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Autore: Shark Attack    13/04/2013    4 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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27
Di sigilli e di Fiducia



Il vento caldo della sera sfiorava la loro pelle come carezze morbide e soffuse, smettendo i panni taglienti e crudeli che lo caratterizzava in altri periodi dell'anno, quando la gente si ritrovava sfreghi e graffi in faccia e non sapeva perché.
L'aria scivolava leggera sulle assi di legno, sollevando abbastanza sabbia e terra da disegnare fugaci forme impalpabili e dalla vita più breve di un battito, fantasmi o forse spiriti. Il sole scendeva rapido oltre le dune dorate, infiammandole come ogni sera, e il cielo era una distesa arancione tanto affascinante che il piccolo Nehroi aveva alzato una mano e teso le dita per cercare di toccarlo, immaginandolo liquido e dolce.
Liquido come il liquore che comprava sempre in paese.
Aveva allungato il collo ed alzato la testa verso il nonno, intento a giocare sovrappensiero con il fumo della pipa bianca trasformandolo in anelli spazzati via nell'aria agitata, e non si era stupito di trovarlo più arancione anche lui.
«Nonno», lo aveva chiamato mentre un ricciolo gli dondolava davanti agli occhi, pizzicandogli il naso.
Il vecchio aveva fatto un verso con la gola e aveva spostato pigramente lo sguardo verso il bambino, senza smettere di fumare. Un anello di fumo si stava infrangendo contro il colonnato del portico.
Nehroi si era rotolato sulla schiena e appoggiato la testa sulle mani, sollevandosi sui gomiti. Le assi del portico avevano scricchiolato sotto il suo lieve peso, ma non più del solito. «Nonno, perché le nuvole sono bianche di giorno e nere al tramonto?»
Ughrei aveva ridacchiato ed abbassato la pipa con un'espressione malinconica. «Non sono nere, bimbo, sono ancora bianche», aveva risposto con voce solenne ma divertita. A volte Nehroi gli faceva delle domande davvero strane...
«Ma io le vedo nere!», aveva protestato il piccolo, corrugando le sopracciglia ed arricciando il labbro inferiore. Aveva iniziato a dondolare i piedi scalzi, su e giù, picchiandoli talvolta sul legno con pesanti “toc” che il vecchio non aveva mai potuto sopportare.
«È la loro ombra, è quella la cosa scura che vedi!», aveva replicato Ughrei mostrando nervosismo e Nehroi aveva smesso subito di fare rumore. Aveva smesso anche di respirare per lo spavento, ma aveva ripreso poco dopo.
«Sono contento di essere a casa», aveva detto nell'istante successivo.
Il vecchio aveva sollevato le sopracciglia bianche e si era voltato verso di lui con vivo stupore. Molte rughe si erano rimarcate sulla sua fronte man mano che scrutava il piccolo nipote sorridente.
«All'orfanotrofio ci sono molte ombre», aveva proseguito il bambino, riprendendo lentamente ad agitare i piedini. «Qui c'è molta luce ed è bello!»
Ughrei aveva ridacchiato emettendo un suono grave e si era alzato in piedi facendo attenzione a tutte le giunture. Aveva appoggiato la pipa bianca sul davanzale della finestra della casa, lasciando che il tabacco uscisse dalla caldaia per volare con la sabbia, e aveva stretto le dita robuste attorno alle bretelle scure, sistemandole dopo esser rimasto seduto per tanto tempo. Il suo sguardo vagava all'interno dell'abitazione cadente, oltre la porta spalancata che mostrava una bambina addormentata, quattro anni o poco più, su cui era stata adagiata una coperta grigia ed infeltrita.
«Qui c'è molta luce perché le assi sono mal ridotte e ci sono fessure ovunque», aveva commentato amaro il vecchio.
«Ci rimanderai ancora là?»
La sua voce era timida ma decisa come quella di un pulcino nell'aia e aveva toccato qualche corda del cuore del vecchio jiin.
Ughrei si era passato una mano sulle tempie stanche. Non si era voltato verso il nipote, aveva continuato ad osservare i giochi di luce che striavano di arancione il viso di Savannah.
«No», aveva risposto, «Siamo una famiglia.»

Il tempo si bloccò e l'aria si fece improvvisamente densa, come se si stesse respirando melassa.
«Ho detto che ti odio.»
Savannah sbatté le palpebre tante di quelle volte che pensò le sarebbero cadute a momenti. Il suo viso sbiancò e gli occhi persero parte della loro lucentezza. No, si diceva, non poteva aver capito bene... eppure era sicura di non aver neanche capito male.
Si inumidì le labbra ed aprì la bocca per dire qualcosa, ma non le uscì altro che un'espressione stupita.
«Tu...»
«Odio quando credi di sapere tutto, odio quando mi tratti come un bambino, odio quando credi di poter decidere della mia vita!», sbraitò il brehkisth crudelmente e con ferocia. «E ti odio anche adesso, ora che ti ostini tanto per non sapere nulla dei nostri genitori! Sono anche miei, non puoi mettermi da parte!»
