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Autore: burnt    14/04/2013    1 recensioni
Hermione Granger ha vissuto tutta la vita con sua madre e ora che lei è malata e costretta nel suo letto, non ha i mezzi per curarla e mantenere l'affitto della casa. Un giorno, grazie al suo amico Morgan, un pittore, viene assunta come cameriera nella casa dei signori Malfoy e la sua vita sembra filare liscia, non fosse per le continue frecciatine che il giovane rampollo le tira e quel sentimento che divampa in lei, giorno dopo giorno, minacciando di ucciderla. Fino a quando, non viene a conoscenza del problema che minaccia di radere al suolo Parigi e si rende conto di non avere tempo per l'amore, conoscendo i responsabili che l'hanno causata. A quel punto, si limiterà a proteggere i suoi cari dalle grinfie del male e chissà che quel qualcuno che credeva il nemico fino a quel punto, non possa essere per lei motivo di scoperta e amore.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Nouvelle lune
Parigi 1482 




5
Una serpe in atto




A quell’ignobile serva sarebbero costati cari i suoi ripetuti e mancati ordini, le sue negazioni, le sue risposte, quello sguardo che lo incendiava e sembrava privarlo di se stesso.
Dannazione. Tutto ciò in cui aveva creduto fino a quel momento, era andato perduto nelle confessioni della serva. Una serva che desiderava, che temeva.
Non aveva mai perso una sfida e questo lo aveva travolto, portandolo a tormentarsi. Però, questa volta, c’era stato ben’altro a fargli perdere l’autocontrollo, qualcosa che lo aveva spiazzato e costretto in quell’inutile sofferenza. Per un istante, una sensazione di benessere lo aveva colto per poi, a causa della pezzente, il demonio fatto persona, trasformarsi in un inferno costellato d’incertezze e delusioni, sconforto e totale disprezzo.
Non poteva fare altro che restare chiuso dietro le porte di quella camera lussuosa che non bastava certo a riempire il vuoto che si era fermentato in lui ancora di più. Le aveva salvato la vita una volta, decidendo di non ucciderla quando lo aveva umiliato in quella piazza e l’aveva accolta nella sua casa, impedendole di continuare a marcire in mezzo a una strada sporca e senza luce. Pertanto, quel debito non era ancora stato saldato e fin quando Malfoy non avesse ottenuto ciò che desiderava sia col corpo sia con la mente da quella strega incapace, non si sarebbe accontentato di essere solo un padrone per lei.
Hermione Granger lo avrebbe temuto, prima o poi.
Questa era una promessa che intendeva mantenere viva, Malfoy.
*
«Non essere sciocco, Lucius, nostro figlio deve sposare quella donna o non ci resterà più un soldo da spendere.»
La contessa stava discutendo con suo marito del matrimonio del figlio, che si sarebbe celebrato entro qualche mese, con la signorina Marianne Thompson, figlia del marchese di Nottingham. Erano imparentati con madame Natalia e la signorina Juliette, che avevano loro fatto visita poche settimane prima.
Il marchese possedeva vasti territori nella sua terra e aveva perso sua moglie pochi anni dopo la nascita della figlia.
Marianne, era una ragazza di quindici anni, educata e perbene, piena delle attenzioni di quel padre che difficilmente la lasciava sola. Era una persona ligia e rispettosa delle regole e del buon costume, molto strafottente e per certi versi, anche molto possessiva, ma dolce, quando le pareva. Aveva capelli biondi come il sole, diceva sempre il padre e pertanto la vita aveva per lei molte sorprese in riserbo, piena dei suoi occhi verdi radiosi e di quel sorriso carnoso che le comportava un viso assai grazioso. Malfoy sarebbe dovuto essere fiero della sua futura promessa sposa, e lo era davvero, non fosse perché non condividevano niente e a lui poco importava del matrimonio. Lo faceva solo per salvare i beni di famiglia, poiché il padre era un uomo ricco e potente e se avesse preso lui come suocero, Lucius sarebbe finito a lavorare ai vertici Ministero.
C’erano accordi su accordi, nessuna traccia dell’amore a congiungere questa coppia in matrimonio, naturalmente.
