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Autore: Volleydork    11/04/2013    3 recensioni
Avevo sempre cercato di avere tre certezze nella vita, tutte irrimediabilmente distrutte.
La prima era che le fette di pane imburrato cadono, sui vestiti, dalla parte del burro. Abigail mi aveva dimostrato il contrario. Forse aveva a che fare con l'essere figlia della dea dell'amore.
La seconda era che nessuno dormiva con tanto gusto con quanto lo facevano i gatti. Tristan si era dato da fare a disilludermi anche su questo, addormentandosi sotto i miei occhi durante una lezione di traduzione.
La terza era che non c'erano altri campi per semidei oltre al mio. Ma, stando alle parole di Elliott, mio padre e compagnia non erano gli unici a essersi impegnati sotto questo aspetto.
Perché, va bene tutto, va bene che arriva la fine del mondo e tutto il resto, ma preferirei che non dovessimo chiedere aiuto a quei fricchettoni degli dei greci...
Ah, scusate! Non mi sono presentata: io sono Selina Potter, figlia di Odino.
***
E io non ho ancora finito di ammorbarvi con le mie long su Percy Jackson.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In birra veritas
 
 
 
Mi svegliò la sensazione di bagnato sulla fronte. Aprii debolmente gli occhi. Era giorno, la mattina inoltrata, stando a quanto potevo vedere tra le palpebre socchiuse. Di nuovo qualcuno mi bagnò le tempie. Abituata alla luce, spalancai gli occhi.
L'ultima persona che mi aspettavo di vedere era Tristan. Sembrava molto preoccupato e... era senso di colpa quello che vidi passare nel suo sguardo?
“Selina...”
Feci quello che avrei dovuto fare molto tempo prima: con un urlo belluino mi lanciai su di lui, lo ribaltai a terra e gli strinsi le mani attorno al collo, con il sincero intento di strozzarlo.
“Dov'eri, dove!?” urlai.
La sua risposta consistette in un rantolo soffocato.
"Se mi strozzi, non posso parlare," gemette.
Lo lasciai andare controvoglia. Tristan si mise in ginocchio e tossì, tentando di riprendere fiato.
"Perché te ne sei andato?"
"Mi salterai al collo di nuovo, se te lo dico."
"Dimmelo e basta."
Lui fece un profondo respiro.
"Non avevo più interesse a continuare la missione."
Strinsi i pugni e sentii i muscoli del collo irrigidirsi.
“Il mio scopo fin dall'inizio era avere la certezza che mio padre era innocente. Quando le Norne ci hanno confermato che lui non è coinvolto, ho deciso che potevo andarmene.”
“E non potevi andartene quando eravamo ad Asgard?” sbottai polemica.
Lui si mise una mano dietro al collo, imbarazzato.
“Ero... combattuto.”
“Buono a sapersi. Perché sei tornato indietro?”
Tristan socchiuse la bocca, forse incerto su cosa rispondere.
“Per... – iniziò, ma subito si interruppe e scrollò le spalle. – Così. In fondo mi sentivo in colpa.”
“La cosa mi fa felice,” replicai acida. Lo fissai furibonda per qualche secondo e poi gli gettai le braccia al collo, scoppiando in lacrime.
"È morta, Tristan! Luna è morta! Sei un idiota, un idiota e uno stronzo!"
Lui mi appoggiò timidamente le mani sulla schiena, impaurito che potessi staccargli le braccia se mi avesse toccato.
"E abbracciami decentemente, quanto meno, visto che ti piaccio."
Rimasi abbarbicata a lui un minuto buono, mentre entrambi ignoravamo quello che avevo appena detto, poi mi alzai in piedi e lui mi imitò. Appena fu in posizione eretta, gli mollai un ceffone. Tristan mi guardò con uno sguardo indecifrabile.
“Te lo meriti. Gli dei sanno quanto te lo meriti.”
