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Autore: Melie Devour    05/04/2013    1 recensioni
«Do fastidio?» lui alza le sopracciglia.
«No, ma mi fai paura.» Lei sente le labbra impastate, e i polmoni non si dilatano abbastanza da permetterle di respirare con serenità.
«Lascia parlare me.» Fa lui «Non sono un chiacchierone. Il disegno nel tuo sketchbook l'ho fatto io.» Si ferma, guardandola. «Ti piace?»
Lei annuisce.
«Unice, io sono morto. Tu lo sai, no?»
«Sì.»
«Ma tu senti la mia voce nel cortile della scuola.»
«Cosa? Eri tu?»
«Già.»
Parole totali: 20k ca; Lunghezza capitoli: 2/3k ca;
[COMPLETATA]
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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La mattinata passò allegra e spensierata, con Sam, su e giù per le classi del college. Fu all'ora della pausa pranzo che un po' di inquietudine si rimpossessò di lei, quando cercando il portafogli tirò fuori dalla borsa lo sketchbook. Una volta ordinato il pasto e posato il vassoio su uno dei tavoli, accanto ad altri ragazzi del suo corso, senza farsi notare aprì sotto al tavolo il libretto e scorse alle famigerate ultime due pagine. I tratti di pennarello nero erano ancora lì, immacolati. Non si erano più mossi. O aggiunti. Questo la tranquillizzò un po', mentre finiva il pranzo tra due chiacchiere con gli amici.

 

Sera. Unice era sdraiata sul divano, in una posizione a dir poco scomposta. Accanto a lei, sul bracciolo del divano, c'era la scatola di carta del riso cantonese take away, con le bacchette buttate dentro. Lei stava sdraiata diagonalmente con la testa poggiata sul pugno guardando la TV, con le gambe coperte da un plaid rosso.

Girò su Mtv. Scorrono scene di concerti live di vari artisti. C'è Madonna, ci sono i REM, i Red Hot Chili Peppers, c'è Micheal Jackson, c'è Bon Jovi. Chi in un club, su un palco con dei tappeti, chi in mezzo a fuochi d'artificio e luci abbagliati in un'arena. Ricky Martin, Depeche Mode. "Ah, guarda chi c'è". 

C'hanno messo nel mezzo pure lui. In quel live unplugged in New York. Qualche scena dove sembrava stesse cantando Polly. Unice fece un'impercettibile smorfia con la bocca. Era passato un annetto appena, da quando Mtv aveva smesso di trasmettere ogni santo giorno un qualcosa in memoria di Kurt, che fosse un video, un live, un'intervista. Immagini dei suoi fan riuniti alla sua veglia, dove Courtney aveva parlato a tutti i suoi fan. Lo odiava. Le rinnovava ogni volta il dolore di quella mattina del 6 Aprile, quando la notizia del suo suicidio era sbattuta in ogni angolo, dai giornali alle emittenti TV. Unice ebbe anche un lieve dubbio che il coccodrillo di Kurt fosse già bello e pronto. E, cosa ancora peggiore, si era innescata una teoria complottista documentata scrupolosamente da vari special e documentari, secondo la quale quello di Kurt avrebbe dovuto essere un omicidio.

Non sopportava queste stronzate. Cos'è, i fan si sarebbero sentiti meglio potendo avere qualcuno da incolpare? Serviva un capro espiatorio, seppur non identificato? Era così impensabile che un ragazzo ipersensibile, emotivo e perennemente depresso come Kurt avesse deciso di togliersi la vita, come aveva già tentato altre volte?

Unice non stava a dire che aveva fatto bene o che fosse giusto così, ma dopotutto, e purtroppo, non era rimasta sorpresa dalla notizia. Solo molto triste. Un po' svuotata. Interdetta.

Rannicchiò le gambe e i piedi scalzi sotto il plaid, strizzando gli occhi stanchi di TV. Puntò il telecomando e la spense. Si stirò allungando le braccia all'indietro, si rilassò e si immobilizzò un attimo.

All'improvviso sentì freddo. In tutto il corpo, sotto al plaid. Cacciò un brivido che la scosse tutta, e di furia si tolse la coperta di dosso e si alzò in piedi, tenendosi le braccia al petto per riscaldarsi. Rimase impalata a guardare il plaid accasciato sul divano. D'istinto si voltò velocemente dall'altra parte, guardando alle sue spalle, la stanza vuota. Per la prima volta sentì un po' di paura pervaderle le gambe.

