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Autore: boll11    26/10/2007    4 recensioni
Raccolta di sette brevi one shot.
1) La notte prima del trasferimento a Central, sotto la luce impietosa del neon, in un locale anonimo dell'Est...
2) Quando qualcuno nasce sfortunato, è inutile cercare di cambiare le cose. Bisogna solo saper stringere tra i denti una sigaretta...
3) Quella sera avevo cominciato a costruire questo muro tra me e l’amore che provo per lui.
4) Fissando lo sguardo a un brutto soffitto si possono prendere decisioni che segnano una svolta. O almeno tentano.
5) Ho sperato che le parole che ha detto una volta che m’ha issato in macchina sarebbero state le ultime.“Puoi dormire mentre guido.”
6) L’aspro del fumo mi invade le narici e mi penetra nella pelle come un cancro.
7) Forse è questo che mi impedisce di dormire, il mio nome sussurrato come una maledizione.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jean Havoc, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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There's really no way Of ending your troubles
(prompt 4: c'erano delle persone che vivevano nella foresta)

La prima volta che ho visto Jean non mi ha particolarmente colpito.
Un tipo più alto di me, con la faccia da contadinotto non troppo sveglio.
Uno insignificante, insomma, come ce ne sono tanti.
Privo di spessore.
All’inizio credo di non averlo neanche calcolato come mio protetto. L’ho ignorato seguendo il primo istinto.
Non so quand’è stato che ho cominciato ad interessarmi a lui, a valutarlo.
Forse è stata quella sigaretta perennemente tra i denti, o l’aria scanzonata.
Forse il suo modo di ribattere al limite del sarcasmo con quella voce placida, appena strascicata, nel marcato accento dell’Est. È più forte di lui: è uno che appena apre bocca pare insultarti.
O magari quella dedizione assoluta che non mi spiegavo visto che, come ho già detto, non lo consideravo uno dei miei.
Eppure gli leggevo rispetto negli occhi, le poche volte che li incrociavo.
Non ho potuto ignorarlo a lungo.
Non che lui facesse qualcosa per attirare la mia attenzione. Non credo neanche che ne sia capace, in realtà. Solo, era sempre presente.
Certo che dall’interesse all’innamoramento ce ne passa.
Eppure è successo.
Quando? Come?
Perché?

La prima volta che l’ho baciato l’ho fatto con rabbia e senza particolare sentimento.
Se dovessi spiegare il motivo non lo saprei dire, come tutto il resto.
Quello che provo per Jean Havoc è sempre sfuggito a qualsiasi logica.
Se ripenso a quel momento direi che è stato come quando si vuole provare un’altra marca di whisky.
Curiosità, credo.
Non so spiegarmelo altrimenti.
Eravamo a fine giornata. Ricordo il filo di fumo grigio contro l’alone della lampada, la sigaretta che si consumava pigra sul posacenere e Jean che sonnecchiava con la testa riversa contro il petto.
Potevo scorgere solo le ciocche arruffate dei capelli: e il rilievo del naso, e la bocca schiusa in un russare sommesso. Mi irritò sapere che non si preoccupava di appisolarsi sul lavoro mentre io ero costretto a sbrigare certe pratiche urgenti.
All’inizio mi sono avvicinato col solo intento di svegliarlo in malo modo. Poi l’ho afferrato per la nuca, serrandogli i capelli nel pugno.
Non gli ho dato il tempo di reagire. Mi chiedo se altrimenti si sarebbe opposto.
È stato un bacio violento tanto da spaccargli il labbro inferiore a suon di morsi.
Furioso, e abbastanza lungo da trovare gradevole il sapore del suo sangue.
Quando mi sono staccato da lui avevo incastrati tra le dita ciuffi di capelli biondi.
“Non riesco a capire cosa ci trovino le sue donne, signore”, mi ha detto calmo afferrando dal posacenere il mozzicone ancora acceso. Ne ha aspirato una lunga boccata prima di concludere serafico con un “Niente di memorabile”.
Forse è per quella frase che ho deciso di stare con lui, ma non credo che per Jean quel “niente di memorabile” si sia mai evoluto in “eccelso”.

Tra inizio e fine della nostra storia ci sono stati bei momenti. Ho bevuto grossi boccali di birra accanto a calici colmi di vino di qualità; ho mangiato enormi panini ripieni e prelibati intingoli; ho dormito su un materasso duro come il marmo e su letti soffici e confortevoli; ho avuto accese discussioni praticamente su ogni cosa e ho fatto sesso in ogni posizione, prendendo e concedendo… E sempre, sempre ne sono stato soddisfatto.
Questo è tutto quello che so della nostra relazione. Una periodo da incorniciare ma impossibile da analizzare.
Stavo bene e tanto basta.

