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Autore: _Syriana    04/04/2013    2 recensioni
- Tra sei settimane sposerai il figlio maggiore della famiglia di Navalle – le annunciò suo padre.
[...]
Lei era un falco a cui avevano spezzato le ali. Non avrebbe potuto volare mai più.
Un matrimonio. Un ragazzo sconosciuto. Solo sei settimane per imparare a conoscerlo e ad... amarlo?
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Mayfield, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Francesco, che non leggerà mai,
ma a cui voglio dire, ancora una volta
che andrà tutto bene. Ti voglio bene.

 
 

Dopo tutto, una bugia cos'è?
Nient'altro che la verità in maschera.
 
George Gordon Byron, Don Giovanni

 
Caroline stava camminando verso il suo solito rifugio, un libro in mano e la testa piena di pensieri.
Christopher Nathan Liar di Navalle soggiornava da una settimana nella loro casa, ma quasi mai si erano parlati, in quei giorni: a cena lui parlava quasi sempre con i genitori di Carol, mentre durante il giorno sembrava preferire la compagnia della sua scorta oppure quella dei gemelli Sinclair, che sembravano anche gli unici che lo avessero preso realmente in simpatia.
Gabriel le aveva riferito di una sua chiacchierata con Christopher, come lui amava farsi chiamare, e le aveva detto che sembrava un ragazzo intelligente e posato, oltre che molto dotato con la spada; nonostante questo, comunque, Gabriel continuava a guardare il ragazzo con espressione dura: proprio non riusciva a mandare giù il fatto che sua cugina dovesse sposarsi senza la sicurezza di essere amata.
Anche Alexandria sembrava della stessa opinione: per quanto si fosse sforzata in quei giorni di rivolgere parola al futuro parente, le parole le uscivano a stento dalla bocca, tanto che qualche volta Fayette aveva dovuto darle delle gomitate per farle augurare il buongiorno.
Al contrario, Fayette sembrava incredibilmente a suo agio a rivolgere parola a Christopher e molte volte l’aveva vista rivolgergli dei sorrisi entusiasti misti ad imbarazzo: più di una volta Carol si era chiesta se la sorella non si fosse presa una cotta per il suo futuro marito. Quando le aveva esposto i suoi dubbi, Fayette era scoppiata a ridere e le aveva detto – Vorrei solo che quel ragazzo si sentisse un po’ più a suo agio in questa casa. In fondo, diventerà mio cognato – poi aveva scosso la testa ancora ridendo ed era uscita dalla stanza.
Comunque, a conti fatti, l’unica che mai aveva parlato con Christopher era proprio lei: a parte le presentazioni del primo giorno, ogni volta che Carol si era trovata nella stessa stanza di lui, o erano rimasti entrambi completamente muti a guardarsi finchè uno dei due non decideva di andarsene, oppure lei era subito sfuggita, lo sguardo basso e timido, prima che lui potesse anche solo accorgersi della sua presenza.
Si era sempre data della stupida in quelle occasioni: lei era una Mayfield, aveva un carattere forte; eppure, davanti a lui, tutte le sue barriere e la sua forza cadevano al suolo, sbriciolate.
Scosse la testa, infastidita da quei pensieri, stringendo il libro al petto.
Ad un tratto, qualcosa le toccò la spalla: un contatto così inaspettato da farla urlare per lo spavento e farla girare di scatto.
Incontrò due occhi verdi che la guardavano cauti, ma sereni – Mi dispiace avervi spaventato. Pensavo aveste sentito i miei passi dietro di voi. O comunque le mie ripetute urla per attirare la vostra attenzione, lady Caroline -. Christopher sorrise, mentre Carol lo guardava con gli occhi spalancati e la bocca cucita.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, vedendola muta – Devo pensare che siate diventata muta dopo il mio arrivo? – chiese, la voce seria, ma la piega della bocca e gli occhi che ridevano.
Le sopracciglia le scattarono in alto a quella frase, mentre un espressione ironica le si disegnava sul volto – Davvero credete che la vostra sola presenza sia abbastanza per zittirmi? – chiese, guardandolo negli occhi.