Il figlio di Loki abbassò lo sguardo senza dire niente. Durante la fuga avevo messo nello zaino il barattolo con l'anima di Balder. Lo tirai fuori.
"Dobbiamo portarla ad Asgard," disse Tristan.
Scossi la testa.
"Ci metteremmo troppo. Dobbiamo trovare un modo per mandarla dagli dei senza andare da loro."
"Servirebbe un Ermes."
Fissai l'erba, riflettendo.
"Huginn e Muninn?"
Alzai lo sguardo su Tristan, perplessa.
"Tu sei in contatto mentalmente con loro, no? Non puoi chiamarli da qui?"
Spalancai la bocca.
"Tristan, sei un genio!" esclamai.
"Oh, grazie."
Frugai furiosamente nello zaino per qualche minuto, alla ricerca di una cosa che mi aveva dato mio padre. La trovai: era una piuma nera di corvo, precisamente una piuma di Huginn. La strinsi tra le dita e chiusi gli occhi, pensando intensamente al corvo.
"Sel?" Tristan non capiva cosa stavo facendo. Ignorai il suo insistente sguardo perplesso e rimasi immobile fino a quando sentii un frullare di ali che si avvicinava. Huginn si posò sulla mia spalla.
"Carino che tu ti sia ricordata di chiamarmi, dopo che ti ho lasciato la mia piuma."
"Fai poco lo spiritoso, ho bisogno del tuo aiuto."
"Ok, sto buono."
Tirai fuori dallo zaino una corda, ne tagliai una parte con un coltellino multiuso e intrecciai una sorta di cestino in cui mettere il barattolo con l'anima di Balder. Legai poi il tutto alle zampe del corvo, che protestò debolmente quando si rimise in volo, e lo guardai sparire all'orizzonte.
"Se me lo stai per chiedere, la piuma mi permette di rimanere in contatto telepatico con Huginn anche a grandi distanze, proprio perché Huginn è Pensiero."
"Lo immaginavo," disse Tristan.
Mi incamminai senza dire una parola verso il castello dei giganti.
"Sel, dove vai?"
"A vedere se trovo indizi su cosa è successo agli altri."
"Sperando che stiano tutti bene."
Mi sentivo arrabbiata. Non in modo specifico con Tristan, arrabbiata in generale. Letteralmente incazzata con il mondo. Tirai un calcio a un sasso con furia e lo guardai rotolare lontano e finire nel ruscello.
"Sai dirmi per quanto sono rimasta svenuta?" chiesi al figlio di Loki.
"Immagino tu sia svenuta la sera dell'attacco dei giganti. Direi un bel giorno e mezzo, allora."
"Cazzo."
"E se pensi che siano ancora tutti al castello, ti sbagli. Ho controllato prima di trovarti, e la fortezza è disabitata."
Salii su per il pendio della scarpata, tenendomi alla larga da dove avevo lasciato Luna. Mentre mi aggiravo nei luoghi in cui avevano combattuto i miei compagni, calciai per errore un piccolo oggetto che tintinnò andando a sbattere contro un sasso. Lo raccolsi: era l'anello con il teschio di Nico.
"Tristan?"
Il ragazzo venne al mio fianco.
"È l'anello di Nico?"
Annuii. "Deve averlo fatto cadere mentre i giganti li portavano via."
"Come nel Signore degli Anelli. Forse ha letto quel libro."
"Perché proprio lui?" sbottai, irritata senza motivo.
"Be', è suo il primo oggetto che abbiamo trovato. Davo per scontato che l'idea fosse sua."
Mi chinai a terra e cominciai a cercare tra l'erba altri segni lasciati indietro a segnare la strada da seguire per trovare gli altri. Le condizioni già pietose del mio vestiario peggiorarono ulteriormente a forza di strisciare nell'erba.
"Selina!"
Mi alzai e corsi da Tristan, che, in ginocchio qualche metro davanti a me, stringeva con aria trionfante un cerchietto d'argento.
"Questo è di Talia."
La direzione che dovevamo seguire era quindi quella che portava al castello e, ipoteticamente, proseguiva oltre... verso le montagne. Il cuore di Jotunheim.
"Dobbiamo sbrigarci. Li hanno portati a Nifheimr," mormorai.
 
