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Autore: Faffina    12/04/2013    11 recensioni
C'è Daniel che è sempre stato etero.
Scott è gay ma non lo sa nessuno.
Gabriel, bello e ricco, è deciso a vedere il mondo da solo.
Ely, dalle ciglia lunghe e dai lineamenti delicati rischia di sembrare ciò che non è.
Kyle è scappato da casa all'età di 15 anni e non sa nemmeno più da cosa sta fuggendo.
Cinque ragazzi che vogliono iniziare una nuova vita a New York. Quattro di loro nascondono un segreto.
Scappano spinti dal bisogno di stare soli, senza sapere che è proprio la cosa da cui fuggono.
Impareranno a conoscere sé stessi, la paura, l'odio, l'amore e il sesso, che a volte si nascondono dietro l'amicizia.
Quando Dan alzò lo sguardo, Scott aveva le lacrime agli occhi. Abbassò il viso sulla sua pizza per nasconderle. Un posto in cui sentirsi a casa. Non era ciò che cercavano tutti?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 7

Paura

 
 

Handle me with care
I'm so tired of being lonely
I still have some love to give

Traveling Wilburys - Handle With Care

 


Kyle sobbalzò per l'ennesima volta quando sentì un rumore sul pianerottolo. Non poteva andare avanti così, doveva darsi una calmata o sarebbe impazzito. Da quando Ely gli aveva riferito dell'incontro con quell'uomo e delle sue minacce non riusciva più a stare tranquillo. Aveva detto ad Ely che non c'era di che preoccuparsi, ma lui stesso era il primo a trasalire al minimo rumore. Sapeva con chi aveva a che fare: non giravano belle voci sul suo conto, ma non poteva permettersi di cedere al ricatto.
Da quando a quindici anni era scappato da casa se l'era sempre cavata, in un modo o nell'altro.
La porta di casa sbatté e il cuore di Kyle accelerò di nuovo. Merda.
«Chi è?» chiese, maledicendosi per il tono incerto che gli era uscito. Sapeva benissimo chi era. Che domanda del cazzo, stava diventando paranoico. Chi mai poteva aprire con le chiavi? «Ely, sei tu?»
«Sì, sono io, come mai sei in casa?» La sagoma snella del suo coinquilino si affacciò alla porta, con un sorriso che gli illuminava il viso e gli occhi.
Kyle scosse la testa. «Mi sono addormentato di nuovo e quando mi sono svegliato erano già le due del pomeriggio, stanotte non ho dormito. Stavo per uscire.»
Ely lo guardò dubbioso, chissà se sospettava qualcosa. Era difficile prendere sonno quando sapevi che c'era qualcuno che ti voleva pestare a sangue. Ma non era la minaccia di un semplice pestaggio a tenerlo sveglio la notte. Era il modo. Le dita. Gli avrebbero spezzato le dita.
Non avrebbe più potuto suonare, e lui viveva di quello. E per quello.
Sentì l'acqua scorrere nella doccia e la voce musicale ed un po' roca di Ely intonare una delle sue canzoni; era rassicurante avere un coinquilino. Nonostante sapesse che era una soluzione provvisoria, sperò che rimanesse il più a lungo possibile. Lo aveva accolto in casa perché non aveva altro posto dove andare e lui era il primo a sapere cosa significasse. Era stato per anni da solo in una città che non conosceva, senza poter contare su nessuno; non voleva che qualcun altro si trovasse a provare gli stessi sentimenti di solitudine e di incertezza che aveva provato quel primo anno lontano da casa. Quella notte di quattro anni fa era scappato senza pensare a dove andare, era rientrato in casa solo il tempo necessario per prendere una sacca con qualche vestito, cinquecento dollari in contanti che i suoi tenevano nel cassetto e la chitarra. Aveva attraversato tutta l'America in treno, mosso dal senso di colpa e dall'incoscienza dei quindici anni. Aveva suonato nelle stazioni della metropolitana, dormito sui treni e parlato con più persone di quante avrebbe mai pensato di conoscerne in vita sua. Ogni volta si era inventato un nome ed una storia diversa, fino ad arrivare a chiedersi se ciò che l'aveva costretto a scappare fosse successo davvero.
Pian piano il senso di colpa si era attenuato, insieme alla nostalgia di casa e alla paura di essere trovato.