«So bene che questo matrimonio è importante, sto solo dicendo che quell’uomo ha un ego importante per lo meno quanto il suo girovita e sua figlia, per quanto graziosa di aspetto –e so bene che basterà questo per rendere felice nostro figlio-, è davvero sfacciata.» disse, prima di riprendere fiato «Ricordi cosa ti disse l’ultima volta che si presentò qui a palazzo ben due anni fa, mia cara? Che non aveva mai conosciuto una donna più stolta e arrogante di te, e che il vestito che indossavi era orribile per lo meno quando il tuo naso.»
Sua moglie, del tutto presa dalle sue parole, sospirò alzando gli occhi al cielo, del tutto stanca di quel comportamento da ragazzino che suo marito adottava ogni volta che discutevano del matrimonio.
«Ti prego, Lucius, ti ascolti quando parli? Sembri mia madre quando discuteva con me all’età di dodici anni! Una vera donnetta! Quella ragazza adesso ha quindici anni. Non mi dirai, che ancora ti premono le parole di un allora tredicenne?»
Adorava stuzzicare suo marito, specialmente se poi sapeva come andava a finire e quando lui sollevò gli occhi, irritato, su di lei, Narcissa seppe con certezza che sarebbe finita meglio di com’era inizialmente iniziata quella discussione.
«Mia moglie che dà della donnetta a me, suo marito?» fece, con voce suadente, ma pur sempre un poco stizzita.
Lei si sporse su di lui, la scollatura generosa e prorompente e lo sguardo seducente che non aspettava altro che farlo suo. 
«Sto semplicemente dicendo che non vuoi che tuo figlio sposi quella donna perché non apprezza i tuoi regali, ecco tutto. Sei una signorina, Lucius Malfoy, costosa e permalosa, a dirla tutta. Ma io ti amo comunque, caro. Sempre amato.»
E quando lo vide sporgersi su di lei e afferrarla per la vita, ogni male sembrò sparire e il suo cuore rasserenarsi di fronte tutto quell’amore incontrastabile che mai si sarebbe dissolto in lei.
Lucius si sbarazzò di qualunque cosa ingombrasse la tavola nel suo studio e fece distendere sua moglie sopra di essa, afferrandole le gonne mentre andava a baciarla sulle labbra.
«Dio, non credi che siamo un po’ vecchi per farlo sopra il tavolo di uno studio?»
Narcissa rise. Lo fece così bene che per un attimo rimase spiazzato nell’osservare quello sguardo radioso accoglierlo nei meandri del suo cuore di donna e una volta liquefatto, Narcissa ricambiò con la stessa intensità quello sguardo.
«Dio, sei bellissima, tesoro.» disse.
Lei, il viso segnato dall’età e tutta la stanchezza che soccombeva nelle sue ossa, lo avvolse nella sua stretta, baciandogli il viso.
Erano anni ormai che non se lo sentiva più dire e aveva un suono ancora più dolce ora.
Lucius la spogliò lentamente, assaporando ogni imperfezione della sua pelle, i capelli, le labbra, quel paio di gambe che avrebbero certamente fatto invidiare qualunque altra donna le fosse amica, mentre lui le ripeteva all’orecchio quanto Madame Georgette gliele avrebbe invidiate, se le avesse viste.
Narcissa rise tra le sue braccia, come una ragazzina piccola e inesperta, come qualcuno che attendeva tutto ciò, da molto più di tempo di quanto il conte potesse prospettare.
E poi, sentendo il bisogno che pulsava contro quelle cosce e i sospiri di fata che provenivano da quella bocca gonfia dei suoi baci, Lucius la penetrò e venne sulla sua bocca, prima di stendersi accanto a lei e passarle lo scialle per coprirsi.
Narcissa lo guardò a lungo, prima che qualcun altro oltre quella porta bussasse di volere entrare all’interno, poiché vi erano notizie da fuori.
Uh!
Narcissa guardò suo marito e lui, nervoso, gridò: «Ma possibile che non si possa avere mai un attimo di pace in questa casa?!»
Erano entrambi nudi e distesi uno accanto all’altra sul tavolo.
«Tesoro, caccialo via, non può entrare qua dentro mentre sono in queste condizioni.»