Procedendo con il viaggio trovammo, mano a mano, tutti gli oggetti che i nostri amici avevano seminato per la strada: i bracciali di Adam e Abigail, le collane con le perline di Percy, Annabeth, Clarisse e Talia e altre cose non strettamente necessarie che avevano potuto lasciare indietro. Smettemmo di trovarli in giro solo quando ci inoltrammo nuovamente nella foresta, ma sarebbero stati inutili: i giganti, grossi com'erano, avevano in più punti strappato rami e lasciato impronte nel terreno umido, tracce eloquenti del loro passaggio. Mentre ci facevamo strada tra gli alberi, avevo la netta impressione di aver perso la capacità di vedere i colori, tranne che il verde. Era ovunque: cespugli del sottobosco, aghi di pini, persino sui tronchi il muschio aveva mangiato quasi del tutto il marrone.
Quando ormai stava per calare il sole e sentivamo entrambi le gambe a pezzi, trovammo, in mezzo a una radura, una capanna in buone condizioni e apparentemente disabitata.
"Se è vuota, è una vera botta di culo," esclamai vedendola.
"Già, una vera botta di fortuna, e non ci sono alte probabilità che sia occupata da qualche creatura sconosciuta ed affamata," aggiunse Tristan, sarcastico.
"Oh, taci. Se non la esploriamo non lo sapremo mai."
Ci avvicinammo con cautela: era fatta su misura per i giganti - ovviamente - e sembrava essere stata abbandonata da poco. Forse si erano uniti al gruppo che andava a nord, verso Nifheimr. Inginocchiata sotto una finestra, sbirciai dentro la stanza: tutto quello che vidi fu un tavolaccio di legno grezzo e lavorato male, una dispensa, un camino pieno di cenere e braci spente e un secchio gettato in un angolo. Non c'erano segni di vita, il che poteva determinare con certezza l'ipotesi che quella casa fosse disabitata, visto che ormai era ora di cena. Attraverso la porta socchiusa della dispensa vidi un cinghiale morto, quindi si escludeva anche la possibilità che il gigante fosse andato a caccia.
"Proviamo a entrare?" proposi.
"Tanto al massimo ci facciamo sfondare la testa da un gigante arrabbiato."
Tristan si avvicinò alla porta d'ingresso. L'entrata era bloccata da un semplice catenaccio. Il ragazzo mi chiese se potevo prestargli il coltellino multiuso e glielo porsi. Trafficò per un paio di minuti con il lucchetto del catenaccio fino a quando qualcosa scattò e la serratura si aprì.
"Grazie per avermi mostrato chi è stato a impossessarsi del mio diario, a scassinarne il lucchetto e appendere le pagine più salienti alla bacheca del campo. Non che avessi tanti dubbi," dissi mentre mi riprendevo il coltellino.
"Non c'è serratura che tenga, quando ci sono io in giro."
Sgusciai cautamente dentro l'abitazione e rimasi in ascolto di possibili rumori, ma tutto sembrava tranquillo. Io e Tristan esplorammo la casa, costruita su due piani; al piano di sopra si trovava la camera da letto. Per un gigante doveva essere una dimora molto modesta, ma visto che erano alti quattro metri, per noi gli spazi erano più che abbondanti.
"Vado a vedere se possiamo farci qualcosa per cena," disse Tristan tornando al piano inferiore. Io rimasi ancora un po' nella stanza da letto. Oh be', "letto" era forse una definizione troppo generosa. I giganti non sono conosciuti per la loro abilità nell'artigianato. In effetti questo tipo di case venivano costruite solo quanto non trovavano grotte. Il letto era costituito da un enorme sacco riempito di paglia e foglie secche e la coperta consisteva nella pelle di quello che a prima vista sembrava un cervo, un cervo molto grosso che in generale non mi avrebbe fatto piacere incontrare mentre passeggiavo nella foresta.
