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Autore: Najla    15/04/2013    1 recensioni
Jade non ricordava di aver mai sentito così tanto silenzio in vita sua: non in quel posto almeno, non a quell’ora, non dopo una partita di Quidditch.
Era un silenzio teso, pieno di singhiozzi e sospiri, di parole lasciate a fior di labbra per paura di essere dette.
Era un silenzio pesante, che schiacciava fastidiosamente il petto e rendeva difficile respirare, non impossibile, solo più faticoso.
Era un silenzio che li lasciava tutti sull’orlo del baratro, a un soffio dalla caduta, a guardare il vuoto sotto di loro con lo stomaco improvvisamente ridotto ad un bicchierino da caffè, ma che comunque li teneva piantati con i piedi a terra.
Jade odiava il silenzio.
(tratto dal capitolo 10 )
Una storia che non è così semplice come potrebbe sembrare.
Un settimo anno ad Hogwarts che non potrebbe essere più incasinato.
Le basi di una battaglia che lascerà in ginocchio la Londra magica che tutti conosciamo.
Ma infondo, se si parla della nuova generazione, come potrebbe essere altrimenti?
(introduzione modificata )
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Roxanne Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Tredicesimo Capitolo
Quando la pazzia dilaga

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, un’aula del terzo piano, ore 09.22

«Qualcuno di voi mi fa la grazia di spiegarmi perché stamattina un pennuto con due occhi gialli grandi così mi ha consegnato questa? ».

Tutte le famiglie hanno dei problemi, è come una grande legge universale, e le famiglie magiche purosangue con un ego che permette loro di camminare almeno a sette metri da terra non fanno alcuna eccezione. Per quanto si ostinino a sostenere il contrario, sono pur sempre normalissime persone fatte di carne ed ossa, e in quanto tali può capitare che vengano coinvolte, o generino, situazioni problematiche.
I Greengrass e il loro conto indecente alla Gringott non facevano nessuna eccezione, anzi, erano una rosa infinita di casini di ogni genere.
Che Jay, sua sorella Ellie, Dam, Gracie, Scorp e Josh ci fossero finiti proprio in mezzo, beh, quella era stata tutta sfiga: una sfiga colossale avrebbe sottolineato ben volentieri Nott.
«La nonna le ha mandato Leodegrance » ci tenne a puntualizzare Scorpius a quel punto, solo per vedere gli occhi verdi di Grathia spalancarsi ancora un po’.
«Leodegrance? A lei? Perché? » Jade studiò la sua espressione sconvolta per una manciata di secondi, poi decise che non le interessava cosa diavolo avesse quel maledetto gufo per suscitare una reazione del genere e tornò a rivolgersi a Damian.
«Capisco che Grathia non ne sappia nulla » cominciò appoggiando la busta sul banco dove stava seduta la serpeverde, «Ma tu sei maggiorenne e sono abbastanza sicura che il nonno abbia cominciato a metterti al corrente di determinate informazioni: non dirmi che non sapevi niente di quell’invito perché non ti crederei ».
Il ragazzo prese a massaggiarsi il collo nervoso, conosceva Jade abbastanza da sapere che non li avrebbe lasciati andare prima di aver ottenuto una risposta che la convincesse abbastanza e lui, la risposta, anche ce l’avrebbe avuta, solo era piuttosto sicuro che alla cugina non sarebbe andata per niente a genio.
«Non può essere che i tuoi nonni abbiamo deciso di invitarti a cena perché sei la loro cara nipotina, vero? » fece sarcastico Joshua sperando di chiudere quella conversazione il prima possibile, certo che sarebbero finiti a parlare di argomenti che non gli piacevano.
«Josh, ti prego » Jade gli rivolse un’occhiata densa del più profondo scetticismo, «Anche ammettendo che si ricordino della mia esistenza nel loro albero genealogico, si rifiutano ancora di chiamarmi con il mio nome, non si fanno sentire da sei anni, salvo qualche compleanno, e uno dei loro migliori amici medita di uccidermi da quando avevo undici anni. Deve esserci un motivo piuttosto serio per mandarmi un invito con il loro miglior gufo, a scuola » si fermò un istante, «Non volevo offendere tuo nonno dicendo che mi preferirebbe morta, ma è la verità, Josh ».
Nott si limitò a fare spallucce, indifferente, suo nonno non piaceva troppo nemmeno a lui: l’unico motivo per cui lo frequentava era suo padre che lo obbligava a fargli visita ogni tanto. Non aveva mai capito come, da un uomo austero e cinico come suo nonno, il vecchio Ajax Nott, fosse potuta uscire una persona sommariamente equilibrata e di larghe vedute come suo padre.
Il sospiro di Damian attirò di nuovo la loro attenzione.
«So per esperienza che non sei stupida » disse il ragazzo guardandola serio, «Qualcosa devi aver pur pensato quando hai visto quella busta, stamattina ».
Jade si morse l’interno della guancia senza smettere di sostenere lo sguardo pesante e indagatore del cugino, «Certo che ho pensato a qualcosa ma non può essere che sia per.. » non si  prese nemmeno la briga di continuare quando sul viso di Damian si dipinse una smorfia piuttosto eloquente.