Troppo verdi. Troppo profondi E lei, che ogni volta ci annegava.
Inaspettatamente, sul viso di Christopher, si aprì un sorriso luminoso, che la lasciò un po’ stordita – Oh, finalmente sento nuovamente la vostra voce, lady Caroline. Pensavo di non poter più avere questa possibilità, anche perché ogni qualvolta mi vedete scappate come se foste davanti ad una fiera inferocita, prima ancora che io possa rivolgervi anche solo un saluto – disse.
- Non sembravate così interessato a me, dal momento che passate ogni momento libero che avete avuto finora appresso ai miei cugini, o alla vostra scorta o con mio padre – commentò secca Carol, irrigidendo le spalle e riprendendo a camminare verso la sua meta.
- Solo perché tutti voi sembrate odiarmi! – le gridò lui, correndole dietro e affiancandola in pochi secondi e lei si girò interrogativa – Come? Io non vi odio e non vi tratto come se vi odiassi! – esclamò, sorpresa.
Lo vide scuotere la testa e guardarla negli occhi – Invece lo fate! Forse nemmeno ve ne rendete conto, ma sembra che ai vostri occhi io sia un diavolo. E lo stesso vale per vostra cugina Alexandria e vostro cugino Gabriel. Fayette e i gemelli Sinclair sono gli unici che mi trattano come una persona normale, che parlano con me. In quanto ai vostri genitori, - si passò una mano nei capelli – sono loro ospite, come potrei non rivolgere loro la parola? – chiese, ma Carol sapeva che quella domanda non richiedeva una risposta.
Si sentì, però, colpita dalle parole del giovane: era stata lei stessa a dire ai cugini e alla sorella che non voleva che il suo futuro marito si sentisse un escluso, quando era lei per prima a non rispettare quel desiderio.
- Mi spiace – sussurrò – non volevo farvi sentire indesiderato o odiato – abbassò lo sguardo e girò la testa: sentiva le guance in fiamme dall’imbarazzo. Sentì due dita posarsi sotto il suo mento e girarle il viso: gli occhi di lui erano sorridenti e dolci, cosa che la spinse a sorridere di rimando e rilassarsi un poco.
- Non importa – sussurrò lui, mentre la sua mano scivolava sulla guancia in fiamme di lei – Cosa dite, se iniziamo a rimediare da ora? Dove stavate andando? Potrei accompagnarvi, se per voi non è un problema – le disse, guardando verso il bosco verso il quale lei si stava dirigendo.
Carol tentennò: stava andando al suo rifugio, quello che solo sua sorella e i suoi cugini conoscevano. Era il luogo dove tutti loro si rifugiavano quando avevano bisogno di pensare e stare soli: nessuno vi aveva mai portato qualcuno di estraneo.
Alla fine, però, decise che era giusto che lui vedesse quel luogo: era colui che sarebbe diventato suo marito, avrebbe dovuto sapere tutto di lei.
- Venite – disse, prendendolo per mano e guidandolo nel mezzo del bosco. Lui la seguì docile, senza parlare, mentre le loro dita si intrecciavano in una stretta forte.
 
- Quindi, hai vent’anni? – chiese Carol, guardando il suo accompagnatore, che se ne stava comodamente appoggiato contro il tronco di un albero, lo sguardo perso nelle acque cristalline del lago davanti a loro.
Era una tiepida giornata: timidi raggi di sole filtravano tra le chiome degli alberi e si scontravano con la superficie del lago, creando incantevoli giochi di luce sull’acqua. Erano seduti in quello spiazzo da qualche ora e il tempo sembrava passare troppo velocemente.
- Ti sembravo più vecchio? – chiese lui, ridendo e strappò un filo d’erba per metterselo in bocca.
Avevano deciso di darsi del “tu”, abbandonando quel tono formale che secondo lui non avrebbe dovuto esserci tra marito e moglie.