Ely si pettinò rapidamente i capelli umidi, da giorni viveva in uno stato di eccitata euforia - da quando Dan lo aveva baciato, per la precisione - ma non aveva potuto fare a meno di notare l'aria esausta di Kyle. Si augurò che non fosse a causa della minaccia. Gli aveva detto che non era nulla di grave, ma da quella sera era diventato sempre più nervoso e taciturno. Aveva provato a chiedergli chi fosse quell'uomo, ma aveva sempre ricevuto risposte evasive.
Ely si guardò allo specchio distrattamente, non prestava mai molta attenzione al proprio aspetto, gli bastava che corrispondesse all'immagine di sé che aveva in testa.
Più di una volta aveva ricevuto avances sia da uomini che da donne, ma non riteneva di essere bello. La bocca piena e le ciglia lunghe gli davano un'aria quasi infantile, accentuata dal fatto che non aveva ancora bisogno di farsi la barba, nonostante i suoi diciannove anni. Capiva perfettamente come avesse fatto Daniel a sbagliarsi.
Provò ad atteggiare la bocca in una linea severa, ma il suo viso non sembrava concepito per essere arrabbiato. Anche a distanza di giorni poteva ancora vedere una luce nuova brillare nel proprio sguardo quando sorrideva. Il suoi occhi erano troppo azzurri e troppo trasparenti: non riuscivano mai a nascondere alcuna emozione.
L'immagine del volto di Daniel gli ronzava ancora in testa, rivedeva perfettamente il suo volto sconvolto per essersi lasciato andare. Quel bacio aveva colto di sorpresa Ely, ma soprattutto lo stesso Dan. E tuttavia era una delle cose più belle che gli fosse successa: Dan l'aveva baciato, e l'aveva fatto anche bene.
Si era messo al lavoro quella sera stessa, spinto dalla necessità di ripercorrere il suo volto, anche se solo sulla carta, e di rivedere quella luce brillare nei suoi occhi. Il ritratto stava venendo meglio di quanto si aspettasse, persino Kyle si era incantato a fissarlo. Era un semplice disegno a carboncino, ma le delicate ombreggiature e il chiaroscuro lo facevano apparire quasi reale. Quella sera lo avrebbe finito e il giorno dopo lo avrebbe infilato nella buchetta della posta di Dan. Non voleva obbligarlo a vederlo, se non voleva. Ma così avrebbe saputo che l'aveva pensato.

