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Autore: bloody_lily    30/08/2004    4 recensioni
Lui sa di avere ragione
sa di essere felice e sulla sua pelle nera
scrive un nome di vernice
Alla gente distratta in attesa del lieto fine
lui risponde con il vento
"Io sono il più contento"…
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccolo, il nostro cavaliere

Ubriaco Canta Amore.

 

A Michele e Matteo. Agli ubriachi d’amore.

 

Ubriaco Canta Amore è © Bandabardò. Ma di questa bella canzone qui c’è rimasto solo il titolo, purtroppo… avevo pensato di sviluppare la *cosa* intorno ad essa, ma scrivendo è cambiato tutto -_-’

 

 

*Ed eccolo, il nostro cavaliere.

Ritto in sella: fiero ed elegante nel suo mantello di velluto indaco; nobile e ardente saetta lo sguardo sotto il cappello piumato.

Il suo destriero dal crine sanguigno corre sulla strada che trafigge la brughiera di brina lunare e argentea, pronto e scattante sotto le sollecitazioni del padrone.

Ha fretta, il nostro cavaliere.

Andrà a salvare qualche svenevole pulzella dal peggiore dei draghi?

O a lanciare il suo guanto di pelle chiara a qualche suo mortale nemico?

O ad offrire il suo aiuto a qualche signore in difficoltà? Chissà.

Fermati, o paladino nostro. Fermati e raccontaci la tua storia…

 

Ok, tanto per cominciare io non sono un cavaliere. Io sono un bandito. No, non insistere, mocciosetto: non è più o meno la stessa cosa. Io sono libero come l’aria, vivo senza debiti né crediti con nessuno, faccio quello che mi pare. Credo che se fossi nato femmina avrei fatto la puttana. Ma poi alla fine la mamma mi ha fatto maschietto e anche se mi ha dato un nome stronzo come Michele ne sono abbastanza contento. Soprattutto per quando mi appunto sul petto la spilla Ti Sborro In Faccia. In ogni caso, ecco, sono un guerrigliero, un attentatore, un autonomo. Non certo un, puah, cavaliere.

Poi, non sto ritto in sella ma tranquillamente sciallato sul sellino della mia Honda, fiero ed elegante nel mio giubbotto di pelle. E il mio sguardo, ardente più che nobile, è protetto dalle lenti scure dei Predator.

E ho fretta, sì. Alla mia svenevole pulzella si è fermata la macchina in un autogrill, e, siccome mi ha chiamato almeno mezz’ora fa per avvertirmi, penso che quando arriverò da lei la sua incazzatura si sarà evoluta in primordiale istinto omicida. Nei miei confronti. Ergo per non peggiorare le cose do gas, faccio una pinna, scalo la marcia. Ergo le macchine rientrano subito nella corsia normale mentre io mi caccio in quella di sorpasso. Mi scappa un ghigno. Ma come sono bastardo.

Giro nel primo autogrill che incontro, avvolto nell’autorità svogliata che mi perseguita da quando ho imparato ad allacciarmi le stringhe da solo.

Noto subito la Jeep scoperchiata nel parcheggio. È l’unica nel suo genere, penso. Chi altro potrebbe pensare di tenere la capote aperta di notte con questo freddo? Mi scappa un altro ghigno.

Poi mi maledico, perché nonostante tutto non è ancora tornato tutto come prima, dopo quella sera nefasta. Mi rimane un certo senso di orgoglio e soddisfazione, quando ci penso. Merda.

E mi maledico ancora perché non ho capito un cazzo. Non ho capito se sa che ci siamo baciati, corchi persi, o se non ricorda.

E mi rimaledico perché continuo a farmi seghe mentali per una cosa che può essere accaduta ma poi-sì-forse-magari-no. Eccheccavolo, un po’ di contegno.

Comunque posteggio accanto al fuoristrada e mi allontano verso il bar. Ho le mani gelate dal vento sferzante e dal freddo dell’inverno incipiente: una cioccolata non me la leva nessuno.

Entro scatenando le moine del campanello appeso sopra la porta.

