Libri > Eragon
Segui la storia  |       
Autore: _Lalli    04/04/2013    3 recensioni
Arya Dröttningu, ambasciatrice degli elfi, protegge l'unico uovo di drago in possesso alla resistenza; Durza lo Spettro attende da anni l'occasione di impossessarsene e finalmente pare esserci riuscito, ma l'elfa riesce a rovinare miseramente i suoi piani. Allo Spettro non rimane che un'unica soluzione: torturare la sua prigioniera senza pietà, fino a che non confessi il luogo in cui l'uovo è stato trasportato.
Ma se, durante la prigionia, qualcosa di inaspettato fosse accaduto ad Arya? Qualcosa di cui nessuno, a parte lei e Durza, è a conoscenza?
Costretta ad un viaggio avventato e ad un'improbabile alleanza, Arya scoprirà lati insospettabili del suo nemico e si lancerà in una ricerca che getterà i semi del suo destino. Coinvolta in segreti incredibili, finirà per svelare alcuni dei molti misteri che ancora oscurano la bellissima terra di Alagaësia.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Arya, Durza
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5. Lord Barst

Dei giorni che seguirono mi restano solo ricordi confusi e sbiaditi. Stavo male.
La febbre andava e veniva senza un’apparente logica. Per un paio di ore mi divorava ferocemente e poi spariva. Quelle piccole incursioni di malattia mi indebolirono ulteriormente e il mio stomaco pareva essere diventato improvvisamente intollerante al cibo, perché ormai vomitavo almeno un pasto al giorno. E i pasti erano due. Così cominciai ad avere anche fame e a fiaccarmi ulteriormente.
Le torture di Durza si erano intensificate e si erano fatte ancor più fantasiose. Lo Spettro pareva utilizzare ogni istante di tempo che aveva a disposizione per martoriare il mio corpo, al punto che alcuni giorni fui legata alla lastra di pietra della stanza delle torture all’alba e vi rimasi fino a che non fece buio.
Se avevo creduto che le frustate fossero la cosa peggiore che poteva capitarmi, capii di essermi sbagliata quando Durza iniziò ad immergere la mia testa in un secchio d'acqua e a trattenermi fino a che non cominciavo a vedere nero e sentivo la morte soffiarmi sul collo.
A quel nuovo tormento seguirono incubi di inondazioni e cominciai a provare una sorta di avversione per la bacinella d'acqua gelida che giaceva vicina alla porta, tanto che anche lavami il viso divenne una sorta di sottile tortura.
La mia mente stava vacillando. Un giorno mi alzai dal letto di scatto, credendo di avere visto Fäolin nell’angolo opposto della cella, per poi cadere a terra un istante dopo, vista l’incapacità delle mie gambe di sorreggermi. E ovviamente Fäolin non c’era mai stato.
Un altro paio di volte vidi l’occhio bianco, sempre quando le guardie mi lasciavano per il cambio serale. Si affacciava dallo spioncino, grande e spaventoso, le sue palpebre si abbassavano due o tre volte e poi svaniva. Cominciai a considerarlo una semplice allucinazione della mia mente instabile.
Venne a trovarmi Rohat, il giovane soldato che aveva quasi rischiato la pelle per impedire a Durza di torturarmi. Mi parlò -dalla fessura dello spioncino- per quel breve arco di tempo che concedevano le guardie quando si davano il cambio. Mi parlò della sua infanzia, di sua madre che viveva sola in una casa ai confini di Gil’ead, fuori dalle mura. Del suo lavoro come soldato, che odiava ma che era costretto a svolgere se voleva procurare un minimo di dote alla sua sorellina e fare in modo che un giorno potesse sposarsi con dignità. Disse anche che ero bella, e che il suo padrone era senza cuore.
Prima di andarsene fece scivolare una rosa bianca sotto la porta e io la contemplai da lontano, attraverso le lacrime che mi appannavano gli occhi ma che rifiutavo di fare scendere.