In realtà, a Caroline lui sembrava molto più giovane di quel che diceva: i capelli scuri come il mogano erano leggermente lunghi e disordinati, tanto che alcune ciocche gli cadevano ribelli sugli occhi, che invece erano di un verde brillante. Lei sapeva di adorare già quegli occhi: quel loro colore intenso, quella luce che si accendeva quando lui rideva; e la bocca, atteggiata a smorfie divertite o ghigni altezzosi.
Era bello, e più lo guardava e più bello diveniva.
- No, non sembravi più vecchio. In realtà, più giovane – rispose lei, sistemandosi meglio addosso all’albero e ridendo piano.
- Sei molto bella, Caroline – sussurrò lui, avvicinandosi e sfiorandole il viso con un dito, mentre le guancie le andavano a fuoco per il complimento.
- Grazie – balbettò, mentre la mano di lui tracciava il profilo del suo viso – E’ dalla prima volta che ti ho visto che lo penso, che volevo dirtelo. Sei bellissima – le sussurrò, facendosi sempre più vicino, sfiorandole l’orecchio con le labbra, mentre una mano saliva a prenderle il mento.
Caroline si alzò si scatto,  lasciando il ragazzo con un espressione stupita sul volto, e si girò, mentre anche lui si alzava.
- Caroline… - iniziò a dire, tendendo una mano verso di lei, che però si girò e si ritrasse – Credo sarebbe meglio andare, adesso – lo interruppe lei, voltandosi e iniziando a camminare verso la casa senza nemmeno aspettare una sua risposta.
Lo sentì sospirare dietro di lei, prima di iniziare a seguirla e affiancarla, rimanendo in silenzio: guardava fisso davanti a sé, una mano sopra l’elsa della spada, che lei nemmeno si era accorta avesse con sé, l’altra dentro le tasca. Era nervoso, lo si notava dalla tensione della mandibola: stringeva così tanto i denti che un muscolo guizzava nella mascella.
Dal suo canto, Caroline continuava a chiedersi perché avesse reagito a quel modo: le era capitato spesso di ricevere complimenti da un uomo, ma mai era scappata davanti ad essi. Anzi, aveva sempre sorriso e ringraziato, con quella vanità tutta femminile che aveva.
Ora, mentre tornavano verso la casa, quel silenzio che era calato tra loro, dopo un pomeriggio passato a ridere e parlare, le pesava addosso come un macigno: avrebbe tanto voluto che lui parlasse di qualcosa, qualsiasi cosa, anche del tempo. Guardava Christopher di sottecchi, e vedeva che era nervoso; lo era anche lei, continuava a torturarsi le mani e a mordersi il labbro inferiore, guardando in basso.
Lo sentì emettere un mugolio irritato, prima di sentirsi prendere per un braccio e voltare – Caroline, – disse, una punta di impazienza nella voce – vi prego. Cosa ho fatto perché siete diventata così fredda con me, quando solo pochi minuti fa eravate così dolce e allegra? – chiese, guardandola negli occhi.
E lei non riuscì a reggere quello sguardo. Voltò la testa, fuggendo con lo sguardo e puntandolo verso gli alberi , non sapendo rispondere a quella domanda.
La presa sul suo braccio si fece ancora più intensa, mentre le prendeva il mento e le girava la testa e incatenava di nuovo lo sguardo al suo.
- Cosa vi ho fatto, lady Mayfield? – chiese di nuovo, la voce più dolce, ma sempre irritata. Ma lei ancora non aveva una risposta.
Guardò il suo braccio, stretto nella sua presa, poi negli occhi. Lui sembrò capire e la lasciò, mentre indietreggiava di un passo.
- Mi spiace. Non ho la risposta alla vostra domanda – sussurrò lei, prima di voltarsi e correre verso la casa, lasciandolo da solo in mezzo al bosco, lo sguardo vuoto fisso sulle sue spalle.
