Non
battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono
veloci, più veloci di quanto tu possa credere
Stefania
tamburellava sul volante della sua Panda rossa quando Marta si chiuse
la porta
del condominio alle spalle, scivolò sull’asfalto
bagnato e si aggrappò alla
ringhiera che recintava l’edificio. Sollevando un
sopracciglio, Stefania
constatò che la sua amica aveva deciso di indossare i jeans
anche quella sera. Non
aveva delle belle gambe? E allora perché si ostinava a
nasconderle, soprattutto
quando aveva l’opportunità di sfoggiarle in
presenza del “suo amato”?
A
Stefania non piacevano le ragazze magre. Le sentiva lamentarsi, nella
metro o
all’università, di quanto dovessero stare attente
al cibo, dei trecento grammi
che dovevano perdere e della taglia 38 che non potevano portare;
parlavano di
diete e di palestra, senza nemmeno sapere cosa significasse essere grasse. E non avere il coraggio
di indossare una gonna.
«Scusa
il ritardo, ero al telefono con Teresa!» esordì
Marta, fiondandosi nell’auto e
sbattendo la portiera prima che la pioggia potesse inzupparla
ulteriormente.
«Chi?»
«Bassa,
capelli ricci, piercing al naso…»
«Ah,
ho capito.»
«Voleva
sapere cos’avesse combinato stanotte. Sai, era il suo
compleanno, siamo andate
a bere…»
Stefania
non ascoltava; preferiva non farlo, perché era di cattivo
umore e di
conseguenza aveva da ridire su quasi ogni singola parola.
Ma
certo, Teresa aveva sempre la
priorità.
Tipico
delle ragazze senza cervello bere in continuazione, cercando qualsiasi
pretesto
per farlo.
Forse,
in preda all’alcol, si era scopata il dj della discoteca. Un
tipo muscoloso,
pieno di tatuaggi e con il suo stesso quoziente intellettivo. Quelle
come lei –
con un bel fisico e una terza perennemente in bella mostra –
bevevano sempre
per fingersi disinvolte e poterci provare con chiunque.
Stefania
era diversa. Le ragazze grasse non bevevano, lo facevano gli altri per
non
dover ricordare di esserci stati a letto.
Deglutì
e si fermò al semaforo, cercando di spannare i finestrini. Non voleva pensarci.
«…
e il fratello di una sua collega ci ha riaccompagnate a case»
concluse Marta.
«Ha portato prima me e poi lei, ma dubito che abbia allungato
le mani: è
fidanzato con un compagno del liceo da cinque anni!»
«Perché
non ti sei vestita carina?» le chiese Stefania con una nota
di disapprovazione
nella voce.
Nell’auto
calò il silenzio. Marta aveva abbassato lo sguardo,
pensierosa; Stefania sapeva
che stava cercando un modo per evitare l’ennesimo
“Odio le gonne”, ma si era
stufata di quella risposta.
«Lui
ci sarà di sicuro, no?» continuò.
«Secondo me dovresti metterti qualcosa di più
femminile, così finalmente ti noterà.»
Solo quando chiuse la bocca si accorse
di quanto dovesse sembrare bastardo quel
“finalmente”.
«Non
credo gli interessi l’aspetto fisico» si
limitò a rispondere Marta,
evidentemente abituata all’antipatica schiettezza
dell’amica.
“Fidati,
a chiunque interessa solo quello.”
Stefania
si morse la lingua e si concentrò sul parcheggio: era
difficile trovarlo a
Roma, lo era ancor di più nei pressi della stazione
Ostiense. C’erano perfino
delle auto con almeno due ruote sopra i marciapiedi; lei, senza farsi
problemi,
le imitò. Mentre si avviava verso il negozio di fumetti
seguita da Marta, si
chiese se alla festa ci sarebbe stato lo zucchero filato; si diede
immediatamente della stupida, rendendosi conto di quanto fosse
improbabile
trovarlo, in mezzo a manga e manuali di giochi di ruolo.
Immancabilmente,
come da copione, Marta bussò tre volte alla porta, ripetendo
il nome di Giovanni.
Stefania incrociò le braccia davanti al prosperoso petto e
sbuffò, voltandosi
per nascondere una smorfia divertita.
Ad
aprirle, però, fu qualcun altro.
«Ehi,
Marta!» esclamò Matteo, raggiante. Si fece
indietro per lasciarla passare.