Dallo stelo privo di spine partì un intero ramo, che si diffuse in tutta la stanza. La rosa crebbe, i suoi rami verdi privi di spine si insinuarono tra le fessure delle pietre, rompendole, risalendo ancora, distruggendo tutte quelle pareti grigie e raggiungendo il cielo, la luna, attorcigliandosi su se stessi come a formare una gigantesca torre. Potevo fuggire.
Sì, bastava solo alzarmi. Se mi fossi alzata sarei andata via di lì per sempre, Durza sarebbe rimasto un ricordo, il dolore anche e avrei ritrovato i canti dolci della mia gente. Sarei andata nei giardini del palazzo di

Tialdarí ad Ellesméra con Fäolin e lui, sorridendo, avrebbe colto per me una campanula nera, chiusa, dicendo dolcemente che io ero come quel fiore e che dentro di me di nascondeva una bellezza infinita.
Dovevo solo alzarmi.. ma non ce la facevo. Ordinai ai miei muscoli il movimento, più e più volte, invano.
Quando la porta si aprì bruscamente, spazzando via la rosa e gli occhi cremisi di Durza si puntarono su di me, mi resi conto di essere rimasta confinata in quel pensiero utopistico per delle ore. E che purtroppo la realtà era di natura totalmente diversa.
La rosa bianca mi parve all'improvviso un maligno monito alla mia morte imminente.
Durza dovette sollevarmi di peso dalla branda perché io non ero in grado di farlo. E anche quando poggiai i piedi sul pavimento mi sarei afflosciata a terra se lo Spettro non mi avesse tenuta saldamente in piedi, quasi sollevandomi. Da un lato ne fui felice, perché da quando il mio nemico mi aveva tolto gli stivali per ustionarmi la pianta dei piedi, se ne era definitivamente appropriato, ed erano gelidi al contatto con il pavimento umido.
«Ti stai distruggendo con le tue mani» mi informò.
«Tu mi stai distruggendo» la mia lingua era pesante e quelle parole scivolarono fuori dalla mia bocca come macigni spinti faticosamente a rotolare.
Da quando aveva perso la pazienza, lo Spettro aveva smesso di parlare. Ormai si limitava a torturarmi, torturarmi e torturarmi.
«Non sei nemmeno in grado di stare in piedi, piccola Elfa».
Ebbi comunque la forza di squadrarlo severamente e -mi augurai- con un pizzico di sfida.
Oromis, quando mi aveva istruita tra un mio viaggio e un altro come ambasciatrice affinché potessi difendermi meglio dal mondo, mi aveva detto che a volte dalla rabbia e dall’irritazione possono scaturire energie insospettabili. Bene. Non mi era mai piaciuto farmi chiamare “Piccola” -era lo stesso nomignolo che mi davano i cortigiani di Ellesméra quando ero bambina, “Piccola Arya”- e odiavo Durza.
«So camminare» ribattei risoluta.
Ma non appena le sue mani si scostarono nuovamente, traballai pericolosamente.
Durza sorrise a fior di labbra «Non male».
Puntò l’indice al centro del mio torace e mi diede una lieve spinta all’indietro, che bastò a farmi perdere l’equilibrio. Gli schiaffeggiai furiosamente la mano, ma lo Spettro si affrettò ad afferrarmi e, incurante delle mie proteste, mi sollevò da terra e mi portò nella stanza delle torture come un corpo morto.
La tavola di pietra della sala delle torture era ancora più gelida, ma in maniera quasi piacevole. Probabilmente avevo un altro attacco di febbre.
Guarì alcune delle mie ferite più gravi prima di afferrare il ferro arroventato e accingersi a procurarmele nuovamente.
Il fuoco mi stava dilaniando lo sterno quando un ticchettio insistente scosse la porta, passando sopra ai miei lamenti.
Qualcuno aveva bussato. Nessuno aveva mai bussato prima di allora, ma lo benedissi, chiunque fosse.
