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Autore: Keaira Elenath    30/10/2007    1 recensioni
Cosa succederebbe se Sauron avesse avuto la malefica idea di generare discendenti?
Peggio ancora, cosa succederebbe se per farlo, avesse scelto di creare un essere perfetto, traendo da ogni razza ogni beneficio, unendo quindi il suo essere demoniaco con le caratteristiche elfiche e quelle umane?
Questa è la storia di una creatura creata dal male, generata per fare del male, ma che essendo appunto discendente di nobili razze, tra cui quella elfica, è dotata anche di sentimenti e sensazioni.
Un "piccolo" sconvolgimento del mondo di Tolkien, con l'apparizione di una nuova creatura, tra i personaggi storici di quest'opera.
E' la mia prima fanfiction, spero con tutto il cuore che piaccia, anche in minima parte.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Denethor, Faramir, Gandalf, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Due - A strange interest

Nolwen non si mosse, nonostante le intimidazioni di Faramir a scappare via, restò ferma dove si trovava, a pochi metri dal capitano, tra lui e la torma di orchi che arrivava correndo a tutta velocità verso di loro.
Faramir cercava continuamente di liberarsi: la sua gamba era ancora incastrata sotto il cavallo che gli orchi avevano trucidato.
Probabilmente era rotta, perché non appena faceva una minima mossa, il dolore era fortissimo, lacerante. Nonostante fosse chiaro che ogni tentativo di liberarsi sarebbe stato inutile, tentò più e più volte.
In ogni caso, ormai era tardi: gli orchi erano visibili a pochi metri di distanza.
Erano arrivati.
Nolwen strinse di più la spada che reggeva in mano, e ora la puntava minacciosamente verso di loro.
Il suo portamento era incredibile: assolutamente immobile, lo sguardo fisso verso il nemico, le braccia tese, le mani ben strette sull’elsa della spada.
Perfetta.
Ogni suo muscolo era fermo, e allo stesso tempo pronta a scattare al minimo cenno di attacco. I suoi occhi, freddi, inespressivi, erano fissi in un solo punto, non si scostavano minimamente dal loro bersaglio.
Per un istante, prima di avvicinarsi ulteriormente, gli orchi si fermarono tutti ad osservarla.
La sua figura, seppure non fosse eccessivamente solenne, incuteva un senso di timore.
La sola fermezza era da temere.
Improvvisamente si innalzò un urlo dalla prima schiera di orchi. Un urlo che aveva in se qualcosa di demoniaco, come se ci fosse stata una vera bestia lì in mezzo, enorme e imponente. L’urlo di battaglia degli orchi, che il più delle volte serviva soprattutto per incutere timore all’avversario.
Ma Nolwen conosceva bene quel suono. Ne conosceva anche di peggiori. E mai nessuno l’aveva smossa o fatta rabbrividire minimamente.
In risposta a quell’urlo, ella stessa emise un sibilo, simile a quello di un serpente, stringendo i denti, schiudendo appena le labbra e mostrando i suoi denti, quattro dei quali molto appuntiti, quelli superiori.
I muscoli del suo viso si erano contorti in un’espressione rabbiosa.
Uno ad uno, gli orchi iniziarono a correre verso di lei, tenendo alte sulle loro teste le loro armi dall’aspetto grezzo e malandato, ma terribilmente pericolose.
Il capitano Faramir gridò ancora una volta alla ‘strana-ragazza’ di andarsene, e scappare via, ma ancora una volta, Nolwen fece finta di non sentirlo.