«Vedi che c’eri arrivata? » le rispose lui e Jade spostò gli occhi oltre le sue spalle, pensierosa, continuando a torturarsi l’interno della guancia con i denti: l’aveva detto lei che quella situazione non le piaceva per niente.
«Ma non ha comunque senso! Come possono pensare che io decida di assecondarli? E’ ridicolo » protestò scuotendo la testa e Dam scrollò le spalle come se la cosa contasse davvero poco.
«Sei sempre parte della famiglia, Jade, che ti piaccia oppure no tua madre è una Greengrass e quindi, per metà, lo sei anche tu » concluse lui e Jade gli riservò un’occhiata bieca, le braccia incrociate al petto e la punta della scarpa destra che batteva nervosa sul pavimento di lastroni.
In effetti, per quanto si sforzasse di pensare il contrario, Jade faceva parte della famiglia Greengrass a tutti gli effetti e anzi, volendo rivendicare qualcosa in quella gabbia di matti, lei e sua sorella, avrebbero potuto scavalcare i cugini senza difficoltà, essendo le figlie della primogenita.
La madre di Jade, infatti, era la prima figlia dell’attuale capo del clan Greengrass, il vecchio Flegias, e di una delle figlie del clan Moon, Electra. Entrambi aperti sostenitori dell’Oscuro Signore e tra i suoi più appassionati seguaci, erano riusciti a scampare ad Azkaban, dopo la fine della prima guerra magica e anche alla seconda, solo perché ricchi sfondati e con dei cognomi altisonanti alle spalle: insomma avevano fatto lo stesso gioco di potere di Lucius Malfoy e ne erano usciti pressoché puliti.
Dall’unione di due personaggi così sfacciatamente purosangue e fierissimi di esserlo erano nati quattro figli: la madre di Jade, Erinna, venuta al mondo cinque anni prima della fine della prima guerra, Daphne, la madre di Damian e Grathia, Astoria, la madre di Scorpius, e Castor, unico erede maschio della famiglia e probabilmente il meno adatto a portare avanti il cognome dei Greengrass.
Spiegare, invece, come Joshua Nott si fosse trovato invischiato negli intrighi familiari di quella casata era un po’ più complesso: basti sapere che una cugina di secondo grado del vecchio Greengrass aveva preso in marito, al tempo che fu, Ajax Nott, per altro amico di lunga data di Flegias stesso, e quindi il nonno, il figlio e il nipote si erano trovati impelagati in tutti i loro casini.
Per somma gioia di Josh, ovviamente..
«Qualcuno vuole spiegarci cosa sta succedendo? » si fece sentire Grathia alzandosi in piedi: non le piaceva essere tenuta all’oscuro delle cose, lo odiava e il fatto che persino Jade, la stessa Jade che evitava di far sapere in giro che erano parenti neanche avessero la peste, sapesse qualcosa in più di lei, la mandava in bestia.
Scorpius, invece, era giunto alla saggia conclusione che meno ne sapeva degli affari della famiglia di suo padre e di quella di sua madre, meglio avrebbe vissuto la sua giovinezza e quindi pareva l’unico, lì dentro, a voler ignorare qualsiasi cosa riguardasse buste, inviti e gufi.
«Loro dovevano rimanerne fuori » la ignorò Damian rivolgendosi a Jade, «Non credo sia una buona idea coinvolgerli ».
«Non penso ci siano alternative, Dam » sospirò Josh leggermente annoiato, «Punto primo, sono qua anche loro. Punto secondo, la lettera è arrivata anche a loro, nonostante non fosse nei piani: tanto vale chiarire questa faccenda ».
Damian prese un respiro profondo, facendo oscillare lo sguardo tra Scorp e sua sorella: già che la frittata era fatta, tanto valeva continuare.
Suo padre lo avrebbe come minimo ucciso ma amen, non dire niente a tua sorella, Damian, è ancora troppo piccola, devi tenerla al sicuro gli aveva detto e lui aveva risposto convinto: sì, padre, nessun problema..
Certo, sì padre, nessun problema se la cugina grifondoro non da di matto e non ci rinchiude in una stanza per sapere cosa sta succedendo..
Sì, avrebbe dovuto decisamente specificare.
«Lo hai letto un giornale dal 5 di Ottobre ad oggi, Gracie? » chiese alla sorella, come sperando che magicamente ci arrivasse da sola, ma quando la vide scuotere la testa in segno di diniego anche quell’ultima speranza di aggirare la promessa che aveva fatto a suo padre svanì miseramente, «Sai che delle persone hanno cercato di entrare in casa della nonna, vero? Questo almeno l’hai sentito? ».
«Non trattarmi da stupida, Dam, è ovvio che l’ho sentito » ribatté stizzita e Josh non si trattenne dal mormorare qualcosa che appariva molto come un non c’è niente di ovvio, con te, che a Grathia parve molto un insulto alla sua non trascurabile intelligenza, ma decise di sorvolare.