Deiry spazzò via i frammenti di vetro con un gesto della mano e camminò sinuosamente verso gli altri, come se indossasse ancora uno splendido abito da sera e non un semplice maglione gigante e un po' sfilacciato. Sul suo viso era dipinto il sadismo allo stato puro, ma la cornice era angelica. «Non volevo iniziare una seduta dallo psicanalista ma il concetto è molto chiaro. Vieni con me, Neh, noi due non abbiamo ancora finito...»
Afferrò il polso del ragazzo con semplicità, lui la seguì con naturalezza e Savannah si sentì venir meno.
«No... », sussurrò impercettibilmente.
Mosse un piede nella loro direzione, alzò la mano per poterli fermare ma le gambe vacillarono. Troppe emozioni tutte insieme per poco non la fecero rovinare a terra, ma le braccia di Silar la sostennero appena in tempo. Si lasciò pervadere inerme dal suo profumo di pulito mentre la mente vagava lontana.
«Mayson», lo sentì dire. La sua voce suonava distante metri e metri, non un paio di centimetri. Il consigliere afferrò saldamente la jiin al posto suo prendendola per le spalle e lo lasciò inseguire Deiry.
«Savannah?», domandò apprensivo mentre provava a girarla verso di sé come una bambola di delicatissima porcellana. La ragazza sembrava fissarlo e non vederlo, come se la sua mente fosse sparita in un'immensità lontana. Gli occhi viola erano opachi e non brillavano più.
Istintivamente la abbracciò e seguì con la coda dell'occhio quel jiin di cui non si sarebbe mai fidato, ma che sperava avesse qualche chance per rimettere le cose a posto.
Con Savannah fuori gioco, era l'unico tra loro abbastanza potente per poter fermare Deiry.
«Non ha senso», disse la ragazza in trance come a confermare i suoi timori.
Phil le accarezzò la testa e la strinse più forte. «No che non ha senso», la rassicurò. «Si sistemerà tutto. Tranquilla.»

Silar accelerò il passo e fermò Deiry e Nehroi sulle scale, a metà tra un piano e l'altro. «Che stai facendo!», la aggredì scendendo rapidamente i gradini che li separavano.
La biondina si limitò a fare spallucce e il suo sguardo tornò più languido che glaciale. «A te che sembra?», domandò candida.
Sul viso di Nehroi non sembrava esserci posto per nient'altro che non fosse il vuoto assoluto, e un vago sorriso. Nonostante questo, i suoi occhi erano accesi, brillanti come smeraldi appena tagliati, sebbene il loro sguardo sembrava essere proiettato verso un orizzonte ben più lontano delle pareti.
Silar le si avvicinò di più ed abbassò la voce, guardandosi attorno con sospetto. «Ti stai spingendo troppo oltre, non erano questi i piani», sibilò rapido e velenoso.
Deiry gli posò una mano sulla spalla e lisciò delicatamente il tessuto, come se stesse rimuovendo delle briciole. Strinse dolcemente le labbra e si finse corrucciata. «Tu hai lei e io ho lui. Non erano questi i piani? Tutto come previsto.»
Silar fermò il suo gesto afferrandole il polso con fermezza. Il suo sguardo era duro e gli scuriva il viso. «Tu non dovevi “avere” lui», disse mentre stringeva la presa. «Credevo dovessi solamente rimanere incinta.»
La donna sorrise contenta ed alzò le mani come se volesse applaudirsi. «E l'ho fatto! Te l'ho detto, tutto come previsto!»
«Allora perché non lo molli e ci giochi a questo modo? Si vede subito che è posseduto, sei fortunata che Savannah non l'abbia notato... Che significa?»
Deiry si voltò verso Nehroi e lo esaminò come se lo stesse guardando per la prima volta. Quando tornò a Silar aveva ancora un'espressione felice. «Ho scoperto che ha delle difese mentali che fanno veramente pena», disse con naturalezza. «Non è colpa mia se si è lasciato influenzare così tanto. Ho scoperto che su di lui la mia maledizione funziona alla perfezione... dici che ci può essere un legame speciale tra maledetti?»
L'uomo sbuffò e si passò pesantemente una mano sul volto curato ed irritato. Alzò lo sguardo verso il corridoio sperando che il consigliere non venisse a cercarlo e il solo pensiero di essere scoperto in combutta con la figlia del Capo di Haffireth con un piano così losco in gioco lo gettò ancora di più nel panico. La sua carriera sarebbe finita ancor prima di cominciare e avrebbe detto addio alla sua reputazione in meno di un attimo.
Alzò un indice e lo puntò vicinissimo al naso di Deiry. «Fai in modo che scordi tutto», le intimò serio. «Non possiamo mandare all'aria ogni cosa solo perché vuoi divertirti di più.»
«Intuisco che tu invece non sei riuscito ad andare in porto», ridacchiò lei.