A gruppi di due o tre, cercarono di colpirla. A volte si gettavano su di lei anche in cinque o sei.
Ma lei, Nolwen, la strana creatura caduta dal cielo, dalla cui schiena fuoriuscivano lunghe ali nere e poteva volare, era molto più veloce e forte di quanto apparisse e di quanto lo fossero gli orchi.
Uno ad uno, li scansò con gesti veloci, quasi impercettibili agli occhi degli orchi e degli uomini.
Faramir stesso riusciva a stento a seguire i suoi movimenti.
Delle volte spariva del tutto e la si ritrovava in volo, in discesa verso il gruppo di orchi.
Questi continuarono ad avventarsi verso di lei, in mano martelli grezzi e spade affilate, certi di avere la vittoria in pugno.
Ma non appena si avvicinavano, Nolwen li colpiva ancora e ancora, con mosse aggraziate e veloci, potenti e distruttive, riducendo gli orchi a semplici mucchi di carne.
Quei poveri stolti non conoscevano onore, e non sapevano nemmeno quando era ora di arrendersi e battere la ritirata.
In pochi minuti, l’intero squadrone di orchi era stato ridotto in polvere da questa giovane, strana ragazza.

Un ultimo orco infame si era avvicinato silenziosamente a Faramir, il quale era riuscito finalmente a liberarsi dalla morsa del cavallo, ma avendo la gamba ferita gravemente, non era riuscito ancora ad alzarsi in piedi.
Il capitano si accorse quasi all’ultimo della spada che pendeva sulla sua testa. I suoi occhi rimasero fissi sul viso dell’orco.
Quell’istante sembrò durare ore.
Cercava con le mani, a tastoni, la sua spada, ancora incastrata sotto il peso del cavallo ormai morto.
Non c’era più niente da fare.
L’orco strinse più forte la spada fra le sue grinfie e la caricò velocemente verso la testa di Faramir.
Gli occhi serrati, ormai certo che fosse la sua fine, il capitano si accorse subito che qualcosa non andava. Non aveva sentito niente: la spada dell’orco che lo trafiggeva, il dolore inumano di qualche secondo prima della morte…niente.
Alzò la testa verso il suo boia.
La spada era ferma a mezz’aria, vicina al suo viso.
E anche l’orco era quasi completamente immobile.
Girò di più la testa.
Il petto dell’orco era trafitto da una grande freccia, la quale aveva squarciato la sua armatura, ed era entrata attraverso il suo corpo, fuoriuscendo per metà dall’altra parte.
Era stata lanciata con molta potenza e perfezione.
L’orco cadde rumorosamente per terra, all’indietro, sospinto dalla forza della freccia.
Opera di Nolwen, ancora immobile, a pochi metri di distanza, con l’arco degli orchi stessi, ancora in mano.

Nel frattempo Gandalf aveva fatto scappare i Nazgul , con la magia del suo bastone, e stava portando in salvo i cavalieri. Non aveva visto l’accaduto, erano troppo lontani dai suoi occhi Faramir e Nolwen.

