchè ci siamo separati?” chiese la ex signora Harrison, che era rimasta in silenzio fino a quel momento. “Vedete quello con cui ero costretta a convivere?” esclamò, più diretta ad un pubblico immaginario che agli effettivi presenti.
Il signor Harrison, senza aprire bocca, si voltò e uscì dall’edificio.








Come al solito, grazie di cuore per le recensioni, e grazie anche a chi si limita a leggere silenziosamente. Scusate se gli aggiornamenti sono così lenti, ma alcuni argomenti di questa storia mi toccano personalmente e ho bisogno di prendermi pause frequenti.
   
 
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