«Come stai? Ah, Stefania, non ti avevo vista!»
“Certo,
come se fosse possibile.”
«Scusa
il ritardo, spero sia rimasto qualcosa da mangiare» disse
Marta, sorridendo e
inclinando la testa a destra, per poi scuoterla e tornare a guardare
Matteo, le
guance leggermente arrossate.
Stefania
sospirò e li oltrepassò, diretta verso il bancone
per salutare Giovanni con un
cenno del capo. Lo aveva visto solo alcune volte – lo
incrociava soprattutto
all’associazione ludica – e gli rivolgeva la parola
esclusivamente al momento
di pagare i suoi acquisti, ma non voleva essere maleducata. Il
proprietario
della Collina del Vecchio Mangaka
rispose con un sorriso di circostanza, poi tornò a riempire
il contenitore
verde delle patatine.
Non
erano in molti a conoscere Stefania da quelle parti: i compagni di Pathfinder erano più piccoli
di lei –
ventunenne – e andavano tutti al liceo, per cui quella sera
erano probabilmente
stati costretti dai genitori a restare a casa, visto che già
il giorno
successivo sarebbero rientrati tardi; quando lei si era iscritta
all’associazione ludica, quel gruppo era stato
l’unico a disporre di un posto
ancora libero, così aveva dovuto accontentarsi. Matteo
masterizzava nella
stanza accanto il martedì sera e le era capitato di
parlarci, ma l’unica vera
persona che potesse considerare un’amica era Marta, la
ragazza dai corti
capelli rosso fuoco – un tempo castani – e con la
mania dei telefilm che aveva
condiviso con Stefania il primo gioco di ruolo, tre anni prima: il
cugino di
Marta si divertiva a fare il game master, prima di doversi trasferire
per
lavoro in Piemonte, così aveva invitato lei, alcuni amici e
la vicina di casa –
Stefania – a provare la quarta edizione di D&D. Era
stata una bella
esperienza per la timida liceale che a quei tempi sfiorava i novanta
chili, ma
preferiva non ricordarla, perché altrimenti avrebbe dovuto
ammettere che quel
bel periodo si fosse concluso prima ancora della partenza del game
master. E
tutto perché si era stupidamente illusa.
“Cosa
diceva il Dottore? ‘Non battere ciglio’ Non esitare
nemmeno un istante, non
credere che qualcuno possa notarti. Vogliono solo prenderti in giro.
Non
illuderti. ‘Fallo e sei morta.’”
Scorse
una fila di sedie vuote e si sedette. Voleva andare alla festa per
vincere la
sua diffidenza per il genere umano, ma la lite che aveva avuto a cena
con i
genitori le aveva spento ogni speranza. Si guardò intorno
alla ricerca di Marta
e la vide intenta a spiare ogni movimento di Matteo; si sarebbe
volentieri
avvicinata, ma la sua amica era troppo prossima al tavolo dei dolci e
Stefania
non poteva permettersi di sgarrare la dieta.
Con
la coda dell’occhio notò due ragazzi chiacchierare
fittamente, lanciando di
tanto in tanto un’occhiata nella sua direzione. Uno di loro
era alto, moro e
apparentemente pronto a esibire in ogni momento il suo sorriso
smagliante.
L’altro era più piccolo e gracile, ma aveva gli
stessi capelli neri; indossava una
maglietta della HBO con lo stemma degli Stark. In un altro momento
forse
Stefania avrebbe apprezzato un fan del Trono
di Spade, seppure tifasse per quegli inetti
degli Stark, ma era troppo arrabbiata per contenere il suo disprezzo.
Soprattutto
quando l’aspirante “Re del Nord”
lasciò la sua postazione e si avvicinò a lei,
mentre il suo compagno ridacchiava divertito, Stefania trovò
la sua presenza
altamente irritante ancor prima che prima che aprisse bocca.
«Ciao!»
esclamò pimpante, prima di rivolgere una fugace occhiata
all’amico, alla
ricerca di approvazione.
Sta’
tranquillo, Rickon
Stark, hai cominciato nel modo migliore il perfetto finto abbordaggio.
Stefania
non rispose, si limitò a sollevare un sopracciglio,
attendendo che il ragazzo
parlasse di nuovo.