Faramir rimase immobile ad osservare la ragazza. Incredulo dello spettacolo appena avvenuto davanti ai suoi occhi.
Nolwen, fino a quel momento ancora immobile con l’arco in mano, abbassò l’arma e iniziò a fissare anche lei il capitano, senza scostare lo sguardo da lui.
Quell’uomo, chissà per quale strano motivo, la incuriosiva terribilmente. Era sempre stata incuriosita da loro, dagli uomini, aveva sempre voluto conoscerli e imparare qualcosa della loro cultura, ma mai ne aveva avuto occasione. Aveva solo potuto osservarli da lontano, accucciata sulle alte torri delle loro città.
Faramir si mise seduto, cercando lentamente di alzarsi, ma gli era quasi del tutto impossibile, per via della gamba rotta.
All’improvviso accanto a lui apparve Nolwen.
Si era avvicinata così silenziosamente, che Faramir sobbalzò appena dallo spavento.
Tuttavia non era spaventato da lei. Non aveva più dubbi che non fosse lì per ucciderlo.
La ragazza avvicinò le mani alla gamba di Faramir, dov’era ferita, e iniziò a fare strani gesti circolari, a pochi centimetri di distanza, come se la stesse studiando con le mani stesse, e cercasse di capire cosa fosse successo.
All’improvviso apparve una luce rossa, intensa. Faramir ne fu accecato per qualche istante, mentre Nolwen la fissava noncurante, continuando a tenere le mani sulla ferita.
Dopo qualche secondo, tutto sparì.
Scostò le mani, e la ferita ora non c’era più, era completamente sparita, così com’era sparito il dolore alla gamba.
Faramir era basito.
Non credeva assolutamente ai suoi occhi, eppure era successo, era tutto reale.
Alzò piano la testa, osservando dal basso all’alto la ragazza, fino ad arrivare al suo viso.
Lei ora lo guardava incessantemente negli occhi, come se cercasse qualcosa. E lui, in qualche modo, era inevitabilmente attratto da quello sguardo, del quale non riusciva a distaccarsi: ora anche lui era incuriosito, e cercava qualcosa da quello sguardo.
I suoi occhi poi erano davvero particolari. Niente iridi, solo una piccola luce bianca, intensa e attorno un colore grigio-azzurro. Osservandoli sembrava quasi che dentro essi scorresse qualche misteriosa magia.
Nolwen non disse una parola. Rimase muta.
D’altro canto, come poteva parlare?
Non conosceva la lingua degli uomini, e il linguaggio oscuro avrebbe potuto destare orecchie, che fino a quel momento non avevano avvertito la sua fuga.
Alzò una mano, lentamente, verso il viso del capitano.
Con due dita, scostò una ciocca di capelli che gli copriva gli occhi, disturbando quel legame di sguardi che si era creato tra loro.
Sul volto di Faramir si dipinse un piccolo sorriso.
Nolwen non sapeva cosa fosse un sorriso. Per un attimo ebbe un piccolo sobbalzo all’indietro, leggermente impaurita.
Tornò ad avvicinarsi al viso dell’uomo.
Osservò a lungo le sue labbra, stupefatta e avvicinandosi terribilmente, sempre di più al suo viso.
La sua ‘innocenza’ era terribilmente chiara, così come lo era la sua poca conoscenza degli uomini.
Faramir per un attimo ebbe paura di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Tentò anche lei di sorridere.
Portando le mani sul suo viso, vicino alle labbra, cercando di sentire con le dita il movimento dei muscoli del volto. Per pochi secondi ci riuscì. Riuscì a sorridere al capitano, mostrando ancora di più la bellezza.
Fu solo quell’attimo, in cui entrambi si scambiarono un lungo sguardo e un sorriso, che sembravano celare qualcosa di più.
Ma un attimo dopo, Nolwen iniziò a sentirsi strana.
Le si chiudevano gli occhi.
Le mani ricaddero lungo i fianchi, spinte in basso dalla gravità. Non riusciva più a controllarle.
Improvvisamente, svenì.
Cadde tra le braccia del capitano Faramir, il quale l’afferrò prontamente.
La guardò preoccupato, senza capire cosa le fosse successo, così all’improvviso.
Portò una mano sul suo viso, delicatamente, per far si che si voltasse verso di lui.
Ora poteva osservarla ancora meglio. Sembrava ancora più bella e dolce mentre era così, a occhi chiusi, come se stesse dormendo. Per un attimo fu tentato di accarezzare la sua guancia, ma le sue mani erano sporche e ferite, e aveva paura di farle male…lei sembrava così fragile.
Il capitano non riusciva a capire cosa potesse essere successo, e non voleva chiederselo più di tanto, non ora che erano ancora entrambi in pericolo.
Gli orchi non erano di certo composti solo da quel gruppo che Nolwen aveva prontamente sterminato…
Il resto della loro armata sarebbe arrivato lì a momenti. E lui doveva portare via da lì entrambi, subito.
Si alzò in piedi, lentamente, tenendo sempre la ragazza tra le sue braccia.
La prese in braccio per bene.
Fu ancora stupito di appurare che la sua gamba non gli faceva affatto male. Era come se non fosse successo niente, e non se la fosse fratturata.
E tutto grazie a quella strana ragazza.
La fissò ancora una volta. Fissò il suo viso.
Poi si mise in marcia, più veloce che poteva, e con quanta più delicatezza potesse per non scuotere troppo Nolwen, diretto verso le mura di Minas Tirith, sperando che qualcuno li avvistasse e arrivasse in loro soccorso.





  
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