Turbata corse verso la camera e si buttò sotto le coperte, infilandovisi fino agli occhi, stretta a sé stessa.

 

"Un giorno ucciderò questa sveglia." Ancora in posizione fetale, con l'odioso allarme ancora inserito, aprì gli occhi e fece mente locale. Sì, aveva dormito. Seconda notte libera da insonnia, la paranoia che potesse tornare era tanta. "Aspetta". Altro sogno su Kurt, quella notte. Stavolta Unice non ci aveva parlato, ma come una presenza l'aveva seguito in un backstage surreale, vedendolo mettersi il pigiama ed arrabbiarsi perchè suonare la chitarra nel verso giusto proprio non gli riusciva. E fuori dal bus pioveva fortissimo. I fulmini la spaventavano, nel sogno. Poi ricordò un particolare. La chitarra era a forma di Y rovesciata. Era una chitarra elettrica con il corpo a forma di segno della pace.

Per un attimo i suoi pensieri ammutolirono, poi concluse che la causa di questi sogni ricorrenti era il troppo ascolto dei Nirvana. Decise di non badarvi, dopotutto sognare Kurt non le dispiaceva.

 

A testa bassa, Unice disegnava una pianta rampicante con teste sorridenti al posto dei frutti. Era immersa nella sua creazione con così tanto impegno che Sam dovette scuoterla malamente per farle accorgere che il professore stava richiamando la sua attenzione.

Fu distratta tutto il giorno, fino al pranzo. Fuori era una bella giornata, così Sam e Unice decisero di consumare il pasto fuori, nel porticato interno, sedute su una panchina di marmo con le zampe piene di muschio verde. Sopra le loro teste il vento pettinava le lunghe foglie di un bellissimo salice. Sam addentava un panino ricavato da dell'insalata e un po' di roastbeef infilate a forza in una pagnotta sottodimensionanta tagliata a metà con un coltellino di plastica. Unice faceva a pezzi la sua omelette di verdure. Ne stava addentando uno quando alla sua destra, dalla parte di Sam, sentì una voce chiamarla. Sembrava venire da lontano, ma la sentì molto chiaramente. Non era la voce di Sam, era un uomo. Che però aveva sussurrato. Con il pezzo di omelette sospeso a mezz'aria infilzato alla forchetta, Unice fissò negli occhi Sam, che quando se ne accorse, a bocca piena chiese «Che c'è?» La fissò per qualche altro secondo, poi chinò la schiena in avanti, guardando in lontananza, dietro di Sam. Il prato era pieno di gente che badava ai fatti suoi, mangiando o leggendo. Sam guardò a sua volta alle sua spalle, poi si voltò di nuovo verso Unice, con sguardo interrogativo.

«Non l'hai sentito?» Chiese lei.

«Cosa?»

«Ehm.. non lo so che cos'era» Lanciò un'altra occhiata alla gente sul prato. «È l'insonnia.» mentì.

«Dovresti vedere un dottore.» Concluse Sam. Unice annuì, addentando il pezzo di omelette. "Uno bravo."

 

"Unice?"

"Dove sei?"

"Qui"

La ragazza vede solo nero attorno a sé.

"Kurt?"

«Ehi» Kurt è lì, davanti a lei. Unice alza lo sguardo. È più alto di quanto pensasse.

«Che ci fai qui?» Chiede lei.

«Do fastidio?» lui alza le sopracciglia.

«No, ma mi fai paura.» Lei sente le labbra impastate, e i polmoni non si dilatano abbastanza da permetterle di respirare con serenità.

«Lascia parlare me.» Fa lui «Non sono un chiacchierone. Il disegno nel tuo sketchbook l'ho fatto io.» Si ferma, guardandola. «Ti piace?»

Lei annuisce.

«Unice, io sono morto. Tu lo sai, no?»

«Sì.»

«Ma tu senti la mia voce nel cortile della scuola.»

«Cosa? Eri tu?»

«Già.»

«Però non ha senso.»

«Non deve averne. È come se per te fossi ancora.. vivo.»

«Ma tu vivi qui nel mezzo al niente?» Lei ha lo sguardo vacuo e non concepisce pensieri logici. Quello è un sogno.

«Unice devi sforzarti e concentrarti. Se non ti convinci che questo è reale non andiamo da nessuna parte.»

«Ma questo non è reale.»

«Ah no?»

«Dimostramelo.»