 
Sua madre, una donna alquanto stravagante ma incredibilmente posata e soggetta a frequenti emicranie che la costringevano per giorni a letto, aveva deciso che il ballo che si sarebbe tenuto a palazzo Mayfield in programma per quella sera sarebbe stato rigorosamente in maschera. Caroline, a quella notizia, aveva gioito.
Amava i balli in maschera: i volti coperti di pizzi e piume a celare il volto, creando quell’atmosfera di mistero e maliziosa curiosità che l’attraeva da sempre.
Dietro a quella maschera sarebbe potuta essere chiunque.
Ma, soprattutto, sarebbe potuta sfuggire da lui: dalla sua fuga dopo la chiacchierata al lago, Caroline aveva evitato tutti i luoghi in cui ci sarebbe potuto essere anche lui.
Che era diventato il suo incubo alla notte; ma non uno di quegli incubi spaventosi che ti svegliano tra le grida: lui era un incubo dolce, da cui volevi farti sopraffare, in cui vuoi annegare anche se sai che morirai.
Si guardò la mano, quella su cui lui aveva posato le labbra qualche giorno prima, al momento delle presentazioni: ricordava distintamente la sensazione che l’aveva colta a quel tocco, paura mescolata ad una strana voglia di implorarlo affinché quel contatto non terminasse. Quando lui aveva alzato gli occhi e li aveva incatenati ai suoi per la prima volta, aveva sentito la voglia di scappare lontano, insieme a quella toccarlo per sentire se era reale.
Lui la spaventava e l’attraeva al tempo stesso, come una creatura della notte attrae la sua preda con il suo dolce Richiamo prima di ucciderla. Caroline sapeva che sarebbe morta, metaforicamente, perché se lui l’avesse chiamata, lei non avrebbe potuto far altro che rispondere.
Scosse la testa, proprio mentre nella stanza entravano sua sorella e sua cugina, già pronte per la festa: Alexandria portava un lungo vestito rosso scuro, il corpetto stretto sul petto e la gonna a balze, i capelli erano raccolti sulla testa in un elegante chignon che lasciava qualche boccolo ai lati del viso; Fayette, invece, portava un lungo abito verde bosco con le maniche lunghe di pizzo e seta, che cadeva leggero, mentre i capelli erano acconciati in una treccia laterale.
Entrambe tenevano in mano delle mascherine intonate agli abiti: quella di Alexandria si legava con un lungo nastro nero, mentre quella di Fayette era provvista di bastone per tenerla.
Carol sorrise – Siete stupende – commentò, tornando a guardarsi allo specchio: il vestito blu le stringeva sul petto ed era impreziosito sull’attaccatura della gonna a balze da una cintura di diamanti, intrecciati alla stoffa. Aveva tenuto i capelli sciolti, raccolti solo da un lato da un fermacapelli a forma di rosa.
Guardò distrattamente la maschera poggiata sulla scrivania, pizzo e seta e brillantini sullo sfondo nero e vi poggiò vicino una mano.
- Anche tu sei splendida, Carol – disse Fayette, sedendosi sul letto; Alexandria le fece un largo sorriso, annuendo.
- Andiamo, – disse Carol, alzandosi dalla sedia e prendendo la maschera – speriamo di divertirci – commentò poi, uscendo dalla stanza.
 
La sala da ballo era un agglomerarsi di nobili e stoffe colorate: alla luce dell’immenso lampadario, donne e uomini, d’età indistinguibili a causa della maschera, si muovevano nel salone, persi nei loro discorsi.
Carol si muoveva sorridente per il salone: aveva riconosciuto Gabriel, che teneva al braccio Sophia Blackmore; sospettava che a quella serata stessero partecipando anche i parenti di lei, i redivivi della famiglia Blackmore, probabilmente a protezione della ragazza. Aveva visto anche Alexandria, al braccio del suo fin troppo biondo fidanzato, un sorriso così luminoso sul volto che probabilmente se si fossero spente le candele, la stanza sarebbe comunque rimasta illuminata.