Lucius le sorrise, straordinariamente addolcito come non lo era da secoli e probabilmente, doveva esserlo anche perché le tasche del marchese lo avrebbero fatto tornare sulla cresta dell’onda come un tempo.
«Certo, potrebbe innamorarsi di te e non ho alcuna voglia di perderti.»
Narcissa scosse la testa, addolcita. Comunque, del tutto innervosito dagli schiamazzi repentini di Wilson che oltre la porta lo richiamava, afferrò la teiera di tè ormai freddo e si ricoprì così le sue nudità, prima di sgusciare appena con fuori dalla porta e impedire che quel razza di maggiordomo vedesse la sua signora svestita.
«Che diavolo vuoi, razza d’idiota?!» gli gridò contro.
Wilson, improvvisamente pallido e imbarazzato per la scena che aveva di fronte a sé, si scusò col suo padrone, per averlo importunato in un momento così delicato.
«Perdonate la mia intromissione, monsieur padrone, ma i signori Thompson sono qui e non trovo il signorino Malfoy. La sua fidanzata è ansiosa di poterlo vedere.»
Lucius sospirò, nervoso e curioso di sapere, dove diavolo si fosse cacciato suo figlio quando sapeva benissimo che durante la serata sarebbero apparsi i signori.
«Perfetto, falli accomodare nel salone e incarica qualcuno di portare i bagagli dei signori nei loro rispettivi alloggi.»
Erano sempre in anticipo di ore, i Thompson. Questa era una cosa che Lucius non poteva assolutamente sopportare.
«Sì, signore.» disse.
«Inoltre, cerca di capire, dove sia finito mio figlio, occorre la sua presenza, per la cena. Scovalo ovunque lui sia e digli che si prepari per ospitare la sua bella signora.»
«Sì, signore. Farò come avete detto voi, signore. Perdonate ancora il disturbo, padrone.»
Poi, in un sospiro, lo congedò, sorridendo verso sua moglie mentre tornava da lei sul tavolo dello studio, imbandito delle sue grazie.
«Dio, quel pover’uomo lo hai in tutti i sensi scioccato, mio caro!»
Lucius sorrise, prima di prenderle lo scialle e, delicatamente, farlo scivolare ancora a terra col resto degli indumenti, mentre tornava su di lei, in mezzo alle sue ginocchia.
«Ma, caro, dobbiamo andare a prepararci! Gli ospiti sono già qui!»
Lucius, sopra di lei, sorrise con malizia. 
«Aspetteranno, dopotutto, è nostro figlio che dovrebbe occuparsi di loro. D’altronde, quella è la sua sposa, non la nostra.»
Narcissa sorrise dolcemente, mentre le sue mani carezzavano il petto del marito cosparso da una rada peluria bionda, per poi chiudere gli occhi.
«Mi farai impazzire tu.»
Al di là di quella porta, Wilson sussultò, tappandosi le orecchie preda di un imbarazzo che fosse certo, non avrebbe più dimenticato, mentre sentiva le urla compiaciute della sua signora deliziare il marito. Più tardi, Lucius gli avrebbe riferito di trovarsi una compagna, se non voleva finire male.

*
Più tardi, a tavola, Wilson era riuscito a scovare il signorino nella biblioteca di famiglia, mentre rifletteva in compagnia di un bicchiere di vino su un’altra certa donnetta.
Il maggiordomo doveva cominciare a portare i primi piatti nella sala e chi era addetto a quel servizio, non c’era. Fin quando, una delle serve non accorse da lui, dicendo che l’addetta a servire i signori quella sera alla tavola non sarebbe venuta, poiché era chiusa giù, coperta e indisposta e pregava di essere in silenzio sostituita.
«Che cosa? Come, sta male? Ai signori poco importa se non si sente bene con la salute, deve venire subito! Ci occorre la sua presenza!»
«Ai signori interesserà sapere che potrebbe contaminarli qualunque cosa abbia. Suppongo ci convenga cercare un sostituto, Wilson.»
Wilson, angosciato e frustrato, si ritrovò del tutto sommerso dal panico e, sicuro più che mai, del disastro imminente, poiché non lo avrebbe certo trovato in così poco tempo, capitò a fagiolo qualcuno che potesse fare al caso suo e dei signori oltre quello stesso corridoio.