«Hillr devo ricordarti quali sono le mie disposizioni mentre mi sto occupando dei prigionieri?» chiese Durza con voce pericolosamente calma.
«Perdonami mio signore ma si tratta di una cosa urgente. Posso entrare?»
«Mi auguro per te che sia veramente così».
Arricciando pigramente un dito, lo Spettro fece scattare la serratura e la porta si aprì.
Un uomo con i capelli ingrigiti sulle tempie e gli occhi tondi come quelli di un pesce entrò rapidamente e si inchinò in direzione di Durza.
«Lascia perdere i convenevoli e parla».
«Signore, Lord Barst è sulla strada per Gil’ead con il suo seguito. Arriverà in città tra un paio d’ore».
«Cosa viene a fare a Gil’ead?»
L’uomo si tormentò la barba. «Non lo sappiamo signore. Uno dei nostri uomini è appena tornato dal suo giro di ricognizione ed è sicurissimo che si tratti di lui. Ed è il migliore della squadra, non si sbaglia mai».
L’espressione del mio nemico divenne una maschera di irritazione. «Di’ a tutti gli uomini di dare una mezza ripulita a quelle topaie che chiamano dormitori; se tra un’ora trovo anche solo l’ombra di una bottiglia di idromele me la pagheranno cara. E poi date una scrollata alle vostre casacche -sono più grigie che rosse ormai- schiera tutte le forze in giro per la città e il castello e informa la popolazione».
Seguii l’intera conversazione come se le voci venissero da un altro mondo, desiderosa solo di ritornare ai miei sogni di rose e giardini. Non potei però impedirmi di notare che lo Spettro era preoccupato e capii che quel Lord Barst doveva essere un uomo di una certa importanza a giudicare dall’impressione che voleva fare Durza su di lui.
Hillr uscì e Durza ringhiò, frustrato. Fece un rapido giro della stanza, andando a raccogliere la mia camicia e i miei pantaloni da terra, che mi aveva sfilato per potermi torturare.
«Mi spiace informarti che dovremo rimandare il nostro incontro a domani, Elfa».
Fece sparire una mano in una piccola bisaccia di velluto che portava in vita e ne estrasse qualcosa che si affrettò a fare sparire tra le labbra e a masticare nervosamente.
«Saprò contenere l’impazienza» replicai asciutta.
Durza sogghignò e sciolse le catene, porgendomi i miei vestiti. Dall’odore che mi arrivò alle narici quando si chinò su di me capii che probabilmente stava mangiando delle foglie di menta. E che per farlo aveva trasformato i suoi denti da quelli di un felino a quelli dritti e regolari di un essere umano. Purtroppo il suo aspetto non perse nulla dello spaventoso che gli apparteneva.
Mi prese nuovamente in braccio come una malata per condurmi nei miei alloggi, come li chiamava lui.
Quando se ne andò portò le quattro guardie, che erano ormai fisse da tempo davanti alla mia porta, con sé.
A quel punto avrei tanto voluto sapere chi fosse quel Lord Barst.
Tossii sputando sangue.
Mi afflosciai sul mio giaciglio e scivolai nelle immagini confuse del mio sonno.
Ero ad Ellesméra e gli Athalvard cantavano magnificamente sul sentiero che si snodava sotto l’albero su cui ero seduta io. Era tutto caldo, luminoso, sereno, così bello che faceva quasi male.
Poi arrivò Durza, parlottando qualcosa di incomprensibile riguardo ad un certo Lord Barst. E tutto divenne freddo e gelo.

Il rumore di ferraglia era molto vicino. Aprii gli occhi nello stesso istante in cui la chiave della mia cella fece l’ultimo giro nella serratura e l’uscio si aprì.
