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Autore: AnAngelFallenFromGrace    14/04/2013    0 recensioni
Peeta è stato salvato, portato al Distretto 13 da Capitol City. Ma è tornato cambiato, si è perduto. Questa volta Katniss non resterà a guardare e combatterà per riportarlo indietro.
Forse, se sparissi dalla sua vita, Peeta potrebbe riprendersi, tornare ad un’esistenza quasi normale.
Ma non posso: non so se il mio sia soltanto egoismo, ma una parte di me è convinta che sia giusto rispettare il suo più grande desiderio.
Capitol City l’ha cambiato, si è perduto ed io lo aiuterò a ritrovare se stesso, a ritrovare quel ragazzo che mi ha donato il suo cuore e la cui vita è ormai legata alla mia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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3.

 

Why’s it always darkest right before the dawn?

You have to stand up before fall down

You need to get lost before you get found.1

 

 

Il profumo. Il profumo è la prima cosa di cui mi rendo conto. Profumo di legna bruciata che mi solletica le narici, profumo di casa. E il calore di un fuoco alle mie spalle.

Devo essere sicuramente morta e finita direttamente all’inferno.

Non pensavo che l’inferno potesse avere un profumo così dolce.

Dischiudo gli occhi lentamente, abituandomi piano alla luce che mi circonda. Sbatto lentamente le palpebre, cercando di mettere a fuoco.

Sopra la mia testa non più il cielo oscuro, punteggiato di stelle, ma le travi di legno scuro di quella che sembra una baita.

Confusa, mi alzò di scatto, tentando di assumere una posizione di controllo: ma lo faccio troppo in fretta e la vista sembra di nuovo annebbiarsi per un istante, mentre mi riappoggio al pavimento.

Due braccia sono già pronte a sostenermi.

“Fai piano per favore, hai preso una bella botta” mi sgrida una voce, ma nel suo tono non c’è vero rimprovero, il sollievo è così forte da prevalere su ogni altra emozione.

Il mio cuore manca un battito o due, nel riconoscere quella voce.

Peeta sta sistemando meglio il cuscino di ventura, che ha preparato per me con uno zaino e una coperta, dietro la mia schiena. Cerco il suo sguardo, ma lui sembra troppo impegnato per voltarsi nella mia direzione.

Pensavo che non l’avrei mai più visto. Gli avevo già detto addio e invece adesso è veramente qui, a prendersi cura di me. Forse sono davvero morta.

Allungo una mano, cercando il suo viso. Gli sfioro il mento e i suoi occhi finalmente si posano su di me.

“Sei veramente qui?” sussurro.

Mi regala uno di quei sorrisi senza tempo, anche se velato da una certa tristezza.

“Sono qui”.

Ringrazio gli dei, il fato, chiunque l’abbiamo tenuto in vita per me.

Sembra indovinare i miei pensieri: “Pensavi mi avessero già fatto fuori, non è vero?” mi rivolge una smorfia un po’ risentito, prima di scuotere la testa.

“Io…” mi mordo le labbra, in imbarazzo “Ero solo preoccupata. Tutta la mia squadra non ce l’ha fatta”.

“Lo so. Anche la mia è stata decimata. Eravamo rimasti in tre, prima che mi allontanassi…”

Lo guardo senza capire.

“Ho deciso di lasciare la mia squadra e continuare da solo” mi spiega, stringendosi nelle spalle.

“Hai lasciato la tua squadra di tua iniziativa?”.

Improvvisamente la rabbia prende il sopravvento e non riesco a trattenermi dal tirargli un pugno sul braccio più vicino: “Sei matto?”.

La sua smorfia di dolore e il gemito che si lascia scappare mi sconvolgono: non pensavo di essere stata così violenta.

Seguo il suo sguardo e solo allora mi accorgo della fasciatura orribile e rossa di sangue che circonda il suo braccio destro.

“Peeta!” gridò, sollevandomi di nuovo di scatto.

“Ti ho detto di non muoverti così in fretta” cerca di ricordarmi lui, con un’espressione divisa tra il dolore e la preoccupazione.

Ma l’adrenalina che mi scorre nelle vene non mi permetterebbe di svenire un’altra volta.

Svolgo rapida la benda e trattengo il fiato davanti alla ferita: dopo gli Hunger Games e la guerra non sono più facilmente impressionabile, e tuttavia sento lo stomaco contrarsi quando osservo lo scempio dei denti che hanno penetrato la carne quasi fino al muscolo.

“Oh Peeta” mormorò questa volta, gli occhi che bruciano.

“Quei mostri avranno avuto anche i miei occhi, ma di certo non i miei denti. Non mi farebbero male quelle zanne, non pensi?” il suo tentativo di scherzare ha soltanto il risultato di farmi sentire ancora più in colpa.

Frugo nel kit medico che Peeta ha lasciato aperto sul pavimento, cercando l’occorrente per disinfettare di nuovo la ferita.

“Ho fatto da me…” cerca di protestare, ma la mia espressione risoluta fa cadere ogni tipo di resistenza.

“Non hai fatto un gran lavoro da queste parti…”.

O almeno non verso se stesso. Come al solito si è preoccupato soltanto di me.

Rimaniamo per qualche minuto in silenzio. I ricordi dell’arena si fanno di nuovo più forti.

“Perché hai lasciato il tuo gruppo?” domando d’un tratto, questa volta cercando di frenare la mia irritazione per la sua incoscienza.

Sbatte una volta le palpebre e mi ritrovo ad osservare le sue ciglia biondissime alla luce del fuoco che brucia in un camino dietro di noi.

