Matt
Il cielo si colorava di un azzurro
limpido il giorno in cui Mail Jeevas era venuto al mondo, tuttavia,
già in
quella tiepida mattina di settembre si sentiva nell’aria che
l’estate ormai era
finita, non era più tempo di indugiare ma bisognava
prepararsi per un altro
gelido inverno.
Qui, in una casetta quasi da fiaba, spuntata chissà come fra
le dolci
colline dell’Irlanda, c’era una donna, poco
più che una ragazzina, con grandi
occhi verdi. Lei pareva essere sempre stata lì, un raggio di
luce le illuminava
il viso puerile e i capelli arruffati in nodi indistricabili. Guardava
fuori,scrutando
il paesaggio leggermente assorta poiché pensava che
l’inverno non le piaceva
affatto. Anzi, la verità era che lo odiava, ne detestava il
freddo perfido, e
l’idea che presto sarebbe tornato con il suo manto ghiacciato
era solita
toglierle di colpo il sorriso. Tuttavia non quel giorno. Oggi nessuno
avrebbe
potuto impedirle di essere felice, perché proprio quella
mattina di settembre
era nato il suo bambino. Un batuffolo assonnato che subito, dopo aver
pianto
per cerimoniale ed aver ciucciato un po’ di latte, si era
rimesso a dormire un
sonno profondo tra le braccia della mamma. La donna con gli occhi verdi
sorrideva sorpresa che quell’esserino innocente dai cappelli
rossi e fini, il
quale in quel momento ronfava beato, fosse lo stesso che le aveva fatto
sudare
sette camicie, poche ore prima. “Mostriciattolo”
sbuffava
la ragazza, ma fingeva solo di crucciarsi.
Certo, il parto era stato difficile ma ora erano in due in quel lettino
e si
sarebbero aiutati. Mail Jeevas, il suo bimbo. Nome scelto in tutto e
per tutto
dalla mamma: Mail si chiamava il padre della ragazza mancato da poco e
quindi
la creatura avrebbe avuto il nome del nonno. Invece Jeevas era il suo e
così
quel bebè portava avanti il cognome della madre per ancora
una generazione. Ma
in fondo cosa importava? Eccolo finalmente, ripagata delle sue attese:
il suo
Matty, così lo avrebbe soprannominato lei per abbreviare, il
nomignolo
affettuoso di una mamma.
Tutti gli altri lo avrebbero
chiamato Matt, carino; eppure quella “y” di Matty
era solo riservata a lei. Ma
tutto questo sarebbe venuto comunque dopo, una volta cresciuto. Una
fastidiosa
fitta allo stomaco fece mancare il fiato alla ragazza, ma solo per un
momento.
Sarebbero stati bene, lei e il suo Matty, sempre insieme.
I grandi occhi della donna vagavano ora sui
capelli scompigliati e rossastri. Rossi come quelli del padre.
Un’altra fitta
di dolore, più acuto; questa volta era il cuore a bruciarle
nel petto. La
verità era che Mail non avrebbe mai conosciuto suo padre. Ma
perché così tanti,
brutti pensieri? In fondo mica tutti i bambini nascono con la mamma e
il papà e
lei avrebbe semplicemente finto che “lui” non fosse
mai esistito. Avrebbe fatto
tutto da sola, come sempre, e tutto per bene; così non
avrebbe permesso che la storia
del suo bambino diventasse una storia triste. Se solo non fosse stato
per quei
buffi capelli... Comunque confidava sul fatto certo che gli occhi erano
i suoi.
Occhi verdi come foglie, e grandi, grandi e sinceri. Appena Matty
avesse sollevato
le sottili palpebre in un giorno luminoso lei li avrebbe visti
e…
Un colpo
di tosse ruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri e la ragazza
rantolò per
qualche istante premendosi un fazzoletto bianco sulle labbra.
Qualche
goccia di sangue.
Rossa,
come quei fili di sole, si sorprese a riflettere.
Raggi di sole rosso per
capelli.
La sua attenzione tornò
immediatamente al bimbo; una tosse davvero secca
che lo aveva fatto sobbalzare, ma non abbastanza forte da svegliarlo.
Com’era
bello Mail. E lei
si sentiva così
stanca, davvero, molto stanca. “Ecco”era tornata a
pensare senza dare troppo
peso al male allo stomaco” il suo sorriso sarà il
più bello del mondo.” E
poiché Matt nel sonno le stringeva in una debole morsa il
dito indice tra le
manine, la ragazza dagli occhi verdi sorrise fino a prorompere in una
calda
risata, che illuminò la stanza. Rideva poiché
quella mattina era nato il suo
bambino e non era proprio il caso di essere così tristi.
Mihael Keehl era nato , biondo e arrabbiato, in pieno inverno, nell’immensa villa dei Keehl. E le prime braccia nelle quali fu posato erano state quelle della cameriera Susy che lo avevano subito riposto nella grande culla tra orsetti ed elefantini minacciosi. Mihael non era neanche riuscito ad incastrare il visino nella pelle profumata di sua madre che già lei aveva preso l’ultimo volo per Los Angeles, avvolta in una morbida e bianca pelliccia. Si era solo lamentata di come la gravidanza le avesse fatto prendere qualche kilo e del suo aspetto terribilmente sciupato. Arrivata in California Henry, l’autista di famiglia, la sarebbe venuta a prendere e l’avrebbe portata nel lussuoso Hotel, vicino al casinò, dove suo marito, il signor Keehl, sorseggiava champagne. La signora Keehl avrebbe fatto un bagno caldo, forse una maschera ai cetrioli e dopo, solo dopo ciò, appoggiando le labbra su quelle del suo sposo per un bacio leggero, tra i vari discorsi, avrebbe accennato al fatto che, già da un po’, erano diventati mamma e papà.