«Mi
chiamo Leonardo. Ti ho… ti ho vista oggi al
negozio» esordì, fissandosi le
scarpe. Oh, perfetto, non aveva nemmeno il coraggio di guardare in
faccia la
sua vittima! «Avevi… beh, indossavi una bella
maglietta.»
Che
si stringeva sulle
tue enormi e spaventose tette!
Stefania
impedì che continuasse. «Non so che razza di
scommessa abbiate fatto, ma andate
a trovare qualcun altro da prendere per il culo!»
Leonardo
sembrava spiazzato, alla disperata ricerca di una scusa che potesse
impedirgli
di apparire come un ragazzino in cerca di uno stupido divertimento
– proprio
quello che era, agli occhi di Stefania.
«No,
aspetta, non volevo… Tu… Ecco, Game
of
Thrones…»
«Ah,
perfetto!» Stefania scattò in piedi, il volto
paffuto completamente rosso.
Pregò che gli occhiali impedissero a Leonardo di vedere i
suoi occhi verdi diventare
lucidi. «Avevate già organizzato tutto, eh? Hai
perfino perso tempo a cercare
una maglietta adatta! Va’ al diavolo!»
Senza
aggiungere altro o ascoltare ulteriori tentativi di scuse, si
allontanò verso
il bagno, incapace di rimanere insieme ad altri esseri umani per un
secondo di
più.
♠
Roberto
non capiva proprio perché Leonardo ci fosse rimasto tanto
male, dopo che
quell’evidente misantropa l’aveva aggredito.
D’accordo, avrebbe voluto passare
la serata a chiacchierare di Stark, Lannister e quell’altra
casata coi draghi –
nomi impronunciabili – ma non sarebbe andata così.
E allora? Perché prendersela
per la reazione esageratamente isterica di una sconosciuta?
«Dai,
Leo, che ti frega?» disse per l’ennesima volta,
mentre a braccia conserte
osservava alcuni diciottenni giocare a Munchkin.
Giovanni
amava quel gioco, ma si limitava a osservare gli invitati dietro le
spalle di
un agitato nuovo arrivato, consapevole che avrebbe battuto quegli
inesperti
giocatori al terzo giro; Roberto, che aveva già fatto la sua
parte e bramava il
momento in cui il tavolo sarebbe rimasto libero per permettergli di
sconfiggere
Giovanni e Matteo, era stanco di ascoltare i lamenti di Leonardo.
«Ma
non capisco cosa sia successo! Un attimo prima mi ascoltava in
silenzio, quello
dopo mi urla addosso… Cosa le ho detto?»
«È
solo una pazza, lasciala perdere. Tieni.» Estrasse un hentai
a caso dallo
scaffale e glielo lanciò. «Leggiti questo, non
è male. Almeno penserai ad altro
per un po’.»
Leonardo
scosse la testa e fece segno di volerlo mettere a posto. «No,
grazie, non è il
mio genere.»
«Impossibile,
è il genere di tutti.»
Lo
lasciò lì, tra gli scaffali colmi di manga e il
tavolo su cui stavano giocando
a Munchkin, e si allontanò. Guardandosi intorno, Roberto si
chiese perché fosse
venuto alla festa: gli piacevano i giochi da tavolo – li venerava – e avrebbe volentieri
speso quella serata a vincerne
quanti più possibili, ma battersi con dei ragazzini alle
prime armi non faceva
per lui. E mentre attendeva che loro si stancassero cosa poteva fare?
Non
sapeva di cosa parlare: avrebbe volentieri sostenuto una conversazione
sugli
ultimi giochi che aveva provato, ma quanto sarebbe durata?
“Ehi,
bello 7 Wonders, è
veloce e divertente.
E adesso di che si parla?”
Roberto
non era in grado di definirsi: odiava il calcio e le discoteche, non
andava
all’università né avrebbe mai voluto
iscriversi, passava le giornate ad
ascoltare i Queen e, infine, si costringeva a seguire alcune serie tv
pur di
avere qualcosa di cui parlare. Tra imparare i nomi dei giocatori della
Roma e
gli interpreti di tutti gli undici Dottori, preferiva di gran lunga la
seconda
opzione. Aveva guardato qualche puntata di Supernatural,
ma l’aveva ben presto giudicata una
“schifezza”; gli avevano consigliato Pretty
Little Liars – «Non è solo
roba
per ragazze!» - e dopo qualche puntata presa qua e
là aveva decretato che sì,
era solo roba per ragazze. Torchwood
era passabile, The Big Bang Theory
insopportabile – ma doveva pur seguirla, tutti la seguivano-
e Glee tutto canzoni e niente
azione. Gli
piaceva Game of Thrones, ma non
sarebbe mai stato capace di intavolarci una conversazione: non
ricordava quasi
alcun nome, a lui interessavano solo le belle forme di Sibel Kekilli
– che
certamente non aveva conosciuto come Shae – e il sangue che
sgorgava in
continuazione. Si vergognava un po’ ad ammetterlo, ma forse
l’unica serie tv di
cui avesse guardato ogni puntata era Squadra
Speciale Cobra 11. Non lo avrebbe mai detto a nessuno.
