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Autore: MedusaNoir    10/04/2013    5 recensioni
A Roma Giovanni e Matteo gestiscono un negozio di fumetti, ma sono anche soci di un'associazione ludica dove spesso alcuni ragazzi dell'Eur si ritrovano per giocare di ruolo. Marta, goffa e testarda, cerca di seguire più serie tv possibili, finendo così per pensare per citazioni; Leonardo è timido, ma gli basta parlare di "Game of Thrones" per dimenticare di avere davanti un'altra persona; Stefania, ventun'anni, è la più piccola del gruppo e cerca di mascherare con un atteggiamento scostante l'insicurezza che deriva dall'avere un corpo massiccio e troppo lontano dai canoni della bellezza; Roberto è manipolatore e detesta essere battuto, che si tratti di giochi da tavola o di scommesse.
Tra feste nel negozio di fumetti, giochi e vacanze di ruolo - ma senza dimenticare la vita universitaria o domestica che scorre intorno ai protagonisti, divorzi, esami e amori inaspettati - i sei ragazzi si troveranno ad affrontare le loro paure e, chissà, forse anche a superarle.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Non battere ciglio. Fallo e sei morta. Sono veloci, più veloci di quanto tu possa credere





Stefania tamburellava sul volante della sua Panda rossa quando Marta si chiuse la porta del condominio alle spalle, scivolò sull’asfalto bagnato e si aggrappò alla ringhiera che recintava l’edificio. Sollevando un sopracciglio, Stefania constatò che la sua amica aveva deciso di indossare i jeans anche quella sera. Non aveva delle belle gambe? E allora perché si ostinava a nasconderle, soprattutto quando aveva l’opportunità di sfoggiarle in presenza del “suo amato”?

A Stefania non piacevano le ragazze magre. Le sentiva lamentarsi, nella metro o all’università, di quanto dovessero stare attente al cibo, dei trecento grammi che dovevano perdere e della taglia 38 che non potevano portare; parlavano di diete e di palestra, senza nemmeno sapere cosa significasse essere grasse. E non avere il coraggio di indossare una gonna.

«Scusa il ritardo, ero al telefono con Teresa!» esordì Marta, fiondandosi nell’auto e sbattendo la portiera prima che la pioggia potesse inzupparla ulteriormente.

«Chi?»

«Bassa, capelli ricci, piercing al naso…»

«Ah, ho capito.»

«Voleva sapere cos’avesse combinato stanotte. Sai, era il suo compleanno, siamo andate a bere…»

Stefania non ascoltava; preferiva non farlo, perché era di cattivo umore e di conseguenza aveva da ridire su quasi ogni singola parola.

Ma certo, Teresa aveva sempre la priorità.

Tipico delle ragazze senza cervello bere in continuazione, cercando qualsiasi pretesto per farlo.

Forse, in preda all’alcol, si era scopata il dj della discoteca. Un tipo muscoloso, pieno di tatuaggi e con il suo stesso quoziente intellettivo. Quelle come lei – con un bel fisico e una terza perennemente in bella mostra – bevevano sempre per fingersi disinvolte e poterci provare con chiunque.

Stefania era diversa. Le ragazze grasse non bevevano, lo facevano gli altri per non dover ricordare di esserci stati a letto.

Deglutì e si fermò al semaforo, cercando di spannare i finestrini. Non voleva pensarci.

«… e il fratello di una sua collega ci ha riaccompagnate a case» concluse Marta. «Ha portato prima me e poi lei, ma dubito che abbia allungato le mani: è fidanzato con un compagno del liceo da cinque anni!»

«Perché non ti sei vestita carina?» le chiese Stefania con una nota di disapprovazione nella voce.

Nell’auto calò il silenzio. Marta aveva abbassato lo sguardo, pensierosa; Stefania sapeva che stava cercando un modo per evitare l’ennesimo “Odio le gonne”, ma si era stufata di quella risposta.

«Lui ci sarà di sicuro, no?» continuò. «Secondo me dovresti metterti qualcosa di più femminile, così finalmente ti noterà.» Solo quando chiuse la bocca si accorse di quanto dovesse sembrare bastardo quel “finalmente”.

«Non credo gli interessi l’aspetto fisico» si limitò a rispondere Marta, evidentemente abituata all’antipatica schiettezza dell’amica.