Mi puntellai sui gomiti e mi tirai a sedere. Due soldati mi si avvicinarono e mi misero in piedi senza troppi complimenti, trascinandomi con loro. Mi dibattei debolmente ma bastò uno schiaffo ben assestato per confondermi. Non riuscivo più a contrastare nemmeno degli umani.
I due mi portarono fino alla stanza delle torture e mi incatenarono al tavolo.
C’era qualcosa che non andava. Dov’era Durza? Di solito non lasciava nemmeno che i soldati varcassero la soglia della porta nera di quella stanza.
Un uomo basso e tarchiato entrò e diede ordine di chiudere bene a chiave la porta. Allungava curiosamente il suono della “R” tanto da pronunciarla moscia. Tra il mio popolo nessuno aveva mai quei problemi nel parlare, invece qualcuno tra gli uomini a volte pronunciava le lettere in modo strano o balbettava senza la minima capacità di controllarsi. In quel caso bastava mettersi un pugno di sassi in bocca ed allenarsi a dire l’alfabeto tutto di fila, magari anche al contrario. Peccato che gli uomini non riuscissero proprio ad arrivarci da soli.
L’uomo in questione mi si avvicinò e mi scrutò con evidente curiosità, gli occhi da cerbiatto sgranati e attenti. Mi scostò i capelli sudici dalle orecchie.
«Non avevo mai visto una della tua razza» disse. «Siete veramente belle come si dice».
Restai impassibile, in attesa che mi spiegasse il perché fosse lì. Ma non pareva avere alcuna fretta. Si sfilò con calma i guanti bianchi candidi e li porse ad uno dei suoi soldati. Dalla stazza e dalla muscolatura si poteva dedurre facilmente che fosse un guerriero, eppure le sue mani erano morbide e lisce, indice del fatto che non si togliesse i guanti quasi mai mentre maneggiava una spada. Al contrario di Durza, le cui mani erano grandi, con dita lunghe, agili e inquiete, che sembravano nate per impugnare un’arma ed erano rovinate, scorticate, irruvidite dai calli tipici di un combattente.
Dove era finito Durza? Per un assurdo istante mi ritrovai a desiderare che fosse lì con me, a tenere d’occhio quell’uomo che non conoscevo e dal quale non sapevo cosa aspettarmi. Mi disprezzai profondamente per la mia debolezza.
«Sono il conte Barst, figlio di Berengar» si presentò, confermando i miei sospetti. «Sono uno dei secondi di sua maestà il re Galbatorix e sono qui in missione per conto suo. Da quando la sua pietra è stata rubata da quei villani dei Varden il mio signore non dorme più sogni tranquilli. E se non gli è ancora stata restituita è solo perché ha fatto affidamento sul servo sbagliato. È evidente che lo Spettro non ha saputo essere abbastanza convincente con te». Mi mossi lievemente sul tavolo, inquieta. «Quindi io sono qui per riuscire dove lui ha fallito. Vorrei proporti una soluzione diplomatica: se tu mi indicherai il luogo dove si è schiuso l’uovo allora saprò ricompensarti con la libertà e con la garanzia che il re lascerà il tuo popolo fuori dalla guerra imminente. Galbatorix stima e ammira gli elfi più di ogni altra creatura al mondo e non vorrebbe mai arrecarvi danno».
Non era affatto uno stupido, Lord Barst. Ma l’arte oratoria dello Spettro era di gran lunga superiore, e non era bastata. Il conte sembrava più un uomo dalle maniere rozze, che un diplomatico.
Sbattei le palpebre e lo guardai in silenzio.
L’uomo sospirò, scuotendo lentamente la testa. «Non vorrei mai dovere usare delle maniere forti su una fanciulla».
La sua affermazione era ridicola considerando che il mio corpo era ridotto a un grumo di carne sanguinolento. Che fossi una fanciulla o meno, le maniere forti non mi erano state risparmiate.
«Rispondimi».
Illuso.
«Oh e va bene!» esclamò affabilmente. «Accendete quel braciere e arroventatemi un ferro».