Matteo mi vede dal fondo del locale e sbraitando e facendosi strada in mezzo alla gente con il suo carisma distribuito in spintoni e i suoi occhi da gatto infuriato sempre fissi nei miei avanza verso di me. Eccola, la mia svenevole pulzella, che in un secondo mi ha già aggredito.

Sbraita “Toh, lo stronzo! Si può sapere dove cazzo ti eri cacciato, maledetto di uno?”. È più basso di me, e più esile, anche, ma quando vede che reagisco con un sorrisetto irriverente alla sua rabbia mi molla un pugno nello stomaco che schivo per un pelo. Devo bloccargli i polsi per impedire che mi faccia male sul serio.

Un tre ante baffuto si avvicina accigliato. Dice “Se avete la situazione sotto controllo, devo chiedervi di uscire, o mi farete evacuare il locale”.

Prima che Matteo possa investirlo con una sequela di insulti spaventosi riesco a guidarlo fuori. Sospiro: niente cioccolata…

Non appena gli libero il polso, schizza via come una molla.

Mentre gli vado dietro dico “Ehi, stronzetto! Guarda che per farti venire a prendere mi hai svegliato in piena notte! E per di più mi hai fatto fare un pezzo di autostrada e mi hai impedito di bere una cioccolata calda! Non mi pare che possa fare lo schizzinoso, adesso… ma dove cazzo vai?”.

Lo vedo svoltare dietro un camion, poi mi arriva la sua voce ridotta ad un sibilo, sarcastica e incazzata “A pisciare, va bene? Posso farlo, questo, da solo?”.

Vado verso il mio tesoro e metto in moto. Lo lascio qui, questo stupido essere, e me ne torno a dormire. Che si fotta, lui coi suoi scheletri nell’armadio che non vuole tirare fuori. Mi chiama perché ha bisogno e poi mi manda affanculo così. Mica è colpa mia se uno è complessato e non vuole parlarne. Siamo amici, ok, ma questo non gli dà il diritto di trattarmi a pesci in faccia.

Mentre sto partendo lo vedo passarmi davanti incerto. D’accordo, d’accordo. Sospiro, rimetto il cavalletto alla moto e lo raggiungo nella sua Jeep. Mi siedo vicino a lui e mi metto comodo accendendomi una rossa. Gliene passo una e gliela accendo con la mia.

Lo guardo rilassarsi un po’, quindi dico “Cosa succede?”. Credo di avere un tono patetico, cazzo. Mammachioccia. E sparatemi pure al cuore.

Matteo allunga un dito e me lo passa sulla fronte. Sorride. Dice “Ti sei mai accorto che quando sei preoccupato per me ti si forma una ruga, proprio qui?”. Almeno anche lui è sul patetico andante, e non devo nemmeno sentirmi imbarazzato come un riccio senza aculei, deo gratia.

Inarco un sopracciglio. Rispondo “Chi ti ha detto che sono preoccupato per te?”.

Mi guarda incerto, di nuovo, il sorriso sparito. Dico “Non me n’ero mai accorto”, distolgo lo sguardo come se avessi scoperto che tutto a un tratto qualcuno è in grado di leggermi nel pensiero. Beh, più o meno è così. Ripeto “Che succede?”.

Butta fuori un “Succede che mi sono rotto di avere sempre bisogno di qualcuno che mi tiri fuori dai casini e mi guardi le spalle”, così, con nonchalance.

Ehi, mocciosetto, guarda dove metti i piedi. Quello lì per terra è il mio stomaco, chiaro? Non pestarlo, ci ha già pensato la svenevole donzella a ridurlo in pappa.

Lo guardo e mi sembra di avere l’espressione dell’animale ferito. Ma non riesco a far altro se non guardarlo.

In un angolo del mio cervello c’è la voglia di alzarmi e andarmene di qui. Purtroppo è un angolo del mio cervello ben nascosto.

Alla fine erutto “Basta dirlo”, ma non so neanch’io cosa voglia dire perché mi sento materialmente incollato sul posto e spiritualmente lontano diecimila miglia da qui.