* * *


«Te l'avevo detto che non sarebbe stata una buona idea» borbottò Scott afferrando Gabriel per un braccio mentre la stampella perdeva la presa sul gradino lucido. Stavano scendendo per i tre piani di scale che li avrebbero condotti all'aperto dopo dieci giorni di reclusione in casa.
«Se fossi rimasto in quella stanza ancora un po' sarei morto di noia» disse Gabriel fermandosi a riprendere fiato. Era faticoso, ma sapeva che ne sarebbe valsa la pena. «Sbrighiamoci, Kenny ci sta aspettando» gli mise fretta, picchiettandogli la stampella sulle gambe.
L'affermazione ebbe solo il potere di far rallentare ulteriormente Scott. «Chi è Kenny?» chiese dubbioso.
Gabriel non rispose, concentrandosi sull'ultima rampa di scale, ed atterrò sul pavimento dell'ingresso con un piccolo saltello. Nonostante l'aria fredda stava già sudando, e gli rimanevano ancora due isolati da fare prima di arrivare al negozio di Kenny.
Scott lo seguì rassegnato, Gabriel sembrava uno di quei ragazzi abituati ad ottenere sempre ciò che desiderano. Non un ragazzo viziato ed abituato a vivere nella bambagia, più il tipo di persona disposta a lottare con tutto sé stesso per raggiungere i propri obiettivi. In un modo o nell'altro dava l'impressione di cavarsela sempre.
Gabriel nel frattempo aveva raggiunto un negozio con l'insegna "Da Kenny". Un poster raffigurante elaborate acconciature campeggiava in vetrina. Un parrucchiere? Inarcò le sopracciglia perplesso, mentre entravano.
«Ti avevo promesso che ti avrei accompagnato a sistemare i capelli, no?»
«Pensavo non ti ricordassi nulla dell'altra sera» borbottò Scott in preda allo sconforto.
«Gabe, mio caro! Quanto tempo.» Un uomo alto e magro sbucò da dietro un paravento in stile orientale e si avvicinò per abbracciare Gabriel. Aveva un leggero accento non ben identificabile, che dava alle sue parole una musicalità particolare. Portava i capelli scolpiti con il gel e dei pantaloni di velluto infilati in un paio di anfibi. Anche Gabriel sembrò felice di rivederlo ed iniziarono subito a parlare fitto del Vietnam e dell'incidente, dimenticandosi della presenza di Scott. Non che gli dispiacesse.
Dopo poco Gabriel si lasciò cadere con un sospiro su una poltroncina girevole e si decise a presentarli, affidando Scott alle cure di Kenny. Doveva ammettere che quell’uomo sapeva come far parlare la gente, persino Scott si ritrovò a partecipare alla conversazione, mentre i suoi capelli venivano lavati e strofinati. «Allora, Gabriel ti fa impazzire?» gli chiese curioso l'uomo.
. «No.» Il sorriso d'intesa che gli rivolse Kenny attraverso lo specchio gli fece pensare che il rapporto tra lui e Gabriel dovesse essere qualcosa di più del semplice parrucchiere-cliente. Sembrava conoscerlo davvero, chissà se sapeva qualcosa dei segreti che lo riguardavano.
Kenny pettinò i capelli scuri di Scott, ormai così lunghi da coprirgli completamente gli occhi, e iniziò a tagliare senza chiedere il parere di nessuno. Gabriel rise della sua espressione sorpresa e lo rassicurò «Ken sembra un po' strano, ma sa fare il suo lavoro.»
«Ben detto, ragazzo!» esclamò l'uomo facendo scattare le forbici in modo minaccioso. Guardandolo meglio Scott si accorse che non era molto più grande di loro - venticinque, ventisei anni al massimo - ma aveva un modo di fare sicuro ed estroverso che gli incuteva soggezione.
Lentamente il nuovo taglio prese forma sotto le sue mani e la diffidenza di Scott nei suoi confronti si attenuò. Era riuscito a dargli l'aspetto che non aveva mai avuto, di qualcuno che si sente a suo agio nel proprio corpo. I suoi occhi sembravano più grandi e più chiari, finalmente visibili, perfino la bocca appariva diversa.
«Stai sorridendo» lo pungolò Kenny, «questo vuol dire che ho fatto centro di nuovo.»
«Non sembro nemmeno io» confermò guardandosi ancora una volta ad occhi spalancati ed incrociando lo sguardo compiaciuto di Kenny e quello meravigliato di Gabriel, che aveva alzato la testa dalla rivista che stava leggendo. «Wow, ho fatto bene a portarti!» esclamò «Fanno venire voglia di passarci le mani in mezzo.»
Al momento di andarsene Kenny non volle niente per il taglio, ma Gabriel gli allungò una banconota in cambio di un pacchettino che fece sparire nella tasca della giacca. Il parrucchiere li salutò con la mano e fece l'occhiolino a Scott dicendo «Tienilo d'occhio e non farti ingannare dal suo bel faccino.»
Scott arrossì, pur senza capire cosa volesse dire di preciso, e si affrettò a seguire Gabriel fuori dalla porta.

Ci volle più di mezz'ora a rifare all'indietro la strada che avevano percorso all'andata e a risalire i tre piani di scale fino all'appartamento, quando varcarono la soglia Gabriel aveva il fiatone e un velo di sudore gli copriva la fronte abbronzata incollandogli i capelli alla pelle. «Meno male che tra dieci giorni mi liberano da questo coso» brontolò tirando un calcio al tavolino con la gamba ingessata e sussultando con una smorfia. Si lasciò cadere di peso sul divano e lanciò sul tavolino il pacchettino che aveva in tasca. Era una bustina di plastica contenente qualcosa di scuro «L'altra sera ci siamo fumati l'ultima della mia scorta» rispose Gabriel in risposta allo sguardo curioso di Scott.
Sul televisore c'era un post-it di Dan scritto con un pennarello rosso, li informava che era uscito a cercare lavoro. Una cosa che avrebbe dovuto fare anche Scott, ma negli ultimi giorni era come se si fosse assunto il compito di assistere Gabriel e di fare in modo che non si annoiasse. Al contrario, invece, Dan passava tutto il suo tempo libero fuori, quasi li stesse evitando. Ma perché? Per la faccenda di Ely?
«Mi dispiace per tuo padre.» La voce sommessa di Gabriel gli fece rialzare di scatto la testa. «Per ciò che ci hai raccontato l'altra sera» continuò.
Scott avrebbe preferito non tornare sull'argomento, ma l'insolita gentilezza nel tono dell'altro lo convinse a rispondere.
«Ci ho fatto l'abitudine, non è stata l'unica volta, ma ora appartiene al passato» disse torturandosi con l'unghia una pellicina mangiucchiata. Sussultò per la leggera fitta di dolore al dito, che era niente in confronto al peso sul petto. Era facile mentire a Gabriel, purché non lo guardasse negli occhi, ma non lo era altrettanto mentire a sé stesso. La realtà era che il dolore che ogni tanto provava ancora era sufficiente a togliergli il fiato.
«Ti ho sentito urlare l'altra notte, quando hai dormito nel mio letto. E anche le notti dopo.» Disse Gabriel, il suo tono era basso, dolce, e Scott chiuse gli occhi.
«E tu come mai non parli più con la tua famiglia?» indagò, sperando di distogliere l'attenzione da sé stesso. Poté sentire Gabriel muoversi sul divano, nervoso, e pensò che non avrebbe risposto. Invece la sua voce gli giunse di nuovo, attraverso la folla di immagini che si susseguivano dietro le palpebre chiuse.
«Divergenze di opinioni.» Il suo tono era secco e tagliente adesso, non c'era malinconia o nostalgia nel suo lasciarsi alle spalle la famiglia, o almeno era molto bravo a non mostrarlo. C'era qualcosa, in quel ragazzo, che gli faceva venir voglia di conoscerlo a fondo, di attraversare le barriere che si era costruito intorno e di raggiungerlo ovunque fosse.
«Come mai tuo padre ti picchiava?» contrattaccò Gabriel. Sembrava stessero giocando di nuovo al gioco della verità, e a mente lucida era molto più difficile.
A Scott girò la testa per un attimo, consapevole che avrebbe potuto dire a Gabriel ciò che non aveva mai detto nemmeno a Dan, sarebbe stato come liberarsi di un peso, ma qualcosa gli bloccava le parole in gola, facendogli affluire il sangue alle guance e seccandogli la bocca.
Scott riaprì gli occhi e incrociò lo sguardo di Gabriel. «Perché sono gay.»


