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Autore: Lantheros    06/04/2013    1 recensioni
Equestria 1920.
Il Governo Celeste ha imposto il proibizionismo sulla vendita di alcolici e bandito l'uso della magia.
I produttori di alcolici si trovano quindi col sedere per terra. Coloro che decidono di sottostare al decreto... sprofondano.
Chi vuole restare a galla... ha solo un'opzione. Contrabbando.
E una puledra dalla chioma dorata si troverà in una difficile situazione. Quando le sue vendite crolleranno improvvisamente... usciranno fuori trame e intrighi che renderano l'uso della forza maggiore l'unica soluzione possibile.
La fiction si svolge in un luogo "distorto" della classica Equestria.
Il tono è noir, con un preponderante lato pulp. Non mancheranno inseguimenti, sparatorie e qualche parolaccia (niente di eccessivo). Non vedrete di sicuro il Barone Rosso, ma state sicuri che i pegasi armati di gatling reggeranno il confronto.
Applejack svolge un ruolo da protagonista dominante ma a lei si affiancheranno tutte le sue amiche, formando un gruppo "vecchio stampo" tipico dei fumetti d'epoca, decisamente pulp.
Genere: Azione, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Applejack, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Fratello e sorella si trovarono davanti ad un enorme edificio con un lungo camino sulla cima, da cui fuoriusciva una curiosa scia grigiastra. Sopra la porta si estendeva una serie di tavole di legno, collegate da alcune catenelle, su cui comparivano le seguenti parole: “Dottore”, “Barbiere” (cancellato da una striscia di vernice scura), “Tonici rinvigorenti” e “Sconti del 50%”.

Applejack bussò e, dopo qualche istante, un drago viola alto poco meno di lei, dallo sguardo annoiato, aprì la porta: indossava un paio di paio di pantaloni gessati, da cui penzolava un lembo di camicia infilato malamente; un gilet aperto faceva intravedere bretelle marroni e, sul capo, cascava mollemente una grossa coppola scura.

“I signori desiderano?”, chiese, con completa noncuranza, senza nemmeno guardarli.

“Andiamo, Spike! Siamo noi!”, sbuffò la sorella.

“Mh… avete un appuntamento?”.

“Ma piantala!”, si spazientì, spostandolo di lato ed entrando a forza nell’abitazione. Big Macintosh la seguì.

Il drago agì in preda alla noia e all’apatia più totale: se ne fregò altamente dell’irruzione, chiuse la porta alle sue spalle e poi li seguì.

    Il trio attraversò un ordinario salotto, girò alcuni corridoi e si infilò in uno scantinato, da cui proveniva un alone di fumo simile a quello del comignolo all’esterno.

Giunsero infine in un enorme seminterrato, che ospitava ampolle, calderoni, cisterne, tubi, valvole e attrezzi d’ogni genere e sorta. Un pungente odore di alcol e melassa permeava ogni centimetro della stanza.

In un angolo, un unicorno viola, con un grembiule simile a quello dei macellai e gli zoccoli infilati in gommosi guanti gialli, stava rimestando qualche liquido di un pentolone. Sugli occhi portava una spessa maschera da saldatore, che ne occultava lo sguardo.

“Twilight, abbiamo delle vis…”.

“Non ora, Spike!”, urlò stizzita.

Il drago sospirò e diresse lo sguardo verso i due ospiti: “La signorina Sparkle vi riceverà non appena possibile”. Con quelle parole, si sedette su uno scaffale lì vicino e prese ad accendersi un sigaro.


L’unicorno diede ancora due poderosi giri di mestolo e spostò gli occhiali sulla fronte, rivelando che il suo vero manto era molto più chiaro del previsto, sintomo delle continue bruciacchiature sull’intero corpo.

“Allora”, riprese con tono deciso, “chi è che… Spike! Cosa stai facendo? Spegni subito quella roba!”. Il drago assunse un’espressione ancor più annoiata e schiacciò il sigaro contro la parete. “Quante volte ti devo dire che è pericoloso! Vorrai mica far saltare in aria mezza Ponymood??”.

“Sai che perdita…”, sussurrò l’altro a denti stretti.

“L’ultima volta, per colpa dei tuoi sigari fetenti, ho ristrutturato mezzo locale e mi son dovuta inventare scuse del cavolo per quei rompipalle della Guardia Celeste che…”, l’unicorno si accorse degli ospiti e si ricompose.

“La famiglia Apple…”, rispose, aguzzando lo sguardo.

“Ciao, dolcezza”.

“Eyup”.

“A cosa devo il piacere?”, chiese, riprendendo a smanettare con qualche alambicco.

“Uhm… niente di speciale”, bofonchiò l’altra, osservando il proprio riflesso deformato in un’ampolla panciuta, “stavo giusto facendo un giro”.

Twilight interruppe il proprio lavoro e disse: “Nessuno viene da me senza un motivo particolare”. Riprese quindi a trafficare.

“Vero. In effetti… c’è una cosa che volevo chiederti: riguarda le ultime aggiunte al sidro della famiglia Apple”.

“Lo standard è sempre quello, come pattuito: tu sganci la grana, io preparo la broda, la mescoli nelle giuste proporzioni e il tuo sidro sarà come nettare divino”.

Applejack si appoggiò ad un grosso scatolone in legno e riprese il discorso: “Sì, me lo ricordo il patto. Però… ultimamente gli affari vanno un po’ male. Le vendite sono calate sensibilmente”.

L’unicorno, udendo quelle parole, si bloccò per qualche istante e parlò: “I pony sono stufi del Decreto, è normale. Inoltre, hanno sempre meno soldi da spendere nell’alcol di contrabbando”.