E penso che Michele-l’uomo-navigato è uno stronzo, perché gli basta una cazzata del genere per crollare miseramente. Gli basta una cazzata del genere per sentirsi peggio che dopo essere stato scaricato da, non so, Pamela Courson. Vaffanculo, Michele, ok?

Matteo fissa un punto imprecisato sul vetro, mi sembra in trance. Mi sfiora l’idea di riempirlo di pugni e piantarlo qui. Poi mi risolvo ad accendere un’altra rossa.

Dice “Voglio cavarmela da solo” e non mi sembra tanto convinto. In ogni caso penso di averne avuto abbastanza, di pare, ed esco dalla macchina.

Ma non mi è ancora dato sgommare, perché scende anche lui e mi si piazza davanti. Dice “Il fatto è che mi sento come un animale nella gabbia di uno zoo. Ogni tanto qualcuno si ferma a guardarmi o fotografarmi ma nessuno mi porta via”.

Sono tanto tentato di metterlo sotto, perché non voglio addentrarmi in questi discorsi scabrosamente esistenziali. Non voglio e basta, non ci dev’essere per forza una ragione, mocciosetto. Chiedimi la testa di qualcuno, una partita di avana contrabbandata, un carroarmato della prima guerra mondiale in buone condizioni. Ma non di parlare di questo a Matteo.

Alla fine chiedo “Allora è questo il problema?”. Per lo meno è una frase che non implica niente.

Matteo mi guarda mordendosi un labbro. Risponde “Non lo so qual è il problema”.

Gli dico brusco “Allora, hai un problema con la macchina e mi chiami. Io vengo. Poi mi mandi allegramente affanculo. Poi hai un problema ma non ce l’hai e se ce l’hai non sai qual è. Amico, io di problemi ne ho abbastanza da non crearmene di nuovi. Vuoi un consiglio? Risolvi quelli vecchi, poi si vedrà”.

E sono proprio arrabbiato. Lui esala qualcosa tipo “Lo sapevo”. E io mi incazzo ancora di più.

Gli urlo “Matteo, cazzo, ma cosa c’è? Hai qualche problema con me?”. Bestemmia, si gira, se ne va verso la macchina. Così smonto per l’ennesima volta, mollo la moto alla cazzo e lo seguo correndo, bestemmiando anch’io per gli orridi sfregi di cui adesso avrò dotato il mio tesoro lasciandolo cadere così sul cemento. Lo tiro per un braccio e lo faccio sbattere contro la fiancata spartana della Jeep. Ma dal fatto che non mi guarda capisco che c’è qualcosa che non ha ancora tirato fuori. Dico “Matteo…” con tono piuttosto esasperato, non capisco cosa gli prenda stasera e ancora meno capisco cosa prenda a me che non sono capace di andarmene, merda.

Alla fine mi guarda, e mi sembra arrossito. Lo lascio andare, piego le braccia una sull’altra. Dico “Dimmi cosa vuoi che faccia, adesso”.

Apre la bocca ma mi sembra di assistere ad una di quelle scenette da film muti, lui parla e non esce voce. Vorrei un telecomando per alzare il volume. Vorrei non essere così esasperato e vorrei non pendere dalle sue labbra e vorrei essere nella mia cazzo di casa a dormire sotto le mie cazzo di coperte o meglio a bere una cioccolata calda. Vorrei una cioccolata calda.

Alla fine dice “Portami via”. E io non capisco. Non capisco davvero, mi sto girando per andare a recuperare la moto che ho lasciato cadere sul cemento e il casco e sto pensando a quanto è stata strana questa ultima ora quando due braccia mi avvolgono la vita. Due braccia fasciate in un maglione grigio che mi chiudono in una morsa. E qualcosa mi si scioglie all’altezza del plesso solare mentre realizzo che non mi dispiacerà avere un animale in casa, non mi dispiacerà affatto, e poso le mie mani ormai tiepide sulle sue fredde sorridendo al pensiero di girarmi e assaggiare le sue labbra, magari sperando che sappiano di cioccolata calda, e sarà il caso che adesso tu chiuda il sipario, mocciosetto, perché il cavaliere, o meglio il bandito, alla fine è riuscito a salvare la sua svenevole pulzella.*

  
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