I soldati eseguirono, mentre lui continuò ad insistere per un altro paio di minuti, prima di arrendersi all’evidenza che non avrei parlato e aspettare che il ferro fosse pronto.
Lo aveva appena impugnato quando la serratura scattò e la porta si aprì, senza che nessuno da fuori avesse usato la chiave, dato che in effetti era incastrata nella parte interna.
Durza entrò nella stanza come un tornado, i capelli rossi scomposti. «Mi pareva di averti chiesto di farlo solo in mia presenza, Barst» osservò gelidamente.
Il mio carceriere indossava un lungo ed inquietante mantello di pelli di serpente che lo faceva sembrare ancora più alto e minaccioso, accanto a lui il conte sembrò improvvisamente piccolo. E ovviamente i denti aguzzi erano tornati al loro posto.
Barst iniziò a parlare con aria di sufficienza, ma la sua espressione appassì mano a mano che continuava a guardare gli occhi cremisi dello Spettro.
«Sono un funzionario mandato direttamente da sua maestà il re in persona. E come tale devo rispondere direttamente e solo a lui, senza interferenze intermedie. Io ritengo che tu abbia trattato l’elfa con troppa grazia e quindi voglio accertarmi che tu abbia provato ogni tipo di torture possibili per estorcerle la verità».
Durza sollevò un angolo della bocca in un sorriso beffardo. «Perché non lo chiedi direttamente a lei?» annuì nella mia direzione.
«Si rifiuta di parlarmi» dovette ammettere l’uomo.
Mi divertì il trionfo che deformò i lineamenti dello Spettro. «E sono già un passo avanti a te, caro Barst. Ma prego». Si poggiò con la schiena contro la parete in fondo alla stanza, le braccia conserte. «Rimarrò qui a supervisionare e ad accertarmi che tu non la uccida»
Dal modo in cui il funzionario del re serrò la mascella dedussi. che fosse molto arrabbiato, ma che la paura di Durza superasse l’ira. L’espressione che assunse il suo viso largo era grottesca, assomigliava vagamente ad un Urgali imbronciato.
Barst giocherellò con il ferro su di me fino a che quello non diventò freddo, senza ottenere nulla se non i miei muscoli irrigiditi dal dolore, che però mi parve più lieve del solito, come se mi ci fossi abituata.
Poi posò l’attrezzo e si deterse la fronte con la manica della veste.
La mia lucidità non era normale, considerata la condizione in cui versavo fino a poche ore prima. Capii il perché quando Durza, dal suo angolo avvolto nella semioscurità, mi strizzò un occhio con aria complice e la situazione mi parve così ridicola che per poco non scoppiai a ridere. Mi ritrovavo coinvolta in una faida tra due servi del re ed entrambi volevano dimostrare all’altro di essere migliore. Lo Spettro mi stava probabilmente regalando delle energie e proteggendo dal dolore perché io riuscissi a resistere e a non rivelare nulla al Lord. Era stupido e maledettamente infantile.
«Desideri risolvere il tuo dubbio con altri esperimenti, Barst?» chiese Durza con un tono così ossequioso da parere offensivo.
La mascella quadrata dell’uomo si contrasse nuovamente. «Non ho bisogno che tu mi aiuti a svolgere il mio compito Spettro. Questa cagna di un’elfa parlerà, in una maniera o nell’altra».
Durza sollevò un sopracciglio, squadrando i due soldati che erano con noi nella stanza. «La presenza di lei qui era un’informazione riservata. Quindi o i tuoi uomini tengono la bocca cucita o mi premurerò di cucirgliela io. O di tagliargli la lingua, se preferiscono».
I due impallidirono ma riuscirono coraggiosamente ad annuire.
Barst si concentrò nuovamente su di me. «È molto graziosa» disse, rivolto allo Spettro.
Lui si strinse nelle spalle. «Forse».
«Non sai proprio come goderti le cose belle della vita tu, eh?» La sua mano liscia sfiorò la pelle scoperta del mio collo.