«Bene » annuì piantando le mani nelle tasche dei pantaloni, «La nonna non è stata l’unica sostenitrice dell’Oscuro Signore ad essere vittima di aggressioni, nell’ultimo periodo. La strage di Azkaban in cui sono stati sterminati tutti i Mangiamorte ne è l’esempio più eclatante, se poi volessimo elencare le lettere minatorie, le minacce e tutto il resto non si finirebbe più.. li chiamano Illuminati e il loro unico scopo sembra quello di sterminare tutti i clan purosangue che hanno sostenuto Voldemort » Damian fece una pausa per saggiare l’espressione di Grathia, apparentemente neutra, e continuò, «Fino ad ora le famiglie purosangue non hanno mosso un muscolo per il semplice motivo che credevano che le istituzioni magiche le avrebbero difese o meglio, sarebbero state capaci di proteggerle da questi fanatici ma quello che è successo a James Potter ha dimostrato esattamente il contrario: se Hogwarts non è sicura, nessun posto lo è ».
«Quindi » continuò Josh al posto suo, il tono noncurante come al solito, «Flegias ha deciso che è ora di fare qualcosa e si può ben immaginare cosa possa intendere con il suo fare qualcosa »
«Vuole avvertire la famiglia del pericolo e raccogliere più appoggio possibile: per questo sono stati invitati anche Jade e la sua famiglia » concluse Dam, «Per quanto a lei piaccia pensare il contrario, è pur sempre la nipote di due Mangiamorte: è a rischio quanto noi ».
«Non puoi essere serio » mormorò Scorpius cogliendo immediatamente le implicazioni di tutta quella faccenda, non voleva nemmeno sapere perché, ma tutto aveva un che di già visto e già vissuto.
«Ti sembra che io stia ridendo, Scorp?».
Jade smise di ascoltarli quando il biondino cominciò a protestare cercando di evidenziare l’idiozia di un’idea del genere più di quanto non fosse già evidente a tutti i presenti.
L’aveva capito già quella mattina che quella busta e quel gufo avrebbero portato solo guai, un mare di guai, ma in un angolo della sua testa doveva ammettere di aver sperato fino all’ultimo in qualcosa di meno catastrofico di una riunione per vedere quanti erano a favore e quanti contro sulla proposta: torniamo o meno ad indossare maschere e cappucci per difendere dalle avversità il nostro sangue purissimo! Inoltre sembrava che nemmeno Damian avesse dubbi sul fatto che nessuno si sarebbe limitato a difendersi in un’eventuale schermaglia e l’ultimo cosa di cui il mondo aveva bisogno, a suo parare, era un nuovo periodo del terrore in cui i figli dei babbani e i babbanofili dovessero temere per la propria vita, anche perché, dopo la guerra, le politiche per agevolare i rapporti con i babbani avevano avuto un così largo successo che ormai quasi ogni mago dell’Inghilterra simpatizzava per le persone prive di magia: non sarebbe stata una caccia all’uomo, sarebbe stata una roulette russa di stragi!
«Da una parte quelli che vogliono ammazzare i mezzosangue e dall’altra quelli che vogliono ammazzare i purosangue » ricapitolò Jade passandosi una mano sulla fronte, «Se dovesse davvero finire in questo modo, dubito che il Ministero riuscirebbe a fare qualcosa di utile ».
«A quel punto » la corresse Josh con una nota sardonica, «Il Ministero non potrebbe fare proprio niente ».

Godric’s Hollow numero 25, Cucina, ore 9.23
Nonostante fosse passata una discreta quantità di tempo ed Hermione fosse davvero sicura di aver sepolto tutte le vicende spiacevoli che la collegavano in un modo o nell’altro alla figura altezzosa di Malfoy, ancora non riusciva a farselo andare a genio del tutto.
Soprattutto quando si presentava a casa sua nella sua mattinata di riposo buttandole quasi giù la porta a suon di imprecazioni tra le più varie e la sorprendeva con indosso una vecchia tuta e il capelli bagnati dalla doccia tenuti legati con un elastico a fiori di sua figlia: per le mutande di Merlino! Ormai era un pezzo grosso del Ministero! Aveva una reputazione da difendere! Non poteva farsi vedere, davvero, da qualcuno in quello stato, soprattutto se quel qualcuno era Draco Malfoy!
«Ripetimi perché sei qui » sbadigliò contrariata prima di affondare il viso in una tazza di tisana rilassante: se voleva affrontare una conversazione con quell’uomo doveva rimanere calma.
Ogni tanto se lo chiedeva seriamente, se Scorpius fosse un corno o meno, perché non aveva mai visto traccia del cipiglio indisponente di Malfoy in quel ragazzo..
«Perché mi pareva avessimo concordato un piano d’azione, Granger » sbottò lui, seduto di fronte a lei, con le gambe accavallate e una palese espressione disgustata al pensiero di ritrovarsi nella cucina di una sanguesporco di fronte a qualcosa di assolutamente non magico come un caffè.
Già, quando Harry non poteva essere raggiungibile perché era insieme agli altri in ufficio a lavorare sugli illuminati, era la sua la casa sicura dove andare per riferire eventuali informazioni: una sorta di seconda base, quando la casa dei Potter era vuota, per chi stava cercando di capirci qualcosa di illuminati e affini.