Guardava
qualche anime di tanto in tanto, ma erano per lo più shonen
che amava fin
dall’infanzia e che cercava in streaming quando si annoiava.
Purtroppo la noia,
però, era sempre più frequente: doveva fare
qualcosa per combatterla, invece
che fingersi appassionato di manga e serie tv solo per cercare il
consenso dei
“nerd” dell’associazione ludica. Si stava
perfino stufando di vincere ogni
gioco da tavola che si trovava davanti! Forse poteva iniziare a mandare
sms
firmandosi A. Di sicuro si sarebbe divertito per un po’, ma
non conosceva i
segreti di nessuno.
Si
avvicinò al tavolo dei dolci, senza accorgersi che la
misantropa che aveva
spaventato Leonardo fosse proprio lì, intenta a mettersi nel
piatto due fette
di ciambellone; aveva un’espressione scura sul volto,
sembrava che si stesse
biasimando. Forse Roberto poteva far qualcosa per vincere la noia,
almeno
quella sera.
«Se
proprio devi farti del male, evita quel ciambellone. L’ha
fatto Giovanni, non
sa proprio cucinare.»
La
ragazza si voltò e lo fulminò con lo sguardo.
Roberto si aspettava che
scappasse, ma non lo fece.
«Io
sono Roberto.»
«Chissenefrega»
replicò lei, dandogli le spalle e servendosi una manciata di
salatini.
«Il
piacere è mio, miss Chissenefrega.»
«Battuta
scontata.»
«Come
il tuo atteggiamento da stronza.» Roberto si strinse nelle
spalle e le mise nel
piatto una fetta di torta di mele. «Questa è
buona, allevierà i tuoi sensi di
colpa.»
«Per
essere una stronza?» La ragazza si riprese
dall’iniziale sconcerto nel sentirsi
rivolgere quell’accusa e finse – com’era
evidente che fingesse! – che non le
avesse dato fastidio, esibendo un sorriso tirato.
«No,
perché sei andata contro la dieta mangiando roba che fa
schifo.»
«Chi
ti dice che sono a dieta?»
«Oh,
se non lo sei, dovresti.»
Ancora
una volta, lei restò spiazzata, così Roberto ne
approfittò per continuare.
«Il
mio amico c’è rimasto male, perché
l’hai trattato così?»
«Voleva
prendersi gioco di me.»
«Ma
figurati, lui…»
«Ah,
Stefy, eccoti!»
Fu
interrotto dall’arrivo di una ragazza, che si interpose fra
lui e la
misantropa. Capelli corti e mossi, unghie mangiucchiate, tre orecchini
e
immancabile paio di jeans, Marta non diede segno di averlo visto,
troppo
impegnata a sbavare dietro a Matteo. Tutti lo avevano notato, ma
sembrava che
il diretto interessato, come al solito, fosse l’unico a non
essersene accorto.
«Ciao,
Marta» la salutò, facendola voltare.
«Stavo facendo la conoscenza della tua
amica, ma si ostina a non dirmi il suo nome.»
«Un
motivo ci sarà» ridacchiò Marta,
afferrando la mano dell’amica e costringendola
a stringere quella di Roberto. «Roberto, lei è
Stefania. Stefania, Roberto.»
«Incantato»
scherzò lui, ammiccando a Stefania. «Come mai la
cercavi? Stavo godendo della
sua ottima
compagnia…»
Stefania
lo fulminò ancora una volta.
«Matteo
aveva una cosa da dirci» rispose Marta, emozionata.
«Ho pensato che a Stefania
potesse interessare…»
«Non
mi interessa.»
«Che
ne sai? Secondo me la sua è un’ottima
idea.»
«Certo,
le sue sono sempre ottime
idee!»