«Hermione!» la richiamò.
E lei, seppe, in quell’istante, di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. O magari, proprio tutto il contrario.
Per quella sera, avrebbe dovuto servire le portate per la cena alla famiglia e lei, nemmeno sapeva come si dovesse fare, in quei casi, con le portate.
La costrinse quindi a spogliarsi degli stracci che indossava, come quella patetica cuffietta bianca e scialba, quel bustino consunto, anche se Hermione ci tenne a precisare che, dopo quella sera, avrebbe voluto rivedere i propri effetti personali in ordine su un tavolo.
Wilson non le promise niente e le proteste della ragazza non bastarono a impedire che ciò avvenisse, mentre qualcuno era impegnato a prestarle gli abiti con cui serviva alla tavola dei conti e lei era talmente impegnata a lamentarsi, che neanche si preoccupò di vederla in faccia questa persona.
Wilson sperava soltanto che Hermione non combinasse alcun disastro, poiché dopo avrebbe dovuto altrimenti pagarne le conseguenze lui stesso e lei con lui.
«Dico io, non poteva farlo nessun altro al posto mio? Non so come ci si comporta in certi casi!» gridò, mentre la serva finiva di aiutarla a prepararsi, dall’altro capo del separé.
«Mi sei sembrata appropriata, tutto qui.»
«Appropriata, io? Vi state prendendo gioco di me, Wilson?»
Il maggiordomo dall’altro capo della sostanza, roteò gli occhi al cielo.
«Affatto. Tu servi il signor Malfoy e poi, oltre a questo, chi meglio di te potrebbe essere portato, con tutti gli anni di esperienza che hai sulle spalle in giro per lavoro nelle varie locande di Parigi, ad apparecchiare una tavola e servire i piatti? Detto tra noi, se riesci a sopportare quel ragazzo, puoi sopportare tutto.»
Hermione non ci aveva affatto pensato, effettivamente. Poi, dopo quella supposizione, le venne da sorridere, mentre rispondeva:
«Sì, ma quelli erano solo vecchi ubriaconi con l’alito fetido, non aristocratici con la puzza sotto il naso che non aspettano altro che un tuo passo falso per prendersela con le loro frustrazioni su di te!»
Wilson fece segno di no con la testa, mentre la serva la faceva uscire e se ne andava via frettolosa, probabilmente nelle cucine.
«Questo non dirlo mai in loro presenza, mia cara.» disse; e poi, sporgendosi a guardare come le stava l’abito, sorrise euforico. «Sembri proprio una signorina come si deve vestita così, non capisco come lavorando appositamente per sua signoria, egli ti costringa a indossare quella roba così meticcia e sporca, dovrebbe tenerti più composta essendo a contatto con lui ogni giorno. Ci penserò, comunque.»
Hermione alzò gli occhi al cielo, in segno di protesta.
«Sì diverte a vedermi soffrire, ecco tutto, Wilson.»
Il maggiordomo rise sotto i baffi, aggiungendo: «A parte tutto, siamo riusciti a fare ben poco con questi capelli,» e li toccò, sentendone la consistenza stopposa tra le dita, con una smorfia «ma poiché sei solo una serva, nessuno ci farà caso. Prima di entrare, però, è meglio che tu la indossi la cuffietta che ti è stata prestata, non dobbiamo rischiare nulla. E ora vai, cara ragazza, la cena deve essere servita.»
Hermione, prima di uscire, aveva aggiunto che, in tutta la sua onesta franchezza, andava fiera dei propri capelli.
*
Hermione Granger aveva realmente compresoo ciò che stava per fare solo quando, a pochi passi dalla porta che la separava dal salone, con i piatti in mano, si ritrovò a pensare a quegli occhi prepotenti e quelle mani che la sporcavano, facendo di lei qualcosa di cui inebriarsi.
Per l’appunto, fu proprio davanti al portone che non riuscì a muovere il passo decisivo in quella stanza, poiché aveva paura di quello che sarebbe potuto accadere una volta vicina al conte, di fronte a tutte quelle persone.
