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Autore: Lantheros    06/04/2013    0 recensioni
Seconda ed ultima parte di quanto iniziato con Cavalcare la Tempesta.
La conclusione della storia tra due pegasi molto speciali, che impararono a volare anche senz'ali.
La storia dei due Campioni di Equestria.
Dash ed Icarus troveranno un modo per rivedersi.
Troveranno qualcosa per cui gioire
E poi perderanno tutto...
...apparentemente.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rainbow Dash
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La fila di concorrenti saettò lungo una curva a gomito, facendo tremare gli spettatori presenti, che dovettero bloccare la criniera col peso degli zoccoli.

I pegasi presero a sfrecciare implacabili lungo il percorso, cercando di guadagnare terreno e superarsi a vicenda. Il cronista commentava ogni istante della gara, senza risparmiarsi sul crescendo di emozioni che percepiva nell’aria.

Rainbow Dash gareggiava per il podio, contendendosi la posizione con altri due avversari di fronte a lei. Uno di essi, in testa, era ovviamente Thunderlane: il pegaso nero sapeva davvero il fatto suo.

La puledra diede fondo a tutte le sue risorse: prese a curvare sapientemente ad ogni virata, sfruttò il più possibile le scie avversarie, planò, sfrecciò, contrasse le ali con tempismo perfetto. Superò il secondo concorrente.

Thunderlane buttò uno sguardo dietro di sé, come faceva spesso, e sorrise compiaciuto alla vista di Dash (questa volta con un doppio elastico agli occhialoni).

L’amica gli lanciò un ghigno divertito e si buttò verso di lui, a zampe tese.

Come per ogni testa a testa che si rispetti, era l’ultimo giro e la folla non aveva occhi che per loro.

Il pegaso blu continuò a dargli addosso, senza tregua, cercando di snervarlo, ma Thunderlane non era un novellino e non si sarebbe più lasciato fregare come l’ultima volta: accelerò il ritmo e distaccò l’avversaria.

Ogni cosa si sarebbe giocata in quei pochi, preziosi istanti.

Poi accadde.

    Nonostante fosse completamente concentrata nel vincere, Dash puntò casualmente lo sguardo al cielo, completamente azzurro e terso, scorgendo però un puntolino bianco: un’abitazione lontana.

Una fitta improvvisa e assolutamente imprevedibile la colpì al petto e alla mente, come se qualcosa di indefinito fosse stato anticipato da una sensazione di opprimente melanconia.

Sgranò gli occhi, completamente esterna alla realtà.

Le urla della folla e degli altoparlanti la riportarono alla gara: un soffice muro bianco le si stava avvicinando a folle velocità, proprio di fronte al muso.

“Oh! Per Celestia!!”, strillò,  gonfiando le ali e facendo di tutto per frenare.

Ma non bastò.

La concorrente si schiantò violentemente contro il nembostrato a ridosso della pista, sprofondando nella coltre bianca e sollevando batuffoli nebbiosi. Gli spettatori sopra di lei accompagnarono l’avvenimento strizzando gli occhi e digrignando i denti, quasi come se avessero percepito il dolore sulla loro pelle.

Rainbow emerse dopo parecchi secondi, con gli occhiali storti e la criniera arruffata.

Vide altri concorrenti sfrecciarle davanti: non perse tempo, spalancò le ali e cercò di guadagnare dolorosamente terreno.

Tagliò il traguardo in settima posizione.


    Dopo una decina di minuti, sulla coltre nuvolosa a ridosso della pista, Thunderlane veniva osannato dai presenti: una meritatissima prima posizione.

Dash si trovava un po’ in disparte, leggermente dietro alla folla, la cui attenzione era quasi totalmente rivolta al pegaso nero.

Abbassò lo sguardo alle nuvole sotto i suoi zoccoli e una bocca amareggiata si scolpì sul muso.

Rimase in silenzio ad osservare il nulla.

Una timida voce dietro di lei fece capolino: “Ehy, Dashie…”.

“Ciao Fluttershy…”, rispose debolmente, senza neanche girarsi.

L’amica cercò di trovare qualche frase da dire: “Ehm… Hai… hai volato molto bene…”.

“A-ah…”.

“Sì… Cioè, insomma… Quella virata al terz’ultimo giro è stata… Insomma… E’ stata… Yay!...”, si sforzò, con un filo di voce.

“Grazie, Fluttershy, ma la settima posizione è ancor meno della quinta dell’ultima volta…”.

“Oh… Beh… Ma… Cioè… L’importante è partecipare… O no?...”.

“Sì, sì… ovvio…”, disse, con convinzione prossima allo zero.

“E poi non ti sei divertita?”.

“Certo. Però…”.

Il pegaso giallo le si fece vicino: “L’ultima volta mi sembrava ti importasse solo gareggiare, non tanto vincere…”.