“Fidati, a chiunque interessa solo quello.”

Stefania si morse la lingua e si concentrò sul parcheggio: era difficile trovarlo a Roma, lo era ancor di più nei pressi della stazione Ostiense. C’erano perfino delle auto con almeno due ruote sopra i marciapiedi; lei, senza farsi problemi, le imitò. Mentre si avviava verso il negozio di fumetti seguita da Marta, si chiese se alla festa ci sarebbe stato lo zucchero filato; si diede immediatamente della stupida, rendendosi conto di quanto fosse improbabile trovarlo, in mezzo a manga e manuali di giochi di ruolo.

Immancabilmente, come da copione, Marta bussò tre volte alla porta, ripetendo il nome di Giovanni. Stefania incrociò le braccia davanti al prosperoso petto e sbuffò, voltandosi per nascondere una smorfia divertita.

Ad aprirle, però, fu qualcun altro.

«Ehi, Marta!» esclamò Matteo, raggiante. Si fece indietro per lasciarla passare. «Come stai? Ah, Stefania, non ti avevo vista!»

“Certo, come se fosse possibile.”

«Scusa il ritardo, spero sia rimasto qualcosa da mangiare» disse Marta, sorridendo e inclinando la testa a destra, per poi scuoterla e tornare a guardare Matteo, le guance leggermente arrossate.

Stefania sospirò e li oltrepassò, diretta verso il bancone per salutare Giovanni con un cenno del capo. Lo aveva visto solo alcune volte – lo incrociava soprattutto all’associazione ludica – e gli rivolgeva la parola esclusivamente al momento di pagare i suoi acquisti, ma non voleva essere maleducata. Il proprietario della Collina del Vecchio Mangaka rispose con un sorriso di circostanza, poi tornò a riempire il contenitore verde delle patatine.

Non erano in molti a conoscere Stefania da quelle parti: i compagni di Pathfinder erano più piccoli di lei – ventunenne – e andavano tutti al liceo, per cui quella sera erano probabilmente stati costretti dai genitori a restare a casa, visto che già il giorno successivo sarebbero rientrati tardi; quando lei si era iscritta all’associazione ludica, quel gruppo era stato l’unico a disporre di un posto ancora libero, così aveva dovuto accontentarsi. Matteo masterizzava nella stanza accanto il martedì sera e le era capitato di parlarci, ma l’unica vera persona che potesse considerare un’amica era Marta, la ragazza dai corti capelli rosso fuoco – un tempo castani – e con la mania dei telefilm che aveva condiviso con Stefania il primo gioco di ruolo, tre anni prima: il cugino di Marta si divertiva a fare il game master, prima di doversi trasferire per lavoro in Piemonte, così aveva invitato lei, alcuni amici e la vicina di casa – Stefania – a provare la quarta edizione di D&D. Era stata una bella esperienza per la timida liceale che a quei tempi sfiorava i novanta chili, ma preferiva non ricordarla, perché altrimenti avrebbe dovuto ammettere che quel bel periodo si fosse concluso prima ancora della partenza del game master. E tutto perché si era stupidamente illusa.

“Cosa diceva il Dottore? ‘Non battere ciglio’ Non esitare nemmeno un istante, non credere che qualcuno possa notarti. Vogliono solo prenderti in giro. Non illuderti. ‘Fallo e sei morta.’”

Scorse una fila di sedie vuote e si sedette. Voleva andare alla festa per vincere la sua diffidenza per il genere umano, ma la lite che aveva avuto a cena con i genitori le aveva spento ogni speranza. Si guardò intorno alla ricerca di Marta e la vide intenta a spiare ogni movimento di Matteo; si sarebbe volentieri avvicinata, ma la sua amica era troppo prossima al tavolo dei dolci e Stefania non poteva permettersi di sgarrare la dieta.

Con la coda dell’occhio notò due ragazzi chiacchierare fittamente, lanciando di tanto in tanto un’occhiata nella sua direzione. Uno di loro era alto, moro e apparentemente pronto a esibire in ogni momento il suo sorriso smagliante. L’altro era più piccolo e gracile, ma aveva gli stessi capelli neri; indossava una maglietta della HBO con lo stemma degli Stark. In un altro momento forse Stefania avrebbe apprezzato un fan del Trono di Spade, seppure tifasse per quegli inetti degli Stark, ma era troppo arrabbiata per contenere il suo disprezzo.