Spalancai la finestra e mi arrampicai sul tetto a bearmi degli ultimi raggi di sole. Qualche tempo dopo sentii Tristan chiamarmi e un odore di carne arrostita avvicinarsi.
"Selina, cosa ci fai sul tetto?"
Non risposi e aspettai che si venisse a sedere di fianco a me. Non mi disturbai neanche a dargli una mano quando lo vidi in difficoltà nel cercare di non far cadere il piatto con la carne e un boccale di birra.
"Grazie per l'aiuto," sibilò sarcastico.
"Di niente," risposi prendendo con le mani un boccone. "Cos'è?"
"Cinghiale. Non c'erano posate nella cucina. Spero non ti disgusti dividere piatto e boccale con me."
"Non più di tanto."
Una volta finito di mangiare buttai il piatto in casa (tanto era di legno, non si sarebbe rotto) e presi qualche sorsata di birra.
"L'hai trovata nella dispensa?"
"No, l'ho fatta magicamente apparire dal nulla."
"Cretino."
"Guarda che è birra di giganti. Vacci piano," mi ricordò Tristan.
Mi strinsi nelle spalle e andai avanti a bere. Dopo un po' Tristan mi tolse il boccale dalle mani e fece qualche sorso.
"Se non sei abituato, è un po' troppo forte per te," lo avvertii, ma mi ignorò.
Rimanemmo a fissare il cielo farsi scuro e coprirsi di stelle e costellazioni sconosciute. Tristan aveva avuto l'accortezza di accendere la lampada a olio nella camera da letto. Pur essendo in due non riuscimmo ad arrivare alla fine del boccale di birra, nonostante l'impegno.
“Sai – cominciò dopo un po' Tristan, in balia dell’alcool – anch’io ho cercato di fare quella cosa delle tre certezze, come te.”
Mi sfuggì un singhiozzo.
“Come sai delle mie tre certezze?”
“Me l’hai detto tu una sera in cui sono state coinvolte notevoli quantità di alcolici. Come questa. Comunque, anch’io ho cercato di avere le mie tre certezze. La prima, risalente a qualche tempo fa, era che tu non avresti mai confessato ad Adam la tua cotta. E su questo avevo ragione.”
Ero certa di avere le guance rosse, non so se per la birra o l’imbarazzo, e ridacchiai.
"Ormai per colpa di Percy la mia passione si è spenta."
"Cos'è successo?"
"Mi ha fatto venire il dubbio che Adam potrebbe essere considerato mio nipote."
Tristan assunse un'espressione vacua.
"Oh, cielo. Non ti bastava essere un'alcolizzata, devi fare anche incesto, Selina?"
Gli diedi una spinta, ridendo.
“La seconda era che tu mi odi.”
“Anche se non ne sono più certa neanch’io,” ammisi, resa sincera dall’alcool.
“La terza è che non avrei mai avuto il coraggio di fare questo,” e si sporse in avanti e mi baciò. Fu semplicemente un toccarsi di labbra. Subito Tristan si staccò e rimase con la fronte incollata alla mia, lo sguardo basso e le guance rosse. Avevo il cuore in tumulto e mi sembrava di poter sentire anche il suo. Non avevo mai dato troppo peso alle faccende sentimentali, ma più di una sera mi era capitato, sola nel mio capanno e senza fratelli o sorelle, di desiderare di avere qualcuno a fianco da abbracciare, e mi resi conto che forse potevo trovare quel qualcuno in Tristan. Rimanemmo così per un minuto buono, poi lui si allontanò, schiarendosi la gola e scusandosi.
“Non fa niente,” farfugliai, confusa e imbarazzata.
Tristan si alzò e rientrò dalla finestra. Barcollava, ma cercava di nasconderlo.
“Vieni a dormire?” chiese mentre entrava.
Mi alzai malferma sulle gambe e sgusciai in casa, chiudendo la finestra dietro di me. Senza neanche guardare in faccia il ragazzo, mi infilai sotto la pelle di cervo e chiusi gli occhi. Tristan spense la lampada a olio per terra di fianco al materasso e si infilò a letto pure lui.
 