“O-oh,
sarebbe bello scrivere una femslash su di loro! Stefania gelosa
dell’amore che
Marta prova per Matteo… Uhm, però non verrebbe
una storia molto originale,
dovrei aggiungere altre complicazioni.”
Quella
era davvero una cosa che Roberto non avrebbe mai e poi mai detto a
nessuno:
scriveva racconti su un sito. Aveva anche un discreto successo, ma
alcuni
lettori gli avevano consigliato di allontanarsi dal rating rosso e dal
PWP
almeno per una volta. Lui stava riflettendo sulle possibili trame, ma
non ne aveva
trovata ancora una soddisfacente.
“Potrei
fare come in quel manga, Otomen:
basarmi su persone realmente esistenti e scrivere una long di
successo… Credevo
che Viola mi avesse fatto leggere una schifezza, ma forse
quell’unico volume
che ho comprato potrebbe darmi l’idea
giusta…”
Ma
lui non era abile nelle femslash. Poteva concentrarsi su Marta e
Matteo, ma la
loro storia era così noiosa…
Una
ragazza si prende una cotta che non verrà mai ricambiata,
che novità!
«Allora?»
Roberto
si riscosse dai propri pensieri. Gli occhi castani di Marta lo
scrutavano
indagatori, in attesa di una risposta. Stefania era sparita.
«Scusa,
ero sovrappensiero.»
«Ti
va di ascoltare quello che ha da dire Matteo? Stefy ha detto che
preferisce
prendere una boccata d’aria, magari le riferisco tutto
dopo…»
«Ma
sì, dai!»
Marta
era carina, rifletté Roberto mentre si avvicinavano a
Matteo, assorto in una
fitta conversazione con Leonardo e Giovanni. Non era altissima
– e questo era
un punto a suo favore: gli uomini spesso sono spaventati dalle ragazze
con
qualche centimetro più di loro – e i capelli rossi
le stavano molto bene;
probabilmente sarebbe risultata un po’ anonima senza tinta e
fuori da quel
contesto, doveva sembrare una ragazza come tante
all’università, ma nel negozio
di fumetti spuntava su tutti con la felpa di Doctor
Who e la collana con il simbolo dei Doni della Morte. Poteva
essere un soggetto interessante per una storia.
«…
e quindi avevo pensato… Ah, Marta, sei tornata!»
Matteo
era visibilmente eccitato alla prospettiva di esporre la sua idea.
Leonardo non
chiese niente a Roberto riguardo a Stefania, quindi non doveva averli
visti
parlare.
«Stavo
dicendo agli altri che i giocatori del martedì sera mi hanno
stancato,»
proseguì Matteo, gesticolando, «ma mi dispiaceva
chiudere l’avventura perché so
quanto a Leo stia a cuore. Oggi pomeriggio, però, ho
scoperto un nuovo manuale
di Pathfinder: ne avevamo
già un po’
in negozio, ci ho fatto caso solo ora.» Estrasse qualcosa che
aveva riposto
sotto il bancone, mostrandolo ai presenti.
«Rise of the Runelords» lesse
Roberto.
«Quindi stai riunendo un po’ di gente per giocare
una nuova campagna?»
«Io
ci sto!» si mostrò immediatamente disponibile
Marta, alzando la mano. Il
cellulare le squillò e fu costretta a ritrarla per leggere
il messaggio.
«Anch’io»
disse Leonardo. «Tu che ne pensi, Gio?»
Giovanni
alzò le spalle. «Non lo so, sono un po’
impegnato in questo periodo… Vi farò
sapere.»
«A
me va bene» concluse Roberto.
Matteo
era euforico, stringeva il manuale al petto come se fosse una sua
creazione.
«Vi va di cominciare questo venerdì? Ho
già letto gran parte dell’avventura.»
Annuirono
tutti, tranne Marta, concentrata sul cellulare.
«Marta?
Tutto bene?»
«Per
niente: Stefania se n’è andata, dice che si stava
annoiando.» Alzò lo sguardo,
accigliata. «Non so come tornare a casa.»
«Posso
accompagnarti io» propose Matteo. «Devi aspettare
che finisca la festa, però.
Dovrò aiutare a mettere a posto…»
Marta
stava già per sorridergli al settimo cielo, quando Roberto
fu colto
dall’ispirazione.
«Posso
pensarci io. Abitiamo vicino, no?»