Soprattutto quando l’aspirante “Re del Nord” lasciò la sua postazione e si avvicinò a lei, mentre il suo compagno ridacchiava divertito, Stefania trovò la sua presenza altamente irritante ancor prima che prima che aprisse bocca.

«Ciao!» esclamò pimpante, prima di rivolgere una fugace occhiata all’amico, alla ricerca di approvazione.

Sta’ tranquillo, Rickon Stark, hai cominciato nel modo migliore il perfetto finto abbordaggio.

Stefania non rispose, si limitò a sollevare un sopracciglio, attendendo che il ragazzo parlasse di nuovo.

«Mi chiamo Leonardo. Ti ho… ti ho vista oggi al negozio» esordì, fissandosi le scarpe. Oh, perfetto, non aveva nemmeno il coraggio di guardare in faccia la sua vittima! «Avevi… beh, indossavi una bella maglietta.»

Che si stringeva sulle tue enormi e spaventose tette!

Stefania impedì che continuasse. «Non so che razza di scommessa abbiate fatto, ma andate a trovare qualcun altro da prendere per il culo!»

Leonardo sembrava spiazzato, alla disperata ricerca di una scusa che potesse impedirgli di apparire come un ragazzino in cerca di uno stupido divertimento – proprio quello che era, agli occhi di Stefania.

«No, aspetta, non volevo… Tu… Ecco, Game of Thrones…»

«Ah, perfetto!» Stefania scattò in piedi, il volto paffuto completamente rosso. Pregò che gli occhiali impedissero a Leonardo di vedere i suoi occhi verdi diventare lucidi. «Avevate già organizzato tutto, eh? Hai perfino perso tempo a cercare una maglietta adatta! Va’ al diavolo!»

Senza aggiungere altro o ascoltare ulteriori tentativi di scuse, si allontanò verso il bagno, incapace di rimanere insieme ad altri esseri umani per un secondo di più.

 

 

Roberto non capiva proprio perché Leonardo ci fosse rimasto tanto male, dopo che quell’evidente misantropa l’aveva aggredito. D’accordo, avrebbe voluto passare la serata a chiacchierare di Stark, Lannister e quell’altra casata coi draghi – nomi impronunciabili – ma non sarebbe andata così. E allora? Perché prendersela per la reazione esageratamente isterica di una sconosciuta?

«Dai, Leo, che ti frega?» disse per l’ennesima volta, mentre a braccia conserte osservava alcuni diciottenni giocare a Munchkin.

Giovanni amava quel gioco, ma si limitava a osservare gli invitati dietro le spalle di un agitato nuovo arrivato, consapevole che avrebbe battuto quegli inesperti giocatori al terzo giro; Roberto, che aveva già fatto la sua parte e bramava il momento in cui il tavolo sarebbe rimasto libero per permettergli di sconfiggere Giovanni e Matteo, era stanco di ascoltare i lamenti di Leonardo.

«Ma non capisco cosa sia successo! Un attimo prima mi ascoltava in silenzio, quello dopo mi urla addosso… Cosa le ho detto?»

«È solo una pazza, lasciala perdere. Tieni.» Estrasse un hentai a caso dallo scaffale e glielo lanciò. «Leggiti questo, non è male. Almeno penserai ad altro per un po’.»

Leonardo scosse la testa e fece segno di volerlo mettere a posto. «No, grazie, non è il mio genere.»

«Impossibile, è il genere di tutti.»

Lo lasciò lì, tra gli scaffali colmi di manga e il tavolo su cui stavano giocando a Munchkin, e si allontanò. Guardandosi intorno, Roberto si chiese perché fosse venuto alla festa: gli piacevano i giochi da tavolo – li venerava – e avrebbe volentieri speso quella serata a vincerne quanti più possibili, ma battersi con dei ragazzini alle prime armi non faceva per lui. E mentre attendeva che loro si stancassero cosa poteva fare? Non sapeva di cosa parlare: avrebbe volentieri sostenuto una conversazione sugli ultimi giochi che aveva provato, ma quanto sarebbe durata?

“Ehi, bello 7 Wonders, è veloce e divertente. E adesso di che si parla?”

