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Autore: La Mutaforma    12/04/2013    1 recensioni
Quanta tristezza hai dovuto affrontare, amico mio? Quanto valgono adesso le tue fughe, il tuo imbarazzo?
Dov’è l’amore?

Feliciano pianse più forte, perché tanto Ludwig era dietro di lui e non poteva vederlo.
O forse perché era solo un bambino, e per i bambini non c’è vergogna a piangere.  
Qualcuno ha creato il mondo, bello come niente. Ci ha regalato il cielo, le stelle, il sole, il mare, la musica. Abbiamo inventato l’amore.
Eppure ci facciamo la guerra. 
Genere: Guerra, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Chibitalia, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La visione di Ungheria trascinata via dalle sue mani gli aveva bloccato ogni pensiero, anche la paura. Persino la facoltà di ragionare.

E aveva lasciato spazio a un devastante tremore, una crisi di pianto che tardava a mostrarsi palese ai suoi occhi.

Ludwig attese che i passi si allontanarono, poi scattò da sotto il letto e afferrò la mano di Feliciano.

“Dobbiamo andarcene!”

“…Hanno preso Ungheria. Cosa le faranno?”

“Feliciano!” il ragazzino lo afferrò per le spalle e lo agitò con forza, disperato “Non ci vorrà molto prima che capiscano che anche tu sei coinvolto. Dobbiamo fuggire!”

L’altro si liberò dalla sua stretta, piangendo “Ormai non ha più senso! Mio fratello sta per morire, Ungheria è stata portata via!” cadde in ginocchio “Prussia è lontano… io… io non sono abbastanza forte! Non lo sono mai stato! Tutto quello che volevo era tornare a casa mia, da mio fratello, dalla mia Venezia!”

Ludwig non ebbe il tempo di lasciarsi commuovere da quelle lacrime infantili. Gli alzò il viso e lo schiaffeggiò. Non con violenza, ma fu un colpo ben assestato.

Anche lui aveva paura. Aveva paura perché conosceva il buio, conosceva le urla. La paura. L’aveva assaporata a fondo in quei venti anni di agonia, abbandonato e dimenticato in una cella umida e scura.  

“Feliciano, tu hai visto coi tuoi occhi quello che mi hanno fatto. Se restiamo qui e non fuggiamo, tu finirai in una cella come la mia e io al patibolo, più probabilmente. Ne vale la pena? C’è ancora da sperare. Mio fratello non è ancora sceso in battaglia. Io so che lui ci salverà. Lo so, Feliciano! Adesso però ti devi fidare di me, dobbiamo scappare dalla reggia! Dobbiamo andare via prima che ne accorgano! Ungheria è adulta, se la caverà! Mio fratello è troppo legato a lei per abbandonarla. Ma adesso dobbiamo andarcene!”

Feliciano tirò su con il naso e annuì, improvvisando un sorriso. Prese in fretta la mano del biondino e scesero rapidamente le scale cercando di fare meno rumore possibile.

Il bambino si impegnò a non prestare attenzione alle urla di Eliza: aveva ragione Ludwig, ora doveva correre, correre il più velocemente possibile.

Uscirono dalla porta e raggiunsero il giardino. Il cuore gli batteva così forte che non poteva nemmeno riflettere e gli ci volle un po’ per orientarsi. Poi, riconosciuta la strada, riprese a correre, trascinandosi dietro l’amico.

Non aveva mai corso così.

Si chiese se la guerra fosse davvero quella.

Stranamente, in quel trambusto di sensazioni, un pensiero, forse l’unico, volò a Sacro Romano Impero.

Quanta tristezza hai dovuto affrontare, amico mio? Quanto valgono adesso le tue fughe, il tuo imbarazzo?

Dov’è l’amore?

Feliciano pianse più forte, perché tanto Ludwig era dietro di lui e non poteva vederlo.

O forse perché era solo un bambino, e non c’è vergogna a piangere.  

Qualcuno ha creato il mondo, bello come niente. Ci ha regalato il cielo, le stelle, il sole, il mare, la musica. Abbiamo inventato l’amore.

Eppure ci facciamo la guerra.