«Non posso fare nulla finché continui ad intralciarmi!», sbottò il jiin adenti stretti. «Abbiamo sottovalutato il loro legame, tenerli separati non è una buona idea. Ogni volta che provo a fare qualcosa salta fuori lui o lei lo cerca, è esasperante!»
Deiry liberò il suo polso dalla presa. «Problema tuo», disse serena, «Soluzione tua.»

Phil si chiese se si fosse addormentata.
Tolse una mano dalla sua schiena e le afferrò il viso con due dita, scostandolo leggermente dal suo petto. Gli occhi erano aperti ma non sembravano essere meno abbandonati di poco prima.
«Savannah», la chiamò dolcemente.
La ragazza non ebbe reazioni.
«Annah», disse con più decisione.
Ricevette un gemito come risposta e la cosa lo rallegrò immensamente. «Dì qualcosa», la esortò.
«Non ha senso», ripeté lei per la seconda volta.
Phil sospirò e provò a farla rientrare nella sala riunioni per metterla a sedere su una poltroncina. I piedi di Savannah non si mossero e il consigliere si ritrovò a doverla trascinare sollevandola di peso.
La adagiò sul tessuto rosso con tutta la delicatezza che potesse usare, pur pensando che probabilmente la jiin non se ne stesse neanche accorgendo e che non sarebbe cambiato nulla se l'avesse lasciata cadere a terra.
Prese un'altra poltroncina e si avvicinò a Savannah più che poté. Con le mani attorno alle sue, cercò di farla tornare vitale. «Non ha senso», disse lui accondiscendente.
«Non ha senso», disse ancora lei, come se fosse l'unica cosa che potesse uscire dalle sue labbra. La sua testa pendeva inerte verso una spalla e sembrava così pesante da far sembrare rotto il suo collo chiaro.
«Nehroi non ti odia. È stata Deiry a farglielo dire.»
Savannah sbatté le palpebre. Phil lo interpretò come un buon segno e proseguì. «Sai come può aver fatto?»
La ragazza tornò ammutolita per più di un minuto e il consigliere temette di aver perso il suo piccolo progresso.
«I suoi occhi», disse poi la jiin.
«Cosa?»
«Troppo verdi.»
Phil increspò le sopracciglia e strinse le mani con più determinazione. «Sai che significa?», domandò per il solo bisogno di sapere che Savannah era ancora in grado di ragionare e di reagire. Lui la risposta la conosceva benissimo, la vedeva riflessa ogni giorno nello specchio.
«Lo ha controllato», rispose la ragazza con naturalezza.
Phil prese un lunghissimo respiro e si sdraiò sul suo schienale, sciogliendo la presa tra le loro dita. Ripensò alla sua condizione, così simile da quella attuale del brehkisth eppure così diverse; una sensazione gelida gli scivolò lungo la colonna vertebrale quando si immaginò così perso e alla mercé del suo controllore.
«Anche lei è maledetta.»
Quell'ultima affermazione della jiin lo fece tornare sull'attenti. Le afferrò nuovamente il viso, troppo lasciato a cadere su un lato perché potesse essere una posizione voluta, e la costrinse a metterlo dritto. «Ripetilo», le ordinò. Staccò le dita con cautela, temendo di sentire un “crack” e di peggiorare le condizioni in cui la jiin si trovava di già.
«La sera della festa aveva un tatuaggio sulla schiena, ma adesso non ce l'ha più.»
«E tu come l'hai visto?»
«Arrivava fino al collo», disse lei ancora completamente atona, come se fosse in trance e lui l'ipnotizzatore che la controllava. «Cioè, alla nuca. Quando si è abbassata per evitare le schegge non c'era.»
Phil si allontanò da lei e strabuzzò gli occhi sorpreso. Savannah spostò lo sguardo su di lui e i suoi occhi tornarono vispi come al solito, sebbene la sua espressione fosse ancora molto abbattuta e pensierosa. Non aveva ancora recuperato tutto il suo colorito, ma sembrava essere uscita da quella fase di stallo in cui era piombata.
«Sapevi tutto fin dall'inizio?», domandò l'umano in un soffio. Provava tantissima ammirazione ed inquietudine nei confronti di una ragazza così giovane e sveglia.
Savannah scosse la testa e la cosa confuse ancora di più l'uomo. «Ho appena finito di rianalizzare il ricordo», rispose stringendosi nelle spalle con umiltà. «Grazie a Chawia ho potuto collegare i pezzi...»
«Chawia?»
«Ho provato un incantesimo: ho pensato con molta insistenza “visualizzare di nuovo gli ultimi ricordi”, credo, anche se non so cosa ho fatto... e ancora non ha senso.»
Phil improvvisamente comprese. «Allora non continuavi a ripetere che non ha senso pensando alle parole di Nehroi! Stavi già pensando a Deiry e alle sue mosse!»
La ragazza inclinò la testa e lo guardò vagamente divertita. Sorrise e per Phil fu la più esauriente delle risposte.