“Conosco bene il Decreto, Twilight. Quello che non mi torna è che il Sugabooze Corner, per esempio, sia col culo a terra”.

“Ti stupisci che una bettola farcita di dementi stia colando a picco?”, chiese l’altra, prima di ruotare una manopola, che liberò un rumorosissimo sfogo di vapore.

La sorella alzò la tesa del cappello e, con tono vagamente minaccioso, rispose: “Normalmente non mi stupirei. Ma io e Pinkie Pie avevamo un accordo e la sbobba che le passo è quello che tratti tu… e, da un giorno all’altro, la domanda va quasi a zero e Pinkie deve praticamente chiudere lo speakeasy? Non è strano?”.

Sparkle, vagamente agitata, corrugò la fronte e continuò nelle proprie faccende, come se nulla fosse. Dopo qualche istante, esclamò: “Non so cosa tu voglia insinuare ma io non ho cambiato nulla della formula”.

“Ti credo”, rispose Applejack, “ma, secondo me, c’è qualcosa che devo sapere… e che tu non mi stai dicendo”.

“Non mi piacciono i ficcanaso”, l’ammonì Twilight, creando una leggera luminescenza intorno al proprio corno. Big Macintosh infilò istintivamente una zampa sotto il completo scuro e Spike sgranò gli occhi, impaurito dalla scena.

“Calma, calma!”, intervenne la sorella, “Ci stiamo tutti scaldando un po’ troppo”. I presenti si distesero e il drago tirò un sospiro.

“Seriamente, Twilight”, disse con sincerità, poggiandole uno zoccolo sulla spalla, “siamo amiche da anni. Perché dobbiamo arrivare a questi livelli?...”.

L’amica si sciolse: “I tempi sono cambiati, AJ. Non è più come qualche mese fa, subito dopo il Decreto. Avevamo un traffico fiorente: il sidro della tenuta Apple, dopo la mia modifica, andava forte. Pinkie lo vendeva come il pane e la grana entrava nelle casse di tutte e tre. Poi, però, la Guardia Celeste ha iniziato a farsi sempre più scaltra… ed io ho avuto notevoli… problemi”.

“Mi ricordo. Era finito su tutti i giornali”.

“Non rendeva l’idea. Non puoi immaginare i soldi che ho perso”, concluse con amarezza.

“Mi sembrava ti fossi risollevata”.

“Certo”, riprese, “ma credi che il denaro piova dal cielo? Non potevo continuare solo con gli introiti della famiglia Apple… e… e così…”.

Applejack la spinse a continuare e l’amica vuotò il sacco: “…Così sono arrivati quei due, i FlimFlam Brothers, e mi hanno fatto un’offerta per una formula migliore…”.

“Cosa??”, sbottò l’altra, “Stai rifornendo i fratelli?”.

“Esatto”.

“Twilight, come hai potuto!”.

L’unicorno si innervosì: “Ehy, non sputare sentenze! Pensi che sarei potuta restare in carreggiata solo con le tue vendite? No, non potevo. E i fratelli mi hanno presentato un giro d’affari molto più grosso… così ho iniziato a vender loro una formula migliore, e a prezzo elevato: un prezzo che tu, cara mia, non ti saresti mai potuta permettere”.

“Quindi… è solo una questione di affari?”, chiese con amarezza.

“L’amicizia è una bella cosa… ma non ti riempie lo stomaco e non ti regala un tetto sotto cui vivere”, concluse Twilight sconsolata, rimettendosi gli occhialoni e riprendendo le faccende tra gli alambicchi.



*** ***** ***



    Poco dopo, fratello e sorella uscirono dal locale, visibilmente delusi: salirono sul mezzo e partirono per tornare alla tenuta Apple.

Non molto distante, una Chrysler, con lo stemma Celeste sulle portiere, parcheggiò in un viottolo. Dall’interno uscirono due ufficiali e, con sguardo serio, un unicorno in impermeabile: era Grey Hound, uno degli agenti più ostici di tutta Counterlot. Un copricapo color cammello sovrastava il suo muso da stallone vissuto, irto di barba incolta. L’agente si accese una sigaretta, sollevò la tesa del cappello ed iniziò uno dei suoi caratteristici monologhi mentali: “La città puzzava di marcio. Forse, per il naso di un folcloristico abitante locale, poteva sembrare un odore come un altro ma, per il sottoscritto, era il tipico olezzo della corruzione”. Scrutò con attenzione i dintorni, poi riprese: “Dov’ero finito? Le piccole strade si contorcevano come le ributtanti interiora di un demone infernale, intento a rigurgitare la propria bile nauseabonda ad ogni angolo di questo fetido mondo. Ubriachi, senzatetto, assassini e soldati senza bandiera girovagavano come anime in pena, attraverso i neri fiumi dell’Acheronte”.

“Signore?”, chiese il collega lì vicino, riportandolo alla realtà.

“Che c’è, Bobby?”, berciò con voce da duro, senza degnarlo di attenzione.

“Mi chiamo Ron, signore. Volevo informarla che siamo giunti a destinazione”.

Hound, a debita distanza, osservò con occhio analitico ogni centimetro del locale del “dottor barbiere”, soffermandosi sul camino fumante. Tirò una sonora snasata, chiuse gli occhi e dichiarò: “Sento puzza di corruzione”.

“…Signore?”.

L’unicorno estrasse un mandato di perquisizione: “Speriamo che la soffiata sia giusta, questa volta. Bobby! Va a chiamare rinforzi! E fa portare il necessario per un possibile scontro a fuoco!”.

Il sottoposto stava per ribadire il proprio nome ma, udendo quelle parole, assunse un’aria titubante: “…Scontro …scontro a fuoco, signore?”.
   
 
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