Non le era mai stato chiesto di ballare tanto come quella sera: uomini d’ogni età si inchinavano davanti a lei e le chiedevano di poter avere l’onore di un ballo. E lei non l’aveva mai rifiutato a nessuno: aveva sempre sorriso e preso quelle mani inguantate, lasciandosi guidare nei balli.
Aveva addirittura ballato con Justin, che era famoso per la sua allergia al ballo: diceva sempre che si trovava più a suo agio in mezzo ad una rissa con il labbro spaccato. Drayden, al contrario, pur condividendo la passione del gemello per risse e simili, ripeteva spesso che i balli gli erano congeniali; Caroline sospettava che questo era dovuto, più che alla passione del ragazzo per le danze, all’abbondanza di donne in corsetti attillati.
In tutta la serata, comunque, era riuscita nel suo scopo: non aveva ancora incontrato Christopher, ed era una vittoria di cui andava fiera.
Era affacciata al balcone della sala, in quel momento: aveva deciso di uscire a prendere una boccata d’aria, troppo accaldata dai balli per sopportare di rimanere ancora nella stanza. Il venticello autunnale era un balsamo sulle sue guance in fiamme; guardava di sotto, dove suo cugino Gabriel e Sophia stavano facendo una passeggiata in giardino. Era strano vedere Gabriel, capitano delle Guardie di Altieres e Primo Cavaliere dell’Ordine della Croce, camminare mano nella mano con una ragazza.
L’amore, si disse, cambia anche gli animi più ribelli e rigidi.
Troppo immersa nei suoi pensieri, non sentì i passi dietro di lei, né le forti braccia che le passavano attorno alla vita; solo quando sentì il petto d’un uomo contro la schiena, realizzò che qualcuno l’aveva intrappolata in una gabbia fatta di carne ed ossa. Si preparò ad urlare e dimenarsi, quando un respiro le sfiorò l’orecchio, insieme ad una voce leggermente roca e dolce – Lo concedete anche a me un ballo, Lady Mayfield?-.
Caroline si irrigidì e cercò di liberarsi da quella stretta, ma le mani di Christopher la tenevano stretta all’altezza dei fianchi contro il suo corpo e non le lasciavano nemmeno la possibilità di provarci.
- Lasciatemi – disse, la voce leggermente tremula, le mani che cercavano di scacciare le sue dal corpo.
- Non credo lo farò. Non voglio e non posso farlo, Milady – replicò lui, le labbra sempre vicine al suo orecchio e il fiato che sapeva di vino fruttato.
- Siete ubriaco. Lasciatemi andare – disse di nuovo lei, spingendo più forte le sue mani lontane da lei – Posso assicurarvi che non sono mai stato più lucido di così – commentò lui, posando le labbra sul suo collo, in un bacio freddo che le lasciò dei brividi caldi lungo la schiena.
Trattenne il fiato, il cervello che lottava su due fronti opposti: lasciarsi andare a quelle carezze oppure fuggire.
Bruciare all’Inferno o scappare dal Paradiso.
Vinse la prima parte: le mani che prima lo respingevano ora lo stringevano, la testa lascivamente piegata da un lato, per lasciare più spazio alle labbra di lui. Quelle labbra che adesso scorrevano calde sulla sua pelle, accendendole piccoli brividi lungo la schiena, mentre dei sospiri le uscivano dalle sue labbra.
La fece girare, senza staccare le labbra dal suo collo, per poi salire verso le labbra, arrivando a pochi millimetri da quelle di lei.
Fu un bacio lento, un semplice sfiorarsi di labbra all’inizio, di una tale dolcezza da farle venire voglia di piangere; le mani le salirono ad intrecciarsi ai capelli di lui, mentre il bacio si trasformava in pura passione: la lingua di lui le accarezzò e poi le forzò dolcemente le labbra, per affondare nella sua bocca e giocare con la sua lingua ed accarezzarle il palato.
La spinse delicatamente contro il muro, intrappolandola tra il suo corpo e la parete, continuando a baciarla e accarezzarla lentamente.