* * *


Ely si incamminò verso casa facendo dondolare la tracolla con una mano, aveva deciso di tornare a piedi: era una serata insolitamente tiepida e si sentiva felice. Troppo felice per stare incastrato in un vagone pieno della metropolitana. Aveva appena lasciato il disegno nella buchetta di Daniel e sperava davvero che lo apprezzasse. Si rendeva conto di averci messo tutte le sue speranze, l'affetto che provava per lui era filtrato dalla matita al foglio, nei tratti delicati con cui aveva delineato il suo volto, aveva sfumato il carboncino sulle guance e nell'incavo della gola quasi accarezzandolo. Modellando con i polpastrelli la luce e le ombre del viso. Un po' gli dispiaceva separarsi da quel disegno, ma l'aveva fatto per lui e poi poteva sempre dipingerne un altro.
Un po' gli dispiaceva non averlo visto, ma si era ripromesso che non gli avrebbe più messo pressione e aveva trattenuto l'impulso di suonare il campanello. Sperava in una sua telefonata, forse era troppo ottimista, tuttavia era sicuro che prima o poi sarebbe arrivata. Sorrise fra sé, e stava ancora sorridendo quando il cellulare vibrò nella sua tasca. Con le mani che tremavano leggermente lo aprì, ma era solo un messaggio di Kyle: "Sto tornando, se vuoi puoi ordinare due pizze!"
Certo, era passata solo mezz'ora, non poteva già essere lui. Non poteva sussultare tutte le volte che il telefono squillava.
Per fortuna era quasi arrivato sotto casa, avrebbe fatto in tempo ad ordinare la cena prima che arrivasse Kyle. Cercò le chiavi nella tracolla, fermo sotto al portone, con il cellulare ancora stretto in mano. Sfilò l'album dalla borsa, pensando che prima o poi avrebbe dovuto cercarne uno più piccolo, ma per il momento doveva accontentarsi; non usciva mai di casa senza un paio di matite e qualcosa su cui disegnare. Finalmente si ricordò di aver messo le chiavi nella tasca davanti, per non dover svuotare la borsa ogni volta che le cercava. Sorrise da solo per l'inutilità di quell'idea.
Una spinta violenta lo mandò a sbattere contro il vetro del portone, strappandogli un gemito di dolore e sorpresa. Il cellulare gli scivolò di mano e cadde sull'asfalto con un rumore di plastica che si rompeva che riecheggiò in tutta la via. Era buio, ma non abbastanza da non riuscire a distinguere la figura che gli stava ad un passo. Era l'uomo dell'altro giorno, quello che aveva minacciato Kyle, e non era solo. Un altro individuo, così simile al primo da poter essere suo fratello, lo fissava con le braccia incrociate sul petto.
«A quanto pare quel frocetto del tuo ragazzo non capisce i nostri avvertimenti» sussurrò lo sconosciuto facendo un passo in avanti. Pensavano che lui e Kyle stessero insieme?
Ely indietreggiò, fino a urtare con le spalle il vetro freddo del portone. Doveva scappare. Forse con uno spintone sarebbe riuscito a passargli in mezzo. Il cuore gli batteva così forte da fargli male al petto. «Kyle non c'è. Lasciateci in pace» disse con una voce che suonò molto più sicura di quanto non fosse in realtà. La seconda spinta fu molto più violenta della prima, le mani dell'uomo lo colpirono in pieno petto, togliendogli il respiro e facendogli sbattere la testa contro il muro con un suono secco, mentre i fogli dell'album si sparpagliavano ai suoi piedi.
Il dolore alla testa gli schiarì le idee, o forse fu la vista dei suoi schizzi rovinati dalle suole degli scarponi, ma Ely reagì, spingendo l'uomo da una parte e scattando di lato. Il fratello probabilmente si aspettava un'azione simile perché allungò una mano in tempo per afferrargli una manica. Con un ringhio bloccò la sua fuga, lo strinse per un polso torcendogli il braccio dietro la schiena. Ely aprì la bocca per urlare, ma una ginocchiata dell'altro uomo lo raggiunse allo stomaco. Gli uscì un suono soffocato e probabilmente sarebbe caduto a terra, se la presa ferrea sul suo braccio non l'avesse trattenuto. Un pugno sul viso lo fece barcollare all'indietro, sentiva il sapore del sangue in bocca, dove si era morso il labbro, e un dolore sordo e pulsante su tutto il lato del viso. All'improvviso la stretta svanì ed Ely atterrò sull'asfalto, sulle mani e sulle ginocchia, pregando che se ne andassero.
«Vediamo se così lo capisce che con noi non si scherza» disse uno dei due uomini, avvicinandosi verso di lui. Un calcio lo raggiunse al fianco e il dolore fu così intenso che per un attimo la sua vista si annebbiò. Pregò di svenire, ma non successe, e i colpi si susseguirono come fuochi d'artificio nella sua testa, piccoli scoppi e lampi di luce dietro le palpebre chiuse. Ancora e ancora. Poi finalmente il silenzio, rotto solo dai respiri affannati dei due uomini. Ely si portò una mano al viso, bagnato di sangue, o forse di lacrime, non si era nemmeno accorto di stare piangendo. La mano gli venne bruscamente strappata via dal volto e tenuta sollevata, la voce dell'uomo gli giunse ovattata mentre gli apriva il pugno con la forza. «Ancora una cosa» lo sentì dire.
Un attimo prima che succedesse capì; il suono delle sue dita che si rompevano gli giunse subito prima del dolore.
Ely urlò, coprendo il rumore dei passi dei due uomini che si allontanavano di corsa.
E poi, finalmente, la coscienza e il dolore lo abbandonarono.