Gli occhi di Dash, sotto palpebre un po’ calanti, presero a muoversi in svariate direzioni: “Io… sì… Mi basta gareggiare, è vero…”.

“Però?”, domandò l’amica, con estrema gentilezza.

Rainbow sospirò: “Però… non è bello comunque… Essere abituati ad arrivare sul podio… e poi… Non è tanto il podio in sè… E’ che mi sono allenata duramente e… e vedere i tuoi sforzi buttati via così…”.

“Buttati? C’è qualcosa che non va, forse?”.

L’amica cercò di campar lì qualche mezza scusa: “No… non c’è niente… Soltanto…”.

“Ehy, RD!!”, tuonò Thunderlane, con una ghirlanda da vincitore al collo (e qualche ammiratrice al seguito, che smaniava per un autografo), “Va tutto bene?”.

“Ehy, Thunder… Non… Niente, va tutto bene…”, balbettò.

“Mh… ok”, tagliò corto l’altro, visibilmente sospettoso.

Le mantenne l’attenzione addosso fino all’ultimo, seguendola con la coda dell’occhio, mentre si incamminava verso le zone riservate dello stadio di Cloudsdale.


    Dopo circa un’ora, la puledra uscì dagli spogliatoi, con una sacca sulla groppa e lo sguardo triste. Erano andati via tutti. Quando non vinceva, preferiva così: in modo da potersene andare indisturbata. Ma quella volta fu diverso: Thunderlane la aspettava dietro l’angolo di un corridoio nebuloso. Quando lo vide, fece quasi un balzo all’indietro.

“Thunderlane!!”, esordì.

“Ciao, RD”, disse l’altro, appoggiato alla parete.

“Che… che ci fai ancora qui?...”.

“Niente”, rispose l’amico, “Aspettavo”.

“Aspettavi cosa?”.

“Te”.

“Ah”, esclamò l’altra, guardandosi attorno con nervosismo, “E… Ok… Quindi?”.

Calò il silenzio per qualche istante, poi il pegaso nero si decise a parlare: “Che ti succede, RD?”.

La puledra cercò di sviare: “Succede? In che senso? Non succede niente…”.

“Non mi freghi, Rainbow…”.

Dash ammutolì.

“Dimmi cosa c’è che non va… Sai che con me puoi parlare”.

Lo sguardo dell’amica si fece nervoso: “Non c’è niente che non va, te l’ho detto”.

“E’ già le terza volta che mi arrivi a mezzo metro dalla coda e poi fai qualche cavolata che ti costa parecchie posizioni… Ed io ero abituato a dovermi sudare la poltrona sul podio, con te… Quindi non me la conti giusta”.

“Non mi sono allenata abbastanza…”, mentì.

“Ti alleni quasi il doppio di me. Ti vedo, mentre saetti per il cielo su Ponyville…”.

“Sono stanca”, ribatté.

“Dormi fin troppo e ti appisoli sulle nuvole ogni pomeriggio”.

“Che fai? Mi spii?”.

“Dash… Che ti succede?”, replicò Thunderlane, con sguardo sincero.

Rainbow abbassò lo sguardo sconsolata, non riuscendo a reggere oltre la farsa.

“Io… Io… Niente: mi distraggo”.

“Ti distrai? Cos’è? Non riesci a reggere la vista del mio bel posteriore?”, buttò lì scherzosamente l’amico.

“Piantala…”, rispose stizzita.

“Seriamente: cos’è che ti distrae?”.

“E’… Sono ricordi. Memorie passate…”.

Thunderlane pensò bene a cosa dire e poi, senza peli sulla lingua, le domandò: “Ti riferisci a quel pegaso? Icarus?”.

La puledra drizzò le orecchie: allora la vicenda con Icarus non era passata affatto inosservata.

“I-Icarus?... No… Cioè…”, farfugliò.

“E’ come pensavo”, disse con un sorriso, “Ti manca quel pegaso, giusto?”.

“E-ecco… lui…”.

“…Ti manca tanto?”.

“E’ tardi… Devo andare”, dichiarò infine, passandogli rapidamente sotto al muso e trottando verso l’uscita.

“Ricordati della mia festa per la vittoria, questa sera!”, gli urlò Thunderlane alle spalle, “Dopo cena al Sugarcube Corner, come sempre!”.


*** ***** ***


    “Guarda: io ti ripeto che ho provato a mangiare un muffin con i rubini ma non mi è proprio piaciuto!”, dichiarò Pinkie, battendo uno zoccolo sul tavolo.

“Ehm… Pinkie”, buttò lì Spike, interdetto, “I pony non mangiano minerali preziosi…”.

Lo sguardo dell’amica si illuminò, come se tale informazione le avesse svelato misteri sconosciuti, e si portò gli zoccoli alle guance: “Uuhhh!...”.