Una mano che scendeva giù, verso il nastro che legava il corpetto…
Un grido divertito squarciò la notte e infranse la bolla di calma e passione in cui si erano rifugiati. Caroline si irrigidì, mentre lo spingeva per le spalle e lo allontanava da sé, gli occhi spalancati; Christopher la guardò confuso, non capendo perché lo avesse respinto così all’improvviso.
- Caroline…- la chiamò lui, avvicinandosi di un passo e allungando una mano a toccarle il viso, e che lei allontanò con un colpo deciso del dorso della mano.
- No! Vi prego, no! – esclamò lei, ritirandosi e allontanandosi da lui, la schiena rigida.
-Perché? – chiese lui, con la voce appena alterata dall’ira; Caroline lo guardò negli occhi, spaventata da quella reazione.
Non rispose, voltando la testa e sobbalzò quando un vaso si ruppe sotto la violenza di un suo calcio.
- Cosa devo fare con voi, Caroline?  Io vi desidero, vi ho desiderato dalla prima volta che vi ho messo gli occhi addosso, e non l’ho mai nascosto! Voi, al contrario, prima siete fredda, poi ad un mio tocco vi sciogliete, poi ritornate fredda come l’inverno. Ve lo chiederò una volta, - si avvicinò a lei e le prese il polso – e voglio una risposta sincera. Cosa volete Caroline? – chiese.
La stretta al suo polso era forte, tanto da farle male, ma quello che più la feriva era lo sguardo che lui le rivolgeva, guardandola negli occhi, quasi trapassandola con lo sguardo.
Le si riempirono gli occhi di lacrime, che lei cercò di trattenere, inutilmente: le scivolarono lungo le guancie, piccoli fiumi di dolore.
- Lasciatemi – singhiozzò, cercando di togliere il polso dalla sua stretta.
- Non finché non mi avrete risposto – ringhiò lui, la voce trasformata dall’ira – Vi prego – disse ancora lei, la voce rotta dal pianto.
- Fossi in voi, farei come dice la ragazza, Milord. Non vorrei mai colpire un uomo di spalle, ma se non mi lascerete altra scelta, potrei sempre decidere di andare contro i miei principi e colpirvi senza un attimo d’esitazione -. La voce di Justin era bassa e calma, ma alzando lo sguardo, Caroline poté leggere negli occhi del cugino tutta la collera che stava cercando si reprimere. Una spada era puntata alla schiena di Christopher, che si era irrigidito. La guardò negli occhi qualche secondo, un misto di rabbia e disperazione, poi le lasciò il polso e si girò verso Justin.
- Scusatemi, devo aver perso un attimo la lucidità – commentò, poi si avviò a passo rigido dentro la sala.
- Caroline – disse Justin, voltando lo sguardo verso di lei, la voce dolce, mentre rinfoderava il pugnale. Lei si asciugò le lacrime e si sistemò il vestito, evitando il suo sguardo. – Va tutto bene, Jus. E’ tutto a posto – rispose lei alla sua muta domanda, la voce che cercava d’esser ferma, alzando finalmente lo sguardo verso di lui. La guardò qualche secondo; se anche avesse trovato prove contrarie a quanto diceva, sapeva che farle di nuovo la stessa domanda non avrebbe fatto altro che irritarla.
- Cosa voleva? – chiese, invece, voltando lo sguardo verso il punto in cui Christopher era sparito dentro la sala.
- Voleva sapere cosa… - le tremò la voce – voleva sapere cosa voglio – concluse piano, quasi sussurrando, tanto che Justin dovette avvicinarsi per sentirla.
- E cosa vuoi, Carol? – chiese lui, poggiandole una mano sulla spalla, in una stretta dolce e rassicurante.
Caroline volse lo sguardo verso i giardini, dove Drayden stava rincorrendo una ragazza, che rideva beata.
Era una notte nuvolosa, senza stelle o Luna che potessero illuminare il mondo e le vite dei mortali.
- Non lo so nemmeno io – rispose piano, rientrando nella sala.
Era stato il mentire, il suo peggior sbaglio quella sera?
 
 
   
 
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