«L'hai voluto tu.» Kurt le si avvicina, e con un gesto rapido le agguanta il braccio destro, con l'unghia del pollice fa pressione sulla sua pelle. Non la taglia, ma le fa male. Lei si impaurisce, con tutta la sua forza tira a sé il braccio. L'unghia ancora premuta sulla sua pelle le lascia una scia graffiata dal gomito al polso. Sente un dolore contorto e incoerente. Indietreggia, vuole allontanarsi da lui e fa un passo indietro. Ma dietro a lei non c'è niente, e il suo piede fa come un buco nell'acqua. E lei cade.

 

Cadde così in fretta da trovarsi già dritta sul letto, quando si svegliò. Gli occhi spalancati, senza fiato. "Dolore. Dove? Al braccio". Abbassò gli occhi, ma era buio pesto. A tentoni raggiunse l'interruttore dell'abat-jour, e da questa venne accecata. Qualche secondo per recuperare la vista, il braccio sotto il paralume. E c'era un segno rosso sulla pelle. Spaventata a morte portò la sua schiena a contatto col muro accanto al letto ed abbracciò i suoi ginocchi. Non trattenne un pianto. Un pianto impaurito. Tra le lacrime spuntò un sussurro che fu una supplica «Kurt».

 

Quella mattina, a scuola, Unice non prestò attenzione alla lezione, come suo solito. Ma nemmeno si dedicò alle sue solite attività alternative come disegnare o leggere un libro sottobanco. Se ne stette tutto il tempo con il mento appoggiato al pugno. Durante l'intervallo, quando l'aula si era svuotata della maggior parte delle persone, lei si era guardata attorno, e piano, aveva chiamato Kurt, sussurrando. Si sentiva così stupida. Il segno rosso sul suo braccio era andato via, ma lei lo ricordava, insieme al dolore, come se fosse stato secondi prima. Aveva sbirciato lo sketchbook più volte, richiudendolo subito dopo in un misto di sollievo e delusione dopo non aver trovato niente di nuovo oltre le due scritte di pennarello.

Una volta a casa, si liberò in fretta della tracolla e della giacca e dall'armadio prese l'occorrente per la doccia. Posò tutto sul lavandino del bagno, e accese l'acqua calda. Il suo sguardo cadde nei suoi stessi occhi, riflessi nello specchio. Le sue iridi nere erano circondate da pelle come livida, ed aveva un aspetto stanco. Si pettinò via i nodi dai capelli, e poi si tolse i vestiti. 

L'acqua calda era arrivata, e lei chiuse lo sportello di vetro opaco della doccia dietro di sé. Con immensa soddisfazione posizionò il viso sotto il getto bollente. Si sparse addosso del sapone, strusciandoselo più volte sulla pelle, e poi di nuovo via, sotto l'acqua.

La bottiglietta di plastica versò un po' di shampoo nella sua mano sinistra, che lo sparse tra le lunghe ciocche scure. Unice chiuse gli occhi mentre con le dita si grattava via l'ansia dai capelli. All'improvviso avvertì qualcosa alle sue spalle, nella stanza. Unice si voltò verso lo sportello. La porta del bagno era chiusa a chiave per abitudine, la finestra anche. Attraverso il vetro appannato e opaco tutto appariva normale, e le sfumature sembravano al loro posto. Chiuse il getto dell'acqua e tese le orecchie. Ma non era con le orecchie che aveva sentito qualcosa. Non c'erano stati rumori. Niente si era mosso. E nonostante questo, lei continuava a percepire.. qualcosa. Nella stanza con lei. Fece un blando tentativo, ad alta voce chiamò «Mamma?» ma ovviamente non ci fu risposta, lei era a lavorare. Il cuore cominciò a batterle più forte. Si sentì così stupida a pensare ciò che pensò. Esitò, e poi a mezza bocca, con lo sguardo chino, chiese «Kurt?». Per i secondi che seguirono poté avvertire il suo cuore spingere sangue nelle arterie. Ma non successe niente. Lei sospirò e il suo viso assunse un'espressione arrabbiata. Si voltò ed aprì il getto d'acqua, rudemente si sbarazzò della schiuma che aveva in testa. "Questa cosa mi farà uscir pazza". Il sogno della notte precedente le aveva fatto un brutto effetto, pensò. Con un colpo chiuse il rubinetto e scorse i capelli tra le mani per liberarli dall'acqua. Allungò la mano verso la maniglia della doccia, ma quando gli occhi misero a fuoco lo sportello cacciò un urlo di terrore. "Sono Kurt"

  
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