«Weasley » lo corresse esasperata Hermione, «Mi sono sposata più di diciassette anni fa, Malfoy ».
«Non è rilevante » fu la risposta secca e concisa dell’altro, «Stamattina ho ricevuto questa» lasciò scivolare sul tavolo una busta verde smeraldo, «E’ da parte di Flegias Greengrass, e se l’ho ricevuta io, so per certo che è arrivata anche a Theo, Blaise e i fratelli di Asteria ».
Hermione si raddrizzò istantaneamente, mise da parte la tazza sbeccata e prese tra le mani quella filigrana pregiatissima con incisi i nomi di Draco e di sua moglie: sempre così sfarzosi, i purosangue.
«E’ un invito al cenone della vigilia » chiarì seguendo con lo sguardo le dita della donna mentre aprivano la busta ed estraevano il biglietto, «L’avevo detto a Potter che non se ne sarebbero stati buoni..».
«Come fai ad essere sicuro che non sia solo un innocuo invito per Natale?».
«Perché lo stesso invito è arrivato anche ad Ellison Fyfield, mia nipote » sospirò rilassando appena le spalle, «La figlia maggiore di Erinna Greengrass ».
«Credevo che i Greengrass non parlassero con la figlia e la sua famiglia da anni, ormai » commentò Hermione aggrottando le sopracciglia pensierosa, «Da quel che ricordo solo le due ragazze abitano in Inghilterra, Erinna e il marito si sono trasferiti in.. ».
«…Spagna, sì » annuì Malfoy, «Novak ha chiesto il pensionamento anticipato dopo aver perso una gamba in un attentato ai danni della delegazione magica inglese in Russia.. Non è normale che Flegias abbia deciso di coinvolgere anche loro in una riunione di famiglia ».
«Sta raccogliendo il consenso » dedusse Hermione con semplicità, «Speravamo succedesse più avanti , speravamo di riuscire ad arginare gli Illuminati ».
«Evidentemente l’attacco al figlio di Potter li ha spinti a dubitare delle rassicurazioni del Ministero, dovevamo prevederlo: le famiglie purosangue non si fidano delle istituzioni magiche, sono zeppe di babbanofili e mezzosangue, di questi tempi ».
«L’unica cosa che possiamo fare è cercare di tener buoni Flegias e quelli che hanno intenzione di seguirli finché non capiamo qualcosa in più di questi illuminati » sospirò lei passando elegantemente sopra al velato insulto nei confronti dei nati babbani, «Non ci sono i presupposti per agire legalmente, anche se sappiamo quanto tragiche potrebbero essere le conseguenze di una nuova adunata di Mangiamorte, non stanno facendo nulla di illegale.. Tu e Nott dovete monitorare la situazione e tenere calme le acque finché non troviamo una soluzione: in molti seguono il nome dei Greengrass, con un po’ di fortuna controllandolo, riusciremo a manovrare anche le altre famiglie ».
«Avete avuto notizie da McDuff? ».
«Si sta lavorando la Fyfield » rispose pacata Hermione accettando il suo desiderio di cambiare argomento: non sapeva cosa avesse spinto Draco a schierarsi dalla loro parte, questa volta, ma riusciva a capire quanto quella decisione dovesse costargli, anche senza Voldemort, fare la spia nelle antiche famiglie magiche era molto rischioso. Ci voleva la massima prudenza quando si aveva a che fare con persone diffidenti per natura e per loro fortuna, sia Malfoy che Nott, erano esperti nel non fare mai il passo più lungo della gamba.
«Non fare quella faccia » continuò la donna di fronte alla sua smorfia di disappunto, «Sei stato tu a consigliarci di usare tua nipote ».
«Certo, Jade è una grifondoro, è conosciuta e conosce un sacco di persone, non ha difficoltà a trovare informazioni senza destare sospetti, è una Caposcuola, quindi ha un maggiore raggio d’azione rispetto agli altri studenti, e nel momento in cui McDuff le dirà cosa ci serve sapere e perché saprà tenere la bocca chiusa » commentò Draco incrociando le braccia al petto, «Il fatto che fosse la scelta migliore, non significa che mi debba piacere per forza ».

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 10.25
Elijah si sentiva come un uovo sbattuto mentre, steso su una delle panche al tavolo dei Grifondoro nella sua ora libera del lunedì, guardava il soffitto stregato e la neve che cadeva a fiocchi senza mai toccare terra sgranocchiando quei meravigliosi stuzzichini croccanti e salatissimi che sua madre gli spediva una volta alla settimana via camino.
Non che avesse mai provato l’esperienza di essere un uovo e di essere sbattuto da qualche parte, ma era abbastanza sicuro che la sensazione fosse quella: una sorta di inspiegabile e pesante sensazione di bleah.