«Ok, quindi qual è il piano? … no, aspetta: perché bisogna ringraziare Chawia?»
Savannah si alzò in piedi e si voltò verso i ritratti di suo padre e del nonno. Sorrise loro, con una certa complicità. Rimase a distanza: non aveva bisogno di avvicinarsi per poter vedere i dettagli, erano già ben scolpiti nella sua mente.
«Diciamo che mi ha fatto sbattere il naso», rispose, «Andiamo a... Neh!»
Nehroi comparve sull'uscio della sala, visibilmente sciupato e sconvolto, con l'aria di chi è appena uscito da un frullatore; perlomeno gli occhi non erano più troppo brillanti e a Savannah bastò quello per farle tornare il sorriso.
Gli corse incontro e schivò le sue mani sollevate in posizione di difesa per evitare un altro pugno. Si intrufolò sotto le braccia e lo abbracciò con tutta la forza che aveva, ritrovando con gioia il suo profumo caratteristico sotto tutti quegli strati di influenza di Tolakireth.
Nehroi abbassò le mani e la abbracciò a sua volta. «Però non ho capito cos'è successo», confessò dopo un po', arrossendo imbarazzato.
Phil gli diede una pacca sulla schiena e sorrise soddisfatto. «Tranquillo, sei in compagnia.»
«Mi sono perso il lieto momento?»
I fratelli sciolsero l'abbraccio e si irrigidirono: Silar era appena comparso accanto a loro e Deiry era al suo fianco, tenuta per un braccio come un carcerato. Fissava il pavimento con aria abbattuta e non aveva più neanche un briciolo della malizia e della strafottenza di pochi minuti prima.
Sembrava una ragazzina qualunque, e per di più in tenuta casalinga.
«Perché invece non ci spieghi cos'è successo, Gerit?», lo invitò Phil ponendosi tra i fratelli e la strana coppia.
Silar alzò un sopracciglio e l'ilarità prese possesso del suo volto. «Cosa credi di fare, cavaliere impavido?», lo prese in giro.
Il consigliere si erse in tutto il suo metro e ottanta e richiamò a sé tutti i tratti che distinguevano da un comune essere umano: diplomazia, sangue freddo, conoscenza. «Loro due sono sotto la mia tutela. Le cose mi saranno anche sfuggite di mano ma voglio vederci chiaro in questa storia. A meno che non voglia parlarne in una riunione straordinaria, certo.»
Savannah si affiancò a Phil e scrutò attentamente la jiin rossa. Non c'erano dubbi, sembrava essere tornata la stessa persona che avevano incontrato la mattina precedente, quella che aveva starnazzato come un'oca quando era stata rinchiusa nella bolla gigante assieme alle guardie di Tolakireth.
Perlomeno all'epoca non aveva intenzione di traviare la mente di suo fratello.
Silar incrociò il suo sguardo severo ed indicò Deiry con riluttanza. «Ho scoperto che è vittima di una maledizione», iniziò controvoglia. «Una che manipola le persone, vulnerabili o non. Normalmente è innocua ma in qualche modo è riuscita a liberarsi del sigillo che aveva per proteggere sé stessa e gli altri e... insomma, avete visto com'era diventata.»
«Esattamente che maledizione è?», si informò Nehroi.
«Confonde le menti imponendo ricordi e visioni estranei in grado di far perdere l'orientamento anche della persona più seria ed inquadrata del mondo. Purtroppo pare che anche la sua mente non sia totalmente immune alla maledizione e si è ritrovata vittima di un cambio di personalità... alquanto imbarazzante.»
La scrollò bruscamente per un braccio e Deiry sussultò. «Scusatemi», disse desolata a voce bassa. Silar tornò a guardare il consigliere e sfoggiò la sua espressione trionfale. «Contento, Mayson?», lo sfidò.
L'umano si inumidì le labbra ed era in procinto di replicare che no, non era affatto contento e soprattutto convinto ma Savannah lo precedette e gli rubò la parola. «Come sei ben informato», disse tagliente.
Il consigliere e Nehroi si stupirono del tono astioso della ragazza, ma nessuno poté dubitare che fosse meritato o giusto. Il futuro Capo di Kyureth si morse il labbro inferiore ma non distolse lo sguardo.
Piegò lievemente la testa in un inchino educato, poi lanciò Deiry a Phil come se fosse una bambola e porse una mano aperta a Savannah, invitandola replicando una scena che avevano già vissuto durante la festa. «Possiamo parlare?», domandò cortese.
La ragazza scoppiò in una risata frizzante e fu tentata di fargli un gestaccio, ma si limitò ad indirizzargli un'orribile smorfia. Poi diede le spalle a tutti quanti, aprì una finestra e si mise in piedi sul davanzale. Saltò in su con una piccola spinta e sparì.
«Credo che tu debba startene tranquillo per il resto del pomeriggio», suggerì il consigliere al brehkisth senza staccare gli occhi dallo jiin infuriato che se ne andava pestando i piedi. «Non so tu, ma io mi sento piuttosto confuso.»