 


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* Angolo dell'Autrice *

Che dire? Vi lascio così, sono cattiva, lo so. ç.ç Mi sono sentita davvero male a massacrare così il povero Ely, che davvero non c'entra nulla con i casini di Kyle.
Speriamo solo che se la cavi. Spero che la scena non sia stata troppo violenta o troppo forte :(
Altra novità: Scott ha ammesso di essere gay, credo sia la prima volta in vita sua che lo dice a qualcuno. Perché proprio a Gabriel? Non lo so, chiedetelo a lui ^^
Ultima cosa importante: mi dispiace che non ci sia Dan in questo capitolo, ma doveva andare così. E niente, nel prossimo avrà un ruolo da protagonista: ci sono un paio di scene che non vedo l'ora di scrivere!

 Una nota particolare va alla citazione e alla canzone ad inizio pagina. Amo quella canzone e la bellissima frase: Handle me with care, I'm so tired of being lonely, I still have some love to give. Mi sembra perfetta per Ely. Povero cucciolo *.*

Domanda della settimana: Cosa vorreste fare a quei pezzi di ***** che hanno pestato a sangue il nostro Ely? XD Ok, forse questa domanda inneggia un po' troppo alla violenza ^^

Grazie ragazze come sempre per le recensioni, per chi mi segue e preferisce e a chi mi fa sapere che gli piace con qualsiasi mezzo :D You make me so happy! ç____ç

Vi do appuntamento come sempre tra una settimana circa per il prossimo capitolo :) Ultimamente ho preso l'abitudine di andare a scrivere all'aperto, c'è un fantastico prato sulle colline dietro casa mia, potete sentire il profumo dell'erba e il cinguettio degli uccellini? E' bellissimo!

A presto, baci!

Faf

   
 
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