Roberto non era in grado di definirsi: odiava il calcio e le discoteche, non andava all’università né avrebbe mai voluto iscriversi, passava le giornate ad ascoltare i Queen e, infine, si costringeva a seguire alcune serie tv pur di avere qualcosa di cui parlare. Tra imparare i nomi dei giocatori della Roma e gli interpreti di tutti gli undici Dottori, preferiva di gran lunga la seconda opzione. Aveva guardato qualche puntata di Supernatural, ma l’aveva ben presto giudicata una “schifezza”; gli avevano consigliato Pretty Little Liars – «Non è solo roba per ragazze!» - e dopo qualche puntata presa qua e là aveva decretato che sì, era solo roba per ragazze. Torchwood era passabile, The Big Bang Theory insopportabile – ma doveva pur seguirla, tutti la seguivano- e Glee tutto canzoni e niente azione. Gli piaceva Game of Thrones, ma non sarebbe mai stato capace di intavolarci una conversazione: non ricordava quasi alcun nome, a lui interessavano solo le belle forme di Sibel Kekilli – che certamente non aveva conosciuto come Shae – e il sangue che sgorgava in continuazione. Si vergognava un po’ ad ammetterlo, ma forse l’unica serie tv di cui avesse guardato ogni puntata era Squadra Speciale Cobra 11. Non lo avrebbe mai detto a nessuno.

Guardava qualche anime di tanto in tanto, ma erano per lo più shonen che amava fin dall’infanzia e che cercava in streaming quando si annoiava. Purtroppo la noia, però, era sempre più frequente: doveva fare qualcosa per combatterla, invece che fingersi appassionato di manga e serie tv solo per cercare il consenso dei “nerd” dell’associazione ludica. Si stava perfino stufando di vincere ogni gioco da tavola che si trovava davanti! Forse poteva iniziare a mandare sms firmandosi A. Di sicuro si sarebbe divertito per un po’, ma non conosceva i segreti di nessuno.

Si avvicinò al tavolo dei dolci, senza accorgersi che la misantropa che aveva spaventato Leonardo fosse proprio lì, intenta a mettersi nel piatto due fette di ciambellone; aveva un’espressione scura sul volto, sembrava che si stesse biasimando. Forse Roberto poteva far qualcosa per vincere la noia, almeno quella sera.

«Se proprio devi farti del male, evita quel ciambellone. L’ha fatto Giovanni, non sa proprio cucinare.»

La ragazza si voltò e lo fulminò con lo sguardo. Roberto si aspettava che scappasse, ma non lo fece.

«Io sono Roberto.»

«Chissenefrega» replicò lei, dandogli le spalle e servendosi una manciata di salatini.

«Il piacere è mio, miss Chissenefrega.»

«Battuta scontata.»

«Come il tuo atteggiamento da stronza.» Roberto si strinse nelle spalle e le mise nel piatto una fetta di torta di mele. «Questa è buona, allevierà i tuoi sensi di colpa.»

«Per essere una stronza?» La ragazza si riprese dall’iniziale sconcerto nel sentirsi rivolgere quell’accusa e finse – com’era evidente che fingesse! – che non le avesse dato fastidio, esibendo un sorriso tirato.

«No, perché sei andata contro la dieta mangiando roba che fa schifo.»

«Chi ti dice che sono a dieta?»

«Oh, se non lo sei, dovresti.»

Ancora una volta, lei restò spiazzata, così Roberto ne approfittò per continuare.

«Il mio amico c’è rimasto male, perché l’hai trattato così?»

«Voleva prendersi gioco di me.»

«Ma figurati, lui…»

«Ah, Stefy, eccoti!»

Fu interrotto dall’arrivo di una ragazza, che si interpose fra lui e la misantropa. Capelli corti e mossi, unghie mangiucchiate, tre orecchini e immancabile paio di jeans, Marta non diede segno di averlo visto, troppo impegnata a sbavare dietro a Matteo. Tutti lo avevano notato, ma sembrava che il diretto interessato, come al solito, fosse l’unico a non essersene accorto.

«Ciao, Marta» la salutò, facendola voltare. «Stavo facendo la conoscenza della tua amica, ma si ostina a non dirmi il suo nome.»

«Un motivo ci sarà» ridacchiò Marta, afferrando la mano dell’amica e costringendola a stringere quella di Roberto. «Roberto, lei è Stefania. Stefania, Roberto.»