“Sapevo che eri in pericolo. Sono dovuto venire a cercarti”.

“Sapevi?” chiedo, confusa.

Lui si stringe nelle spalle, incapace di trovare una risposta razionale.

Gli assicuro la nuova benda con una spilletta e sospiro: “Ti devo la vita, ancora una volta” ammetto, lo sguardo fisso sulla fasciatura.

Peeta usa la mano del braccio sano per toccarmi il mento, e costringermi ad alzare di nuovo il capo.

“Proteggerci a vicenda, è quello che facciamo. Ricordi?” mormora, sfiorandomi le labbra con il pollice.

“E poi ho un debito che non potrò mai saldare: hai cercato di salvare la mia anima, Katniss” aggiunge “Potrei salvarti la vita un milione di volte e non sarei ancora nemmeno lontanamente vicino a pagare il mio debito”.

“Cercato?”

La domanda lascia il mio corpo ancor prima che il cervello possa davvero formularla.

Abbandona il braccio, preso dallo sconforto: “Non credo possa essere davvero salvato. Qualcosa in me…” si blocca, litigando con le parole “E’ danneggiato per sempre”.

Improvvisamente il ricordo di quello che è successo nel bosco, prima che perdessi i sensi, si fa vivido nella mia mente, come un quadro o una fotografia.

Le mani di Peeta intorno al mio collo e i suoi occhi carichi d’odio. Il mio terrore e la disperazione nel momento in cui mi ero resa conto che stavo per morire per mano della persona che amavo.

Ma sono ancora viva. Non proprio in forma, a causa di quegli stupidi ibridi, ma viva e vegeta.

Nessuno è venuto in mio soccorso. Si è fermato da solo.

“Cosa è successo?” gli domando, con cautela.

Quando inizia a parlare tiene lo sguardo fisso sulle fiamme, il cui riflesso danza nei suoi occhi e sui tratti del suo viso.

“Avevo appena ucciso l’ultimo lupo e stavo cercando di aiutarti, quando quel suono si è fatto più forte, insopportabile”.

Sì, questo me lo ricordo.

“E poi, all’improvviso, non ero più me stesso. Mi stava controllando, di nuovo. I flash e l’odio mi hanno sopraffatto. Tutto quello che desideravo era…” rabbrividisce al solo pensiero “Era ucciderti. Le mie mani erano già strette intorno al tuo collo, sentivo il sangue già scorrere più lento, il tuo battito farsi più lieve e poi…”.

Scuote il capo. Prendo la sua  mano, gli do una leggera stretta, sperando che possa aiutarlo a continuare.

“Poi ho visto la paura dipinta sul tuo viso e qualcosa è scattato dentro di me: ho rivisto il tuo volto, di bambina, la disperazione alla notizia della morte di tuo padre. E poi ancora tu, con le tue trecce, in piedi su quello sgabello a cantare per la classe. Ho risentito la tua voce, cantare quella vecchia ballata della valle e anche io sono tornato un bambino. Quel bambino che alla prima nota aveva capito di essere irrimediabilmente spacciato. Per sempre”.

Always.

Mi accorgo di aver iniziato a piangere solo nel momento in cui una lacrima inizia a scivolare lungo il mio collo, facendomi rabbrividire.

Mi scappa uno di quei terribili e imbarazzanti singhiozzi. Peeta si volta di scatto e quando mi vede piangere cerca subito di asciugarmi il viso.

“Oh Katniss, mi dispiace tanto. Non avrei mai dovuto venire a cercarti, sapevo che sarebbe stato pericoloso” inizia a parlare a raffica, accarezzandomi spasmodicamente il capo “Ma sentivo che dovevo aiutarti. Temevo che qualcosa di brutto stesse per accaderti e quando ho visto gli ibridi attaccarti, per un attimo, per un attimo ho pensato di aver ragione. Naturalmente non avevo pensato che in realtà ero il perico…”.

Non gli permetto di andare avanti, poggiando le mie dita sulle labbra per zittirlo.

Davvero, come può non riuscire a capirlo? A vederlo?

“Peeta” pronuncio una volta il suo nome, aspettando che si calmi “L’hai sconfitto. Ti sei fermato. Sei tornato in te e mi hai salvato la vita”.

Sembra rendersi conto delle implicazioni di questo fatto per la prima volta.

“Questa volta” mormora alla fine “Ma la prossima…”.

“Mi hai salvato” ripeto, risoluta “Hai salvato entrambi.”

So che sta per ricominciare ad attaccarsi a qualche altra stupida convinzione, nel tentativo di denigrare se stesso, così sfrutto l’unica arma che conosco per farlo tacere: è un’ottima scusa per non pensare troppo a mia volta a quello che sto facendo, soddisfacendo quel desiderio che scalpita in un angolo della mia testa da quando mi sono risvegliata e che ho cercato di ignorare per tutto questo tempo.

Mi piego in avanti, quel tanto che basta per poggiare le mie labbra sulle sue, in un bacio gentile, le punte dei nostri nasi che si sfiorano appena.

Potrebbe essere un suicidio, ma al momento non mi importa, non mi importa di nulla.

 

[to be continued…]

 

 

1 = ‘Lost and found’ A Rocket to the Moon

 

 

 

Hei there J

Mi spiace un sacco di aver interrotto il capitolo in questo modo :P

Ma tornerò presto con la seconda parte e spero di riuscire a farmi perdonare J

Thanks a tutti i lettori e soprattutto a chi ha trovato il tempo di commentare!

See you all soon!

Franci

  
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