Mi irrigidii immediatamente.
«Dovresti farle un bagno» disse Barst.
«Sono il suo carceriere, non la sua balia».
I denti storti del funzionario del re si scoprirono in un sorriso. «Deduco quindi che tu non abbia avuto modo di.. divertirti con lei».
«No» fu la secca replica.
«Peccato. Forse non sai che la tortura psicologica e il totale annientamento fisico può spingere anche il più tenace a cedere. Ma forse ad uno Spettro non vengono in mente idee di un certo tipo».
«Semplicemente perché ho altri modi per sfogare le mie frustrazioni, non mi è necessario farlo sulle prigioniere».
Le dita di Barst scivolarono sul mio petto. «Che razza di uomo sei?»
Gli sputai in faccia, costringendolo a togliermi le mani di dosso per asciugarsi la fronte.
«Non sono un uomo. E forse non ti ho avvertito» ridacchiò Durza, «che questa è una gatta feroce. Non si lascerà domare tanto facilmente».
Il sorriso osceno sul viso del funzionario del re mi fece inorridire. «Sarà solo più divertente».
Tirai furiosamente le catene che mi bloccavano sul tavolo, ma non riuscii ovviamente a smuoverle di un pollice. Disperata, cercai istintivamente il viso di Durza e gli scoccai uno sguardo implorante.
«Non credo che la fanciulla ne sarebbe molto felice» disse lo Spettro, restituendomi uno sguardo indecifrabile.
Barst agitò una mano. «Ha importanza? Non è nemmeno umana, non merita la mia pietà. E se non sbaglio tu non l’hai mai avuta la pietà, giusto?»
Le sue parole mi indignarono profondamente. Capii che il potere aveva eccitato il carattere di quell’uomo al punto di fargli credere di poter fare tutto secondo le sue regole e la sua volontà, con il pieno diritto di calpestare gli altri senza farsi scrupoli. Era sprofondato nel pozzo nero della depravazione, trasformandosi in un animale.
Le sue dita giocarono con l’orlo della fascia di stoffa che mi copriva il seno. Chiusi gli occhi, sul punto di vomitare.
«Barst scopri un altro pollice della sua pelle e non sarò più padrone delle mie azioni» lo informò lo Spettro affabilmente.
L’uomo parve infastidito dall’insistenza di Durza. «Il mio signore, il nostro signore, mi ha dato la più ampia libertà di azione. Posso fare ciò che voglio, senza alcun limite. E se è ciò che desideri, potrai farlo anche tu una volta che avrò finito con lei».
«Una cosa è fare di tutto per strapparle informazioni, un’altra è costringerla nel tuo letto per poterti vantare dell’impresa. Se vuoi una donna vattela a cercare, in questo castello ci sono certamente un paio di belle servette che sarebbero ben liete di concederti i loro favori».
Con un movimento agile delle dita, Durza aprì le mie catene e io mi alzai a sedere così velocemente che il mondo mi vorticò intorno.
«Per oggi direi che hai verificato abbastanza, Barst. Continuerai domani».
Mi afferrò per il gomito e mi sostenne fino all’uscita.
«Resterò a Gil’ead solo tre giorni, poi tornerò a fare rapporto al mio re» lo richiamò l’uomo, «e userò tutti i mezzi possibili per ottenere ciò che lui mi ha ordinato, non sarai certo tu ad impedirmelo».
Durza lo guardò beffardo da sopra la spalla. «Prova a sfidarmi se ne hai il coraggio. Sappi solo che te ne pentirai amaramente».
«Non puoi uccidermi Spettro. Il re lo verrebbe a sapere e ti punirebbe».
«Allora diciamo che non vorrei proprio che ti capitasse uno
sfortunatissimo incidente, sono stato abbastanza chiaro?»
«Trasparente» dovette abbozzare Barst, la voce ridotta ad un sibilo rabbioso. «Ma guardati le spalle».