“Mangiare pietre così stupende!”, bisbigliò Rarity, scioccata, “Preferirei abbellirci qualche bel tailleur…”.

“Perché non sei una draghessa”, rispose Spike, “Altrimenti sarebbe come appiccicarsi delle caramelle ai vestiti”.

“Io l’ho già fatto!!”, si intromise il pony rosa.

“Saresti una bellissima draghessa…”, sospirò il draghetto viola, con un filo di voce, quasi dovesse avere due cuoricini al posto degli occhi.

Poco lontano, in mezzo ad un gruppo di pony, un muscoloso pegaso bianco disintegrò il coperchio di un barile legnoso, con una poderosa testata. Sparse schizzi di sidro ovunque, quindi sollevò la testa (completamente fradicia) e ruggì: “YEAH!!”.

I presenti esultarono e riempirono i boccali.

“Piano, piano, gentaglia!”, commentò Applejack, “La riserva speciale di mia nonna non è roba con cui scherzare!”.

“Pff!”, rumoreggiò con le labbra qualcuno, “Posso reggere questo e ben altro!”.

“Certo amico… Ne riparliamo domani, quando ti sveglierai in un fosso o in cima ad un campanile, senza ricordarti più nulla”, lo ammonì la puledra, sistemandosi il cappello.

Twilight, per canto suo, stava prendendo appunti sui mutamenti sociali che i presenti subivano sotto l’effetto del sidro, annotando ogni minimo particolare: la sua ricerca sui nefasti effetti dell’alcol ancora non era terminata.

“Che… che shtai fashendo?...”, biascicò un pegaso vicino a lei, completamente ubriaco e incuriosito dagli appunti dell’unicorno viola.

“Niente”, rispose l’altra, senza schiodare lo sguardo dalla carta. “Dimmi: quanti zoccoli vedi?”, e sollevò una zampa.

L’altro incrociò gli occhi, spaesato: “I-io… Un... dre… Cioè… Viola!...”.

“Ok. Grazie della collaborazione”, e appuntò qualcosa.

Fluttershy, come suo solito, era invece in disparte, maggiormente intenta a guardare i vasi di fiori e assicurandosi che nessuno le si facesse troppo vicino.


    In un angolo della stanza, lontana dai festeggiamenti, Dash era appoggiata su un fianco, contro il davanzale di una finestra… la stessa finestra da cui aveva osservato per la prima volta l’abitazione di Icarus, proprio in circostanze analoghe. E così fece, di nuovo.

Alzò lo sguardo al cielo stellato e vide la sagoma scura della sua casa abbandonata, in contrasto col chiarore lunare.

Sospirò, con sguardo triste.

“…Tanto”, disse Thunderlane alle sue spalle.

Dash trasalì: “Cosa??”.

“Ti manca tanto”.

“Ma… ma…”, balbettò, visibilmente arrabbiata, “Ti fai gli affaracci tuoi??”.

“E’ la che abitava?”, chiese, avvicinandosi anch’egli alla finestra.

L’amica parve calmarsi leggermente: “Lui… sì”.

“Capisco. Ora dov’è?”.

“Lui è… partito. Per una cosa molto importante”.

Lo stallone afferrò due boccali appena riempiti: uno se lo portò alle labbra, l’altro lo allungò a Dash.

“Piano con ‘sta roba”, lo avvertì il pegaso blu, con un sorriso, “Ti posso assicurare che sembra leggera ma va a scoppio ritardato…”.

“Dopo la vittoria di oggi penso non me ne farò un problema”.

Rainbow si incupì.

“Cioè…”, dichiarò Thunderlane, cercando di correggere il tiro, “Non volevo dire… Insomma…”.

“No, hai ragione, Thunder. Non mi è mai capitata una cosa simile, prima d’ora… Tre gare… di fila…”.

“Sono cose che succedono…”.

“Ma non a me!”, sbottò, girandosi di scatto verso di lui, rovesciando quasi il sidro dal contenitore, “Non mi fossi allenata capirei! Ma… ma così… non ha senso…”, concluse, con tono calante.

“Capisco, RD. Non so cosa dire…”, e bevve un sorso.

“E’ soltanto che… credevo non mi importasse più di volare e vincere… E… e invece scopro che è ancora così… Che quel podio mancato mi brucia terribilmente…”.

“Sei come me, chioma arcobaleno. Siamo nati per vincere”, disse lui, con sicurezza, “Siamo i campioni di Equestria”.

A quelle parole, gli occhi di Dash si spalancarono.

“Ho detto qualcosa che non va?...”, domandò, un po’ intimorito.

“Campioni di Equestria…”, ripeté lei.

“Uhh… Sì…”.

“Già… Noi eravamo davvero i campioni di Equestria…”.