Il
sorriso di Marta si spense, accompagnato dalle parole di Matteo:
«Forse è
meglio, credo finiremo molto tardi e se non mi sbaglio domattina hai
l’università.»
Marta
sembrava combattuta tra la delusione e la felice scoperta che Matteo
conoscesse
almeno un po’ i suoi orari. Si voltò verso
Roberto. «Grazie mille, allora verrò
con te.»
Lui
sorrise e le ammiccò. «Figurati, è un
piacere.»
♠
«Ci
vediamo domani!»
Matteo
chiuse la porta a vetri della Collina del
Vecchio Mangaka, facendo suonare i campanelli appesi al suo
interno. Era
stata una sua idea: se entrambi i proprietari, in quel momento, fossero
stati
nella stanza sul retro, sarebbero stati avvisati dai campanelli
dell’ingresso
di un cliente; peccato che, ogni volta, non si dessero nemmeno la pena
di
andare a controllare.
Mentre
inseriva l’allarme nel negozio e usciva nella strada
illuminata dai lampioni e
dalla luna, trasportando i rifiuti di quella sera, Giovanni si chiese
se lui e
Matteo non fossero troppo ingenui: chiunque, in loro assenza, avrebbe
potuto
rubare qualche manga o perfino un costosissimo manuale di Vampire: The Masquerade, però
i proprietari del Vecchio Mangaka
sembravano confidare
così tanto nel prossimo – o perlomeno nei loro
clienti – da non temere furti.
Finora, inoltre, non erano ancora stati messi alla prova.
Casa
sua non era distante dal negozio, così Giovanni si era
offerto di chiudere,
lasciando andare Matteo via prima – era talmente emozionato
che il suo collega
intuì che desiderava tornare a casa al più presto
per finire di leggere il
manuale. Da quanto tempo Giovanni non si emozionava come lui? Non si
sarebbe
fatto una domanda del genere il giorno prima, ma la mattina seguente
sarebbe
dovuto andare dall’avvocato. E avrebbe rivisto
Caterina…
Girò
la chiave nella toppa dell’appartamento, entrò e
appoggiò il mazzo di chiavi
sul mobiletto dell’ingresso. Rivedere quel posto
così familiare, senza sentire
la risata di Cate, gli mozzò il fiato in gola.
«Passeremo
qui il resto
della vita! Ci pensi? Abbiamo risparmiato fin dal liceo, ma ne
è valsa la pena.»
Nel
buio fu attratto da una luce. Proveniva dalla cucina, sembrava che in
casa ci
fosse qualcuno…
Fu
colto da un moto improvviso di sollievo, ma quando raggiunse la stanza
scoprì
che non c’era nessuno. Solo la televisione, che probabilmente
lui stesso aveva
lasciato accesa quando era uscito di casa. Il volume era basso,
un’abitudine
che Giovanni non aveva ancora rimosso. Amava restare alzato fino a
tardi, ma
Cate la sera era talmente stremata dal lavoro da bramare solo il letto,
così
lui sceglieva un DVD dalla pila dei suoi anime e lo inseriva nel
lettore, per
gustarselo anche con il volume al minimo, in modo da non disturbare la
moglie.
Durante i primi tempi la raggiungeva al letto dopo solo
un’ora, baciandole la
fronte e aspettando che lei si adagiasse sul suo petto, rassicurata
dalla sua
presenza, ma con il tempo Giovanni si era accorto di preferire stare
davanti
alla televisione piuttosto che entrare nella loro camera quanto prima.
Sollievo.
Già, era proprio quello che aveva provato all’idea
che Cate fosse tornata a
casa, non felicità: un patetico senso di sollievo per non
dovere alzarsi alle
otto, controllare i documenti e recarsi nell’ufficio del suo
avvocato, dove ci
sarebbero stati anche la moglie e il suo legale. Non avrebbe dovuto
farsi la
barba né scegliere un vestito adatto
all’occasione, ma soprattutto udire ancora
le parole taglienti di Caterina, mentre dondolava ritmicamente la gamba
nascosta
da una sottile calza.
«Voglio
la casa. Può
tenersi il resto, ma l’appartamento è
mio.»