Se non so quando è cominciata, né come è proseguita, so esattamente perché è finita.
Avevamo appena fatto l’amore ed eravamo tranquilli e rilassati.
Jean fumava ed era stranamente silenzioso: masticava assorto il filtro tanto forte che riuscivo a scorgerne sulla superficie le tacche degli incisivi.
La stanza era piccola e fumosa. Il letto scomodo e duro. La stanchezza mi stava vincendo e sentivo il sonno avvilupparmi pian piano.
Fu la sua voce ferma e chiara che mi tenne sveglio.
La sua voce e il suo racconto.
Per tutto il tempo, ricordo, gli diedi le spalle e non lo sfiorai nemmeno.
Quella sera avevo cominciato a costruire questo muro tra me e l’amore che provo per lui.
“Ti amo, Roy”, aveva esordito senza incertezze.
Ero stato tentato di rispondergli, in qualunque modo, che anche io lo amavo.
Ma non era il momento, intuii.
Non c’è mai stato un momento.
Ci fu una lunga pausa in cui lo sentii aspirare ed espirare il fumo con impegno. Sapevo, anche se non lo vedevo, che non aspettava risposta. Non se le aspettava mai.
“Quando ero un ragazzino…”, mi disse assorto. “Vivevamo nella fattoria dei miei nonni. Un posto splendido, davvero. Lungo il confine della proprietà c’era una vasta area boschiva. C’erano due cose che mi affascinavano in quella foresta…”
Si fermò ad un tratto come riscoprendo il ricordo poco a poco. Sentii lo scatto dello zippo e vidi il fumo disperdersi sopra il mio capo prima che riprendesse a parlare.
“Ci vivevano certe persone. Probabilmente cacciatori, bracconieri, o che so io. Omoni enormi che giravano silenziosi tra gli alberi, fucile in spalla. Quando mi incontravano strizzavano l’occhio e mi facevano un cenno deciso con due dita.
Mi piaceva guardarli marciare per la foresta verso chissà quali posti misteriosi. Quella foresta era talmente grande! Ed io ero un ragazzino curioso che girava fischiettando con una fionda incastrata nella tasca posteriore dei pantaloncini.
Conoscevo un posto che credevo segreto, solo mio…” Si interruppe ancora, come a trovare le parole esatte con cui continuare, “Beh…Mio e di quel gruppo di cervi, certo. Se riuscivo ad arrivarci la mattina molto presto, quando il sole non era ancora sorto, ero certo di poterli vedere… Ed erano un bel vedere, ti assicuro. Ci passavo le ore semplicemente a osservarli. Il capo branco aveva un’impalcatura di corna veramente imponente. Erano splendidi, sul serio. E mi sembravano così fieri, eleganti. Invincibili.” Si interruppe per un tempo lunghissimo ed io percepivo la tensione alimentare quel muro tra di noi.
Avrei dovuto dirgli di smetterla, di non aprirmi il suo cuore così tanto. Non l’ho fatto, ma anche se l’avessi fatto non si sarebbe fermato.
Aveva il bisogno di rendere reale la nostra storia. Che io la rendessi reale. Non una serie incerta di incontri clandestini.
“Non erano invincibili. Erano fieri, veloci e bellissimi, ma non invincibili. Non si sfugge a un colpo di fucile se ti prende di mira uno che sa sparare.” Lo sentii sospirare in modo quieto. Un sospiro sommesso, Un alito appena.
“Non si salvano dei cervi da un branco di omoni armati di fucile con una fionda e qualche sasso. Ma ci ho provato con ogni briciola di energia, urlando come un ossesso.”
Quando si fermò di nuovo seppi che era giunto il momento di dire almeno qualcosa. Una cosa qualsiasi. Invece aspettai che concludesse.
“Ti proteggerò fino alla morte”, aggiunse alla fine in un soffio con la certezza assoluta ad affiorare nel tono mortalmente serio.
“Anche se scoprissi che sono un uomo spregevole che fa cose spregevoli?”, chiesi leggero senza voltarmi.
“Sì”, mi rispose.
Lasciai passare alcuni minuti prima di raccogliere coraggio e freddezza per dire le mie parole.
“Non ho bisogno di questo tipo di protezione e non ho più bisogno di te.”
Solo allora mi alzai, in quel silenzio assoluto senza neanche il suono lieve del suo respiro.
In quel silenzio mi rivestii veloce.
“Basta.”, dissi solo prima di uscire. Lui fumava senza guardarmi.
Il profilo tranquillo me lo rendeva inerme.
Un ragazzino sconfitto con una fionda in mano.
 
Da quando l’ho lasciato è come se lo sentissi presente più di prima, benché non faccia niente più di quello che ha sempre fatto.
Allora deduco che sono io a sentirmi così.
Come quel cervo negli occhi sgranati di un bambino.

* * * * *

Note finali: La mia beta, RoyEdomane per definizione, ha apprezzato la storia e ci si è pure commossa.
Questo vuol dire molto per me. Ho ballato una danza del ventre per giorni grazie a lei.
Per questo devo farle una menzione d'onore. Grazie Mary!

Grazie anche a _Mame_ (che analizza i miei prompt alla perfezione! Roy non è un tipo molto carino in questa raccolta, ma spero saprà farsi perdonare) e a elyxyz (che apprezza il mio lavoro in un modo che mi manda in sollucchero). Grazie ancora, mie affezionate!

  
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