Non dissero più nulla per alcuni minuti e lo stallone si limitò a sorseggiare saltuariamente qualche sorsata di sidro.

Il pony nero riprese il discorso: “Sai che fine ha fatto?”.

“No…”.

“Ma sai dove andava?”.

“Sì… In un posto dove potessero… curarlo…”.

“E perché non vai a trovarlo?”.

Dash sospirò: “Non lo so… Potrei ma… non so se sia sotto cure, se sia disponibile… Non so… non so nemmeno se… se…”. Gli occhi le divennero lucidi.

“Beh… Se non provi non lo saprai…”.

“Lo so”, ammise, “Anche se… fra non molto c’è niente di meno che la Gara Equestre, uno dei più grandi eventi sportivi mai visti…”.

“Vuoi dire che gli allenamenti sono più importanti del voler rivedere il tuo amico?”, domandò maliziosamente.

“No… no, per niente…”.

“E allora perché ti preoccupi?”.

“Io… io…”. Rainbow si rivolse verso lo stallone, visibilmente turbata: “Io ho paura di rivederlo… ho paura di come potrei trovarlo… di cosa potrebbe essergli successo…”.

L’amico capì quello che provava. Bevve l’ultimo sorso di sidro, si passò una zampa sotto al muso e le disse: “Allora, amica mia… sei fregata…”.

“Cioè?”, chiese lei, non capendo le sue parole.

“Sei troppo presa da lui per stargli lontano, per non voler scoprire cosa gli è successo. Lo leggo nei tuoi occhi”.

La puledra si sentì vulnerabile: “Io… io non…”.

“Ehy, RD”, disse infine lui, mettendole uno zoccolo sulla spalla, “Anche i più grandi campioni hanno qualcosa dentro… Qualcosa per cui valga la pena sembrare meno ‘duri’ di quanto vorremmo… Qualcosa che ci imbarazza o che ci espone agli altri. Se vuoi bene a quel pegaso… se tieni a lui… sai che c’è un’unica cosa che puoi fare…”.

Dash rimase ad ascoltarlo in silenzio, incredula su quanto si stesse dimostrando sensibile.

“E poi”, aggiunse, “Questo è valido solo per gli altri. Io sono troppo macho per provare simili sentimenti”, mentì.

Le palpebre dell’amica calarono improvvisamente: “Certo, certo… Tu sì che sei un duro…”, lo canzonò.

“Scusa: ora, se non ti spiace, avrei un manipolo di ammiratrici desiderose di passare un po’ di tempo con me”, disse, posando il boccale e avviandosi.

Dash lo fermò per un istante.

“Ehy, Thunder…”, bisbigliò, “…Grazie”.

“Figurati. Con te fuori dai piedi, potrò allenarmi indisturbato per la gara. E vincere”, disse sorridendo.

L’altra gli mandò un sorriso di rimando: “Vedremo”.



    Dash si girò, notando un batuffolo rosa sbucare dal vaso di una pianta.

“Pinkie…”, bofonchiò.

L’altra non disse nulla.

“Pinkieee…”.

“Non sono Pinkie. Sono una pianta”.

“Pinkie, non esistono piante rosa confetto. E poi i vegetali non parlano”.

“Io sì”.

“Eddai…”.

“Uff…”, sbuffò il pony, emergendo sconsolata.

“Che diamine facevi lì dietro? Origliavi?”.

“No. Cioè. Ni. Cioè. Boh… Davvero andrai a trovare Icarus???”, farfugliò a mitraglia.

L’amica mosse la mandibola di lato, più volte: “Non lo so…”.

“Voglio vedere ancora il pony dalle ossa di caramello!!”, esultò, con un balzo.

“Anche io lo vorrei…”.

“E allora? Che aspettiamo??”.

“E’ che…”.

“Caramello! Caramello! Caramello! Carmarello! Marcamello!”.

Il pegaso ci pensò attentamente. Riportò la memoria alle ultime parole che si erano scambiati quella notte, tra le nuvole.

Ora sono qui ad osservare il cielo, come ho già fatto in passato, e mi sto chiedendo se… se questa non sarà l’ultima volta che potrò vedere le stelle… se potrò ancora udire il sibilare del vento tra le nuvole… se arriverà ancora un altro cielo stellato…”.

Una morsa le serrò il petto, facendole mancare il fiato nei polmoni.

Ho paura, Rainbow Dash…”.

“Ehy? Stai bene?”, le chiese Pinkie, visibilmente preoccupata.

“Sì”, rispose l’altra, deglutendo, “Sì, sto bene”.

“Allora? Quando partiamo per trovare Icarus??”.

Dash alzò lentamente lo sguardo alla finestra e, dopo una lunga pausa e un sorriso accennato, dichiaro: “Il prima possibile, no?”.
   
 
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