«Incantato» scherzò lui, ammiccando a Stefania. «Come mai la cercavi? Stavo godendo della sua ottima compagnia…»

Stefania lo fulminò ancora una volta.

«Matteo aveva una cosa da dirci» rispose Marta, emozionata. «Ho pensato che a Stefania potesse interessare…»

«Non mi interessa.»

«Che ne sai? Secondo me la sua è un’ottima idea.»

«Certo, le sue sono sempre ottime idee!»

“O-oh, sarebbe bello scrivere una femslash su di loro! Stefania gelosa dell’amore che Marta prova per Matteo… Uhm, però non verrebbe una storia molto originale, dovrei aggiungere altre complicazioni.”

Quella era davvero una cosa che Roberto non avrebbe mai e poi mai detto a nessuno: scriveva racconti su un sito. Aveva anche un discreto successo, ma alcuni lettori gli avevano consigliato di allontanarsi dal rating rosso e dal PWP almeno per una volta. Lui stava riflettendo sulle possibili trame, ma non ne aveva trovata ancora una soddisfacente.

“Potrei fare come in quel manga, Otomen: basarmi su persone realmente esistenti e scrivere una long di successo… Credevo che Viola mi avesse fatto leggere una schifezza, ma forse quell’unico volume che ho comprato potrebbe darmi l’idea giusta…”

Ma lui non era abile nelle femslash. Poteva concentrarsi su Marta e Matteo, ma la loro storia era così noiosa… Una ragazza si prende una cotta che non verrà mai ricambiata, che novità!

«Allora?»

Roberto si riscosse dai propri pensieri. Gli occhi castani di Marta lo scrutavano indagatori, in attesa di una risposta. Stefania era sparita.

«Scusa, ero sovrappensiero.»

«Ti va di ascoltare quello che ha da dire Matteo? Stefy ha detto che preferisce prendere una boccata d’aria, magari le riferisco tutto dopo…»

«Ma sì, dai!»

Marta era carina, rifletté Roberto mentre si avvicinavano a Matteo, assorto in una fitta conversazione con Leonardo e Giovanni. Non era altissima – e questo era un punto a suo favore: gli uomini spesso sono spaventati dalle ragazze con qualche centimetro più di loro – e i capelli rossi le stavano molto bene; probabilmente sarebbe risultata un po’ anonima senza tinta e fuori da quel contesto, doveva sembrare una ragazza come tante all’università, ma nel negozio di fumetti spuntava su tutti con la felpa di Doctor Who e la collana con il simbolo dei Doni della Morte. Poteva essere un soggetto interessante per una storia.

«… e quindi avevo pensato… Ah, Marta, sei tornata!»

Matteo era visibilmente eccitato alla prospettiva di esporre la sua idea. Leonardo non chiese niente a Roberto riguardo a Stefania, quindi non doveva averli visti parlare.

«Stavo dicendo agli altri che i giocatori del martedì sera mi hanno stancato,» proseguì Matteo, gesticolando, «ma mi dispiaceva chiudere l’avventura perché so quanto a Leo stia a cuore. Oggi pomeriggio, però, ho scoperto un nuovo manuale di Pathfinder: ne avevamo già un po’ in negozio, ci ho fatto caso solo ora.» Estrasse qualcosa che aveva riposto sotto il bancone, mostrandolo ai presenti.

«Rise of the Runelords» lesse Roberto. «Quindi stai riunendo un po’ di gente per giocare una nuova campagna?»

«Io ci sto!» si mostrò immediatamente disponibile Marta, alzando la mano. Il cellulare le squillò e fu costretta a ritrarla per leggere il messaggio.

«Anch’io» disse Leonardo. «Tu che ne pensi, Gio?»

Giovanni alzò le spalle. «Non lo so, sono un po’ impegnato in questo periodo… Vi farò sapere.»

«A me va bene» concluse Roberto.

Matteo era euforico, stringeva il manuale al petto come se fosse una sua creazione. «Vi va di cominciare questo venerdì? Ho già letto gran parte dell’avventura.»

Annuirono tutti, tranne Marta, concentrata sul cellulare.

«Marta? Tutto bene?»

«Per niente: Stefania se n’è andata, dice che si stava annoiando.» Alzò lo sguardo, accigliata. «Non so come tornare a casa.»