Mi accorsi di stare tremando violentemente solo quando Durza dovette sollevarmi da terra per permettermi di proseguire nel corridoio fino alla mia cella.
«Avrei dovuto darmi da fare a sfigurare anche il tuo bel faccino, piccola Elfa».
Annuii distrattamente, nascondendo automaticamente il viso contro il suo collo, fuggendo al mondo. La sua pelle era calda e lo trovai strano. Avevo sempre pensato che fosse gelida come lo erano le sue mani, e magari anche viscida come quella di un serpente. Invece no, era.. umano. E sapeva di un qualche olio da bagno. Non seppi perché ma lo trovai tremendamente rassicurante.
Mi scostai immediatamente non appena sentii il suo corpo irrigidirsi contro di me.
Il fatto che proprio lui mi avesse difesa da un uomo del re, stonava incredibilmente. E il fatto che io gli fossi così profondamente grata per la sua azione, stonava ancora di più.
«Perché lo hai fatto?» chiesi quando lo Spettro mi depositò a sedere sulla mia branda.
Gli occhi seri di Durza si assottigliarono. «Me lo hai chiesto tu».
«Magari il suo metodo avrebbe funzionato».
Fece un gesto spazientito. «Se era ciò che volevi posso sempre scortarti da lui. Non credo che il caro Barst ti respingerebbe».
«Non ho detto questo!»
Sospirò rumorosamente. «Lo so. Devo almeno riconoscere a quel maiale che in pochi minuti è riuscito a spaventarti quasi quanto ho fatto io in più di due mesi».
Mi tormentai nervosamente le unghie. «Che ne sai tu?»
L’angolo sinistro della sua bocca si sollevò leggermente. «Lo so Elfa». Si avviò alla porta. «Non credere che d’ora in poi cambi qualcosa. Ho impedito ad un uomo che odiavo di compiere un’azione indegna solo per mio personale interesse. Quando finalmente leverà le tende tornerà tutto come prima».
«Non c’era bisogno di puntualizzarlo».
Esitò sulla soglia. «Meglio di sì, invece».
«Non ho mai pensato che sarebbe cambiato qualcosa» lo informai.
«Lo hai sperato» disse, prima di chiudere la porta.
Continuavo a rifiutare fermamente una verità che però premeva sul mio cervello da troppo tempo. Il fatto che Durza sapesse sempre con esattezza che sentimenti provassi non poteva essere casuale. Le barriere della mia mente erano pressoché inattaccabili ed era impossibile che le mie espressioni fossero così rivelatrici, sapevo perfettamente come fare per rimanere impassibile e mi riusciva piuttosto bene, ne ero sicura.
A quel punto l’unica soluzione possibile era che Durza fosse capace di creare un contatto con la parte più profonda delle persone e riuscire a carpirne gli stati d’animo. Probabilmente era un potere che derivava dal fatto di essere uno Spettro ed avere legami così profondi con degli spiriti.
Mi chiesi fino a che punto lui potesse leggermi e all’improvviso mi sentii vulnerabile. Avevo passato tutta la vita a nascondere i miei sentimenti alle persone che mi circondavano -era il fulcro su cui ruotava tutta la mia forza- e il fatto che qualcuno riuscisse a portare alla luce con una tale facilità i segreti della mia anima mi faceva sentire in qualche modo violata.
Debole.



__________________________________________________________________________________________
Lord Barst! Perché? Perché era una figura che mi interessava approfondire, dato che Paolini lo ha presentato in modo molto superficiale.
Per quanto riguarda la possbile capacità di Durza di leggere i sentimenti, la cosa mi è sembrata plausibile da come si comportava con Eragon mentre era prigioniero a Gil'ead, nessuno lo ha mai fatto presente, ma nemmeno negato, giusto?

Ciao a tutti! (:
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Eragon / Vai alla pagina dell'autore: _Lalli