Si avvicinò alla porta e sentì i loro passi, mentre prendevano posto alla tavola e fu allora, che qualcun altro vicino a lei aprì il portone e magicamente Hermione si rese conto di quello che stava realmente per fare.
Doveva muoversi, là in mezzo. Non poteva perdere tempo. Quindi, avanzò con lo sguardo basso, senza incrociare mai le pupille del conte che sentiva incollate alla carne, frizzare.
Perché mi fate questo? E spostò lo sguardo su di lui, incrociandolo come aveva previsto.
Hermione inspirò e sospirò.
Voltatevi!
«Marianne, tuo padre mi ha detto che hai quasi completato gli studi in collegio, non è così? Come procedono le cose? Ci è stato riferito che sei tra le studentesse più brillanti.»
A quel punto, intervenne la contessa, cercando di recuperare l’attenzione di suo figlio, immancabilmente riposta nella direzione sbagliata.
«Sì, non è meraviglioso, figliolo?»
Malfoy si voltò allora, facendo cenno col capo che, effettivamente, lo era.
Ma chi erano? Le venne da pensare a Hermione, che sapeva soltanto fosse la famiglia che i Malfoy avrebbero ospitato per qualche giorno.
Lei, soprattutto, chi doveva essere? Era davvero molto giovane, a pensarci bene, forse troppo.
«Tutto va alla perfezione e presto sarò libera di fare ciò che più amo, danzare, suonare e dipingere. Le lezioni proseguono come dovrebbero, tra una lezione di filosofia e di calcolo, lady Chantal, ci sta addirittura dando lezioni di piano, anche se, grazie a mio padre, sono già un’esperta nel settore.»
Aveva modi aggraziati e con quei capelli biondi e gli occhi verdi, era davvero una bellissima ragazza che, semplicemente, lasciava senza fiato. Non aveva mai incontrato una signorina così per bene, con sorrisi calibrati ed eleganza nel portamento perfino quando col tovagliolo si ripuliva, perfino se sedeva alla stessa tavola di Malfoy.
«Muoviti, per l’amor del cielo! Hai intenzione di restare lì impalata per tutta quanta la cena, stupida?» bisbigliò qualcuna, alle sue spalle. La voce di una delle serve, la riscosse immediatamente, facendola sobbalzare.
Hermione si avvicinò cauta, cominciando a riempire loro i piatti della cena, mentre quello che doveva essere il marchese, diceva: «Sembra non sia molto efficiente questa servitù, come mai, monsieur Lucius?»
Hermione quasì sussultò, rischiando di bruciarlo col liquido bollente – e in sé avrebbe gioito e disperato al tempo stesso per il fatto!
Solo che non fu l’uomo a prendere la parola, bensì il figlio e mentre serviva le portate, seppe con precisione che qualcosa, quella sera, sarebbe andato storto a causa sua.
«La trovo molto efficiente, se mi permettete, invece. L’ho presa io stesso dalla strada, come mia cameriera personale e, questa sera, il nostro maggiordomo, che si occupa di come la servitù, affronta i suoi incarichi, deve averla messa qui per un motivo specifico.»
Qualcosa, come un’incertezza, parve baluginare negli occhi rotondi e scuri del marchese, che cercava risposte nel suo metro e sessanta di ciccia. Era un uomo davvero bizzarro, amante degli scacchi per quanto non fosse bravo nel gioco, con un caschetto castano e i baffi lunghi e sfibrati che gli incurvavano le labbra persino quando non sembrava d’accordo in una scelta.
«Beh, e come mai avreste scelto voi stesso una serva? Cosa vi lega a questa sguattera?»
E, finalmente, se prima lo aveva fatto per sbaglio, Hermione ora sollevò lo sguardo su Malfoy e in lui vide tutto questo: l’arroganza, la sfrontatezza, il disprezzo, il gusto con cui facilmente la metteva a disagio. Certo, perché parlavano di lei come se fosse stata il niente, come se non fosse presente dentro quelle stanze e il modo pietoso in cui lo facevano, le provocava conati di vomito che le impedivano la calma.
«La definisco un’opera di bene di carità verso i più bisognosi. Ogni tanto dobbiamo farne anche noi che possediamo tutto, non siete d’accordo, monsieur Gerard?»