«Posso accompagnarti io» propose Matteo. «Devi aspettare che finisca la festa, però. Dovrò aiutare a mettere a posto…»

Marta stava già per sorridergli al settimo cielo, quando Roberto fu colto dall’ispirazione.

«Posso pensarci io. Abitiamo vicino, no?»

Il sorriso di Marta si spense, accompagnato dalle parole di Matteo: «Forse è meglio, credo finiremo molto tardi e se non mi sbaglio domattina hai l’università.»

Marta sembrava combattuta tra la delusione e la felice scoperta che Matteo conoscesse almeno un po’ i suoi orari. Si voltò verso Roberto. «Grazie mille, allora verrò con te.»

Lui sorrise e le ammiccò. «Figurati, è un piacere.»

 

 

«Ci vediamo domani!»

Matteo chiuse la porta a vetri della Collina del Vecchio Mangaka, facendo suonare i campanelli appesi al suo interno. Era stata una sua idea: se entrambi i proprietari, in quel momento, fossero stati nella stanza sul retro, sarebbero stati avvisati dai campanelli dell’ingresso di un cliente; peccato che, ogni volta, non si dessero nemmeno la pena di andare a controllare.

Mentre inseriva l’allarme nel negozio e usciva nella strada illuminata dai lampioni e dalla luna, trasportando i rifiuti di quella sera, Giovanni si chiese se lui e Matteo non fossero troppo ingenui: chiunque, in loro assenza, avrebbe potuto rubare qualche manga o perfino un costosissimo manuale di Vampire: The Masquerade, però i proprietari del Vecchio Mangaka sembravano confidare così tanto nel prossimo – o perlomeno nei loro clienti – da non temere furti. Finora, inoltre, non erano ancora stati messi alla prova.

Casa sua non era distante dal negozio, così Giovanni si era offerto di chiudere, lasciando andare Matteo via prima – era talmente emozionato che il suo collega intuì che desiderava tornare a casa al più presto per finire di leggere il manuale. Da quanto tempo Giovanni non si emozionava come lui? Non si sarebbe fatto una domanda del genere il giorno prima, ma la mattina seguente sarebbe dovuto andare dall’avvocato. E avrebbe rivisto Caterina…

Girò la chiave nella toppa dell’appartamento, entrò e appoggiò il mazzo di chiavi sul mobiletto dell’ingresso. Rivedere quel posto così familiare, senza sentire la risata di Cate, gli mozzò il fiato in gola.

«Passeremo qui il resto della vita! Ci pensi? Abbiamo risparmiato fin dal liceo, ma ne è valsa la pena.»

Nel buio fu attratto da una luce. Proveniva dalla cucina, sembrava che in casa ci fosse qualcuno…

Fu colto da un moto improvviso di sollievo, ma quando raggiunse la stanza scoprì che non c’era nessuno. Solo la televisione, che probabilmente lui stesso aveva lasciato accesa quando era uscito di casa. Il volume era basso, un’abitudine che Giovanni non aveva ancora rimosso. Amava restare alzato fino a tardi, ma Cate la sera era talmente stremata dal lavoro da bramare solo il letto, così lui sceglieva un DVD dalla pila dei suoi anime e lo inseriva nel lettore, per gustarselo anche con il volume al minimo, in modo da non disturbare la moglie. Durante i primi tempi la raggiungeva al letto dopo solo un’ora, baciandole la fronte e aspettando che lei si adagiasse sul suo petto, rassicurata dalla sua presenza, ma con il tempo Giovanni si era accorto di preferire stare davanti alla televisione piuttosto che entrare nella loro camera quanto prima.

Sollievo. Già, era proprio quello che aveva provato all’idea che Cate fosse tornata a casa, non felicità: un patetico senso di sollievo per non dovere alzarsi alle otto, controllare i documenti e recarsi nell’ufficio del suo avvocato, dove ci sarebbero stati anche la moglie e il suo legale. Non avrebbe dovuto farsi la barba né scegliere un vestito adatto all’occasione, ma soprattutto udire ancora le parole taglienti di Caterina, mentre dondolava ritmicamente la gamba nascosta da una sottile calza.

«Voglio la casa. Può tenersi il resto, ma l’appartamento è mio.»