Da quando James era stato ricoverato al San Mungo, Eli si era ritrovato a vivere la propria routine con una noia tale da tediarlo persino alzarsi dal letto: Ian era sempre con Gwen, con quella svampita della Shelley che ancora si rifiutava di capire che il ragazzo ormai stava con lei per inerzia ed era troppo buono per scaricarla da un giorno all’altro quindi continuava a sopportarla in silenzio. Già, Ian aveva sempre avuto la brutta inclinazione a fare la cosa sbagliata per lui ma giusta per gli altri: aveva un po’ l’indole del martire. Jade, invece, viveva a metà strada tra il suo mondo e i mille impegni che continuava a prendersi, patologicamente incapace di dire di no alla gente, il che la rendeva off limits tutto il giorno meno che a pranzo e a cena, dove Eli aveva comunque tutta la tavolata Grifondoro a fargli compagnia.
Era dura da ammettere, per un ragazzo con una certa reputazione da menefreghista cosmico come lui da difendere, ma si sentiva tremendamente solo senza uno dei suoi tre amici a tenergli compagnia.
«Potresti essere l’incarnazione dell’indolenza, sai? » una voce vagamente divertita lo risollevò dalla sua spirale di pensieri negativi.
Si stupì non poco nel riconoscere, voltando la testa verso la tavolata deserta dei Tassorosso, la figura di Rowena, seduta sulla panca parallela alla sua con le gamba accavallate e i gomiti appoggiati sul tavolo.
«E’ strano vederti senza quella piaga ambulante di mio fratello » rispose con un ghigno, «Avete divorziato? ».
«Io e Mord siamo solo buoni amici » precisò la ragazza alzando gli occhi scuri verso il soffitto stregato, «Sta poco bene, ha preferito tornare in dormitorio a riposare ».
«E lo Scamader? ».
«Lorcan ha Babbanologia ».
«Cromwell? La Nieri? Molly Weasley? ».
«Oliver è con una certa Judith Swift, si sono imbucati non so dove, Emma è con Xavier Knight e se Molly lo scopre potrebbe decidere di disconoscerla, ma per fortuna di Emm sta studiando in biblioteca » rispose tranquilla, «Ma se ti do tanto fastidio me ne vado ».
«La Nieri e Knight? Sul serio? » commentò Elijah esterrefatto, gli occhi verdi appena appena più grandi, «Da quando in qua? ».
«Non credo lo vogliano far sapere in giro: Emma teme molto il giudizio di Molly e sa che non ama le Serpi » fece spallucce prima di sorridere con un angolo della bocca, accorta, «Te l’hanno mai detto che hai la stoffa della vecchia comare? Sono convinta che, se fossi una donna, saresti la migliore amica della Wetmore e della Lodge ».
Elijah sospirò pesantemente contrariato ma decise di non ribattere. Anche con un paio di tette non sarebbe mai diventato amico di quelle due oche: il suo disgusto nei confronti della casata verdeargento era troppo ben radicato nel suo animo per permettergli anche solo di respirare la loro aria.
Il fatto che a Serpeverde ci fosse anche il fratello che gli impediva di prendersi l’unica ragazza che davvero volesse e che gli stava seduta davanti, non centrava assolutamente nulla..
Rimasero in silenzio per un po’, entrambi troppo presi a seguire il filo incasinato dei propri pensieri e a cercare di dargli ordine guardando il cielo plumbeo sopra le loro teste per decidere di dire qualcosa. Non era un silenzio scomodo, anzi, era quasi caldo: aveva il sapore di un’intimità che non aveva bisogno di spiegarsi e che, da che Elijah ricordasse, c’era sempre stata tra di loro.
«Cos’aveva Mord? » chiese ad un certo punto Eli, la voce appena più bassa, come se avesse paura di farsi sentire seriamente da qualcuno: alesava talmente tanto l’odio per il suo gemello che c’avrebbe perso la faccia se qualcuno avesse scoperto che nonostante tutto si preoccupava comunque per lui.
Rowena sorrise appena, inclinando leggermente la testa verso destra, gli occhi si colorarono di una sfumatura appena più dolce e meno impenetrabile del solito.
«Credo si sia preso l’influenza » rispose lei con un sospiro, «Sai che in questo periodo si ammala sempre.. Ti farò sapere se peggiora: credo avrò bisogno del tuo aiuto per trascinarlo in infermeria, a quel punto.. ».
«Come l’anno scorso » annuì Elijah alzando gli occhi al cielo: solo lui poteva avere un fratello talmente idiota da rifiutarsi di andare dalla Talleyrand a chiedere una semplice pozione per far abbassare la febbre.
«O l’anno prima » annuì distrattamente Rowena continuando a studiarlo con quel modo attento ma discreto mentre Eli continuava, ignaro, a sgranocchiare salatini fissando la neve che cadeva, come ipnotizzato.
La ragazza si ritrovò ancora a riflettere sul legame impalpabile che teneva una parte del suo cervello incatenata ad Elijah Faraday, in maniera irrazionale e totalmente insensata, per altro, e trattenne un sospiro.
La prima volta che aveva incontrato Mordecai, era stato in biblioteca, al primo anno, un mese dopo la morte di sua sorella, nel periodo in cui si teneva distante persino da Lorcan: lo stesso Lorcan che era diventato la sua ombra dal primo giorno di scuola.