Il mattino dopo mi svegliai che Tristan ancora dormiva. Mi stiracchiai, le tempie pulsanti per colpa di un mal di testa da dopo sbronza. Controllai l'ora: le sei e quarantasei. Mi infilai calze e scarpe e scesi silenziosamente le scale, recuperando il piatto del gigante. Per la colazione mi scatenai con la fantasia: cinghiale arrosto. Era l'unica cosa che si trovava nella dispensa del gigante, la carne di cinghiale. Accesi il fuoco e aspettai pazientemente che la carne fosse pronta. La misi in un piatto e cominciai a mangiare seduta per terra. Tristan si svegliò poco dopo; scese le scale massaggiandosi la testa.
"Ogni volta mi ricordo degli effetti del dopo sbronza solo quando è troppo tardi," si lamentò sedendosi accanto a me e allungando una mano verso il piatto.
Aspettai che dicesse qualcosa riguardo alla sera prima, ma visto che non diceva niente, decisi di gestire la cosa da sola.
"Tristan, non vuoi parlare un po' di ieri sera?"
In risposta ricevetti uno sguardo perplesso.
"Ieri sera?"
"Non ti ricordi di ieri sera?" insistei, il cuore che batteva a mille.
Scosse la testa. Mi presi il viso tra le mani con un gesto sconsolato.
"O stai facendo finta, o non te lo ricordi davvero, e tra le due cose non so quale sia quella che mi fa incazzare di più," dichiarai.
"Te lo giuro, Sel, non me lo ricordo. Dovevo essere più partito di quanto sembrasse."
Feci un profondo respiro.
"Oh, non importa. In fondo non è successo niente. Niente – presi lo zaino e mi diressi verso l'uscita della capanna. – A parte che mi hai dato il mio primo bacio, quando ero ubriaca e sul tetto della casa di un gigante."
Sentii il tonfo dello zaino di Tristan che cadeva a terra.
"L'ho fatto?"
Annuii e uscii dalla capanna. Ripresi la strada che stavamo seguendo il giorno prima. In silenzio Tristan mi affiancò.
"Selina?..."
"Stai zitto, stai zitto. Ti prego, non dire una parola, perché l'unica volta in cui sei riuscito a fare qualcosa di buono eri sbronzo e non posso trascinarti in giro ubriaco come una spugna tutto il tempo, perché mi hai fatta sentire in pace con me stessa, senza che avessi bisogno di dimostrare nulla a nessuno e perché ho bisogno di te. Quindi non rovinare questo momento," dissi tutto d'un fiato.
"Volevo solo dirti che ti stavi dimenticando la giacca," spiegò Tristan sorridendo.
Gli strappai di mano la giacca e scoppiai a ridere come un'isterica.
"Dei, che figura!" esclamai. Tristan non disse niente, continuando a sorridere. Mi calmai quasi subito.
"Adesso cambierà qualcosa tra noi?" gli chiesi.
"Non più di tanto, spero solo ci insulteremo un po' di meno. Posso anche smettere di darti fastidio, visto che ormai siamo una coppia."
"Quindi il tuo scopo iniziale era prendermi per sfinimento?"
"Più in meno. In realtà non sapevo proprio come gestire la cosa. Ho dovuto chiedere aiuto a Abigail e Adam per capire come comportarmi," confessò Tristan.
Spalancai la bocca. "Quindi anche Abigail macchinava alle mie spalle?"
"Non macchinava, Sel. La cosa è nata dal fatto che una sera, a una festa, ho raccontato tutto ad Adam e, cosa di cui non vado molto fiero, credo di aver pianto un po'," continuò.
Mi portai una mano davanti al volto per nascondere un sorriso. “Pianto?”
“Ti ricordo che sono io quello che si commuove davanti ai film, non Adam. Il giorno dopo Adam mi ha consigliato di chiedere aiuto a Abigail, per queste cose. E così è iniziata la nostra macchinazione.”
Stavo per ribattere, quando tacemmo entrambi: ci trovavamo in una zona della foresta in cui la vegetazione cambiava, gli abeti dai tronchi marroni coperti di muschio erano sostituiti pian piano da alberi grigi come il metallo, i cespugli sembravano grovigli di filo spinato. Eravamo arrivati alla Foresta di Ferro, la regione abitata dalle donne Troll.