Lasciò la presa su Deiry e le fece cenno di sparire a sua volta, constatando non appena si voltò che aveva effettivamente un tatuaggio sul collo, fino all'attaccatura dei capelli arruffati.
«Mayson, la mia mente è stata traviata per più di dodici ore, non ho idea di quello che ho fatto e mia sorella sta iniziando una guerra feroce contro quello che per me è praticamente un perfetto sconosciuto», gli fece notare il ragazzo. «Credo che una solenne dormita fino all'ora di cena sia l'unica cosa che potrei riuscire a fare.»

Il carro marrone scuro di Heim comparve qualche ora dopo, scintillante nel tramonto che iniziava a colorare il cielo.
Savannah osservò il suo arrivo senza perdersi un momento dello sbarco e la intristì un poco vedere quel ragazzino che il Capo aveva spintonato e sgridato quella mattina accorrere con tanta foga per assisterlo. Si lasciò allora distrarre dal sole e dalle nuvole pigre che non si muovevano mai e pensò a quando passava le ore ad osservarle, a piedi nudi con il fratello, nelle desolate giornate all'orfanotrofio della loro infanzia.
Stava sorseggiando un tè con Phil, le gambe che penzolavano dal tetto del palazzo, appoggiati ognuno da un lato della statua verde del fondatore di Ataklur, perennemente in procinto di camminare tra le regioni.
Videro il Capo di Norreth scendere dal carro e varcare l'enorme porta incastonata nel marmo, con una valigia che fluttuava al suo seguito e il ragazzino a seguirlo come un'ombra. Indossava gli stessi abiti con cui era partito e persino la stessa espressione infastidita.
«Secondo te ci ha visti?», domandò Phil con lieve apprensione.
Parte di lui sapeva di dover onorare il suo lavoro di consigliere correndo dal Capo, ma nella battaglia interiore stava vincendo su tutta la linea la parte che voleva rimanere lassù, lontano dal mondo, di fronte a quello spettacolo immenso e magnifico che erano le regioni, bevendo un amato tè con una delle due persone che doveva tener d'occhio, mentre l'altra dormiva nella sua stanza, libero da una Deiry sottochiave. Fu quell'ultimo dettaglio a convincerlo che in realtà stava già eseguendo gli ordini di Heim e a dissuaderlo dal muovere qualche muscolo.
«Quello guarda solo ciò che gli interessa», bofonchiò Savannah senza esitazione. «Non è uno che alza la testa.»
Il cucchiaino di Phil tintinnò sul piattino. «Già...»
Davanti a loro si stendevano come un enorme tappeto tutti i diversi luoghi di Ataklur, in un'immensa visione mozzafiato che iniziava con la prateria di Tolakireth, trasformandosi nel mare giallo del deserto di Feinreth; in fondo, come una sottile e corta linea verde, la foresta di Norreth, seguita dall'imponente linea grigia degli altissimi monti brulli di Lagireth, che visti così da lontano non erano altro che un mucchio di puntini chiari ed indistinguibili. Alla loro destra, invece, regnavano i profili dei grattacieli della moderna e vicina Eastreth; subito dopo, le montagne nere e avvelenate di Kyureth tendevano verso il cielo come mani protese.
Il creatore di Ataklur aveva deciso che la barriera formasse pareti invalicabili che si innalzavano al limitare di ogni regione, e tutto il regno era circoscritto da montagne oltre le quali c'era solo il nulla. «Hai mai provato ad andare oltre?», domandò Phil ripensando ai rudimenti di geografia che aveva ricevuto durante il suo primo soggiorno nel regno dei jiin, quand'era poco più di un bambino.
“Oltre” era quanto bastava per intuire a cosa si stesse riferendo. Una parola che bastava per descrivere tutto ciò che non c'era ma che si immaginava, e aveva pure un bel suono. Oltre le foreste, oltre i deserti, oltre le montagne, oltre le nuvole, oltre il cielo...
Savannah ridacchiò e lo guardò di sottecchi come se avesse detto una stupidata solo per farla ridere. Gli ricordò sua madre e l'aria scivolò rapida fuori dai suoi polmoni.
«Certo», disse la ragazza non appena si rese conto che la domanda era più seria di quanto avesse immaginato. «Non si può fare neanche un passo.»
«Come andando contro un muro?»
Lei annuì. «Proprio come un muro. La nostra terra è vasta ma ha un limite... e non è rotonda come quella degli umani, dove teoricamente prima o poi puoi tornare al punto di partenza. Qui si sbatte contro i confini e non c'è nulla da fare.»
Aveva concluso la frase arricciando le labbra e il suo tono era sembrato alle orecchie del consigliere più pensieroso che sconsolato, ma preferì sorseggiare il tè e non indagare.