Chiunque
avrebbe pensato che fosse una buona richiesta: Giovanni avrebbe tenuto
l’auto,
l’impianto stereo e le due televisioni; tuttavia tornare
nella casa dei
genitori a trentacinque anni era impensabile, inoltre sapeva che il
motivo per
cui Cate desiderava quell’appartamento era solo sottolineare
quanto fossero
gravi i loro problemi. Tanto da rinunciare al sogno che avevano
coltivato fin da
sedicenni.
C’era
una loro foto sopra la televisione accesa, risaliva al loro matrimonio.
Cate
indossava un abito bianco che si allargava sul ventre, dove spuntata la
causa
delle loro nozze frettolose – sebbene già stessero
insieme da dieci anni. I capelli
biondi, più chiari di quelli del marito, erano legati in una
crocchia stretta
sopra la testa, solo due ciuffi ricadevano ai lati degli occhi dorati.
A quel
tempo Giovanni non indossava ancora gli occhiali, così le
sue pupille azzurre
non erano nascoste dalle lenti. Entrambi gli sposi sorridevano, felici
come non
lo erano mai stati.
Ci
avevano provato. Dopo che i sentimenti erano appassiti, dopo che Cate
era
tornata a casa in lacrime, confessandogli di averlo tradito, avevano
provato ad
andare avanti; anche durante la separazione si erano frequentati, erano
stati a
letto insieme, ci avevano provato.
Ma
Giovanni aveva capito che era inutile fin dal momento in cui la notizia
del
tradimento non lo aveva ferito come avrebbe dovuto.
Avrebbe
soltanto desiderato che la fine della loro storia non avesse messo in
mezzo
avvocati e famiglie incredule. Avrebbe voluto che fosse come al liceo,
quando
lui e Cate si erano lasciati per due mesi e avevano semplicemente
smesso di
cercarsi a ricreazione – finché i loro migliori
amici non si erano messi in
mezzo per farli riappacificare.
Spense
la televisione e andò all’armadio per prendere una
coperta: quella notte
avrebbe dormito sul divano, faceva già troppo male per
tornare in quel letto
vuoto.
NOTE
Il titolo è una
citazione di Doctor Who.
STEFANIA
- “Marta bussò tre
volte alla porta, ripetendo il nome di Giovanni”: riferimento
a The Big Bang Theory.
- La Collina del Vecchio
Mangaka: in
un’avventura che sto giocando, esiste la locanda
“La Collina del Vecchio
Pirata”; “mangaka” è il
termine con cui si designano gli autori di manga.
- game master:
colui che guida l’avventura.
- HBO: canale su
cui viene trasmesso Game of Thrones.
- Rickon Stark: il
più piccolo figlio degli Stark, purtroppo ormai noto come
“quello che non si
fila nessuno”.
ROBERTO
- “Forse poteva
iniziare a mandare sms firmandosi A”: riferimento a Pretty Little Liars
- femslash: storia
d’amore tra due donne
- PWP: Plot? What
Plot?
Ho inserito anche
le note riguardanti le fanfictions, non si sa mai!
SPAZIO AUTRICE
Un abbraccio a
tutti! Sì, vi stritolo, perché sto cercando di
impegnarmi con questa long e mi
fa piacere che venga letta ^^ Se potete, lasciate una recensione,
giusto per
darmi un segno del vostro passaggio e dirmi cosa funziona e cosa non
funziona,
sennò non importa :D
Ringrazio tutte
coloro che hanno messo la storia nelle preferite/seguite e che hanno
recensito;
un grazie particolare va a Dark Aeris, che mi sta aiutando a cercare
gli errori
di distrazione e a sistemare qualche frase che non suona bene!
Secondo capitolo,
introduzione degli altri tre protagonisti. Mi dispiace che sia stato un
capitolo un po’ “pesante” (a eccezione
della parte su Roberto, ho parlato di
una ragazza “soffocata” dalla consapevolezza del
proprio peso e di un uomo alle
prese con una separazione), però ho dovuto farlo
perché non tutti i protagonisti
sono “allegri, pimpanti e sempre pronti a ridere”.
Andando avanti, però (e già
dal prossimo capitolo), le interazioni fra loro faranno sì
che la long assuma
sempre più l’aspetto di una commedia –
anche se momenti “bui” capiteranno
necessariamente (Giovanni dovrà pur sempre separarsi dalla
moglie, sigh).
Ci vediamo al
prossimo capitolo e grazie per ogni segno del vostro passaggio che
lascerete
(anche se sarà solo un numero nelle visualizzazioni della
storia)!
Medusa