Se prima il marchese si era espresso vagamente confuso e sconcertato, incerto, ora nei suoi occhi luccicava la scintilla del piacere, mentre rideva a bocca piena e agitava le mani untuose -Hermione, costatò con divertimento il disgusto nella contessa!-,  applaudendo.
«Complimenti, figliolo! I tuoi genitori ti hanno cresciuto proprio bene! Non sarei stato in grado di accogliere, come te, un servo direttamente in casa mia. Per certe cose sono altri che se ne occupano, non ho il tuo stesso dono, mio caro. Sei speciale e mia figlia è fortunata ad averti.»
Sua figlia. Sua moglie. Ecco chi fossero!
Malfoy annuì, con quei sorrisi calibrati e la linea dritta delle spalle che mai si scompone sotto il peso di qualunque macigno.
Oh, che carogna!
Quando avesse avuto l’occasione di essere da solo con lei, gliel’avrebbe fatto pagare cara, costi quel che costi, a quello sbruffone.
E fu con immenso rammarico, che dovette mordersi a sangue la lingua, per impedire di agitarsi, mentre soccombeva sotto il peso di quelle parole sanguinose e si ripeteva di dover essere forte. Arrivò quindi il turno di Malfoy di essere servito, mentre lo faceva con portamento adeguato, senza contraccambiare quello sguardo velenoso e sinuoso, la schiena contratta mentre si piegava leggermente col busto e scopriva quanto potesse essere a dir poco disgustoso quell’uomo.
La tavola si estendeva per cinque metri in lunghezza e tre in larghezza e la tovaglia, era così lunga, che qualunque gesto posto sotto la sua base, non sarebbe stato notato. Fu con cautela che, per l’appunto, Malfoy inflisse il colpo di grazia sulla strega, agile e velenoso come una serpe, mentre il palmo della mano destra, mentre Hermione serviva il condimento nel suo piatto, andava a insinuarsi in mezzo alle sue gambe, sopra la stoffa grezza, colpendola meschinamente.
Dio, quanto era stata certa di odiarlo in quell’istante e la vergogna che aveva provato, non sarebbe stato capace di placarla niente! Incapace di agire, di rispondere, mentre lei era costretta a riempire il suo piatto, a osservare quei signori col volto nel piatto, immedesimati nei loro discorsi, a osservare lui che sorrideva convinto di avere vinto la guerra, mentre quelle mani s’insinuavano ancor di più nella sua intimità e cercavano di disfarsi delle stoffe, cercando di farsi spazio sulla sua pelle, fra le carni freschi e bollenti.
Le batteva al cuore all’impazzata.
Hermione represse un sussulto e quando avvertì la presenza di quella mani che sempre da sopra le stoffe si agitavano, strinse le labbra e chiuse gli occhi, gemendo, mentre quell’orrore veniva impedito ai signori di essere udito, a causa della pentola di cui lei stessa ne provocò la caduta per terra, imbrattando sia Malfoy. Aveva dovuto farlo o quelle mani l’avrebbero distrutta e logorata allo sfinimento.
Tutto ciò che udì nell’istante successivo, furono una sedia che cadeva per terra e le grida della contessa che la circondavano, mentre lei sentiva ancora la presa del conte afferrarla per le gambe e fare suo ciò che di più prezioso avesse, la dignità. Con il respiro spezzato e la sua sagoma, algida e inflessibile, che restava muta nel suo silenzio di fronte a lei.
Che cos’ha fatto? Non riusciva a crederci.
«Che diavolo fai impalata lì, stupida?! Vedi di seguirlo e aiutarlo, se riesci a non combinare altri disastri!» gridò la contessa.
Hermione tornò a galla, come se avesse rischiato di affogare per tutto quel tempo, mentre a piccoli passi, sentiva il cattivo presagio seguirla ancora, mentre le sue mani tornavano vivide come prima e la toccavano, incapace di reagire, di fuggire, di protestare, cercando di arrivare fin dove Hermione aveva saputo impedirglielo.
E ora si apprestava a seguirlo dentro le sue stanze. E tremava, ma non sentiva più niente scorrerle sotto la pelle, nelle vene, dentro le ossa.
Non c’era più niente da provare, se non la vergogna.
   
 
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