Alle loro spalle il sole iniziava a nascondersi dietro le montagne bianchissime che segnavano la fine di Tolakireth e le ombre iniziavano ad allungarsi fino ad unirsi tra loro e mangiare molta luce dalle superfici che sfioravano. Phil posò tazzina e piattino a terra e si alzò in piedi, passando le mani sui vestiti per togliere la polvere. «Iniziamo a prepararci per la cena», le disse.
Savannah soppesò la sua tazzina con fare pensieroso, inclinandola avanti e indietro e sorreggendola con due sole dita. La proposta di Phil rimase inerte nell'aria di fronte a lei, senza che sorbisse alcun effetto.
«Perché bevi tanto tè?», domandò infatti, condendo la parola “tè” con una nota che l'umano non riuscì o preferì non identificare.
Le parole del consigliere caddero definitivamente a terra, morte. Phil sospirò e si rassegnò all'idea di rimanere ancora un po' sul tetto.
«Perché depura, è buono e rilassante», rispose stanco come se stesse leggendo un opuscolo pubblicitario. Riprese in mano la sua tazzina e bevve l'ultimo sorso che aveva lasciato, ormai freddo, abbandonando solamente un gruppetto di foglie marroni sul fondo. «E poi sono inglese», aggiunse con calma.
Savannah alzò un sopracciglio e gli lanciò uno sguardo obliquo attraverso il manico della tazzina che aveva avvicinato all'occhio a mo' di cannocchiale. «Che ci fa un inglese ad Ataklur?», domandò osservandolo come se fosse un panorama lontano.
«Storia lunga», tagliò corto lui guardando altrove.
«Un giorno me la racconterai?»
Phil ci mise molto a rispondere. Annegò quasi un minuto silenzioso tra le foglie sul fondo della tazzina, fissandole così intensamente che sembrava stesse provando a leggervici il suo futuro, poi alzò lo sguardo sulle montagne oltre le quali non c'era più nulla; infine guardò Savannah. Smise di essere pensieroso e le sorrise educato.
«Può darsi.»
La aiutò ad alzarsi e varcarono la piccola botola che conduceva ad una scalinata di legno che li portava nel sottotetto abbandonato. Passarono attraverso un piccolo percorso segreto che li condusse in una ala della biblioteca, una piena di molta polvere e ragnatele.
Uscirono dal tempio dei libri del regno magico, contenente una copia di tutti i volumi che siano mai stati scritti fin dalle origini, dai più preziosi e rari fino ai manuali di cucina, e poi andarono a svegliare Nehroi. Probabilmente l'incantesimo della privacy non funzionava sui consanguinei, perché Savannah riuscì ad aprire la porta senza difficoltà.
«A lui ci penso io», si offrì Phil quando si rese conto che destare il brehkisth dal sonno si stava rivelando un'impresa più difficile del previsto. «Vai pure a prepararti per la cena... mi raccomando: pulita ed elegante. E non inimicarti nessun altro.»
Savannah roteò gli occhi e borbottò qualcosa sull'addomesticamento, poi scrollò le spalle ed entrò nella sua stanza, poco distante.
La sua cameriera saltò in piedi non appena la porta venne aperta e la marzialità che non smetteva di manifestare era degna di un soldato scelto. «Buonasera», abbaiò. «Deve prepararsi, mi permette di aiutarla?»
La ragazza sospirò. «Sì, certamente...», disse esasperata dall'idea di dover avere di nuovo a che fare con quella donna.
Dal momento che le pulizie profonde erano state fatte la sera prima, il tempo passato in bagno fu molto inferiore rispetto a quanto temuto e, per quanto riguardava la scelta degli abiti, Savannah decise di evitare l'argomento delegando alla donna la scelta. La vide scomparire nell'enorme cabina armadio e ricomparire pochi attimi dopo con un vestito nero con una spallina sola, una gonna a pieghe che le sarebbe arrivata sopra le ginocchia e piccoli fiori veri gialli e arancioni disseminati in ordine sparso lungo tutto il fianco sinistro.
«Le piace», domandò o affermò la donna non appena Savannah vi posò gli occhi sopra.
«Molto carino», mentì. Non aveva mai amato vestirsi di nero perché i suoi lunghi capelli scurivano a sufficienza la sua persona, ma la cameriera glieli aveva già intrecciati sui lati e raccolti in una coda, così si convinse che quell'abito sarebbe andato sufficientemente bene. Non che le importasse, ma Phil le aveva implicitamente chiesto di fare bella figura e, dopo tutti i guai che aveva combinato in meno di due giorni, sentì di doversi almeno sforzare.
La cena venne servita in giardino, dove tavoli rotondi di metallo finemente decorato erano stati disposti tra gli alberi variopinti e lanterne di carta erano state appese tra i loro rami.
«Non c'è fuoco vero», la informò Olus non appena Savannah si avvicinò per osservarle ammirata. La luce che sprigionavano era fioca ma sembrava la giusta quantità per creare giochi di colore con le foglie sovrastanti trasformando gli alberi in lampioni variopinti. L'atmosfera che una soluzione tanto piccola e banale creava era spettacolare.