Non avevano parlato un granché, a dir la verità erano semplicemente finiti a sedere allo stesso tavolo con un numero indecente di libri e avevano scoperto ciascuno l’esistenza dell’altro, senza imbarazzanti presentazioni o cose del genere, solo con qualche veloce e pacato scambio di battute: stai facendo il tema per Eastwood? Cosa hai risposto alla domanda numero quattro? Cose così..
Quando poi Mordecai si era alzato e aveva raccolto le sue cose salutandola, Rowena aveva alzato la testa e lo aveva ringraziato: era stato il primo a non mostrarle una pietà che non voleva, per la morte di sua sorella, il primo a non fermarla per i corridoi facendole le condoglianze, il primo che l’aveva trattata come una coetanea e non come un caso sociale.
Il primo a trattarla come Rowena Dale e non come la sorella della ragazza assassinata a Diagon Alley.
La risposta di un dodicenne già piuttosto cinico era stata, «Che senso avrebbe avuto dirti che mi dispiace? Non conoscevo tua sorella, non conosco davvero nemmeno te.. Meglio stare in silenzio che essere ipocriti, non credi? ».
Da lì in avanti Rowena aveva continuata a cercare il tavolo dove quel ragazzino si sedeva per studiare, in biblioteca e a sedergli accanto, in silenzio, usandolo egoisticamente come balsamo per quando il ricordo del funerale di sua sorella si faceva troppo pressante, o gli sguardi di tutti si facevano incredibilmente pesanti, perché il freddo che percepiva nei gesti e nelle parole di Mord anestetizzava il dolore, le ricordava che il mondo continuava ad andare avanti comunque, indipendentemente dalle sue lacrime.
E mano a mano che se ne rendeva conto, sentiva scemar piano il bisogno di piangere, sentiva il dolore diventare nostalgia.
Erano passati dall’essere semplici conoscenti ad amici, perché sì, Mord faceva una distinzione piuttosto netta tra le due categorie, una sera di Ottobre, durante il loro secondo anno, quando il ragazzo, alzandosi dal loro solito tavolo in biblioteca per tornarsene nei sotterranei aveva mormorato, la voce ridotta ad un fiato incerto il “mi dispiace” che non aveva voluto dirle tanti mesi prima e Rowena aveva sorriso, ringraziandolo ancora una volta.
Sotteso a quel “mi dispiace” c’erano talmente tante cose che Row c’avrebbe impiegato anni per capirle tutte: anni per capire come trattare il carattere diffidente di Mordecai, anni per conquistare la sua fiducia, anni perché le concedesse di psicoanalizzarlo come faceva con Lorcan, anni perché andasse a parlare a lei dei suoi problemi prima che a chiunque altro.
Rowena aveva capito che Mordecai era innamorato di lei solo quando aveva incontrato Elijah e aveva afferrato quanto quei due si assomigliassero nel profondo: nonostante i diversi colori della divisa scolastica, nonostante sostenessero di volersi seppellire a vicenda, nonostante litigassero persino su chi dei due dovesse entrare per primo in una stanza.
La consapevolezza di essersi infatuata di Elijah era arrivata solo molto tempo dopo, passeggiando con i due gemelli per le vie della Londra babbana, vedendoli vicini, identici eppure agli antipodi: capaci di dare allo stesso sentimento una forma totalmente distinta.
E Row aveva capito di amare le forme che creava Elijah, di esserne attratta pericolosamente, più di quanto non apprezzasse già quelle familiare e un po’ spigolose di Mordecai.
«Siete uguali, tu e Mord » disse allora, come se fosse una riflessione nata da un’illuminazione piuttosto che da anni di analisi, riuscendo comunque a guadagnarsi un’occhiataccia scettica da parte degli occhi verdi e brillanti di Elijah.
«Lo so che siamo uguali » borbottò come se il solo dirlo gli facesse venire l’orticaria, «Siamo gemelli omozigoti, sarebbe strano il contrario.. gentile a ricordarmelo, comunque ».
Sarcasmo: smorzato da una risata se veniva da Elijah, affilato da una smorfia se veniva da Mordecai.
«Siete davvero più simili di quanto pensiate » concluse alzandosi in piedi e lasciandolo lì, di nuovo da solo, con i suoi salatini e i suoi pensieri persi in una bufera di neve.
Eli spostò lo sguardo dal cielo sopra la sua testa solo per vederla andarsene ancheggiando appena e sospirò sconfitto.
Niente da fare: aveva bisogno di James.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Grande, ore 19.23
Ian aveva solo ceduto ad un momento di stanchezza, non c’aveva messo cattiveria: non aveva pensato proprio a niente quando aveva risposto alla sua ragazza di star zitta cinque secondi, nel bel mezzo della Sala Grande e sotto lo sguardo di tutta la scuola.
Non aveva pensato che si trovava davanti quello zucchero di Gwen, non aveva pensato che si stava comportando da stronzo, non aveva pensato nemmeno che l’avrebbe fatta arrabbiare, ad essere sinceri.
Sicuramente non pensava che la ragazza sarebbe esplosa in una scenata al limite della psicosi.
E pensare che lui voleva semplicemente cinque minuti di silenzio dopo aver litigato di nuovo con Jade in corridoio, nascosti dietro ad una colonna, per una cosa talmente stupida da farlo vergognare di sé stesso.