Chiunque avrebbe pensato che fosse una buona richiesta: Giovanni avrebbe tenuto l’auto, l’impianto stereo e le due televisioni; tuttavia tornare nella casa dei genitori a trentacinque anni era impensabile, inoltre sapeva che il motivo per cui Cate desiderava quell’appartamento era solo sottolineare quanto fossero gravi i loro problemi. Tanto da rinunciare al sogno che avevano coltivato fin da sedicenni.

C’era una loro foto sopra la televisione accesa, risaliva al loro matrimonio. Cate indossava un abito bianco che si allargava sul ventre, dove spuntata la causa delle loro nozze frettolose – sebbene già stessero insieme da dieci anni. I capelli biondi, più chiari di quelli del marito, erano legati in una crocchia stretta sopra la testa, solo due ciuffi ricadevano ai lati degli occhi dorati. A quel tempo Giovanni non indossava ancora gli occhiali, così le sue pupille azzurre non erano nascoste dalle lenti. Entrambi gli sposi sorridevano, felici come non lo erano mai stati.

Ci avevano provato. Dopo che i sentimenti erano appassiti, dopo che Cate era tornata a casa in lacrime, confessandogli di averlo tradito, avevano provato ad andare avanti; anche durante la separazione si erano frequentati, erano stati a letto insieme, ci avevano provato. Ma Giovanni aveva capito che era inutile fin dal momento in cui la notizia del tradimento non lo aveva ferito come avrebbe dovuto.

Avrebbe soltanto desiderato che la fine della loro storia non avesse messo in mezzo avvocati e famiglie incredule. Avrebbe voluto che fosse come al liceo, quando lui e Cate si erano lasciati per due mesi e avevano semplicemente smesso di cercarsi a ricreazione – finché i loro migliori amici non si erano messi in mezzo per farli riappacificare.

Spense la televisione e andò all’armadio per prendere una coperta: quella notte avrebbe dormito sul divano, faceva già troppo male per tornare in quel letto vuoto.



NOTE

 

Il titolo è una citazione di Doctor Who.

 

STEFANIA

- “Marta bussò tre volte alla porta, ripetendo il nome di Giovanni”: riferimento a The Big Bang Theory.

- La Collina del Vecchio Mangaka: in un’avventura che sto giocando, esiste la locanda “La Collina del Vecchio Pirata”; “mangaka” è il termine con cui si designano gli autori di manga.

- game master: colui che guida l’avventura.

- HBO: canale su cui viene trasmesso Game of Thrones.

- Rickon Stark: il più piccolo figlio degli Stark, purtroppo ormai noto come “quello che non si fila nessuno”.

 

ROBERTO

- “Forse poteva iniziare a mandare sms firmandosi A”: riferimento a Pretty Little Liars

- femslash: storia d’amore tra due donne

- PWP: Plot? What Plot?

Ho inserito anche le note riguardanti le fanfictions, non si sa mai!




SPAZIO AUTRICE

 

Un abbraccio a tutti! Sì, vi stritolo, perché sto cercando di impegnarmi con questa long e mi fa piacere che venga letta ^^ Se potete, lasciate una recensione, giusto per darmi un segno del vostro passaggio e dirmi cosa funziona e cosa non funziona, sennò non importa :D

Ringrazio tutte coloro che hanno messo la storia nelle preferite/seguite e che hanno recensito; un grazie particolare va a Dark Aeris, che mi sta aiutando a cercare gli errori di distrazione e a sistemare qualche frase che non suona bene!

Secondo capitolo, introduzione degli altri tre protagonisti. Mi dispiace che sia stato un capitolo un po’ “pesante” (a eccezione della parte su Roberto, ho parlato di una ragazza “soffocata” dalla consapevolezza del proprio peso e di un uomo alle prese con una separazione), però ho dovuto farlo perché non tutti i protagonisti sono “allegri, pimpanti e sempre pronti a ridere”. Andando avanti, però (e già dal prossimo capitolo), le interazioni fra loro faranno sì che la long assuma sempre più l’aspetto di una commedia – anche se momenti “bui” capiteranno necessariamente (Giovanni dovrà pur sempre separarsi dalla moglie, sigh).

Ci vediamo al prossimo capitolo e grazie per ogni segno del vostro passaggio che lascerete (anche se sarà solo un numero nelle visualizzazioni della storia)!

 

Medusa

   
 
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