«Stelle bianche?», ipotizzò la ragazza. Anche lei e Nehroi avevano avuto delle piccole Stelle bianche per illuminare le scure notti del deserto, ma quella misera eredità del nonno gli era stata trafugata da orfani più grandi di loro e da allora non ne avevano mai più avute nessuna, costretti ad farsi luce solo con i deboli globi creati dalla piccola jiin, finché non si addormentava e si spegnevano come bolle di sapone.
Il Capo di Bastreth annuì e la guidò verso uno dei tavoli apparecchiati con cura. Lì Silar corse loro incontro con un gran sorriso e chinò la testa di fronte alla ragazza, mostrando un'umiltà che gli stava stranamente bene.
«Non cambierà nulla», disse freddamente la jiin mentre Olus si allontanava con discrezione.
«No», convenne Silar, «Hai tutto il diritto di essere arrabbiata, sono stato maleducatamente insistente.»
Le spostò la panca e la invitò con garbo a sedersi. «Prego», aggiunse.
Savannah stava per muovere le gambe verso la sedia ed accettare la galanteria quando una strana accoppiata di voci giunse alle sue orecchie. Voltò la testa a metà del movimento dirigendo tutta la sua attenzione verso l'ingresso del giardino e il suo stinco sbatté contro qualcosa di duro ma lei non se ne accorse nemmeno.
«Quindi crede che in tre anni potrei essere capo di uno squadrone?», domandava con vivo interesse Nehroi.
«Se riesci a non creare incidenti di nessuna sorta e se ottieni la fiducia dei tuoi uomini... anche in un paio. Un'abilità come la tua è una perla rara in questo settore», rispondeva altrettanto amichevolmente Mas Heim.
Stavano scendendo le scale con naturalezza e il loro atteggiamento cordiale e caloroso avrebbe fatto pensare a chiunque che fossero amici di lunghissima data.
Quando passarono accanto a Savannah, la sua espressione era ancora sbigottita.
Heim ridacchiò per una battuta del ragazzo e strizzò l'occhio a sua sorella. «E tu, mia cara?»
La giovane jiin ci mise un po' di secondi a carburare. «Io cosa?», balbettò cadendo completamente dalle nuvole.
«Quando ti unirai al corpo di guardia?»
Qualcosa crollò nella ragazza, o si schiantò o scomparve improvvisamente lasciandola senza un sostegno. Si sentì la testa vuota e pesante al tempo stesso, mentre le palpebre non smettevano di muoversi rapidamente e le labbra si seccavano sempre più.
Incapace di dire alcunché, si rivolse verso Nehroi e fu il suo sguardo sconvolto a farle da voce.
«Ho deciso di accettare la loro offerta», la informò serio e sorridente, mentre si guardava attorno come se volesse essere sicuro che lo sentissero tutti. «Non ha senso continuare a camminare dal lato sbagliato della strada, giusto? Se ci pensi bene vedrai anche tu tutti gli enormi vantaggi di questa scelta.»
Fu in quel momento che la ragazza comprese cosa le fosse venuto a mancare nel petto, lasciandole quell'inquietante sensazione. Si alzò sulle punte con forza come se volesse saltare e si aggrappò con le mani alla camicia del fratello. Lo tirò a sé e gli scrutò gli occhi con attenzione ma, non appena si accorse che non c'era neanche l'ombra di un barlume della possessione in quelle iridi che erano solamente verdi, sentì che non aveva afferrato solo la camicia. Sollevò il tessuto bianco e scorse il medaglione di legno, quello con qualche ghirigoro dorato, quello che lei aveva sempre preteso che indossasse lui facendo nascere mille liti.
Il medaglione contro la possessione, quello che non aveva funzionato contro la grotta ma che avrebbe fatto il suo dovere in quei due giorni con Deiry.
Nehroi le afferrò con delicatezza le mani e la allontanò garbato. «Scusa, quando me l'ha tolto alla festa chiedendo di osservarlo meglio non credevo potesse essere tanto pericolosa», disse a bassa voce con pentimento. Savannah lo guardò storto e fu tentata di rimproverarlo come suo solito, ma vide che non aveva finito di parlare e rimase in silenzio.

Tre istitutori erano venuti alle prime ore del mattino, avvolti dalla frescura e dalle prime luci dell'alba. Erano due uomini e una donna; indossavano una divisa grigia e blu sulle spalle e i loro sguardi erano indecifrabili.
Ughrei era già sul portico, o lo era ancora. Non aveva potuto dormire neanche per un istante e le molte bottiglie vuote ai suoi piedi erano una prova della seconda ipotesi.
Quando gli istitutori avevano cominciato a comparire all'orizzonte, si era alzato fiero e ferito come un vecchio leone e nessuno dei tre aveva avuto di dire alcunché. Ughrei li aveva squadrati a lungo, come se avesse cercato di imprimere il loro aspetto con tratti nitidi e precisi nella sua mente annebbiata. Poi aveva fatto loro cenno di entrare e aveva atteso che i loro piedi calcassero le secche assi di legno prima di urlare i nomi dei nipotini addormentati.