«A chi scrivi? ».
«Un amico ».
«Non credo sia un amico.. ».
«La mia vita privata non ti riguarda, Ian ».
«Ero curioso ».
«Non è vero, tu sei geloso e non ne hai alcun diritto. Stanne fuori ».
Lì avevano cominciato ad urlarsi contro perché era successo esattamente quello che succede quando dici ad una persona nervosa che è nervosa, quella si innervosisce ancora di più e raggiunge il limite peggio del fuoco a contatto con la benzina.
Boom!
E quando aveva zittito Gwen, con quel tono sicuramente troppo brusco, non aveva pensato: onestamente, Ian se ne rendeva conto solo ora, mentre la fidanzata gli urlava addosso, era da un po’ che non pensava.
Forse era per questo che, di recente, era capace solo di produrre casini su casini.
«Gwen, santo Merlino, calmati » mormorò puntandole addosso lo sguardo scuro: non la stava nemmeno ascoltando.. Non l’ascoltava più da tanto tempo, «Stai dando spettacolo ».
La ragazza gli puntò contro l’indice, il peso del corpo spostato leggermente in avanti e tutta l’intenzione di sventrargli a morsi la carotide: se non fosse stato sicuro che i Tassorosso erano quasi incapaci di fare del male al prossimo si sarebbe preoccupato.
Intravide la faccia incuriosita di Bones seduto poco distante da dove si trovavano loro e gli tornarono in mente i capelli della Wetmore: forse avrebbe fatto bene a preoccuparsi comunque.
Una donna incazzata rimaneva tale in qualsiasi Casa si trovasse.
«Io non sto dando spettacolo, cazzo! » esclamò indignata, «Sono mesi che non mi consideri nemmeno! Mesi che inventi scuse sopra scuse per evitare di vedermi! Ti sei dimenticato il nostro anniversario e io cosa ho fatto?! Niente! Pensavo fosse un periodo! Pensavo…ero convinta ti sarebbe passata! E invece?! Invece è andata sempre peggio!» Ian sapeva che la voce di Gwen era leggermente acuta, un po’ pigolante ma, dannazione, gli stava polverizzando i timpani.
La vide guardare alle sue spalle, individuare una persona tra gli studenti che stavano entrando per la Cena e vide i suoi occhi accendersi di un nuovo barlume assassino.
Ora, se avesse anche solo potuto prevedere quanto stava per accadere sarebbe andato dal platano picchiatore e l’avrebbe supplicato di ucciderlo seduta stante, con una scarica di cazzotti di legno e li avrebbe accettati tutti senza lamentarsi perché, Merlino, se li meritava dal primo all’ultimo tanto era un coglione patentato.
Ma le cose non vanno mai come uno vorrebbe, anzi, se possono andare peggio lo fanno sempre e lui se le meritava tutte le disgrazie del mondo, dalla prima all’ultima.
«E io lo sapevo! Io lo sapevo che quella lì era una troia! Lo sapevo che c’avrebbe diviso! Anche se tu continuavi a dirmi che eravate solo amici.. » sibilò Gwen abbastanza forte perché la potessero sentire quasi tutti gli studenti, «Io lo sapevo che ti sbattevi quella puttana della Fyfield! Lo sapevo che sarebbe stata tutta colpa sua! ».
Non ci volle un genio, a quel punto, per capire che Gwen stava fissando Jade, in piedi sulla porta della Sala Grande, gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, che lo guardava come a chiedergli cosa stesse succedendo, perché, esattamente, tutta la Sala Grande la stesse fissando in un misto di disgusto e sorpresa.
Ian si voltò in tempo per incrociare il suo sguardo una manciata di secondi e sentirsi mancare il respiro: rabbia, delusione, paura.
La vide mormorare qualcosa ad Evangeline, sconvolta quasi quanto lei, e dileguarsi il più velocemente possibile mentre Gwen continuava la sua crociata di pura isteria.
Un coglione, Ian, sei proprio un coglione.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Dormitorio femminile Grifonforo, ore 20.02
Elijah non bussò nemmeno, giunto davanti alla porta di legno spessa almeno cinque pollici, la spinse e rimase fermo sulla soglia, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri della divisa, gli occhi verdi fissi, in un misto di tristezza e compassione, sulla figura rannicchiata su uno dei tre letti.
Jade se ne stava immobile, scossa appena dai singhiozzi, il viso incastrato tra le ginocchia e i capelli spettinati: Elijah non ricordava di averla mai vista così fragile, piccola nel rosso del copriletto e delle tende del baldacchino.
Sospirò appena e le si avvicinò, senza dire niente, prese posto vicino a lei sul letto e la strinse, accarezzandole dolcemente i capelli mentre lei gli si stringeva addosso, aggrappandosi al suo maglione come ad un’ancora di salvezza.
Non c’erano parole e di sicuro, ogni spiegazione, avrebbe potuto aspettare il giorno dopo, perché Eli era l’indifferenza fatta persona ma davvero, ad avere Ian sottomano in quel momento l’avrebbe cruciato.

Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, Sala Comune Serpeverde, ore 23.56
Joshua sbadigliò sonoramente, scendendo gli ultimi gradini che separavano il suo dormitorio dalla Sala Comune, immersa nel buio salvo per una candela solitaria, accesa sul tavolino alla destra del divano.
Alzò un sopracciglio cercando di capire chi ci fosse ancora sveglio, steso sul velluto verde del divano e si stupì non poco nel distinguere Katherine, con la vestaglia di raso aperta sul pigiama tinta panna, e un libro troppo grosso per il suo quoziente intellettivo tra le mani.
Non pensava ci fossero altri Serpeverde che soffrissero d’insonnia, o meglio, non pensava che proprio la Wetmore potesse avere un motivo per non dormire sonni tranquilli: chi più di lei aveva una vita perfetta? Che problemi poteva avere una come Katherine Wetmore per non chiudere gli occhi la notte?
«Sicura che quel volume non sia troppo per i tuoi standard? » chiese caustico prendendo posto sulla poltrona vicina al caminetto, in modo da poterla guardare in faccia attraverso la fioca luce della candela, «Non so se l’hai notato ma non è il Settimanale della Strega ».
«Lo so, Nott » replicò lei tranquilla, voltando l’ennesima pagina senza degnarlo di troppa attenzione, «Infatti è un libro di incantesimi per l’’edilizia magica ».
«Ripeto, non ti sembra sia troppo per i tuoi standard? » rincarò sperando di farla arrabbiare almeno un po’: la discussione con Jade di quella mattina gli aveva messo in testa tanti di quei disastrosi scenari di morte che aveva bisogno del pensiero felice di aver fatto infuriare la Wetmore per dormire almeno un paio d’ore.
Ma la ragazza non fece una piega, non lo guardò nemmeno, concentrata nell’analisi di chissà cosa e Nott si sentì un po’ offeso, quasi trascurato.
«Perché ti dai ad una lettura tanto impegnativa? » riprovò: Kath silenziosa lo metteva tremendamente a disagio, solo ora che, per una volta in sette anni, non la sentiva fiatare se ne rendeva davvero conto.
«Mio padre vuole che vada a lavorare per il suo studio di magiarchitettura ad Edimburgo una volta presi i MAGO.. Mi sto solo documentando.. » rispose con noncuranza e Josh si trovò a ghignare sornione.
«Leggi libri importanti, ti documenti, difendi Jade di fronte a tutti nella Sala Grande.. » elencò distrattamente, accavallando le gambe prima di intrecciare le dita sotto al mento, indagatore, «Sembri proprio una Grifondoro diligente, sai? ».
«Non dire idiozie, Nott. Sono tutte cose che faccio perché mi servono » commentò distaccata, l’ennesima pagina che seguiva le altre già lette.
«Anche difendere Jade, ti serviva? ».
«No, ma la Shelley era davvero una presenza molesta, questa sera: non mi andava che mi rovinasse la cena ».
Josh sospirò e si piegò in avanti: non credeva ad una delle parole di Katherine e lo sapevano entrambi.
Studiava magiarchitettura perché suo padre l’avrebbe obbligata a lavorare con lui ad Edimburgo, probabilmente lo dava talmente per scontato che non glielo aveva nemmeno chiesto.
Aveva difeso Jade di fronte a tutti perché, in fondo in fondo, non la odiava come odiava il resto delle oche di Hogwarts: era stato un atto di solidarietà femminile alla Wetmore, ma non avrebbe mai ammesso di averlo fatto per buon cuore.
«Attenta a non diventarmi una brava ragazza, Katherine » mormorò alzandosi per tornare in camera a fissare di nuovo il soffitto, «Questo non è il posto per gente del genere ».
Di nuovo non gli rispose, assorta nelle righe fitte di quel volume che la teneva sveglia insieme a mille altri pensieri e Joshua era ormai, di nuovo, su quegli ultimi gradini che aveva sceso prima, quando lo sentì, appena sussurrato.
«Buonanotte, Josh ».
E Nott non sapeva perché ma si trovò a sorridere a mezza bocca come un ebete.
Quando odiava la Wetmore, non lo sapeva più nemmeno lui.




Note di un'autrice un po' depressa:
Allora, buonasera  a tutti :) vi lascio questo capitolo veloce veloce perché devo preparare la valigia per Vienna e non ho idea di cosa metterci dentro: capitemi sono nel panico più totale!!! @.@
Detto questo, visto che ho pochissimo tempo, vi imploro di recensire, vi prego gente, se davvero questa storia vi piace, la preferite, la seguite e la ricordate, vi prego: LASCIATEMI UNA RECENSIONEEEEEEEEEE!!! Ne ho davvero bisogno: almeno voi tiratemi su una costola che fino a luglio prevendo tempeste un gionro sì e lìaltro pure...
FIduciosa nel fatto che mi farete questo enorme piacere e ringraziando chi legge, segue, preferisce, ricorda e recensisce la storia (Vi voglio tanto bene :D ) vi saluto e vi aspetto al prosismo capitoletto che è già in cantiere ( ma l'avviso resta lì ancora un po', per sicurezza.. )

Tanti bacini,
Najla :)













  
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