 

 

 

Corsero per dei minuti lunghissimi, interminabili istanti in cui Feliciano temette davvero di aver sbagliato strada, di aver smarrito la via. Ludwig tremava insieme a lui, tentando di restare calmo.

Poi Feliciano fece un grande sorriso e corse verso la siepe che delimitava il giardino. Spostò una pietra e mostrò all’amico accanto a lui un buco buio e profondo.

“E’ abbastanza grande per passarci. Mi ci è voluto un po’ per scavarlo. Ti porterà dall’altra parte, abbi fiducia in me”

Ludwig sorrise e si calò nel buco. Riaffiorò dopo qualche minuto.

“Non vieni?”

“No” rispose fermamente Feliciano.

“Feliciano…”

“Devo tornare da Ungheria” il veneziano si inginocchiò nella terra davanti a lui “Ascoltami bene, appena sei dall’altra parte segui la via dritta, ma cammina sempre nascosto e non farti vedere. Se vedi un carro, chiedi di farti trasportare fino a Berlino. Appena trovi tuo fratello ti prego, non farlo venire qui a Vienna. Deve combattere la guerra. Deve farlo per la Germania, per Sacro Romano Impero e per il mio paese. Non importa cosa succederà a me. Tu fai in modo che si vinca la guerra, va bene?”

Ludwig strinse le labbra, gli occhi celesti persi in quelli marroni di Feliciano. Infine gli sorrise e gli strinse la mano; aveva uno sguardo deciso, determinato.

Sembri Sacro Romano Impero. Ma stavolta combatterò per proteggere quello che amo.

Appena si lasciarono la mano, Feliciano si voltò e corse di nuovo verso la reggia.

Dentro gli sembrava ancora di sentire le urla di Austria.

Poi i suoi passi.

Feliciano si chiuse in un armadio, e trattenne il fiato. Poteva avvertire la sua presenza e la voce del corazziere dell’esercito al di là dell’anta.

Un uomo con una divisa come quella aveva quasi ucciso suo fratello.

Attese molti minuti, e quando la casa tornò muta, attese ancora.

Si augurò che Ludwig stesse bene, magari in salvo clandestinamente su un carretto. Ma vivo, e soprattutto diretto a Berlino.

Aprì con cautela la porta dell’armadio e buttò un occhio fuori: era solo. Uscì. Gli mancava anche il coraggio di fare rumore. Quando ebbe la forza di muoversi di nuovo, corse verso le scale delle segrete e scese correndo i bassi gradini di pietra. Anche se era pieno giorno, lì sotto era sempre buio, e cadde per essere stato così distratto e ostinato dal voler correre senza reggersi alla parete e nel buio, senza nemmeno una candela.

Ebbe solo il tempo di pararsi il viso con le braccia quando cadde. Ormai gli facevano male le gambe e le ginocchia, ma non sembrava sentire più il dolore.

Qualcuno aveva lasciato una lampada ad olio accesa.

La luce sottile illuminò la figura sdraiata di Eliza.

Cosa ti hanno fatto amica mia?

Feliciano provò a rialzarsi ma fu inutile. La gamba gli faceva troppo male.

Strisciò dolorosamente verso di lei, fino a sfiorarle i lunghi boccoli castani con le mani.

“Eliza? Eliza ti prego, rispondimi”

Eliza aveva gli occhi stretti, chiusi, e una macchia di sangue sulla tempia.

Ebbe paura. Paura perché non sapeva cosa fare, né come aiutarla.

Come posso salvarti se sei sempre stata tu a prenderti cura di me?

Le fece appoggiare la testa sulle sue ginocchia, come faceva lei quando stavano fuori in giardino. Allora lui le leggeva delle poesie italiane, perché a Eliza piacevano molto le poesie di Leopardi.

Le piacevano così tanto che Feliciano aveva deciso di regalarle il libro che gli aveva spedito suo fratello.

“Eliza? Ti prego, svegliati. Non so che fare senza di te…”

La ragazza schiuse debolmente gli occhi. Quando vide il viso dell’italiano sembrò delusa, come se avesse immaginato un altro bambino al posto suo.

Feliciano era troppo felice per avvertire quell’espressione.

Lei chiuse gli occhi e gli strinse le mani.

Il sogno era più bello.

Nel sogno si poteva solo giocare a fare la guerra.     

   
 
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