Ci inoltrammo nel sottobosco con cautela, attenti a fare il meno rumore possibile e pronti a impugnare le armi. Non c’erano segni di vita e non un rumore si alzava dai rami degli alberi. A un tratto nel silenzio si levò un verso mostruoso.
Kludde*!”
Io e Tristan ci scambiammo uno sguardo preoccupato. Poco dopo il verso suonò ancora, stavolta più vicino. Ci mettemmo schiena contro schiena, le armi in pugno. Per un po’ non si sentii più niente, poi mi giunse alle orecchie uno scalpiccio di zoccoli e mi vidi venire addosso un cavallo scheletrico, nero come il carbone: un Kludde. Gli occhi gli brillavano come fiammelle azzurre. La creatura ci superò entrambi con un balzo e cadde davanti a Tristan, tentando di colpirlo con gli zoccoli. Lui si difese alzando i pugnali sopra di sé. La bestia si allontanò e fece un paio di giri attorno a noi, prima di attaccare di nuovo. Più di una volta provammo ad avvicinarci di scatto, ma era troppo veloce per essere presa così.
Tornò all’attacco: mi venne addosso di corsa e nel tentativo di schivarla inciampai e caddi a terra. Mentre correva via, Tristan ferì il Kludde sulla coscia. Mi rialzai in piedi recuperando l’ascia.
“Stavolta lo becco io.”
La creatura ci osservò un po’ da lontano, trotterellando avanti e indietro.
“Facciamo che a chi capita, capita?”
La bestia tornò all’attacco la terza volta. Ero pronta ad attaccarlo, ma all’ultimo curvò di lato e si avventò su Tristan. Lui lo colpì ancora, come la prima volta solo superficialmente. Il Kludde sembrava irritato: forse non era avvezzo a prede che opponevano tanta resistenza. Ci guardava da lontano, sbuffando sonoramente dalle narici. Alla fine decise di tentare il tutto per tutto. Ci corse incontro e si impennò, agitando selvaggiamente gli zoccoli. Un colpo andò a segno e Tristan venne scaraventato a terra, stringendosi la spalla. A quel punto mi infilai sotto la pancia del Kludde e sferrai un colpo d’ascia verso l’alto, centrandolo in pieno. L’animale urlò e cadde su un fianco, morto. Ripresi fiato e mi precipitai da Tristan.
"Fammi vedere dove ti ha colpito," gli intimai, preoccupata. Gli scostai la maglia dalla spalla e vidi che il livido aveva già cominciato a formarsi. Presi in fretta dallo zaino dell'idromele e gli porsi la borraccia.
"Grazie," borbottò Tristan. Aspettammo qualche minuto che il livido venisse riassorbito per effetto dell'idromele, poi ci rimettemmo in cammino.
Il resto del cammino fu tranquillo, a parte un paio di incontri con qualche Hemann, spiriti silvicoli che si chiamavano a vicenda emettendo lunghi gridi simili a versi di uccelli. Non erano aggressivi. Il viaggio fino a Nifheimr durò altri due giorni. All'alba del terzo uscimmo dalla Foresta di Ferro: davanti a noi si stendeva una valle coperta di ghiaccio. Per miglia non crescevano piante, solo un'immensa distesa di neve. In lontananza si scorgeva la figura del castello dei Giganti di Ghiaccio.
Eravamo arrivati nel cuore di Jotunheim.
 
 
 
 
* Lo so che potrebbe far ridere come nome, ma è davvero una brutta bestiaccia, quella
 
 
 
 
 
 
Angolo dell'autrice:

Vi faccio credere che aggiornerò presto, eh? Seriamente, gli dei
(leggi: i professori) sono contro di me. Questo è un periodo infernale (ma immagino non sia una sorpresa, visto che andate a scuola anche voi). E si è anche rotto il portatile di mio papà, che generalmente è il computer che uso per scrivere, visto che quello fisso lo lascio sempre a lui quando torna la sera.
Comunque... Siete contenti per Selina e Tristan? Io sì, non ne potevo più di farli girare attorno alla cosa.
E poi: dodici preferiti e ventiquattro che seguono. Voi mi volete morta. Grazie davvero, se leggete, seguite, preferite, ricordate e recensite. Se non fosse per voi non so se avrei lo stimolo per continuare.
Buona lettura!



 
  
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