Sono cresciuti, pensava mentre i due uomini li prendevano per le braccia e la donna si prodigava in rassicurazioni smielate e moine da madre mancata.
Nehroi inizia ad essere un ometto, si diceva con orgoglio guardando con che furia scalciava e mordeva e urlava.
Savannah presto non sarà più una bambina, notava quando gli sfilava accanto dimenandosi tra fiumi di lacrime.
«Vuole dir loro qualcosa?», aveva chiesto con dolcezza la donna, sfoderando un sorriso che irritò il vecchio nonno. «Nel caso in cui succeda quel che teme.»
Ughrei aveva annuito con un gesto secco e per un istante i due bambini avevano sperato che volesse dire che cambiava idea e che li avrebbe tenuti con sé. Che non era troppo in là con gli anni, che la sua salute non era troppo precaria, che l'alcolismo poteva essere sconfitto, così come la sua depressione cronica. Che erano stati anni difficili, ma che ce l'avrebbero fatta.
«Io non sono la scelta migliore per voi», aveva detto invece, gettando piombo nei loro piccoli petti.
Savannah singhiozzava senza tregua e Nehroi fremeva come se il sangue gli stesse ribollendo nelle vene e fosse sul punto di esplodere. I loro piedi scalzi affondavano nella sabbia che iniziava a scaldarsi sotto al sole sempre più giallo e il vento si levava tra loro freddo e tagliente come un rasoio.
«Ma neanche loro», aveva proseguito il vecchio con amarezza e con gli occhi lucidi. Gli istitutori avevano corrugato le sopracciglia confusi ed offesi, ma una delle loro poche mansioni era di sembrare rispettabili agli adulti che li affidavano prima che gli orfani non avessero proprio più nessuno al mondo e non avevano osato fiatare.
Ughrei si era appoggiato ad una colonna del portico e la sua voce si stava spezzando sempre più, man mano che si rendeva conto di cosa stesse facendo. «Voi siete la vostra migliore speranza!»
«Noi vogliamo restare con te...», aveva piagnucolato Savannah ma il nonno non l'aveva sentita.
«Rimanete sempre assieme e le nuvole non saranno mai nere per voi. Nehroi, affido tua sorella a te. Un giorno sarai jiin, proteggila sempre e Annah, tu dovrai stargli sempre accanto. Siete una famiglia.»
Gli istitutori avevano ascoltato quelle parole con l'apatia sul viso, ma forse non nel cuore. Quando il vecchio aveva finito di parlare, avevano capito che era giunto il momento di portare a termine il loro lavoro e avevano ripreso a trascinare i ragazzi con loro ma Nehroi era sfuggito come un serpente del deserto ed era corso verso la casa. Aveva piantato i piedi a pochi centimetri dal primo gradino del portico, senza salirvi.
Il suo sguardo era quanto di più arrabbiato, tradito, deluso ed infuriato che Ughrei avesse mai visto, e se ne rincuorava.
«Ero piccolo ma lo ricordo bene», aveva sibilato il ragazzino con voce dura. «“Siamo una famiglia”.»
Il nonno era stato tentato di sorridergli soddisfatto -quanto era cresciuto, il suo bimbo- ma invece aveva fatto un cenno all'istitutore che se l'era fatto sfuggire e lo aveva fatto avvicinare.
«Infatti», aveva detto a Nehroi mentre l'uomo iniziava a muoversi. «Ricorda sempre le mie parole.»
La sabbia scottava, le mani dell'uomo erano troppo forti sulle sue braccia gracili di decenne o poco meno, il sole era alto nel cielo terso. Ma mentre la casa di legno storta e sgangherata diventava sempre più piccola alle loro spalle e l'uomo stanco spariva tra le sue assi rotte, qualcosa cresceva in Nehroi, una sensazione nuova e pesante, dall'importanza assoluta.

«Fidati di me», disse il brehkist sottovoce.





*°*°*°*





Capitolo extra-lungo, lo so u_u Ha sfiancato anche me. In prima battuta (anche detto: da dicembre fino a ieri sera xD) non c'erano i due pezzi di ricordi passati e quelli sono venuti fuori lunghissimi, ahimè e ahivoi. Poi la parte finale, la decisione di Nehroi... anche quella è nata in queste ultime ore, all'inizio nessuno accettava la proposta e bon, si proseguiva con gli eventi! E invece no!
spero vi sia piaciuto cmq e che i vostri occhietti non se la siano presa troppo! ^^"

Grazie infinite per le recensioni allo scorso chap, voi non avete idea delle mie feste quando vedo una recensione all'orizzonte, soprattutto se vostra! Ancora un po' e scodinzolo! :3

Alla prossima, ciao!

Shark
   
 
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